N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2019
Ordinanza del 22 luglio 2019 della Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile promosso da Villani Mario contro D'Auria Annunziata. Procedimento civile - Lavoro e previdenza (controversie in materia di) - Spese processuali - Condanna alle spese - Previsione, nel caso di accoglimento della domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa, di condanna della parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese processuali maturate successivamente alla formulazione della proposta - Applicazione anche alle controversie in materia di lavoro. - Codice di procedura civile, art. 91, anche in combinato disposto con l'art. 420, primo comma, cod. proc. civ.(GU n.47 del 20-11-2019 )
LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI Sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza 1. Dott. Antonio Robustella, Presidente; 2. Dott.ssa Isabella Diani, consigliere; 3. Dott. Carlo de Marchis Gomez, giudice ausiliario rel.; Riunita in Camera di consiglio all'udienza del 10 luglio 2019 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 5728 ruolo sezionale lavoro del 2014 intercorrente tra Villani Mario, con l'avv. Gianfranco Ferrajoli, appellante; e D'Auria Annunziata, con l'avv. Rosa Fratto, appellati. Svolgimento del processo. 1. Con ricorso ex art. 414 del codice di procedura civile depositato presso la cancelleria del Tribunale di Torre Annunziata il sig. Mario Villani conveniva in giudizio Annunziata D'Auria al fine di vedere disporre la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 7.555,70 a titolo di differenze retributive. 2. Il ricorrente, premesso di avere svolto la propria attivita' lavorativa alle dipendenze della convenuta dal novembre 2009 al 14 settembre 2010 con rapporto regolarizzato nel maggio 2010, rilevava di avere svolto mansioni di commesso apprendista IV livello addetto alla ricezione degli ordinativi, alla sistemazione della merce e alla vendita al dettaglio. 3. Esponeva, quindi, il sig. Villani di avere prestato attivita' lavorativa per undici ore giornaliere, osservando l'orario di lavoro descritto nel ricorso percependo una retribuzione inadeguata rispetto al lavoro prestato, costretto a sottoscrivere le buste paga di importo inferiore sotto minaccia di licenziamento e di avere cessato il rapporto di lavoro a seguito di gravi comportamenti posti in essere dal coniuge della titolare del negozio. 4. Concludeva, quindi, per la condanna al pagamento delle differenze retributive come quantificate in un conteggio allegato al ricorso. 5. Radicatosi il contraddittorio si costituiva la sig.ra Annunziata D'Auria che resisteva alla domanda del sig. Villani eccependo preliminarmente la nullita' del ricorso e contestando le circostanze dedotte dal ricorrente. La sig.ra D'Auria offriva a titolo conciliativo gia' in sede di memoria difensiva la somma di euro 2.000,00. 6. Il giudice di primo grado, alla prima udienza formulava una offerta conciliativa di euro 2.500,00 con compensazione delle spese di lite che veniva accettata all'udienza successiva esclusivamente dalla convenuta che si rendeva disponibile ad un immediato pagamento tramite assegno bancario. 7. Il giudice, preso atto della mancata conciliazione, all'esito delle prove orali richieste dalle parti, accoglieva esclusivamente la domanda di pagamento del TFR che liquidava in via equitativa in euro 900,00 respingendo per il resto il ricorso e condannando ai sensi dell'art. 91, 2 alinea del codice di procedura civile il sig. Villani alla rifusione delle spese nella misura di euro 1.500,00 oltre accessori in ragione del rifiuto dell'offerta conciliativa. 8. Osservava in particolare il giudice di primo grado in tema di statuizione circa la spese di lite che «Va ora affrontata la questione della non accettazione della somma di euro 2.000,00 offerta immediatamente dalla controparte conventa e di euro 2.500,00 avanzata quale ipotesi transattiva dal giudicante. Sul punto la normativa e' chiara nello stabilire che deve essere condannata alle spese la parte che non prestando consenso ad una soluzione transattiva giunga poi ad una sentenza che ricalca l'ipotesi transattiva o addirittura, come nel caso di specie, giunga poi a soluzioni di maggior sfavore con aggravio per la macchina della giustizia». 