N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 2020

Ordinanza  del  19  giugno  2020  del  Tribunale   di   Crotone   nel
procedimento penale a carico di B.S. e P.G.. 
 
Processo penale - Reati e  pene  -  Misure  urgenti  per  contrastare
  l'emergenza  epidemiologica  da   COVID-19   -   Previsione   della
  sospensione del corso della prescrizione dei reati  commessi  prima
  del 9 marzo per un periodo di tempo  pari  a  quello  in  cui  sono
  sospesi  i  termini  per  il  compimento  di  qualsiasi  atto   dei
  procedimenti penali. 
- Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18  (Misure  di  potenziamento  del
  Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per  famiglie,
  lavoratori  e  imprese  connesse  all'emergenza  epidemiologica  da
  COVID-19), convertito, con modificazioni,  nella  legge  24  aprile
  2020, n. 27, art. 83, comma 4. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
 
                        TRIBUNALE DI CROTONE 
                           sezione penale 
 
    Il giudice dott.ssa Federica Girardi, all'udienza del  giorno  19
giugno 2020, ha pronunciato la presente ordinanza (di rimessione alla
Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale); 
    Visti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato,  nei
confronti di B.S., nato a [...] in data [...]; P.G.,  nato  a  C.  in
data [...] imputati in ordine ai seguenti fatti-reato: delitto di cui
agli articoli 56, 81 cpv, 110 e 629 del codice  penale  per  aver  il
B.S. talvolta singolarmente, talaltra in concorso con P.G., con  piu'
condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, posto in  essere
atti di violenza e minaccia idonei e diretti in modo non  equivoco  a
costringere A.R. (titolare di un'azienda agricola sita in loc.  «...»
di [...]) a consegnargli somme  di  denaro;  segnatamente,  per  aver
minacciato il predetto A.R.: 
        nell'aprile del 2011, appendendo  al  cancello  del  cantiere
sito in localita' [...], in cui sono custoditi alcuni mezzi agricoli,
una busta di plastica - rinvenuta da un suo dipendente. A.G. - al cui
interno vi erano delle munizioni e una bottiglia piena di benzina; 
        nel maggio 2011 presentandosi assieme al P. che, dopo  averlo
minacciato con la seguente espressione: «ti ricordi delle cartucce  e
della benzina che hai trovato a [...]? - tu lo sai che c'e' un capo a
[...] e quindi se vuoi lavorare tranquillo si deve, indicava  con  il
dito B.S., dicendo: il capo di [...] e' lui!»; 
        nell'estate del 2010 sciogliendo  sessanta  balle  di  fieno,
raccolte e legate,  poste  su  di  un  terreno  nella  disponibilita'
dell'[...], danneggiandole e rendendole inutilizzabili; 
        il 28 novembre 2011  lasciando  arbitrariamente  sul  terreno
nella  disponibilita'  dell'A.  sito  in  localita'  [...]   sia   un
fuoristrada sia un mezzo agricolo del tipo «frangizolle», per  poi  -
alla richiesta di spiegazioni riguardo tale gesto  e  all'intimazione
di rimuovere i mezzi - minacciarlo nuovamente, dicendogli:  «se  vuoi
stare tranquillo e poter lavorare sui  tuoi  terreni,  devi  pagarmi,
devi pagare la mazzetta come fanno tutti, hai  capito?  -  altrimenti
comincerai ad avere qualche problema prima al terreno e poi a tutti i
mezzi meccanici che hai e che utilizzi» e rivendicando al contempo il
danneggiamento delle balle di fieno con testuali parole: «ti  ricordo
quando hai trovato le balle di paglia con  i  lacci  di  contenimento
tutti tagliati, non ti e' bastato, non vuoi capire?»; 
    Non essendosi verificata alcuna consegna di denaro e non  essendo
riuscito a conseguire alcun ingiusto profitto, in quanto l'[...]  non
cedeva alle sue richieste. 
    Fatti commessi in [...] e [...] tra l'estate del 2010 e  novembre
2011; 
    Considerato che il presente giudizio, per  i  motivi  di  seguito
esposti, non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale dell'art.  83,  quarto
comma, del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,  convertito  con
modificazioni dalla legge 24  aprile  2020,  n.  27,  in  riferimento
all'art.  25,  secondo  comma  della   Costituzione   e   117   della
Costituzione in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la'
dove prevede che il corso della prescrizione dei reati commessi prima
del 9 marzo 2020 rimane sospeso per un periodo di tempo pari a quello
in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei
procedimenti penali; 
    Ritenuta non manifestamente infondata la  predetta  questione  di
legittimita'  costituzionale,  per  le  ragioni  meglio  chiarite  in
prosieguo; 
 
