N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2019
Ordinanza del 3 maggio 2019 della Commissione tributaria provinciale di Genova sul ricorso proposto da Colucelli Carla Pasqua contro Equitalia Giustizia S.p.a.. Spese di giustizia - Contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario - Importi dovuti - Obbligo per chi ha proposto un'impugnazione, anche incidentale, respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, di versare un ulteriore importo pari a quello dovuto per l'impugnazione stessa. - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), art. 13, comma 1-quater.(GU n.45 del 6-11-2019 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI GENOVA Sezione 4 riunita con l'intervento dei signori: Delucchi Marcello, Presidente e relatore; Parentini Mirko, giudice; Simonazzi Roberto, giudice. ha emesso la seguente sentenza sul ricorso n. 1443/2018 depositato il 30 novembre 2018; avverso invito al pagamento n. 1731/2018 contr.unif.civile - contro: Corte d'appello di Genova c/o Avvocatura dello Stato; avverso invito al pagamento n. 1731/2018 contr.unif.civile - contro: Equitalia Giustizia S.p.a., viale di Tor Marancia 4 00147 Roma; difeso da: Bruzzone Aldo, via N Bacigalupo 4 21 16122 Genova; proposto dal ricorrente: Colucelli Carla Pasqua, via dei Mulini 10 16030 Cogorno GE; difeso da: Granara Daniele, via Bosco 31/4 16100 Genova GE; Conclusioni Per la ricorrente: Piaccia a codesta ecc.ma Commissione tributaria provinciale, disattesa e reietta ogni avversa eccezione, deduzione e istanza, annullare il sopra indicato invito al pagamento emesso da Equitalia Giustizia S.p.a. per conto del Ministero della giustizia - Corte d'appello di Genova, su incarico della Suprema Corte di cassazione, nel ricorso proposto nanti la Corte di cassazione, N.R.G. 26332/2015, - Colucelli Carla Pasqua contro la Citta' Metropolitana ed altri, previa sospensione dell'esecuzione e previa eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale, come specificato nelle motivazioni esposte nel presente ricorso. In ogni caso, con vittoria delle spese (anche generali), competenze ed onorari di giudizio. Per Equitalia Giustizia: per tutte le ragioni in fatto ed in diritto sopra esposte, si insiste affinche' l'ecc.ma commissione adita voglia, previe le declaratorie e gli accertamenti del caso, contrariis reiectis, per tutti i motivi in atti: in via preliminare: dichiarare il non luogo a provvedere sull'istanza di sospensione ex adverso proposta e/o respingerla in quanto inammissibile e/o improcedibile e/o improvata e/o infondata sia in fatto sia in diritto; sempre in via preliminare: accertare e dichiarare la tardivita' e/o l'inammissibilita' e/o l'improcedibilita' dell'opposizione proposta, anche ai sensi dell'art. 19, decreto legislativo n. 546/1992; in via principale, nel merito: rigettare integralmente l'opposizione e le domande avversarie in quanto inammissibili e/o improcedibili e/o infondate ed improvate in fatto ed in diritto, assolvendo l'esponente da ogni domanda pregiudizievole formulata nei suoi confronti, con vittoria di spese, diritti e onorari del presente procedimento. Svolgimento del processo In esito ad un contenzioso svoltosi in sede civile nei confronti della Provincia di Genova, riguardante l'impugnativa del diniego della ricostituzione del proprio rapporto di lavoro, che aveva visto Carla Pasqua Colucelli soccombere nei due gradi di merito e nel giudizio di Cassazione, nel quale ultimo era stata «... riconosciuta la sussistenza delle condizioni a carico della ricorrente per il versamento dell'ulteriore importo previsto dall'art. 13, comma 1-bis e 1-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002», Equitalia Giustizia S.p.a., per conto di quel Ministero, invito' la predetta al pagamento della somma di € 2.072 per il titolo di cui innanzi (ossia € 1.036 a titolo di contributo unificato ed ulteriori € 1.036 ai sensi dell'art. 13, comma 1, quater). Avverso tale provvedimento propose ricorso in questa sede la Colucelli eccependo che la controversia, riguardando il pubblico impiego e rientrando essa ricorrente nei relativi parametri reddituali, doveva ritenersi esente dal contributo, cosi' come previsto dall'art. 9, comma 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Per quanto atteneva il giudizio per Cassazione - aggiunse - l'esame di detta disposizione (secondo cui nei processi riguardanti il pubblico impiego le parti titolari di un reddito imponibile di particolare entita' sono soggette al contributo unificato nella misura di cui all'art. 13, comma 1, lettera a) e comma 3 «... salvo che per i processi dinanzi alla Corte di cassazione in cui il contributo e' dovuto nella misura di cui all'art. 13, comma 1») autorizzava a ritenere che il legislatore