9. Ha promosso ricorso in appello il sig. Villani che censura la sentenza sia con riferimento al mancato riconoscimento delle maggiori somme rivendicate sia con riferimento alla statuizione relativa alla condanna alle spese lamentando l'illegittimita' della sentenza che non ha riconosciuto le spese del grado. 10. Resiste con memoria la sig.ra D'Auria che si oppone all'accoglimento del gravame. 11. La Corte, ritenuto necessario ai fini della decisione un approfondimento circa la possibile rilevanza costituzionale dell'assetto normativo posto a base della decisione, con ordinanza interlocutoria sollecitava le parti a prendere posizione sul possibile contrasto dell'art. 91, 1° comma, 2 alinea del codice di procedura civile in correlazione con il tentativo di conciliazione previsto nel rito speciale del lavoro. 12. All'udienza fissata per la discussione, la causa e' stata trattenuta in decisione disponendosi con separata ordinanza la remissione alla Corte costituzionale. Sulla rilevanza. 13. La controversia sottoposta al vaglio di questa Corte impone di valutare la legittimita' della sentenza sotto il profilo della statuizione del regime delle spese processuali regolato dall'art. 91, 1° comma, secondo alinea del codice di procedura civile in se e in combinato disposto con l'art. 420 del codice di procedura civile. 14. La costituzionalita' della normativa richiamata sul regime delle spese processuali assume, infatti, diretta incidenza nel meccanismo decisionale della Corte. 15. Ai fini della rilevanza della questione preme, infine, evidenziare che l'ordinamento si limita a richiedere che sussista un nesso pregiudiziale tra giudizio principale e giudizio costituzionale, nel senso che la norma censurata debba essere necessariamente applicata nel primo, e che l'eventuale illegittimita' della stessa incida sul giudizio principale (Corte costituzionale 91/13). Il vigente sistema costituzionale stabilisce, infatti, ai fini della ammissibilita' della questione di costituzionalita', la circostanza che il giudizio di costituzionalita' sia in grado di incidere sul processo principale (Corte costituzionale 184/06). Ai fini dell'ammissibilita' nel giudizio a quo, deve quindi esclusivamente valutarsi l'idoneita' della decisione della Corte costituzionale a produrre una modifica dell'assetto normativo che il giudice remittente e' tenuto a considerare ai fini della decisione della controversia (Corte costituzionale 390/96). Sulla non manifesta infondatezza. l6. Ritiene questo collegio che la funzione giurisdizionale risponda ad una primaria esigenza della collettivita' in quanto assicura la effettiva attuazione del principio di uguaglianza di tutti gli individui di fronte alla legge. 17. Nel processo assume, quindi, una rilevanza essenziale il principio di parita' sostanziale che impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini (art. 3 Costituzione). 18. L'affermazione di un diritto che, tuttavia per fattori economici o sociali, non possa essere concretamente rivendicato ovvero venga ostacolato nel suo riconoscimento «giudiziale» equivale, infatti, a negarne l'esistenza sul piano attuativo trasformandolo in una formula vuota. 19. Tale principio trova concreta attuazione nel processo del lavoro. 20. Con l'adozione della Carta costituzionale la Repubblica ha, infatti, assunto lo specifico compito di tutelare il lavoro in tutte le sue forme promuovendo le condizioni che rendono effettivo tale diritto al fine di rimuovere i fattori di ordine anche economico che inibiscono, anche sotto il profilo processuale, l'esercizio dei diritti costituzionali dei lavoratori. 21. Il diritto di ogni individuo di agire davanti ad un giudice indipendente contiene necessariamente quello di ottenere in tempi ragionevoli un provvedimento giurisdizionale; rispetto a tali diritti fondamentali e', quindi, compito dello Stato impedire che le condizioni personali, reddituali o sociali ne condizionino il concreto esercizio. 22. Il processo e', infatti, la sede naturale nella quale ogni diritto negato trova il suo effettivo e concreto riconoscimento ed e', quindi, l'ambito nel quale una disparita' economica o sociale puo' maggiormente incidere nell'effettivita' di diritti fondamentali riconosciuti a soggetti deboli minando quella parita' di fronte alla legge che rappresenta, viceversa, il fulcro dei principi fondamentali attorno al quale si sviluppa la Costituzione. 23. Il costo del processo costituisce, pertanto, il fattore di maggiore discriminazione nella domanda di giustizia in quanto e' idoneo in concreto a impedire la possibilita' di rivendicare in modo effettivo il ripristino del bene della vita che la funzione giurisdizionale deve tendenzialmente assicurare attraverso i suoi provvedimenti. 