N. 197 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 luglio 2019

Ordinanza del 19 luglio 2019  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Ruffolo S.r.l. e altri  contro  Terna  -  Rete  Elettrica
Nazionale  S.p.a.,  Ministero  dell'ambiente  e  della   tutela   del
territorio e del mare e Ufficio territoriale del Governo - Prefettura
di Cosenza.. 
 
Giustizia amministrativa - Controversie attinenti alle procedure e ai
  provvedimenti dell'amministrazione pubblica  o  dei  soggetti  alla
  stessa equiparati in materia di produzione energetica -  Competenza
  funzionale del Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Lazio,
  sede di Roma - Onere per la parte interessata di  riassunzione  dei
  giudizi in corso - Termine. 
- Legge 23 luglio  2009,  n.  99  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  e
  l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in  materia  di
  energia), art. 41, comma 5. 
(GU n.46 del 13-11-2019 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
               in sede giurisdizionale - Sezione Sesta 
 
ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero  di  registro
generale 10114 del 2015, proposto dalla societa': Ruffolo S.r.l.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore,  e  dai  signori  Pino
Ruffolo,  quale  titolare  dell'omonima  azienda  agricola,   Antonio
Piluso, Ignazio  Perri,  Patrizia  Perri,  Francesco  Perri,  Michele
Perri, Sandra Martillotto  e  Remo  Sansone,  tutti  rappresentati  e
difesi dall'avv. Pietro Greco, con domicilio eletto presso lo  studio
dell'avv. Corrado Morrone in Roma, viale XXI Aprile, 11; 
    Contro: 
        la societa' Terna  -  Rete  Elettrica  Nazionale  S.p.a.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avvocati Francesca Covone, Giancarlo Bruno, Filippo Di Stefano,
Maurizio Carbone e Stefano Mastrolilli, con domicilio  eletto  presso
lo studio dell'avv. Mastrolilli in Roma, via F. Denza, 15; 
        il Ministero dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e
del mare, l'Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Cosenza,
in  persona  dei  rispettivi  legali  rappresentanti   pro   tempore,
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei  Portoghesi,  12,   per
l'annullamento, revoca  ovvero  riforma  della  sentenza  del  T.A.R.
Lazio, Sede di Roma, sezione II-bis, 7 agosto 2015, n. 10755, con  la
quale e' stato dichiarato estinto il ricorso n. 494/2012 integrato da
motivi aggiunti proposto per l'annullamento: 
Ricorso principale 
    dei seguenti decreti del Prefetto di Cosenza, conosciuti in  data
imprecisata,  con  i  quali  e'  stata  pronunciata,  a  carico   dei
ricorrenti su terreni di loro proprieta' ed a favore di Terna  S.p.a.
la imposizione di servitu'  permanente  di  elettrodotto  inamovibile
relativa alla linea elettrica a 380 kV Laino Feroleto Rizziconi: 
        a)  del  decreto  3  aprile  2006,   protocollo   n.   16144,
concernente  la  Ruffolo  S.r.l.  e  Pino  Ruffolo,  Antonio  Piluso,
Ignazio, Patrizia, Francesco e Michele Perri; 
        b)  del  decreto  3  aprile  2006,   protocollo   n.   16127,
concernente Sandra Martillotto; 
        c)  del  decreto  3  aprile  2006,   protocollo   n.   16121,
concernente Remo Sansone; 
        d)  del  decreto  3  aprile  2006,   protocollo   n.   16132,
concernente Concetta Luca ed Alfredo Sansone; 
ed inoltre: 
        e)  del  decreto  5  ottobre  2005,  protocollo  n.  482  del
Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del  mare,
concernente la proroga dell'occupazione dei terreni; 
Motivi aggiunti 
        f) del  parere  29  settembre  2005,  n.  182  del  Consiglio
superiore dei lavori pubblici; 
        g) del parere 28 giugno 2005, n.  1073  del  Ministero  delle
infrastrutture; 
    Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della Terna S.p.a, del
Ministero e della Prefettura di Cosenza; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il  cons.
Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti  gli  avvocati  Pietro
Greco e Maurizio Carbone e l'Avvocato dello Stato Andrea Fedeli; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    1. Si controverte di alcuni atti, meglio  indicati  in  epigrafe,
che fanno parte del procedimento di realizzazione dell'elettrodotto a
380 kV costruito in Calabria sul  tracciato  Laino-Feroleto-Rizziconi
allo scopo di  garantire  un  collegamento  piu'  affidabile  fra  la
Sicilia ed il  resto  della  rete  elettrica  nazionale,  nonche'  un
servizio di migliore qualita' in Calabria, e  dichiarato,  mentre  la
costruzione era in corso, infrastruttura di rilevanza strategica  con
provvedimento del Comitato interministeriale  per  la  programmazione
economica - CIPE 21 dicembre 2001,  n.  121,  emesso  contestualmente
all'approvazione della legge 21 dicembre  2001,  n.  443,  cosiddetto
legge obiettivo, ai sensi dell'art. 1, comma 1 di essa. 
    2. I ricorrenti appellanti, in particolare, quali proprietari  di
terreni   interessati   dall'opera   in   questione,   contestano   i
provvedimenti in epigrafe, i quali impongono  sui  loro  Fondi  della
servitu' di elettrodotto necessaria a farli attraversare  dall'opera;
li hanno quindi impugnati con ricorso giurisdizionale  amministrativo
avanti il  T.A.R.  Calabria,  Sede  di  Catanzaro,  rubricato  al  n.
1160/2005 R.G. di quel Tribunale e definito in I grado  con  sentenza
sezione 1 17 novembre 2010,  n.  2713,  la  quale  ha  dichiarato  il
ricorso improcedibile per cessata  materia  del  contendere  rispetta
posizione di due degli interessati; per il resto lo ha dichiarato  in
parte inammissibile, in parte irricevibile e per il resto infondato. 
    3. Contro la sentenza T.A.R. Calabria, Catanzaro n. 2713/2010, di
cui si e' detto, gli interessati  hanno  proposto  impugnazione,  con
appello avanti a questo giudice, rubricato al n.  362/2011  R.G.  nel
quale  hanno  dedotto,  come   primo   motivo   in   ordine   logico,
l'incompetenza funzionale del T.A.R. Calabria stesso,  in  favore  di
quella del T.A.R. Lazio, Sede di Roma. Nel  corso  del  processo  era
stata infatti approvata la legge 23 luglio 2009,  n.  99,  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale 31 luglio  2009  Supplemento  ordinario,  in
vigore quindi dal 15 agosto successivo, intitolata «Disposizioni  per
lo sviluppo e  l'internazionalizzazione  delle  imprese,  nonche'  in
materia di energia». Questa  legge  all'art.  41,  comma  1,  prevede
infatti che «Sono devolute alla giurisdizione esclusiva  del  giudice
amministrativo   e   attribuite   alla   competenza   del   Tribunale
amministrativo regionale del  Lazio,  con  Sede  in  Roma,  tutte  le
controversie, anche in relazione alla fase cautelare e alle eventuali
questioni risarcitorie,  comunque  attinenti  alle  procedure  ed  ai
provvedimenti  dell'amministrazione  pubblica  o  dei  soggetti  alla
stessa equiparati concernenti la produzione di energia  elettrica  da
fonte nucleare, i rigassificatori, i  gasdotti  di  importazione,  le
centrali termoelettriche  di  potenza  termica  superiore  a  400  MW
nonche' quelle relative ad infrastrutture di trasporto  ricomprese  o
da  ricomprendere  nella  rete  di  trasmissione  nazionale  o   rete
nazionale di gasdotti», al comma 3 prevede il rilevo di ufficio della
relativa incompetenza ed al successivo comma 5 dispone: «Le norme del
presente articolo si applicano anche ai processi in corso  alla  data
di entrata in vigore della presente legge e l'efficacia delle  misure
cautelari emanate da un'autorita' giudiziaria diversa  da  quella  di
cui al comma 1, permane fino alla loro modifica o revoca da parte del
Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,  con  Sede  in  Roma,
dinanzi al quale la parte interessata ha  l'onere  di  riassumere  il
ricorso e l'istanza cautelare entro sessanta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge». 