avesse inteso, per la misura di quel contributo, riferirsi al comma 1 ed agli importi ivi indicati (€ 518) e non a quelli (raddoppiati) previsti del comma 1-bis (€ 1.036). Diversamente opinando - rilevo' - l'art. 9 citato sarebbe entrato in conflitto con l'art. 3 della Costituzione perche' l'irrazionale parificazione ai fini del contributo di posizioni diverse (rapporti di lavoro, favoriti rispetto agli altri, soggetti a trattamento comune) avrebbe contrastato con il principio di eguaglianza. In subordine rilevo' che, a tutto concedere, la somma originariamente dovuta sarebbe stata pari ad € 518 quale contributo unificato; per cui il raddoppio previsto dall'art. 13, comma l-quater, avrebbe comportato il pagamento della somma di € 1.036 anziche' di € 2.072 avversariamente pretesa. Equitalia Giustizia, costituitasi, eccepi' l'inammissibilita' del ricorso in quanto proposto contro un atto (l'invito a pagamento) non impugnabile, non contenendo alcuna pretesa tributaria suscettibile di produrre effetti immediati nella sfera patrimoniale della contribuente. Nel merito rilevo' di aver operato nel pieno rispetto della normativa regolante il recupero delle spese di giustizia prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002. Il pagamento del doppio del contributo unificato era stato deciso dalla Corte di cassazione con sentenza; ed il carattere sanzionatorio della disposizione - volta a scoraggiare impugnazioni pretestuose o dilatorie ancorche' relative a contenziosi in materia di lavoro - escludeva ogni sospetta violazione dell'art. 3 della Costituzione. La misura base del contributo - aggiunse - era (ed e') previsto dall'art. 13, comma 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; onde, avuto riguardo alla natura del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione, il contributo non raddoppiato era pari ad € 1.036,00 anziche' ad € 518,00 come preteso dalla ricorrente. All'udienza odierna la presente vertenza e' stata trattenuta in decisione e definita come da dispositivo. Motivi della decisione 1. - Infondata e' l'eccezione di inammissibilita' del ricorso, formulata da Equitalia Giustizia, per essere stato proposto nei confronti di un atto non impugnabile. Da tempo si registra una evoluzione giurisprudenziale che interpreta in chiave estensiva l'art. 19 del decreto legislativo n. 546/92 (contenente una elencazione specifica di atti impugnabili dinanzi alle commissioni); per la quale sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione (e quindi impugnabili ai sensi dell'art. 19 del decreto legislativo n. 546/1992) tutti quegli atti con cui l'amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorche' tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attivita' esecutiva (cfr. Cassazione 11 febbraio 2015, n. 2616 con riferimento ad un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione «avviso di liquidazione» o «avviso di pagamento»). In quei casi - si e' sostenuto - l'impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 ma che, tuttavia, sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita, e' una facolta' e non un onere, costituendo un'estensione della tutela accordatagli. Tale e' l'ipotesi del caso di specie. L'atto impugnato costituisce infatti un vero e proprio invito a pagamento contenente l'importo, le modalita' ed i termini della corresponsione del tributo; elementi tutti che denotano una chiara pretesa dell'ufficio nei confronti della Colucelli avverso la quale la stessa ha del tutto legittimamente ritenuto di ricorrere in questa sede senza attendere di essere raggiunta da atti pretensivi ulteriori. 2. - Parimenti infondata e' la pretesa della Colucelli di non corrispondere alcun importo a titolo di contributo in considerazione delle proprie condizioni reddituali e della natura lavoristica del rapporto addotta in giudizio. La Colucelli ha infatti solo allegato ma non dimostrato le proprie condizioni economiche per fruire dell'esenzione; e l'insussistenza di tali condizioni e' stata contestata dalla resistente che l'ha riconosciuta irrilevante e «comunque infondata» (v. pag. 4 delle controdeduzioni). 