N. 207 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 2019

Ordinanza dell'11 giugno 2019 del  Tribunale  regionale  delle  acque
pubbliche di Venezia nel procedimento civile promosso da  A2A  S.p.a.
contro Comune di Montereale Valcellina. 
 
Energia - Concessioni di grandi derivazioni idroelettriche  -  Canone
  aggiuntivo unico - Trattenimento definitivo  da  parte  dei  Comuni
  delle  somme  versate  dai  concessionari   antecedentemente   alla
  sentenza n. 1 del 2008 della Corte costituzionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 15, comma 6-quinquies,. 
(GU n.47 del 20-11-2019 )
 
              TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE 
                presso la Corte d'appello di Venezia 
 
    Il  Tribunale  regionale  delle  acque  pubbliche,  composto  dai
seguenti magistrati: 
        dott. Domenico Taglialatela - Presidente; 
        dott. Dario Morsiani - giudice relatore est.; 
        dott. ing. Massimiliano Vialli - giudice tecnico; 
facendo seguito all'odierna sentenza non definitiva,  ha  pronunciato
la seguente ordinanza nel  procedimento  instaurato  da:  A2A  S.p.a.
(C.F. 11957540153), con l'avv.  Fabio  Todarello  e  l'avv.  Federico
Novelli, con domicilio eletto presso l'avv.  Vittorio  Fedato  in  S.
Croce 269 a Venezia - parte ricorrente; 
    Contro Comune di Montereale Valcellina  (C.F.  81000690933),  con
l'avv. Gianna Di Danieli e domicilio eletto presso la cancelleria  di
questo Tribunale regionale - parte intimata; 
 