    4. Questo giudice ha definito il ricorso n. 362/2011 suddetto con
la sentenza sezione VI 14 novembre 2011, n. 6002,  e  lo  ha  accolto
esclusivamente   sulla   questione   concernente    la    competenza,
testualmente dichiarando  in  materia  l'incompetenza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Calabria  e  la  competenza   del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  Sede  di  Roma.  In
motivazione, ha osservato che giudizio in esame, concernente come  si
e' detto la trasmissione di energia elettrica mediante una  struttura
di rilievo nazionale, risultava pendente  alla  data  di  entrata  in
vigore della legge n. 99/2009, ovvero al 15 agosto di  quell'anno,  e
avrebbe dovuto essere sottoposto alle norme relative. Ha poi rilevato
che la norma sulla competenza, ovvero l'art. 41 di cui si  e'  detto,
era stata nel frattempo abrogata dall'art. 4, comma 1, lettera 43, di
cui all'allegato 4 del codice del processo amministrativo, entrato in
vigore il 16 settembre 2010, e sostituita con una norma  di  identico
contenuto, ovvero l'art. 135, comma 1 c.p.a., sempre nel senso  della
competenza funzionale inderogabile del Tribunale  amministrativo  del
Lazio; nel silenzio della norma abrogatrice sui giudizi in corso,  ha
ritenuto di applicare i principi  generali  sulla  successione  delle
norme nel  tempo;  ha  quindi  concluso  appunto  per  la  competenza
esclusiva del Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  Sede
di Roma, in sintesi perche' cio' prevedeva la norma che  disciplinava
la materia al tempo di causa; ha infine aggiunto che sarebbe stato il
giudice competente a pronunciarsi, ove del caso, sulla  tempestivita'
della  riassunzione  del  giudizio  nei  sessanta   giorni   previsti
dall'art. 41, comma 5 citato. 
    5. Gli interessati hanno quindi riassunto il giudizio  avanti  il
T.A.R. del Lazio, Sede di Roma, proponendo il ricorso iscritto al  n.
494/2012 R.G., che con la sentenza meglio indicata in epigrafe,  tale
giudice ha dichiarato estinto perche' appunto non riassunto  entro  i
sessanta giorni di cui sopra. 
    6. I ricorrenti nel citato ricorso n.  494/2012,  hanno  proposto
impugnazione contro tale sentenza,  con  appello  che  con  il  primo
motivo  contesta  la  pronuncia  di  estinzione,  e  con  i  restanti
ripropone tutti quelli gia' proposti in primo grado, con  il  ricorso
principale e con i motivi aggiunti. 
    7. Nel primo motivo,  che  qui  direttamente  rileva,  sostengono
anzitutto che la norma dell'art. 41, comma 5 sopra citata,  la  quale
ha loro imposto di riassumere il  giudizio  pendente  entro  sessanta
giorni dalla propria entrata in vigore, non si applicherebbe al  caso
concreto, ma solo a quello diverso in cui  nel  giudizio  in  origine
instaurato fosse stata concessa una misura  cautelare,  cosa  che  in
questo caso pacificamente non e' avvenuta. Per il  caso  poi  in  cui
tale interpretazione si ritenesse non condivisibile, invitano  questo
giudice a sollevare eccezione di  legittimita'  costituzionale  della
norma, sotto il profilo di cui subito si dira'. 
    8. Hanno resistito l'impresa proprietaria  dell'elettrodotto  con
atto 17 dicembre 2015 e memoria 18 giugno 2019, nonche' il Ministero,
con atto 11 gennaio 2016, e la Prefettura, con atto 3 giugno 2019, ed
hanno chiesto che l'appello sia respinto. 
    9. I ricorrenti, con memoria 10 giugno e replica 21 giugno  2019,
hanno ribadito le proprie asserite ragioni. 
    10.  All'udienza  del  giorno  4  luglio  2019,  la  sezione   ha
trattenuto il ricorso in decisione. 
    11. All'esito, la sezione stessa ritiene di  sollevare  d'ufficio
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma   sulla
competenza nei giudizi in corso di cui si e' detto, ovvero del  sopra
citato art. 41, comma 5 della legge 23  luglio  2009,  n.  99,  nella
parte in cui - in materia di controversie attinenti alle procedure ed
ai provvedimenti dell'amministrazione pubblica o  dei  soggetti  alla
stessa equiparati concernenti la produzione di energia  elettrica  ed
in particolare relative ad infrastrutture di trasporto, ricomprese  o
da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale come quella per
cui e' causa - prevede un onere di riassumere il  ricorso  avanti  il
T.A.R. del Lazio, Sede di  Roma,  entro  sessanta  giorni  decorrenti
dalla data di entrata in vigore della legge  stessa,  anziche'  dalla
data  della  ricezione  dell'avviso   dell'onere   di   riassunzione,
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata. 