3. - Detto questo la debenza del pagamento del contributo si pone con esclusivo riferimento alla sua misura: a) se, di base, nell'importo di € 518 cosi' come previsto dall'art. 13, comma 1, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/02, richiamato dall'art. 9, comma 1-bis; b) oppure, sempre di base, se nell'importo di € 1.036, a seguito del raddoppio previsto in via generalizzata per i procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione. Sulla somma individuata, poi, la Colucelli dovrebbe corrispondere il doppio ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater (e quindi o € 1.036 o € 2.072) poiche' essa si e' vista rigettare dalla Corte di cassazione il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Genova. In quell'occasione la S.C. aveva infatti dichiarato «... la sussistenza delle condizioni, a carico della ricorrente, per il versamento dell'ulteriore importo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, commi 1-bis ed 1-quater», vale a dire il doppio del contributo unificato dovuto (Cass. sez. lavoro 15 marzo 2017, n. 6779). In conclusione la Colucelli dovrebbe corrispondere comunque un raddoppio del contributo unificato in conseguenza dell'esito infruttuoso del proprio ricorso alla Corte di cassazione sull'importo da determinarsi o in € 518 o in € 1.036. 4. - Ritiene la Commissione che l'art. 13, comma 1-quater cit. confligga con alcune disposizioni della Costituzione; e che quindi la questione, prospettata nei sensi di cui infra, debba essere sottoposta alla valutazione della Corte costituzionale. Il presupposto dell'obbligo del versamento del raddoppio del contributo unificato e' costituito dal mero fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (cfr. Cassazione 13 maggio 2014, n. 10306); e la ratio di tale disposizione va individuata, secondo la prevalente giurisprudenza, nella finalita' di scoraggiare impugnazioni dilatorie o pretestuose (cfr. Cassazione 2 luglio 2015, n. 13636). Quale sia la natura del contributo e' oggetto di discussione. La giurisprudenza della Cassazione oscilla tra il carattere «latamente sanzionatorio» (cfr. Cassazione ordd. nn. 23980 e 15111 del 2018) e la «natura tributaria» della prestazione imposta (cfr. Cassazione ordinanza n. 15166/2018). A favore della prima sembra aderire la giurisprudenza della Corte costituzionale per la quale si tratta di una «misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria» (v. Corte costituzionale n. 18/2018); a favore della seconda sono stati sottolineati la doverosita' della prestazione ed il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale e' quella del servizio giudiziario con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante (v. Corte costituzionale sentenza n. 120/2016; Cassazione 17 maggio 2018, n. 12103). 4.1. - Ove al contributo raddoppiato venisse attribuita natura sanzionatoria la norma di che trattasi contrasterebbe con gli articoli 3, 24, 25 e 111 della Costituzione. Una sanzione dovrebbe presupporre un precetto imperativo, un dovere giuridico disatteso, una condotta oggetto di riprovazione. Inoltre la norma precettiva - la cui violazione dovesse essere sanzionata - dovrebbe soggiacere ai principi di tipicita' e determinatezza previsti dall'art. 25 della Costituzione, applicabile anche alle fattispecie sanzionate in via amministrativa (cfr. C. Stato 12 ottobre 2018, n. 5883); mentre nello specifico una norma siffatta non sembra esistere (e cio' in contrasto con l'art. 25 della Costituzione). Il legislatore ha infatti previsto una sanzione non gia' per reprimere la violazione di una regola di condotta bensi' per contrastare l'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito; sanzionandone la fruizione in funzione degli esiti. Ne' varrebbe individuare una condotta riprovevole nell'abuso del diritto il quale, applicato al processo, consisterebbe in un distorto utilizzo dello strumento processuale; per cui la sanzione fungerebbe da deterrente di impugnazioni dilatorie e strumentali. A cio' potrebbe agevolmente rispondersi che tali non sono quelle semplicemente non accolte, poiche' si puo' soccombere interamente ma aver usato correttamente e diligentemente del processo, come soccombere solo parzialmente ed averne abusato; si puo' soccombere avendo incolpevolmente confidato in una giurisprudenza costantemente orientata, poi inaspettatamente cambiata, cosi' come si puo' soccombere per aver tentato di offrire in sede di legittimita' nuove opzioni interpretative poi disattese. Il solo fatto del rigetto o dell'inammissibilita' dell'impugnazione non significa che il diritto di difesa sia stato esercitato con modi e/o intenti pretestuosi o dilatori; senza considerare che il suo esercizio consiste proprio nella possibilita' di adire tutti i gradi di giudizio per cercare di ottenere una pronuncia favorevole. Non sembra quindi costituzionalmente corretto sanzionare il tentativo di ricerca di una sentenza vittoriosa con l'applicazione del raddoppio del contributo. Dall'analisi, poi, dei piu' recenti strumenti deflattivi posti a tutela della funzionalita' del sistema giustizia (si pensi ad esempio al potere conferito al giudice di condannare di ufficio il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata; art. 96, comma 3, c.p.c.) si ricava la necessita' che, per la loro applicazione, debba esistere una qualche colpevolezza da parte del fruitore: o nell'insistere «in tesi giuridiche gia' reputate manifestamente infondate dal giudice» precedente (cfr. Cassazione 18 novembre 2014, n. 24546), o nell'aver violato «... quel grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o inammissibilita' della propria domanda» (cfr. SS.UU. 20 aprile 2018, n. 9912) posto che «non e' sufficiente la mera infondatezza anche manifesta delle tesi prospettate» (cfr. SS.UU. 11 dicembre 2007, n. 25831; Cass. 18 gennaio 2010, n. 654) per integrare una condotta abusante. Occorre quindi la sussistenza di un elemento ulteriore che non sia il mero rigetto della domanda perche' sia considerato «... meritevole di sanzione punitiva l'abuso dello strumento processuale in se', anche a prescindere dal danno procurato all'avversario e da una richiesta di questi» (cfr. Cassazione 19 aprile 2016, n. 7726). Invece la misura del raddoppio, applicata automaticamente senza distinguere tra le varie ipotesi di soccombenza, accomunando difese pretestuose a difese piu' che legittime, costituisce una sanzione irragionevole finendo per punire indiscriminatamente chiunque si sia comunque difeso ed abbia perso a prescindere; e cio' in contrasto con la giurisprudenza della S.C., per la quale «agire in giudizio per far valere una pretesa che alla fine si rivela infondata non costituisce condotta di per se' rimproverabile» (cosi' Cassazione 30 novembre 2012, n. 21570) in violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione. E per quanto possa occorrere non risulta dalla lettura della sentenza - che, seppur non prodotta dalle parti, puo' essere liberamente esaminata sul sito web della Cassazione e che quindi fa parte del notorio conoscibile dal giudice - che la condotta della Colucelli sia stata particolarmente abusante; e soprattutto che nel giudizio di legittimita' la stessa abbia agito con la consapevolezza del proprio torto. Ulteriore profilo di irragionevolezza e' poi il fatto che nel caso specifico il raddoppio sia stato disposto all'esito del giudizio di cassazione; ricorso quest'ultimo sempre ammesso ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Penalizzare la fruizione di tale strumento ad eventum litis finirebbe inevitabilmente per disincentivarne il ricorso. E va aggiunto che siffatta previsione discrimina tra utenti della giustizia (art. 3 della Costituzione) poiche' quelli ricchi possono trovare conveniente accettare l'alea della tassazione elevata a fronte della prospettiva di ottenere un rilevante beneficio economico all'esito eventualmente favorevole del giudizio; mentre quelli poveri potrebbero ritenere non conveniente il rischio del raddoppio e quindi rassegnarsi a non difendersi. 4.2. - Ove al contributo raddoppiato venisse attribuita natura esclusivamente tributaria la norma di che trattasi contrasterebbe con gli articoli 3, 24, 53 e 111 della Costituzione. La misura del contributo, se inteso come prestazione tributaria imposta, non risulta tanto connessa all'effettiva fruizione del servizio-giustizia (come invece accade per il contributo unificato ordinario) quanto piuttosto al risultato ottenuto. In sostanza viene colpito maggiormente colui che impugna una sentenza e perde rispetto a colui che impugna e vince; e cio' sembra costituire una violazione del principio della capacita' contributiva poiche' l'applicazione del raddoppio risulta del tutto avulsa dal collegamento prestazione imposta/consistenza economica del fruitore (cfr. Corte costituzionale n. 155/01 e Corte costituzionale n. 156/01) di cui all'art. 53 della Costituzione. Non ignora la commissione che la Corte costituzionale, nel passato, ha affermato che il principio di capacita' contributiva non si applica alle tasse ma solamente alle imposte; e che proprio in tema di tributi giudiziari esso «...ha ... riguardo soltanto a prestazioni di servizi il cui costo non si puo' determinare divisibilmente»; per cui «... non concerne ... quelle spese giudiziarie la cui entita' e' misurabile per ogni singolo atto, e che quindi possono gravare individualmente su chi vi ha dato occasione; ed e' richiamabile solo per la spesa della organizzazione generale dei servizi giudiziari, che e' sostenuta dallo Stato nell'interesse indistinto di tutta la collettivita', e che, di conseguenza, indistintamente su tutta la collettivita' deve gravare, in proporzione della capacita' contributiva di ognuno dei suoi membri» (cfr. Corte costituzionale 18 marzo 1964, n. 30) Nelle tasse, contrariamente a quanto avviene nelle imposte, sarebbe identificabile colui che ha dato luogo alla spesa pubblica fruendo dello specifico servizio. Si tratterebbe, poi, di una spesa divisibile; e tale qualificazione giustificherebbe l'applicazione di un criterio di giustizia distributiva basato sul costo del servizio piuttosto che l'applicazione