24. Tutti gli oneri, sia diretti, imposte, tasse, onorari del patrocinio, spese processuali ecc., che indiretti quali la mappatura giudiziaria, la dotazione degli uffici, la specializzazione, la concreta possibilita' di accesso e, in definitiva, l'efficienza del «sistema giustizia» (cfr sul punto Revised Guidelines on the Creation of Judicial Maps to Support Access to Justice within a Quality Judicial System, Consiglio d'Europa s 22th plenary meeting, on 6 december 2013), che incidono sul diritto di agire in giudizio nei termini sopra ricordati, rappresentano, quindi, elementi che potenzialmente sono idonei a rendere il principio di uguaglianza di fronte alla legge un principio meramente formale. 25. La disparita' economica e' innegabile nelle controversie di lavoro nelle quali la presenza di un contraente debole e', infatti, alla base della legislazione vincolistica del rapporto che trova a sua volta pieno riconoscimento in specifiche norme di rango costituzionale (art. 35, 36, Costituzione) in una prospettiva che assicura una dignita' costituzionale anche alle aggregazioni create per sopperire alla sostanziale disparita' nella capacita' di contrapporsi al fine di negoziare le condizioni di lavoro (art. 39 e 40 Costituzione). 26. L'esigenza di assicurare un concreto accesso alla giustizia del lavoro che tenesse conto di tutti i fattori, economici, geografici, di specialita' della normativa ha trovato concreta attuazione nella legge n. 533/1973 ma e' sempre stata presente nell'avvicendarsi delle normative processuali che hanno interessato il rapporto di lavoro. 27. Sin dagli albori della societa' industriale il giudizio finalizzato a dare una risposta alla domanda di tutela del lavoratore e' stato caratterizzato dalla consapevolezza del legislatore della oggettiva disparita' sostanziale esistente tra il prestatore - coincidente di norma con il soggetto che promuove l'azione - e il datore di lavoro. 28. La diversita' delle parti astrette da un rapporto di lavoro e la conseguente esigenza di riequilibrare nel processo i molteplici fattori di ordine culturale, economico e sociale, idonei a incidere sulla effettiva capacita' dei soggetti di rivendicare nel giudizio la tutela dei propri diritti ha, quindi, da sempre qualificato il rito imponendo l'adozione di uno strumento processuale idoneo a compensare gli elementi di disuguaglianza nell'esercizio dell'azione che si riflettono inevitabilmente, sul piano sostanziale, nell'effettivo riconoscimento del diritto. 29. La vicinanza dell'organo giudicante al luogo di lavoro (onde rendere meno disagevole l'accesso alla giustizia al soggetto debole) caratterizza gia' il sistema embrionale del processo del lavoro nell'esperienza probivirale della legge 15 giugno 1893 nella quale e' anche evidente la finalita' tesa a eliminare l'ostacolo economico laddove stabilisce l'esenzione da ogni tassa di bollo o di registro. 30. L'esigenza di una magistratura speciale dotata di poteri istruttori d'ufficio e' presente anche nell'esperienza corporativa nella riforma del r.d. del 21 maggio 1934, n. 1074 (art. 14) che pure mantiene in parte l'esenzione dal bollo e da ogni imposta di registro stabilendo all'art. 27 un regime agevolato delle esenzioni e stabilendo al contempo un sistema di provvisionali di condanna (art. 18). 31. Il disequilibrio economico delle parti coinvolte nel processo del lavoro come elemento idoneo a rappresentare un impedimento alla tutela effettiva del diritto costituisce, quindi, una costante della legislazione processuale del lavoro che trova la sua massima espressione nella legge n. 533/1973, attuativa, sul piano processuale, dell'esigenza costituzionale di eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini. 32. Alla luce dei rilievi formulati ritiene, quindi, questa Corte che il processo del lavoro, in ragione delle oggettive cause di disparita' dei soggetti che intervengono, sia un giudizio proceduralmente diseguale nella prospettiva di assicurare nel processo una uguaglianza sostanziale, viceversa, atta a garantire una pienezza di tutela effettiva in assenza di fattori esterni condizionanti, idonei a limitare il diritto di azione. 