    12. In proposito, il collegio osserva anzitutto che la  questione
e' rilevante, perche' le norme  citate  sono  certamente  applicabili
alla fattispecie oggetto del giudizio, nel senso voluto,  per  tutte,
dalle sentenze di codesta Corte 15 giugno 2016, n.  174  e  29  marzo
1983, n. 77. 
    12.1  La  norma  dell'art.  41,  comma  5,  come  si  ripete  per
chiarezza, prevede che «la parte interessata ha l'onere di riassumere
il ricorso e l'istanza cautelare entro sessanta giorni dalla data  di
entrata in vigore della presente legge». Il giudice di I grado la  ha
correttamente ritenuta applicabile a questo giudizio a  quo,  perche'
esso e' stato instaurato prima dell'entrata in vigore del codice  del
processo amministrativo, conformemente a quanto affermato, per tutte,
da C.d.S. A.P. 13 luglio 2011, n. 12, e quindi la sua abrogazione per
effetto dell'entrata in vigore del codice stesso non rileva  ai  fini
di una possibile declaratoria di incostituzionalita'. 
    12.2 In  secondo  luogo,  la  conseguenza  del  mancato  rispetto
dell'onere di riassunzione e' l'estinzione del processo, ancora  come
correttamente affermato dal giudice di I grado, e  come  risulta  dal
principio  generale  dell'art.  50  c.p.c.,  pacificamente   ritenuto
applicabile al processo  amministrativo.  E  l'interpretazione  fatta
propria da costante giurisprudenza amministrativa, fra  le  molte  da
T.A.R. Calabria, Catanzaro sezione  I  2  febbraio  2017,  n.  135  e
sezione II 10 gennaio 2013, n. 11; da T.A.R. Campania, Napoli sezione
V 10 settembre 2012, n. 3840, sezione V 27 settembre 2012,  n.  3989,
sezione V 27 dicembre 2011, n. 6114, sezione V 8  novembre  2011,  n.
5183; da T.A.R. Toscana sezione II 14 aprile 2011, n. 693 e da T.A.R.
Emilia-Romagna, Parma sezione I 16 settembre 2010, n.  437.  Va  solo
aggiunto,  per  completezza,  che  la  dichiarazione  di   estinzione
comporta  che  si  estingua  anche  l'azione,   ovvero   la   pretesa
sostanziale, cosi' come ritenuto da T.A.R. Toscana n.  693/2011,  che
infatti preferisce decidere in di «improcedibilita'», senza pero' che
la sostanza della decisione muti. E' comunque  evidente  che,  se  la
norma in questione  venisse  dichiarata  incostituzionale,  il  primo
motivo di  appello  dovrebbe  essere  accolto,  e  la  decisione,  di
estinzione pronunciata in I grado dovrebbe comunque essere sostituita
da una decisione diversa, di rito o di merito che essa possa essere. 
    12.3  La  suddetta  conclusione  va   ribadita   anche   perche',
contrariamente a quanto sostiene la parte  alle  pp.  30  e  ss.  del
ricorso in appello, dell'art.  41,  comma  5  in  questione,  non  e'
possibile l'interpretazione costituzionalmente orientata di cui sopra
si e' detto.  La  parte  stessa  ha  affermato  infatti  che  sarebbe
possibile interpretare la norma nel senso che essa  faccia  salvo  il
regime ordinario della riassunzione della causa  davanti  al  giudice
dichiarato competente, e si applichi al solo caso particolare in  cui
il giudice non competente abbia pronunciato una misura  cautelare  di
cui si intenda conservare l'effetto. Se  cosi'  fosse,  la  rilevanza
della norma verrebbe meno, perche' nel caso di specie, pacificamente,
misure  cautelari  non  ne  sono  state  adottate,  e  la  disciplina
ordinaria  della  riassunzione,  dopo  la  pronuncia  di  appello  n.