del principio di capacita' contributiva. Va detto, intanto, che tale orientamento non e' condiviso dalla recente dottrina; la quale ha posto in rilievo come la copertura costituzionale potrebbe non essere necessaria solo per i servizi pubblici non essenziali per i quali sono ammissibili modalita' di finanziamento che prescindono dalla capacita' contributiva di chi li usa, ma si basano sul principio del beneficio. Poiche', peraltro, il servizio, come quello della giustizia, e' essenziale e quindi costituzionalmente garantito, non dovrebbero esservi ragioni per non applicare il principio di capacita' contributiva agli oneri che ne consentono il funzionamento. I servizi pubblici essenziali, anche se divisibili, devono infatti essere assicurati a tutti; per cui la relativa spesa, assumendo natura pubblica, non dovrebbe ricadere solo sul singolo fruitore del servizio, bensi' su tutta la collettivita'. E lo stesso legislatore, del resto, parametrando la misura del contributo di base al valore economico della causa, sembra aver considerato in qualche misura la capacita' economica del fruitore posto che il servizio/giustizia viene comunque impegnato a prescindere dal valore economico in contesa. Detto orientamento e' condiviso da questa commissione; che quindi ritiene il raddoppio contrastare con il principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. In ogni caso, anche nell'ipotesi in cui le tasse giudiziarie (e nello specifico il contributo unificato) non godessero di detta copertura costituzionale e che per la loro commisurazione valesse il principio costituito dal costo del servizio assicurato al fruitore, il meccanismo del raddoppio apparirebbe del tutto irrazionale posto che uno stesso utente si vedrebbe obbligato a pagare di piu' se avesse avuto torto rispetto a quel che avrebbe dovuto pagare se avesse avuto ragione; e cio' pur avendo impegnato ugualmente l'organizzazione giudiziaria (art. 3 della Costituzione). Anzi, l'impegno processuale profuso (ed i costi connessi all'impegno) nel dichiarare inammissibile una impugnazione (si pensi ad un appello o ad un ricorso per cassazione tardivi) il piu' delle volte e' ben inferiore rispetto all'impegno profuso nella riforma di una sentenza impugnata conseguente all'accoglimento di una impugnazione; per attuare la quale e' di solito necessario l'esame del materiale probatorio se non la rinnovazione o l'espletamento di una faticosa istruttoria (si pensi all'appello) e la disamina di numerosi motivi (si pensi al giudizio per cassazione). Tra l'altro non si comprende perche' mai il raddoppio dovrebbe applicarsi solo nella fase dell'impugnazione e del ricorso per cassazione e non nel giudizio di primo grado, posto che anche in quest'ultima ipotesi il servizio ha un costo che non si vede perche' dovrebbe essere distribuito in maniera diversa da quella degli altri gradi. Se poi lo scopo fosse quello di disincentivare le impugnazioni il meccanismo confliggerebbe con il diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione) in tutte le articolazioni processuali di una vicenda. Vale, anche in questo caso, il rilievo formulato nel paragrafo precedente, di irragionevolezza della previsione di un raddoppio all'esito del giudizio di cassazione; ricorso quest'ultimo sempre ammesso ai' sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Penalizzare la fruizione di tale strumento ad eventum litis finirebbe inevitabilmente per disincentivarne il ricorso. Conclusivamente suddividere un costo del servizio ad eventum litis pare alla commissione contrastare con il principio di razionalita' che informa il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costotituzione discriminando irragionevolmente gli stessi impugnanti in relazione all'esito della loro impugnazione. 5. - Pare alla commissione che la questione prospettata non sia manifestamente infondata per le ragioni suesposte; e che la stessa sia rilevante ai fini del decidere perche', ove la norma denunciata fosse riconosciuta incostituzionale, la Colucelli non dovrebbe corrispondere il doppio del contributo comunque venisse determinato; e l'atto impugnato per cio' solo dovrebbe essere dichiarato illegittimo e conseguentemente annullato in parte qua. Si impone quindi la rimessione degli atti alla Corte costituzionale con conseguente sospensione del presente procedimento sino all'esito del giudizio di costituzionalita'.
P. Q. M. La Commissione tributaria provinciale di Genova, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di costituzionalita' dell'art. 13, comma 1-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 per contrasto con gli articoli 3, 24, 25, 53 e 111 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Genova, 15 aprile 2019 Il Presidente estensore: Delucchi