33. Fa chiaramente riferimento ad «un processo fortemente caratterizzato da una parte debole» anche la relazione del 24 luglio 2000 della Commissione Foglia per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro che tra l'altro rimarca la centralita' del processo del lavoro quale «luogo privilegiato di applicazione della normativa comunitaria nella quale la politica sociale ha conquistalo - specie con gli ultimi Trattati di Amsterdam e con la Carta dei diritti fondamentali - una posizione di indubbia centralita'». 34. La centralita' del processo del lavoro e la finalita' di colmare la disparita' processuale e', quindi di palmare evidenza: un diritto fondamentale non concretamente azionabile rimane - come si e' in precedenza evidenziato - sulla carta e non e' effettivo. 35. Non a caso, infatti, in sede di presentazione della proposta di legge n. 379 del 5 luglio 1972 dell'attuale rito del lavoro i firmatari individuano tra i fattori di rischio di «vanificazione dei diritti dei lavoratori» «l'aumento dei costi» e l'inadeguatezza dei «mezzi processuali» che rischiano di minare «la credibilita' della tutela giurisdizionale statuale» allargando «la fascia della fuga dalla giustizia». 36. Tali principi imponevano e tutt'ora impongono di rimuovere tutti gli ostacoli che concretamente si frappongono ad una effettiva tutela dei diritti che sono tradizionalmente tre: strutturali, tecnici ed economici. 37. Dovendo limitare, per necessaria rilevanza, la disamina all'ultimo dei fattori indicati si osserva che la disparita' economica giustifica, diversamente dal processo ordinario, una gratuita' ed una esenzione fiscale che - seppure attenuta con l'introduzione del contributo unificato - tuttavia, ancora considera la peculiarita' del processo del lavoro laddove prevede una fascia di esenzione e una riduzione del 50% rispetto alla misura del contributo normale. La disparita' reddituale e' alla base dello speciale regime delle competenze e della previsione di alcuni istituiti processuali tendenti ad anticipare gli effetti di una sentenza nei confronti del soggetto economicamente piu' debole (cfr art. 423 del codice di procedura civile), nonche' del particolare regime degli accessori del credito e, fino alla generalizzazione della esecutivita' delle sentenze di primo grado, della previsione dell'art. 431 del codice di procedura civile. 38. In tale contesto normativo si inserisce il tentativo di conciliazione quale strumento teso ad assicurare una definizione del giudizio evitando i rischi e i costi del processo. 39. Tale istituto ha caratterizzato la tutela del lavoratore sin dalla richiamata esperienza probivirale, trovando conferma nella legislazione successiva e inserendosi, quindi, come un valido ed efficace strumento non penalizzante per la parte economicamente debole del rapporto. 40. La scelta di assicurare un momento di conciliazione endoprocessuale, condivisa anche dalla legge n. 533/1973, rappresentava nell'originario disegno del legislatore uno strumento di ulteriore integrazione della disparita' delle parti nel processo. 41. La conciliazione nell'esperienza processuale del rito speciale per le controversie di lavoro rappresenta, infatti, uno strumento alternativo alla sentenza rispondente ad una effettiva utilita' sociale perche' scelto senza alcun coazione «economica» se non quella della convenienza di ottenere un risultato utile in termini certi con riferimento alla quale la condizione delle parti, sebbene non sia neutra rispetto alla scelta, (essendo evidente che lo stato di bisogno puo' inevitabilmente incidere sulla decisione), certamente non costituiva, sino alla novella dell'art. 91 del codice di procedura civile, un fattore penalizzante nella decisione di ottenere un provvedimento giurisdizionale. 42. Anche nella piu' volte citata relazione della Commissione Foglia, che pur valorizza la conciliazione come valido istituto alternativo alla sentenza, si responsabilizzano le parti con meccanismi processuali tesi a incentivare la conciliazione imponendo la presenza in udienza, senza tuttavia imporre una penalizzazione economica in caso di rifiuto. 43. Nella novella dell'art. 91 del codice di procedura civile in tema di spese processuali, introdotta dall'art. 45, comma 10 della legge n. 69/2009, la conciliazione viene rafforzata in una ottica, tuttavia, punitiva che incide sotto il profilo economico attraverso un automatismo penalizzante del regime delle spese del processo che vengono poste a carico del soggetto che, pur parzialmente vittorioso, non abbia, accettato la proposta. 