                                Fatto 
 
    A2A S.p.a. (societa'  che  ha  incorporato  Edipower  S.p.a.)  e'
titolare di una concessione di  grande  derivazione  d'acqua  ad  uso
idroelettrico, esercitata nel Comune di Montereale  Valcellina  (PN).
Per gli anni 2006 e del 2007 la concessionaria, in  forza  di  quanto
previsto dall'art. 1, comma 486, della legge  23  dicembre  2005,  n.
266, ha versato al Comune  di  Montereale  Valcellina,  a  titolo  di
«canone aggiuntivo unico», la somma complessiva di € 29.368,80. 
    Con missiva datata 22 gennaio 2016, pervenuta in data 25  gennaio
2016, Edipower S.p.a. ha chiesto al Comune di  Montereale  Valcellina
la restituzione del suddetto importo a seguito della  sentenza  n.  1
del 18 gennaio 2008 della Corte costituzionale, con la quale e' stata
dichiarata l'illegittimita' costituzionale del citato  art.  1  comma
486. Il comune ha negato la restituzione opponendo  alla  pretesa  di
Edipower  quanto  disposto  dall'art.  15   comma   6-quinquies   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, norma che autorizza i comuni che
hanno incassato le  somme  versate  dai  concessionari  delle  grandi
derivazioni idroelettriche,  antecedentemente  alla  citata  sentenza
della Corte costituzionale, a  trattenere  in  via  definitiva  dette
somme. 
Svolgimento del processo. 
    Con ricorso notificato il 30 agosto 2018  A2A  S.p.a.  ha  citato
avanti questo Tribunale regionale il Comune di Montereale  Valcellina
per sentirlo condannare alla restituzione della somma di € 29.368,80,
oltre agli interessi legali maturati  dalla  messa  in  mora,  previa
remissione degli atti alla Corte costituzionale rispetto all'art.  15
comma  6-quinquies  del  decreto-legge  n.  78/2010.  Il  Comune   di
Montereale  Valcellina  si  e'  costituito  in   giudizio   eccependo
l'intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione dei canoni e
contestando  l'ammissibilita'  e  fondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    In data odierna il Tribunale regionale  ha  pronunciato  sentenza
non definitiva con la quale ha respinto l'eccezione  di  prescrizione
proposta da parte intimata e rimesso la causa sul ruolo. 
Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel presente
giudizio. 
    Il Comune di Montereale Valcellina ha eccepito l'avvenuto decorso
del termine quinquennale di prescrizione previsto dall'art. 2948 n. 4
del codice civile per le somme che si pagano annualmente. 
    L'eccezione e' stata rigettata con sentenza non definitiva. 
    Superata detta eccezione, risulta  evidente  la  decisivita',  ai
fini della definizione del giudizio, della norma di cui  all'art.  15
comma   6-quinquies   del   decreto-legge   n.   78/2010,    invocata
dall'intimato a giustificazione del rifiuto di  restituire  le  somme
incassate. L'applicazione di tale norma costituisce, infatti, l'unico
e decisivo motivo di opposizione alla domanda della ricorrente. 
Disposizione di legge viziata da illegittimita' costituzionale. 
    Con il comma 485 dell'art. 1 della legge  n.  266/2005  e'  stata
disposta la proroga  di  dieci  anni  - in  presenza  di  determinate
condizioni - delle date di scadenza delle concessioni di  derivazione
idroelettrica in corso alla data di entrata in vigore della  presente
legge. Con il successivo comma 486 si e' previsto l'obbligo  in  capo
ai concessionari di versare entro il 28 febbraio per quattro anni,  a
decorrere dal 2006, un canone aggiuntivo unico,  riferito  all'intera
durata della concessione, pari  ad  €  3.600.00  per  MW  di  potenza
nominale installata, stabilendo che gli introiti  fossero  ripartiti,
in quote diverse, tra lo Stato e i comuni interessati. 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/2008, ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 485,  486,  487  e
488 della legge n. 266 del 2005. La norma di cui al comma 485  (e  di
conseguenza quelle  previste  dai  tre  commi  successivi)  e'  stata
considerata lesiva delle competenze regionali, e quindi in  contrasto
con l'art. 117 comma 3 della Costituzione, in quanto norma statale di
dettaglio, emanata in una materia di legislazione concorrente,  cioe'
quella  della  «produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia». 
    In seguito e' intervenuto il decreto-legge n. 78/2010, convertito
con modifiche dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, il  quale,  all'art.
15, ha disposto una nuova proroga delle concessioni per  cinque  anni
(comma 6-ter, lettera b) e ha statuito che  le  somme  incassate  dai
comuni e dallo Stato, versate dai concessionari antecedentemente alla
sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  1   del   2008,   fossero
definitivamente trattenute dagli stessi comuni e dallo  Stato  (comma
6-quinquies). 
    Nuovamente si e' pronunciata la Corte  costituzionale.  Investita
dalle  Regioni  Liguria  e  Emilia   Romagna   della   questione   di
