N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 2019

Ordinanza del 30 aprile 2019 del Tribunale  amministrativo  regionale
per  il  Lazio  sul  ricorso  proposto  dalla  Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura di Rieti contro Ministero  dello
sviluppo economico e altri. 
 
Amministrazione pubblica - Camere di  commercio  -  Legge  delega  al
  Governo sul riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle
  Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - Decreto
  legislativo  di  attuazione  -  Previsione  del  parere,   anziche'
  dell'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, nell'adozione  del
  decreto legislativo. 
- Legge 7 agosto 2015, n. 124  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
  riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), art. 10; decreto
  legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione  della  delega  di
  cui all'articolo 10 della legge 7  agosto  2015,  n.  124,  per  il
  riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  camere  di
  commercio, industria, artigianato e agricoltura), art. 3. 
(GU n.42 del 16-10-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
 
 
                          Sezione terza ter 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 5283 del 2018, proposto da:  Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura di Rieti, rappresentata e difesa
dagli avvocati Raffaele Bifulco, Carlo  Contaldi  La  Grotteria,  con
domicilio  eletto  presso  lo  studio  Raffaele  Bifulco   in   Roma,
Lungotevere dei Mellini, 24; 
    Contro Ministero dello sviluppo economico, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in  Roma,  via  dei
Portoghesi, 12; 
    Nei confronti  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura di Viterbo; Francesco Monzillo; Unione  delle  Camere  di
commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura  -   unioncamere,
rappresentata  e  difesa  dall'avvocato  Federico   Tedeschini,   con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Messico, 7; 
per l'annullamento: 
    previa sospensione cautelare, 
    del decreto ministeriale 16 febbraio  2018  del  Ministero  dello
sviluppo economico, recante «Rideterminazione»  delle  circoscrizioni
territoriali,  istituzione  di   nuove   camere   di   commercio,   e
determinazioni in materia  di  razionalizzazione  delle  sedi  e  del
personale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 2018,  n.
579; 
    degli atti esecutivi e conseguenti del  medesimo  decreto,  e  in
particolare: della nota del MISE in data 1° marzo  2018  n.  0080724;
della determinazione n. 1 del 1° marzo 2018 del Commissario  ad  acta
per l'accorpamento delle Camere di commercio di Rieti e Viterbo; 
    di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  dello
sviluppo  economico  e  dell'Unione  delle   Camere   di   commercio,
industria, artigianato e agricoltura unioncamere; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  30  gennaio  2019  il
dott. Antonino Masaracchia e uditi per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    1. Con il ricorso in epigrafe la Camera di commercio,  industria,
artigianato e agricoltura di Rieti, in  persona  del  Presidente  pro
tempore, ha  impugnato  il  decreto  ministeriale  16  febbraio  2018
(recante «Riduzione del numero delle  camere  di  commercio  mediante
accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale»), nonche'
i relativi atti connessi, nella parte in cui, in attuazione dell'art.
3 del decreto legislativo n. 219  del  2016,  recependo  la  proposta
avanzata da Unioncamere (delibera del 30 maggio  2017),  ha  disposto
l'accorpamento delle Camere di  commercio  di  Rieti  e  di  Viterbo,
individuando in Viterbo, piuttosto che in Rieti, la  sede  del  nuovo
ente. 
    Il  decreto  ministeriale  impugnato  e'  identico   al   decreto
ministeriale 8 agosto 2017, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  del
19 settembre  2017,  e  sostituito  dopo  la  pronuncia  della  Corte
costituzionale (sentenza n. 261 del 2017, depositata il  13  dicembre
2017) che ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3,
comma 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 [...], nella
parte in cui stabilisce che il decreto del  Ministro  dello  sviluppo
economico dallo stesso  previsto  deve  essere  adottato  sentita  la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, anziche' previa intesa  con
detta Conferenza». 