44. Questa Corte ritiene che in siffatta prospettiva normativa lo strumento conciliativo venga stravolto in quanto accentua in forma irragionevole la disparita' economica e sociale che caratterizza, soprattutto nel processo del lavoro, le parti, finendo con l'introdurre un ostacolo reddituale rispetto al diritto a ricorrere alla funzione giurisdizionale, idoneo a generare un contrasto con le previsioni degli articoli 3, 4, 24 Costituzione unitamente con l'art. 35 Costituzione. 45. La penalizzazione economica della parte processuale che agendo in giudizio non accetti una soluzione alternativa alla sentenza non assume infatti nel processo deliberativo una valenza neutra ma introduce nel processo un ostacolo di carattere reddituale ingiustificato rispetto al diritto di ottenere un provvedimento giurisdizionale che riconosce persino parzialmente la fondatezza della pretesa. 46. La scelta di conciliare la controversia non diviene, quindi, piu' «libera» ma sanzionata attraverso uno sproporzionato automatismo di aggravio di spese nei confronti del soggetto che, seppur parzialmente, ha comunque ottenuto il riconoscimento del diritto rivendicato e, pertanto, a danno, per lo piu', della parte economicamente piu' debole che di norma - come piu' volte evidenziato - coincide con l'attore. 47. L'eventuale soccombenza totale del soggetto processualmente debole, ipotesi gia' esaminata dalla sentenza della Corte costituzionale 19 aprile 2018, n. 77, e' estranea alla fattispecie oggetto della presente remissione, in ragione dell'assenza del presupposto normativo rappresentato da un provvedimento di accoglimento parziale. 48. La previsione dell'art. 91, 1º comma, secondo alinea del codice di procedura civile non trova, inoltre, espressa applicazione in presenza di una reciproca soccombenza e nei casi eccezionali previsti dal secondo comma dell'art. 92 del codice di procedura civile. 49. La previsione, pertanto, trova applicazione solo in presenza di un accoglimento parziale stabilendo una parita' formale rispetto alle conseguenze del rifiuto di una offerta conciliativa che, tuttavia, per i motivi in precedenza esposti circa la disparita' delle parti nel processo, determina un irragionevole e sproporzionato effetto nei confronti del soggetto debole del rapporto processuale che finisce per snaturare la finalita' dello strumento alternativo alla sentenza liberamente scelto dalle parti. 50. L'offerta conciliativa costituiva, infatti, nella prospettiva del legislatore del 1973 un istituto processuale teso a favorire una soluzione transattiva della vertenza nella quale il rifiuto, tuttavia, non assumeva una valenza prestabilita e automatica avente carattere punitivo dell'esercitato diritto di agire in giudizio. La norma esplicita, infatti, esclusivamente che l'eventuale mancata accettazione costituisce semplicemente un «comportamento valutabile ai fini del giudizio». 51. Il rifiuto della proposta conciliativa non assume, quindi, necessariamente nella previsione dell'art 420 del codice di procedura civile un carattere penalizzante in termini economici che incide indirettamente sul diritto di agire in giudizio e ottenere una decisione giurisdizionale sulla res controversa ma rappresenta, se, caratterizzata da un connotato particolare, un aspetto del generale principio che impone alle parti di agire con buona fede processuale stabilito in termini generali dall'art. 88 del codice di procedura civile. 52. L'art. 91, 1º comma, secondo alinea del codice di procedura civile stabilisce, viceversa, che il giudice «(..) se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 92». 53. L'irragionevolezza della norma rispetto ai parametri costituzionali ricordati appare palese ad avviso di questa Corte ove si consideri la portata applicativa della disposizione e la disparita' economica e sociale che spesso caratterizza controversie anche di scarso valore nelle quali sovente si contrappongono ad aziende anche di grandi dimensioni o caratterizzate da notevoli disponibilita' finanziarie, lavoratori part timers ovvero prestatori con rapporti di lavoro precari o saltuari o impiegati in forme contrattuali atipiche nel moderno mercato globale della Gig economy. 54. L'assenza di obiettivi parametri idonei a compensare l'incidenza della disparita' del reddito, del tutto assente nella previsione della norma, che penalizza in se il rifiuto dell'offerta conciliativa, sulla base di una formale parita' delle parti del processo, finisce per indurre il soggetto debole a rinunciare, per un fattore legato al «costo», al diritto costituzionale di ottenere un provvedimento giurisdizionale. 