legittimita' costituzionale in ordine ai commi 6-ter, lettere d e  d,
e 6-quater dell'art. 15  citato,  la  Corte  ha  dichiarato,  con  la
sentenza n. 205 del 13 luglio  2011,  tra  l'altro,  l'illegittimita'
costituzionale del comma 6-ter, lettera b, dell'art. 15,  recante  la
proroga delle concessioni. 
    La successiva legge 28  dicembre  2015,  n.  208,  al  comma  671
dell'art. 1, preso atto delle sentenze della Corte costituzionale  n.
1/2008 e n. 205/2011, ha  soppresso  la  disposizione  (compresa  nel
comma 6-quinquies del citato art. 15,  rispetto  al  quale  la  Corte
costituzionale  non  era  stata  investita  di   una   questione   di
costituzionalita') che autorizzava lo Stato  a  trattenere  i  canoni
aggiuntivi unici ricevuti prima della sentenza n.  1/2008,  lasciando
in vigore,  tuttavia,  la  disposizione  che  autorizza  i  comuni  a
trattenere le somme ad essi destinate. 
    La Corte costituzionale - cui il Tribunale regionale delle  acque
pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, con ordinanza 14 marzo
2016, aveva rimesso la questione di  legittimita'  costituzionale  in
ordine  alla  norma  di  cui  all'art.  15,  comma  6-quinquies   del
decreto-legge n. 78/2010 - ha dichiarato, con ordinanza n. 88 del  26
aprile 2017, la manifesta inammissibilita' della questione in  quanto
il giudice rimettente, nella ricostruzione del  quadro  normativo  di
riferimento, non ha considerato la  modifica  operata  con  l'art.  1
comma 671 della legge n. 208/2015. Il procedimento svoltosi avanti il
Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la  Corte  d'appello
di Milano, nell'ambito del quale e' stata sollevata la  questione  di
legittimita' costituzionale, era stato intentato da  Edipower  S.p.a.
avverso i Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia e  delle
finanze e avverso le Agenzie del demanio e delle entrate. 
    Nel presente giudizio, introdotto dalla stessa  societa'  avverso
uno dei comuni che ha trattenuto le somme incassate avvalendosi della
norma citata, parte ricorrente sollecita  il  Tribunale  a  sollevare
questione di legittimita' costituzionale, con  riguardo  all'art.  15
comma 6-quinquies del decreto-legge  n.  78/2010,  ritenendo  che  la
norma, anche nel testo risultante dopo le modifiche  intervenute  nel
2015 e con riguardo alla  frazione  dei  contributi  versati  che  e'
trattenuta dai comuni, confligga con diverse norme costituzionali. 
Disposizioni della Costituzione che si assumono violate.  Profili  di
illegittimita' della norma. Non manifesta infondatezza. 
    Ritiene questo Tribunale regionale delle acque pubbliche  che  la
norma in discorso sia in contrasto con le norme della Costituzione di
seguito indicate. 
1) Violazione dell'art. 136 della Costituzione. 
    In forza di quanto previsto dall'art. 136  della  Costituzione  e
dall'art. 30 comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87, le norme dichiarate
incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo
alla pubblicazione della decisione. Le sentenze di accoglimento della
Corte costituzionale, pertanto, hanno efficacia  retroattiva,  avendo
l'effetto di annullare  le  norme  dichiarate  illegittime.  Da  cio'
deriva il diritto dei soggetti che hanno corrisposto  importi  dovuti
in forza di norme successivamente riconosciute illegittime, come  nel
caso dei canoni aggiuntivi di cui si tratta nel presente giudizio,  a
ripetere quanto pagato. L'unico limite a tale effetto retroattivo  e'
costituito delle  situazioni  consolidate  per  essersi  il  relativo
rapporto  definitivamente  esaurito,  in  virtu'  di   un   giudicato
formatosi o del decorso  di  termini  prescrizionali  o  decadenziali
previsti dalla legge. 
    E' stato da tempo chiarito che il divieto disposto dall'art.  136
della  Costituzione  opera  erga  omnes,  anche  nei  confronti   del
legislatore. Tale norma costituzionale viene quindi violata  ove  una
nuova  disposizione  di  legge  disponga  che  una  norma  dichiarata
illegittima conservi la sua efficacia. Cio', non solo ove una  simile
disposizione e' espressamente contenuta in una  norma  ordinaria,  ma
altresi' quando una legge, «per il modo in cui provvede a regolare le
fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore,  persegue
e raggiunge, anche se indirettamente,  lo  stesso  risultato»  (Corte
costituzionale n. 88 del 1966). L'art. 136 della Costituzione impone,
invero,  al  legislatore  di  «accettare  la   immediata   cessazione
dell'efficacia   giuridica   della    norma    illegittima»    (Corte
costituzionale n. 83 del 1963 e n. 223 del 1983) e non consente  che,
attraverso   una    norma    emanata    dopo    la    pronuncia    di
incostituzionalita',   vengano   «salvati»   gli   effetti   di   una
disposizione che, in ragione della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale, non e' in grado di produrne (Corte costituzionale  n.