    A seguito della detta pronuncia  il  Ministero  sottoponeva  alla
Conferenza Stato-Regioni un  nuovo  schema  di  decreto,  analogo  al
precedente, ai fini  del  raggiungimento  dell'intesa  con  gli  enti
regionali. La Conferenza, dopo un primo rinvio nella  seduta  del  21
dicembre 2017, esaminava il testo nella seduta dell'11 gennaio  2018:
in tale occasione varie Regioni formulavano obiezioni a seguito delle
quali il verbale della seduta  recava  l'indicazione  della  «mancata
intesa». 
    Successivamente, appurato il mancato raggiungimento di un'intesa,
il Consiglio dei Ministri, nella  seduta  dell'8  febbraio  2018,  ai
sensi dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del  1997,
autorizzava il Ministro  dello  sviluppo  economico  ad  adottare  il
citato decreto. 
    2. Avverso il citato decreto ministeriale  16  febbraio  2018  la
Camera di Commercio di Rieti ha articolato le seguenti doglianze: 
        violazione dell'art. 12, comma 4, della legge n. 580 del 1993
(come modificato dal decreto legislativo  n.  219  del  2016)  e  del
principio  contenuto  nell'art.  10,  comma   1,   lett.   f,   della
legge-delega n. 125 del 2015 (in punto di rappresentanza  equilibrata
delle basi associative delle Camere accorpate); 
        violazione dell'art. 17, commi 3 e 4, della legge n. 400  del
1988 e degli artt. 6 e 7 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 1092 del 1985;  violazione  dell'art.  3,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016 in  combinato  disposto  con  l'art.  12,
comma 4, della legge n. 580 del 1993: 
          cio', in particolare,  con  riferimento  al  fatto  che  il
decreto  ministeriale  impugnato,  pur  avendo  natura   «chiaramente
normativa», non reca la denominazione di «regolamento»  ed  e'  stato
adottato senza il previo parere del Consiglio di Stato; 
          violazione dell'art. 3 del decreto legislativo n.  281  del
1997; eccesso di potere  per  carente  attivita'  istruttoria  e  per
carenza di motivazione; 
          illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2,  della
legge n. 124 del 2015 e dell'art. 3 del decreto  legislativo  n.  219
del 2016 per violazione dell'art. 117 Cost. e del principio di  leale
collaborazione, e conseguente  illegittimita'  derivata  del  decreto
ministeriale 16 febbraio 2018. 
    In sostanza la Camera ricorrente denunzia quindi,  sotto  plurimi
profili, la violazione delle disposizioni in tema di  accorpamento  e
razionalizzazione  delle  Camere  di  Commercio,  la  violazione  dei
principi  stabiliti  per  l'attuazione  della   riforma,   l'elusione
sostanziale dei principi in materia di intesa tra Stato e regione  e,
come meglio  chiarito  in  seguito,  l'illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni di legge applicate. 
    3. Si sono costituiti in giudizio  il  Ministero  dello  sviluppo
economico, in persona  del  Ministro  pro  tempore,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  e  l'Unione  italiana
delle camere di commercio, industria,  artigianato  e  agricoltura  -
Unioncamere, in persona del  Presidente  pro  tempore,  chiedendo  il
rigetto del ricorso. 
    Alla pubblica udienza del 30  gennaio  2019  la  causa  e'  stata
trattenuta in la decisione. 
Rilievo della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  10
della legge n. 124 del 2015 e dell'art. 3 del decreto legislativo  n.
219 del 2016. 
    4. In virtu' dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015,  e'  stata
conferita  delega  al  Governo  per  l'emanazione   di   un   decreto
legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e  del
finanziamento delle Camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura, anche mediante la modifica legge n. 580 del 1993  ed  il
conseguente riordino delle  disposizioni  che  regolano  la  relativa
materia. 
    Segnatamente l'art. 10, comma 1, lettera b, della  legge  n.  124
del 2015 prevede che il legislatore  delegato  possa  procedere  alla
«ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con  riduzione  del
numero dalle attuali 105 a non piu' di 60  mediante  accorpamento  di
due o piu' camere di commercio; possibilita' di mantenere la  singola
camera  di  commercio  non  accorpata  sulla  base  di   una   soglia
dimensionale minima di 75.000 imprese  e  unita'  locali  iscritte  o
annotate nel registro delle imprese, salvaguardando  la  presenza  di
almeno una  camera  di  commercio  in  ogni  regione,  prevedendo  la
istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia  autonoma
e citta' metropolitana  e,  nei  casi  di  comprovata  rispondenza  a
indicatori di efficienza e di  equilibrio  economico,  tenendo  conto
delle   specificita'   gee   economiche   dei   territori   e   delle
circoscrizioni territoriali di  confine,  nonche'  definizione  delle
condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni
regionali o interregionali». 