55. La disparita' economica, che oggettivamente incide nella scelta di addivenire ad una soluzione conciliativa, viene quindi sviluppata oltremisura nell'equilibrio normativo della disposizione che, pertanto, anziche' «rimuovere gli ostacoli di ordine economico» che ostano al riconoscimento dei diritti fondamenti in capo ad ogni individuo ne amplifica irragionevolmente l'effetto. 56. In tale prospettiva, questa Corte ritiene che la previsione dell'art. 91, 2º alinea in uno con l'art. 420, 1° comma del codice di procedura civile, nel disporre la condanna alle spese processuali maturate del soggetto debole, che non aderendo ad una proposta conciliativa formulata in prima udienza, comunque ottenga all'esito del giudizio, che puo' anche presentare delle notevoli complessita' istruttorie, il riconoscimento parziale della propria pretesa, introduca in forma sproporzionata ed irragionevole un fattore discriminante, basato sulla diversa capacita' reddituale, che genera un ostacolo di carattere economico alla effettiva tutela dei diritti, vanificando il primario dovere dello Stato di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e il fondamentale diritto di ogni cittadino di agire in giudizio per accertare la lesione di un proprio diritto nell'ambito di un giusto processo al fine di ottenere una decisione da un organo imparziale. 57. A cio' deve aggiungersi che nel paradigma normativo dell'art. 91 del codice di procedura civile, in presenza di un parziale accoglimento della domanda dell'attore, il convenuto che abbia accettato la proposta formulata dal magistrato in udienza, ancorche' prossima al valore integrale della domanda, potra' persino risultare esente dalla condanna alle spese del successivo giudizio avvalendosi tra l'altro anche della oggettiva disponibilita' della prova derivante dalla diversa prospettiva processuale che oggettivamente differenzia sul piano della tutela dei diritti il lavoratore e il datore di lavoro in numerose controversie. 58. Ritiene, quindi, in definitiva questa Corte che, rispetto alla innegabile lodevole finalita' deflattiva che caratterizza la previsione di strumenti alternativi alla sentenza, il rifiuto dell'offerta conciliativa non possa ex se, ove non caratterizzato da un quid pluris rispetto alla mera mancata adesione alla proposta, determinare una penalizzazione del regime delle spese in ragione della natura fondamentale dei diritti fatti valere nel particolare processo del lavoro e della oggettiva condizione delle parti. 59. La sostanziale illogica diversita' di trattamento e la sproporzione delle conseguenze in relazione ai diritti trattati tra colui che agisce in giudizio per la tutela di diritti di rango costituzionale, spesso interagenti con diritti di carattere retributivo, rispondenti ad una esigenza alimentare (art. 36 Costituzione) e nella quasi generalita' dei casi legati ad aspetti previdenziali, non disponibili dalle parti, e ii convenuto che si oppone al diritto rivendicato, rende evidentemente irragionevole il combinato disposto dell'art. 420 del codice di procedura civile con l'art. 91, 1º comma, secondo alinea del codice di procedura civile. 60. L'esigenza deflattiva del contenzioso che si realizza sviluppando sistemi alternativi di soluzione delle controversie, non puo', infine, ad avviso di questa Corte giustificare una deroga al fondamentale dovere dello Stato di tutelare (assicurando un giusto processo) il lavoro e, quindi, i diritti che lo connotano, attraverso un sistema che, nei fatti, disincentiva, amplificando un fattore di disparita' sociale, il diritto di rivendicare un provvedimento di tutela nel luogo naturalmente deputato al loro riconoscimento, minando in tal modo quella «credibilita' della tutela giurisdizionale statuale» che era alla base della riforma della legge n. 533/1973 in assenza della quale i diritti non justiciables altrimenti rischiano di diventare espressioni vuote. 61. Neppure si ritiene che il combinato normativo censurato possa trovare una adeguata giustificazione nell'esigenza di contenere l'accesso alla giustizia nei confronti delle azioni bagatellari o di scarso valore (che peraltro non rappresentano l'esclusivo ambito di applicazione delle disposizioni richiamate) in quanto e' spesso proprio nei giudizi di scarsa rilevanza economica che si concentra una ampia fascia di bisogno la cui legittima aspettativa di giustizia viene negata da una misura illogicamente e sproporzionalmente afflittiva. 