169 del 2015), cosi' facendo in modo che i fatti avvenuti prima della
declaratoria di  incostituzionalita'  siano  valutati  come  se  tale
declaratoria non fosse intervenuta. 
    La  disposizione  di  cui  all'art.  15  comma  6-quinquies   del
decreto-legge  n.  78/2010,  nel   prevedere   che   i   comuni   non
restituiscano ai  concessionari  i  canoni  aggiuntivi  incassati  in
virtu' di una norma dichiarata incostituzionale, pare costituire  una
violazione dell'art. 136 della Costituzione, interpretato  nel  senso
sopra  chiarito.  Gli  effetti  che  la  norma  incostituzionale   ha
prodotto, anche se per  un  arco  di  tempo  inferiore  al  previsto,
vengono  infatti  fatti  salvi,  con  il  risultato  di  privare   di
efficacia, con riguardo alle annualita' versate prima  del  2008,  la
sentenza n. 1 del 2008 della Corte costituzionale. 
2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Sotto un diverso profilo la norma censurata appare, nel testo che
risulta a  seguito  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
205/2011,  in  contrasto  con  l'art.  3  della   Costituzione,   per
violazione del criterio di ragionevolezza. I commi 485-486  dell'art.
2 della legge  n.  266/2005,  ponevano  a  carico  dei  concessionari
l'obbligo di versare un canone aggiuntivo quale contropartita per  la
proroga della scadenza delle concessioni, giustificata  in  relazione
alla necessita' di completare  il  processo  di  «liberalizzazione  e
integrazione europea del  mercato  interno  dell'energia  elettrica».
L'art. 15 del decreto-legge n. 78/2010 ripropone il medesimo  schema:
dispone  una  nuova   proroga   delle   concessioni   (questa   volta
giustificata dall'esigenza di consentire il rispetto del termine  per
l'indizione delle gare e garantire un equo indennizzo agli  operatori
economici per gli investimenti effettuati ai sensi dell'art. 1, comma
485, della legge n. 266/2005) e al contempo prevede l'irripetibilita'
dei canoni versati per le annualita' 2006 e 2007. 
    La  proroga  disposta  dal  decreto-legge  n.  78/2010  e'  stata
dichiarata incostituzionale con  sentenza  n.  205/2011  della  Corte
costituzionale. Viene meno, quindi, il rapporto di «corrispettivita'»
tra il prolungamento della concessione e l'imposizione  di  un  onere
economico (pur sotto la forma della confisca del credito  conseguente
alla pronuncia  del  2008  della  Corte  costituzionale).  Ne  deriva
l'irragionevolezza della disposizione. 
    Ne' puo' affermarsi, come sostiene parte intimata, che  la  norma
si giustificherebbe comunque per il fatto che i  concessionari  hanno
in ogni caso goduto della proroga  fino  all'intervento  della  Corte
costituzionale. Cio',  infatti,  potrebbe  valere,  al  piu',  per  i
concessionari che  hanno  effettivamente  beneficiato  della  proroga
concessa con la legge n. 266/2005. Tuttavia l'imposizione del  canone
aggiuntivo ha avuto effetto, a decorrere dal  2006,  con  riguardo  a
tutti i titolari di concessioni in essere alla  data  di  entrata  in
vigore della legge, compresi  quelli,  come  la  ricorrente,  la  cui
concessione non sarebbe comunque  ancora  giunta  alla  sua  prevista
scadenza temporale prima del 2008. Di fatto, quindi,  A2A  S.p.a.  (e
con  essa  tutti  i  concessionari  che  si  trovano  nelle  medesime
condizioni)  non  ha  beneficiato  in  alcun  modo  della  temporanea
applicazione della disposizione che prevedeva il prolungamento  delle
concessioni,  ne',   dato   il   duplice   intervento   della   Corte
costituzionale, ne beneficera' quando le concessioni scadranno. 
    La norma impugnata, pertanto, appare priva di  ragionevolezza  e,
in tal senso, contraria all'art. 3 della Costituzione. 
    Per  le  ragioni   suesposte   la   questione   di   legittimita'
costituzionale posta da parte ricorrente  non  appare  manifestamente
infondata e merita di essere rimessa  alla  valutazione  della  Corte
costituzionale. A cio' consegue, come  previsto  dall'art.  23  della
legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del giudizio in corso.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale regionale delle acque pubbliche, 
    Visti l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e
l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale relativa all'art.  15  comma  6-quinquies
del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Sospende il processo; 
    Manda alla cancelleria per la trasmissione degli atti alla  Corte
costituzionale,  nonche'  per  la  notificazione   alle   parti,   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  la   comunicazione   ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Dispone che, assieme agli atti del processo, sia  trasmessa  alla
Corte  costituzionale  anche  l'attestazione  delle  notificazioni  e
comunicazioni suindicate. 
        Venezia, 6 giugno 2019 
 
                     Il Presidente: Taglialatela