6002/2011 di cui si e' detto, e' stata rispettata. Si tratta pero' di
un'interpretazione contraria al diritto vivente, intendendo per  tale
la prassi sopra richiamata dei T.A.R., che sono i giudici chiamati in
prima battuta ad applicare la norma - ex  plurimis  T.A.R.  Calabria,
Sezione di Catanzaro n.  1623  del  2017;  T.A.R.  Campania,  Napoli,
sezione V, 10 settembre 2012, n. 3840; T.A.R.  Calabria,  Sezione  di
Catanzaro n. 135 del 2017;  T.A.R.  Lazio  n.  10755  del  2015  -  e
soprattutto non giustificata dalla lettera della norma in esame. 
    13. La questione di legittimita' costituzionale di  che  trattasi
risulta  altresi'  non  manifestamente  infondata,   in   base   alle
argomentazioni esposte da codesta  Corte  nella  sentenza  16  aprile
1998, n. 111, pronunciata su un  caso  analogo,  argomentazioni  alle
quali ci si richiama. 
    13.1 In primo luogo, va puntualizzato che, ad  avviso  di  questo
giudice, la possibile incostituzionalita' della norma non risiede nel
fatto che essa abbia modificato la competenza, accentrandola in  modo
inderogabile presso il T.A.R.  del  Lazio  nella  Sede  di  Roma.  Si
ricorda che codesta Corte, ad esempio nelle sentenze 26 giugno  2007,
n. 237 e n. 239, ha ritenuto non irragionevoli norme come  quella  in
esame,  che  hanno  accentrato  la  competenza  per  taluni   ricorsi
giurisdizionali amministrativi presso il T.A.R. del  Lazio,  Sede  di
Roma,  dato  che  cio',  in  materie  di  interesse  nazionale,  puo'
rispondere ad  un'esigenza  di  specializzazione  del  giudice  e  di
uniformita' di decisione, senza che si  determini  alcun  sostanziale
impedimento all'esercizio della tutela giurisdizionale. 
    13.2 Questo giudice dubita pero', in relazione all'art. 24  della
Costituzione, della conformita' a Costituzione, di  quanto  la  norma
prevede sotto il profilo della decorrenza del termine  assegnato  per
provvedere all'onere di riassunzione. Cosi' come affermato da codesta
Corte nella sentenza n. 111/1998, in generale la norma  dell'art.  24
non impone di far conseguire al cittadino la  tutela  giurisdizionale
sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, e non vieta quindi
alla legge  ordinaria  di  subordinare  l'accesso  a  tale  tutela  a
controlli e condizioni, purche' con cio' non  si  impongano  oneri  o
modalita' tali da rendere l'esercizio del  diritto  di  difesa  o  lo
svolgimento  di  attivita'  processuale  impossibili  o  estremamente
difficili. Sempre secondo la sentenza n.  111/1998,  la  Costituzione
non vieta quindi, in linea di principio, di introdurre  nel  processo
un onere generalizzato di istanza di trattazione o di  fissazione  di
udienza, con comminatoria  di  estinzione  del  processo  decorso  un
periodo ragionevole di inattivita' processuale, dato  che  presentare
un'istanza di tal tipo, in astratto, non rappresenta  un  adempimento
vessatorio, o ingiustificatamente gravoso per le parti, o di per  se'
irragionevole. 
    13.3 La ragionevolezza di una norma in tal senso, ancora  secondo
la sentenza n. 111/1998, va allora verificata in concreto,  anzitutto
sotto il profilo del termine assegnato per provvedere. Codesta Corte,
nella sentenza citata  ed  altrove,  ad  esempio  nella  sentenza  10
novembre 1999, n. 427, ha ritenuto in se'  congrui  termini  compresi
entro un intervallo che va dai sei mesi ai trenta giorni; ha ritenuto
pero' che particolare attenzione vada riservata al profilo cui ci  si
e' riferiti, relativo alla decorrenza del  termine.  La  sentenza  in
questione e' stata pronunciata, come e' noto, con riferimento ad  una
norma di legge che prevedeva l'estinzione dei giudizi pendenti avanti
l'allora esistente commissione tributaria centrale nel  caso  in  cui
non venisse presentata entro sei mesi dall'entrata  in  vigore  della
legge stessa un'apposita istanza di trattazione, essa pero'  contiene
argomenti ad avviso di questo giudice di valore del tutto generale. 