    L'esercizio della delega (art. 10, comma 2, cit.) doveva avvenire
su proposta del Ministro  dello  sviluppo  economico  e,  tra  altro,
«Previa acquisizione del parere della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». 
    Il Governo, «sentita la Conferenza Unificata in data 29 settembre
2016», emanava il decreto legislativo 25 novembre 2016,  n.  219,  il
quale all'art. 3 («Riduzione del numero  delle  camere  di  commercio
mediante   accorpamento,   razionalizzazioni   delle   sedi   e   del
personale»), introduceva una procedura per l'emanazione di un decreto
ministeriale che avrebbe dovuto realizzare la  riduzione  del  numero
delle  Camere  di  commercio  prevista  nella  legge  di  delega.  In
particolare era stabilito  che  Unioncamere  (Unione  italiana  delle
camere di commercio, industria, artigianato  e  agricoltura)  dovesse
trasmettere al Ministero una propria proposta di accorpamento,  sulla
base  di  criteri  desunti  dalla  legge  di  delega   o   introdotti
direttamente dal decreto legislativo  contemplando  anche  «un  piano
complessivo di razionalizzazione delle sedi delle singole  Camere  di
commercio nonche' delle Unioni regionali, con individuazione  di  una
sola  sede  per  ciascuna   nuova   Camera   di   commercio   e   con
razionalizzazione delle sedi  secondarie  e  delle  sedi  distaccate»
(art. 3, comma 2, lettera a,  del  decreto  legislativo  n.  219  del
2016). 
    Sulla base della proposta  di  Unioncamere,  il  Ministero  dello
sviluppo economico ha da ultimo adottato il decreto  ministeriale  16
febbraio 2018, a seguito dell'iter procedimentale sopra riportato; in
virtu'  del  citato  decreto  e'   stato   disposto,   tra   l'altro,
l'accorpamento delle Camere di commercio di Viterbo e di  Rieti,  con
sede del nuovo ente  in  Viterbo,  avverso  il  quale  la  ricorrente
propone l'impugnativa in epigrafe. 
    Alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e per i
motivi che  si  esporranno  infra,  questo  tribunale  amministrativo
regionale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 10 della
legge n. 124 del 2015 (norma di delega) e  dell'art.  3  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016  (norma  delegata)  ed  intende  pertanto
sottoporli al sindacato della Corte  costituzionale,  per  violazione
del principio di leale  collaborazione  Stato-Regioni  nell'esercizio
della funzione legislativa (articoli 5, 117, 120 Cost.). 
Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    5. La questione di costituzionalita' e' rilevante in quanto, come
innanzi accennato, il decreto ministeriale 16 febbraio  2018  oggetto
di gravame viene adottato in diretta  applicazione  dell'art.  3  del
decreto legislativo n. 219 del 2016, a sua volta emanato  in  ragione
della delega contenuta nell'art. 10 della  legge  n.  124  del  2015,
disposizioni della cui legittimita' costituzionale si dubita. 
    Ne  consegue  che  evidentemente  l'eventuale   declaratoria   di
illegittimita' delle disposizioni legislative  non  solo  influirebbe
sulla disciplina in base alla quale  giudicare  la  legittimita'  del
decreto ministeriale impugnato ma farebbe venire meno, integralmente,
la  base  legislativa  che  disciplina  e  legittima  il   contestato
accorpamento delle Camere di Commercio di Viterbo e di Rieti. 