62. L'assetto normativo neppure risponde, infine, ad una esigenza - certamente meritoria - di sanzionare l'abuso del processo atteso che tale condotta trova adeguata sanzione gia' nell'art. 88 del codice di procedura civile e nella correlata disposizione in tema di spese processuali, estranea alla logica normativa del combinato disposto degli articoli 420 del codice di procedura civile e 91, 1º comma, secondo alinea c.p.a. 63. L'irragionevolezza dell'art. 91, 1º comma, secondo alinea, in se e in combinato disposto con l'art. 420 del codice di procedura civile trova, altresi', conferma in una prospettiva interpretativa che valorizza il contenuto precettivo delle norme interposte (cfr Corte costituzionale 13 giugno 2018 n. 120) sancite in Carte fondamentali alle quali la Repubblica aderisce. 64. L'applicazione dell'aggravio dei costi del processo a carico del soggetto parzialmente vittorioso, che puo' essere persino superiore al valore del credito concretamente riconosciuto (ove si consideri che al fine del riconoscimento del diritto puo' rendersi necessario un accertamento sul tipo di rapporto che implica l'applicazione del parametro delle cause di valore indeterminato cfr ex multis sentenza 12 luglio 2017, n. 17160), rende il regime delle spese illogicamente sproporzionato, in chiara violazione al principio del giusto processo stabilito dall'art. 6 CEDU (cfr Corte EDU Perdigao contro Portogallo) per il quale le spese devono essere valutate considerando anche la capacita' finanziaria dell'individuo (cfr Corte EDU, Kijewska contro Polonia). 65. Il descritto sistema del regime delle spese che penalizza il diritto di rifiutare una definizione conciliativa del soggetto «debole», costretto ad agire giudizialmente per la tutela di diritti fondamentali, genera infine, - come sopra evidenziato, una discriminazione fondata «sulla ricchezza», o su «ogni altra condizione» (art. 14 Cedu) in quanto l'aggravio di spese produce una penalizzazione economica che si riflette inevitabilmente, ostacolandolo, anche sul diritto ad un ricorso effettivo (art. 13 Cedu). 66. In termini analoghi, infine, si esprime anche l'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea per la quale le diversita' patrimoniali non possono dare luogo a forme di discriminazione anche in sede di tutela dei diritti. A tale fine si ricorda che l'accesso ad una giustizia effettiva, principio anch'esso garantito dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sebbene non osti alla previsione di sistemi alternativi di definizione delle controversie, e', tuttavia, compatibile con il diritto fondamentale ove non generi costi i per le parti interessate (cfr Corte di Giustizia 18 marzo 2010 C-317). 67. La previsione che penalizza irragionevolmente il soggetto economicamente debole nella scelta di accettare una soluzione formalmente libera, alternativa ad un procedimento giudiziale, che a sua volta e' espressione di un diritto fondamentale, introduce quindi un assetto che, irragionevolmente ed in forma sproporzionata, lede il principio di uguaglianza ostacolando di fatto la tutela del lavoro nella sede naturale del processo, enfatizzando un fattore di disparita' il cui superamento e', viceversa, oggetto della norma centrale dell'ordinamento costituzionale. 68. In conclusione, ed alla luce delle esposte considerazioni, ritiene questo Collegio di dover ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme indicata in dispositivo in relazione ai profili sopra esposti. 69. Il giudizio in corso deve quindi essere sospeso e gli atti rimessi alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Visto l'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 91, del codice di procedura civile in se e in combinato disposto con l'art. 420, 1° comma del codice di procedura civile per contrasto con gli articoli 3, 4, 24, 35 e 117, comma 1, della Costituzione rispetto agli articoli 6, 13 e 14 della CEDU, letti autonomamente ed anche in correlazione fra loro. Sospende il presente giudizio. Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' di comunicarla ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte costituzionale unitamente alla prova delle comunicazioni prescritte. Si comunichi alle parti del giudizio. Napoli, 10 luglio 2019 Il Presidente: Robustella Il giudice ausiliare rel.: de Marchis Gomez