    13.4  In  tal  senso,  la  sentenza  n.  111/1998   afferma   che
nell'ordinamento tutela un ragionevole e  preciso  affidamento  delle
parti a che il processo  si  svolga  secondo  le  norme  vigenti  nel
momento in cui esse lo hanno instaurato, e che a fronte  di  cio'  e'
irragionevole introdurre una innovativa  comminatoria  di  estinzione
per la mancanza di un ulteriore adempimento di  impulso  processuale,
alternativo alla possibilita' di trasferire l'esame ad  altro  organo
giurisdizionale,   adempimento   configurato   come   eccezionale   e
derogatorio rispetto al sistema, senza prevedere che il  termine  per
l'adempimento  decorra  da  un  avviso  o  comunicazione  alle  parti
interessate. Va considerato infatti che in generale la giurisprudenza
di codesta Corte considera casi paradigmatici di violazione dell'art.
24 della Costituzione, perche' l'esercizio di un diritto  processuale
e' stato reso eccessivamente difficile, quelli in cui il  decorso  di
un termine di decadenza e' ricollegato a un dato fatto processuale  e
non  all'avviso  di  quel  fatto  che  sia  stato  dato  alle   parti
interessate: per tutte, le sentenze 22 aprile 1986, n. 102, 30 aprile
1986, n. 120 e 27 giugno 1986, n. 156. 
    13.5 Il principio ovviamente non puo' valere per un solo tipo  di
processo, e la sentenza n. 111/1998 lo riferisce espressamente  anche
al processo amministrativo. In motivazione, infatti, osserva  che  la
estinzione del processo per  inattivita'  delle  parti,  in  caso  di
mancanza di impulso processuale, non rappresenta una novita' in senso
assoluto, poiche' si  ritrova  anche  in  altri  procedimenti  ed  in
particolare costituisce, lo strumento normale di impulso  processuale
nel  processo  amministrativo,  ove  si   riconnette   alla   mancata
presentazione della domanda di fissazione. La sentenza osserva  pero'
che nello stesso processo amministrativo  la  previsione  di  cui  si
tratta e' accompagnata da particolare cautela in ordine al momento di
decorrenza del termine, che in occasione di mutamenti  di  competenze
ed istituzione di nuovi organi  viene  identificato  con  il  momento
della ricezione dell'avviso della segreteria,  come  previsto  a  suo
tempo dall'art. 42, comma 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 
    14. Applicando tali principi  al  caso  di  specie,  il  collegio
dubita della conformita' dell'art. 41, comma 5 in esame  al  disposto
dell'art. 24 della Costituzione sul diritto  di  difesa  ed  altresi'
all'art. 111 della Costituzione sul giusto processo, nonche' all'art.
3 della Costituzione sul principio  di  ragionevolezza  delle  scelte
legislative, potendosi ritenere,  in  sintesi,  che  l'assetto  delle
regole processuali sulla riassunzione che  lega  quest'ultima  ad  un
mero fatto processuale quale l'entrata in vigore della  legge,  senza
accorgimenti di garanzia, appare del tutto  irragionevole,  violativo
del diritto di difesa (che viene leso dall'adozione di un termine  di
decorrenza «automatico» per un adempimento  al  quale  e'  legato  un
importante effetto estintivo del  processo  derivante  da  una  legge
sopravvenuta che ha inciso sul giudice  competente,  concentrando  le
controversie presso il T.A.R. del Lazio) e conducente ad un  processo
non equo (anche ai sensi delle  norme  CEDU)  e  non  giusto  perche'
suscettibile di determinare un'estinzione a sorpresa del giudizio. 
    Tutto va poi esaminato alla luce del  richiamato  precedente  del
giudice delle leggi su analoga questione. 
    14.1 La norma prevede un termine di per  se'  non  irragionevole,
che e' quello di sessanta giorni, pari oltretutto a quello  ordinario
per proporre ricorso giurisdizionale amministrativo, che in  concreto
pero' e' risultato pari a tre mesi e mezzo. Si tratta infatti  di  un
termine di tipo processuale, come correttamente ritenuto dalla difesa
della parte intimata appellata (memoria 18 giugno  2019,  p.  11),  e
quindi soggetto alla relativa  sospensione,  dato  che  la  norma  e'
entrata in vigore il 15 agosto 2009: la scadenza si identifica quindi
con la data del 14 novembre 2009. 