    Peraltro la rilevanza e' ribadita dalla circostanza che  uno  dei
motivi di doglianza proposti dalla Camera ricorrente (in  specie,  il
quarto)  attiene  proprio  alla  scelta,  compiuta  dal   legislatore
delegante, di prevedere, per l'adozione del decreto delegato, «invece
della piu' pregnante intesa con le  Regioni,  il  solo  parere  della
Conferenza  Unificata»,  censura,  questa,  rispetto  alla  quale  la
ricordata sentenza n. 261 del 2017 della Corte costituzionale -  come
si ricorda nel ricorso - «non e' entrata nel merito». 
    Di  conseguenza,   costituendo   l'illegittimita'   del   decreto
ministeriale impugnato l'oggetto del petitum del presente giudizio  a
quo, la risoluzione della  questione  di  costituzionalita'  relativa
alla normativa primaria, sulla base della quale e' stato adottato  il
decreto ministeriale, e'  presupposto  necessario  per  la  pronuncia
definitiva di questo giudice. 
    La questione non puo' peraltro, ad avviso del Collegio, ritenersi
irrilevante in base alla tesi delle parti resistenti secondo la quale
il principio di leale collaborazione  sarebbe  stato  sostanzialmente
rispettato dato che il decreto ministeriale  in  questione  e'  stato
emanato al termine di una procedura di intesa, conclusa peraltro  non
con un effettivo accordo ma solo con la deliberazione  del  Consiglio
dei Ministri, assunta ai sensi dell'art.  3,  comma  3,  del  decreto
legislativo n. 281 del 1997. Difatti, e'  necessario  distinguere  la
necessita' dell'intesa in sede di adozione del decreto  ministeriale,
prevista dalla normativa delegata e sul quale non vi  e'  censura  di
incostituzionalita', dall'omessa previsione legislativa  dell'intesa,
con riferimento all'emanazione del decreto legislativo sulla cui base
e'  stato  poi  adottato  il  decreto  ministeriale   attuativo.   La
legge-delega ha previsto, su quest'ultimo piano,  l'acquisizione  del
mero  parere  della  Conferenza  unificata,  e  il  vizio   di   tale
previsione,  nella  parte  in  cui  non  si  e'  richiesta  viceversa
l'intesa, non e' stato sanato ne'  legislativamente,  ne'  di  fatto,
essendo pacifico che il Governo non abbia neppure ricercato  l'intesa
con  il  sistema  regionale  ai  fini   dell'adozione   del   decreto
legislativo n. 219 del 2016. Cio' ha comportato che  la  proposta  di
accorpamento di Unioncamere, di cui il decreto ministeriale impugnato
e' attuazione, sia stata formulata sulla base di criteri  legislativi
contenuti nel decreto legislativo n. 219 del 2016 vincolanti, e  come
tali  sottratti  all'apprezzamento  sia   del   proponente,   sia, in
particolare, delle autonomie regionali,  quando  queste  ultime  sono
state coinvolte ai fini dell'intesa sul solo decreto ministeriale  La
partecipazione del sistema  regionale  all'elaborazione  delle  linee
guida  fondanti  ai  fini  dell'accorpamento  e'  percio'  del  tutto
mancata, con la conseguenza che la  leale  collaborazione  ha  potuto
manifestarsi solo per la minima parte del  decreto  ministeriale  non
pregiudicata dai criteri normativi formulati dal decreto  legislativo
n. 219 del 2016. 
    Parimenti, la questione non puo' essere  considerata  irrilevante
in base alla tesi della resistente Unioncamere secondo cui la  Camera
di commercio ricorrente non avrebbe interesse a  far  valere  il  pur
lamentato  vizio  costituzionale,  trattandosi  di   «questioni   che
presentano come unico soggetto interessato a  sollevare  un'ipotetica
qlc proprio la Regione» (cfr. la memoria di Unioncamere depositata il
25 maggio 2018, pag. 17). Al contrario, e' fermo parere del  Collegio
che la Camera di commercio  ricorrente  ha  interesse  a  dedurre  il
prospettato vizio di costituzionalita'  (che,  in  effetti,  essa  ha
dedotto) proprio perche',  all'esito  di  un'eventuale  pronuncia  di
incostituzionalita', cadrebbe tutto il decreto  legislativo  delegato
e, con esso, il censurato accorpamento tra Camere di commercio. 
    Sulla   non   manifesta   infondatezza   della    questione    di
costituzionalita'. 
    6.  La  Corte  costituzionale,  in  giudizio   avviato   in   via
principale, con sentenza 13 dicembre 2017, n. 261, ha gia' dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016. L'illegittimita'  e'  stata:  dichiarata
perche' l'art. 3, comma 4, cit. disponeva che il decreto ministeriale
per il riordino  delle  Camere  di  commercio  fosse  emanato  previa
acquisizione del parere della  Conferenza  permanente  Stato-Regioni,
anziche' previa intesa con la stessa Conferenza,  in  violazione  del
principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. 
    Veniva avanzato in tale sede anche  il  tema  dell'illegittimita'
della norma di delega (art. 10, comma  1,  della  legge  n.  124  del
2015); tale questione veniva dichiarata inammissibile per  tardivita'
essendo superato il termine perentorio di sessanta  giorni  stabilito
dall'art. 127, secondo comma, Cost. 
    In  assenza  di  termini   per   il   giudizio   incidentale   di
legittimita',  questo  Collegio,  ritiene  di  dover  riproporre   la
medesima  questione,  dichiarata   inammissibile,   in   quanto   non
manifestamente infondata alla luce  dell'orientamento  assunto  dalla
giurisprudenza  costituzionale  (come  indicato  dalla  stessa  Corte
costituzionale, con riferimento proprio all'argomento in oggetto,  «i
principi che consentono di dare  corretta  soluzione  alla  questione
sono desumibili della sentenza n. 251  del  2016»  cfr.  punto  2.6.4
della sentenza n. 261 del 2017). 
    Ritiene dunque il Collegio che le censure di  incostituzionalita'
possano  rivolgersi  sia  alle  disposizioni  di  delega   che,   per
illegittimita'   derivata,    alla    legislazione    delegata.    La
giurisprudenza costituzionale ha infatti  gia'  ritenuto  ammissibile
l'impugnazione della norma di delega,  allo  scopo  di  censurare  le
modalita' di  attuazione  della  leale  collaborazione  tra  Stato  e
Regioni ed al fine di ottenere che il decreto  delegato  sia  emanato
previa intesa anziche' previo parere in  sede  di  Conferenza  (Corte
Cost., sentenza n. 251 del 2016). 
    Ricorrono poi i presupposti oggettivi per far valere il principio
di leale collaborazione stante l'oggetto della riforma ordinamentale;
che il riassetto generale della disciplina Camere  di  Commercio  sia
materia ripartita tra prerogative statali e regionali e'  stato  gia'
chiaramente affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 261 del
2017, punto 12.1.1), in quanto il  catalogo  dei  compiti  svolti  da
questi enti e' riconducibile a competenze sia esclusive dello  Stato,
sia concorrenti e residuali  delle  Regioni;  in  questo  settore  le
competenze   di   ciascun   soggetto    appaiono    inestricabilmente
intrecciate. 
    Risultano infatti numerosi i profili in cui  la  riforma  statale
tocca  attribuzioni  legislative  regionali  stante   la   competenza
generale spettante alle Camere di Commercio e  tenuto  conto  che  le
principali  materie  riferibili  all'economia   ed   alle   attivita'
produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio,  turismo)
possono essere ascritte anche alla competenza regionale. 
    Peraltro   l'attivita'   delle   Camere   di   Commercio   appare
riconducibile alla  nozione  di  «sviluppo  economico»,  nozione  che
costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad  una
pluralita'  di  materie  attribuite  ex  art.  117  Cost.  «sia  alla
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato,   sia   a   quella
concorrente, sia a quella residuale» (sentenza  Corte  costituzionale
n. 165 del 2007); ne deriva che, se pure l'esistenza di  esigenze  di
carattere unitario legittima l'avocazione allo Stato  della  potesta'
normativa per la disciplina  degli  enti  camerali,  resta  ferma  la
necessita'  del  rispetto  del  principio  di  leale  collaborazione,
mediante lo strumento dell'intesa (cfr. sentenze Corte costituzionale
n. 251 del 2016, n. 165  del  2007  e  n.  214  del  2006).  In  tale
prospettiva infatti quando il legislatore delegato intende  riformare
istituti ed enti che incidono  su  competenze  statali  e  regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa tra Stato e autonomie (cfr.  sentenza  n.  251  del  2016,
cit., punto 3). 