    14.2 La norma  pero'  prevede  che  il  termine  decorra  in  via
automatica, senza prevedere, come  vuole  la  sentenza  n.  111/1998,
alcun  «accorgimento  procedurale  di  garanzia»  che  assicuri,  nei
termini  esposti,  una   «conoscibilita'   minima   dell'obbligo   di
adempimento», come un avviso alle parti che avverta della  necessita'
di rispettarlo e delle conseguenze che dal mancato rispetto derivano,
nel che ad avviso di questo giudice risiede la sua irragionevolezza. 
    14.3 L'intimata appellata  (memoria  cit.  pp.  13,  p.  1.4)  ha
contestato tale conclusione, sostenendo che le  argomentazioni  della
sentenza n. 111/1998  sarebbero  inapplicabili  al  caso  di  specie,
perche' coerenti  esclusivamente  con  la  struttura  particolarmente
semplificata del  processo  tributario,  cui  come  si  e'  detto  la
sentenza stessa si riferisce, e nel  quale,  all'epoca,  nemmeno  era
richiesta una difesa tecnica. Si osserva pero' in  contrario  che  la
situazione di non facile conoscibilita' di un onere previsto  a  pena
di estinzione  del  processo  e  della  propria  pretesa  sostanziale
pregiudica di per se' il  diritto  di  difesa,  a  prescindere  dalla
maggiore o minore complessita'  tecnica  del  processo  cui  essa  si
riferisce. 
    14.4  Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,   appare
pertanto rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 41,  comma  5  della  legge  23
luglio 2009, n. 99, nella parte in cui - in materia  di  controversie
attinenti alle procedure  ed  ai  provvedimenti  dell'amministrazione
pubblica  o  dei  soggetti  alla  stessa  equiparati  concernenti  la
produzione  di  energia  elettrica  ed  in  particolare  relative  ad
infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella  rete
di trasmissione nazionale - prevede un onere di riassumere il ricorso
avanti il T.A.R. del Lazio,  Sede  di  Roma,  entro  sessanta  giorni
decorrenti dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  stessa,
anziche'  dalla  data  della  ricezione  dell'avviso  dell'onere   di
riassunzione. 
    15. Ai sensi dell'art. 23, secondo comma  della  legge  11  marzo
1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio  di  Stato  e'
sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    16. Ai sensi dell'art. 23, quarto  comma  della  legge  11  marzo
1953, n. 87,  la  presente  ordinanza  sara'  comunicata  alle  parti
costituite e notificata al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  -  Sezione  Sesta,
pronunciando sul ricorso n. 10114/2015 R.G., cosi' provvede: 
        a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata ai sensi
e sotto i profili di cui in motivazione la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 41, comma 5 della legge 23 luglio  2009,  n.
99, nella parte in cui - in materia di  controversie  attinenti  alle
procedure ed ai provvedimenti  dell'amministrazione  pubblica  o  dei
soggetti alla stessa equiparati concernenti la produzione di  energia
elettrica ed in particolare relative ad infrastrutture  di  trasporto
ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale  -
prevede un onere di riassumere il ricorso avanti il T.A.R. del Lazio,
Sede di Roma, entro sessanta giorni decorrenti dalla data di  entrata
in vigore della legge stessa, anziche'  dalla  data  della  ricezione
dell'avviso dell'onere di riassunzione; 
        b) dispone la sospensione del presente  giudizio  davanti  al
Consiglio di Stato ed ordina alla Segreteria l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
        c) ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza
sia comunicata alle parti costituite e notificata al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  4
luglio 2019, con l'intervento dei magistrati: 
 
        Giancarlo Montedoro, Presidente; 
        Diego Sabatino, consigliere; 
        Silvestro Maria Russo, consigliere; 
        Francesco Gambato Spisani, consigliere, estensore; 
        Giordano Lamberti, consigliere. 
 
                      Il Presidente: Montedoro 
 
 
                                         L'estensore: Gambato Spisani