    Ne deve essere tratta la conseguenza che - posto che  l'attivita'
delle Camere di commercio incide  su  molteplici  competenze,  alcune
anche di attribuzione regionale  ex  art.  117  Cost.  -  la  riforma
legislativa doveva concretizzarsi «nel  rispetto  del  prificipio  di
leale collaborazione, indispensabile  in  questo  caso  a  guidare  i
rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie» (cfr. sentenza n.
261 del 2017, cit., le cui  argomentazioni  nella  medesima  appaiono
analogicamente applicabili alla questione sollevata). 
    In ragione di cio' il modulo ordinario di espressione della leale
collaborazione  va  identificato  nell'intesa  presso  la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
«contraddistinta da una procedura  che  consenta  lo  svolgimento  di
genuine trattative e garantisca un reale  coinvolgimento»  (sent.  n.
261 del 2017, cit.). 
    In conclusione, stante  la  natura  delle  materie  incise  dalle
disposizioni censurate, attenendo le stesse a  competenze  statali  e
regionali inestricabilmente connesse, la norma di  delega  (art.  10,
comma 2, della legge n. 124 del 2015) avrebbe dovuto prevedere - come
presupposto per l'esercizio  della  delega  -  l'intesa  in  sede  di
Conferenza   Stato   Regioni,   istituto   «cardine    della    leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati  dal  Governo  sulla  base  dell'art.  76  Cost.   i   quali
«finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure  di  leale
collaborazione,   in   vista   del   pieno   rispetto   del   riparto
costituzionale delle competenze» (sent. n. 251 del 2016,  cit.,  dove
si  evidenzia  che  «il  luogo  idoneo  di  espressione  della  leale
collaborazione e' stato correttamente individuato dalla  norma  nella
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano.  Il  modulo  della  stessa,
tenuto conto delle  competenze  coinvolte,  non  puo'  invece  essere
costituito dal parere, come stabilito dalla norma, ma va identificato
nell'intesa»). 
    L'illegittimita' della  disposizione  delegante  (art.  10  della
legge n. 124 del 2015) si ripercuote, in via immediata e derivata per
le stesse ragioni ora evidenziate, sulla legittimita'  costituzionale
della norma delegata (art. 3 del decreto legislativo n. 219 del 2016)
in forza della quale e' stato adottato  il  decreto  ministeriale  16
febbraio 2018, oggetto del presente giudizio. 
    Va, quindi, dichiarata rilevante e non  manifestamente  infondata
la descritta questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  10
della legge 7  agosto  2015,  n.  124,  e  dell'art.  3  del  decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219, per violazione del principio di
leale collaborazione nella funzione legislativa di cui agli artt.  5,
117, 120 Cost., poiche'  prevedono  che  l'esercizio  delegato  della
potesta' legislativa sia condotto all'esito di  un  procedimento  nel
quale l'interlocuzione fra Stato e  Regioni  si  realizzi  (e  si  e'
realizzata) nella forma inadeguata del parere e non  gia'  attraverso
l'intesa in sede di Conferenza-Stato Regioni. 
    Cio'  posto,  il  presente  giudizio  va  sospeso  e   gli   atti
processuali trasmessi alla Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma,
Sezione terza-ter: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. dell'art. 10 della
legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art.  3  decreto  legislativo  25
novembre 2016, n. 219, nella parte in cui prevede il parere, anziche'
l'intesa, con riferimento al principio di leale  collaborazione,  nei
termini evidenziati in parte motiva; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        sospende il giudizio in corso; 
        dispone che, a cura della Segreteria, la  presente  ordinanza
venga notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai presidenti della Camera dei deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  30
gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati: 
 
        Giampiero Lo Presti, Presidente; 
        Maria Grazia Vivarelli, consigliere; 
        Antonino Masaracchia, consigliere, estensore; 
 
                      Il Presidente: Lo Presti 
 
 
                                             L'estensore: Masaracchia