                               Osserva 
 
Sui fatti oggetto di giudizio e sull'istanza proposta dalla difesa. 
    In via preliminare, occorre evidenziare che il presente  giudizio
ha ad oggetto  una  serie  di  contestazioni,  tutte  concernenti  il
delitto di tentata estorsione e riguardanti fatti commessi «in  [...]
e [...] tra l'estate del 2010 e il novembre del 2011».  L'ufficio  di
procura, in  particolare,  ha  contestato  quattro  singoli  episodi,
rispettivamente occorsi nell'aprile del 2011, nel  maggio  del  2011,
nell'estate  del  2010  e  il  28  novembre  2011   (cfr.   capo   di
imputazione). 
    In  ordine  a  tali  contestazioni,  l'azione  penale  e'   stata
esercitata,  mediante  richiesta  di   rinvio   a   giudizio   e   il
consequenziale decreto che dispone il giudizio  e'  stato  emesso  in
data 18 ottobre 2013. 
    All'udienza del  5  giugno  2020,  la  difesa  di  B.S.  e  P.G.,
asserendo che la prescrizione  dei  reati  in  contestazione  sarebbe
maturata  in  data  15  maggio  2020  se  non  fosse  intervenuta  la
sospensione dei termini prescrizionali dal 9 marzo 2020 all'11 maggio
2020, ha avanzato richiesta affinche' lo scrivente giudice sollevasse
questione di legittimita' costituzionale relativamente  all'art.  83,
comma 4, del decreto-legge 17  marzo  2020,  n.  18,  convertito  con
modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento  agli
articoli 25, comma 2 della Costituzione e 117 della  Costituzione  in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    La difesa, in particolare, ha  ancorato  la  propria  istanza  al
corposo filone di pronunce della Consulta e della Corte di  giustizia
dell'Unione europea che ha collocato  l'istituto  della  prescrizione
del reato tra gli istituti di diritto penale sostanziale  e,  dunque,
lo ha sottoposto al principio di legalita', sub specie  di  principio
di irretroattivita' della legge penale sfavorevole. Alla luce di tale
orientamento giurisprudenziale consolidato, la sospensione del  corso
della prescrizione inserita  nel  nostro  ordinamento  dall'art.  83,
comma 4, del decreto-legge 17  marzo  2020,  n.  18,  convertito  con
modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 non  potrebbe  essere
applicata ai fatti commessi anteriormente al  9  marzo  2020,  bensi'
solo a quelli commessi in epoca successiva. 
Sulla norma oggetto della questione di legittimita' costituzionale. 
    Al fine di  meglio  chiarire  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale proposta con il  presente  provvedimento,
occorre  preliminarmente  ricostruire   il   complesso   degli   atti
legislativi disposti in conseguenza dell'emergenza epidemiologica  da
Covid-19, soffermandosi in particolare  sul  decreto-legge  17  marzo
2020, n. 18. Tale ultimo atto, infatti, deve essere letto nell'ambito
della sequela di  interventi  legislativi,  eccezionali  ed  urgenti,
inaugurata con decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 e chiusa,  per  quel
che qui rileva, dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23. 
    Con il decreto-legge n. 11/2020 (dapprima abrogato  dall'art.  1,
comma  2,  della  medesima  legge  24  27/2020,  di  conversione  del
decreto-legge n. 18/2020, e poi decaduto, in data 7 maggio 2020,  per
mancata conversione in legge, nel termine fissato dalla Costituzione)
e' stato inizialmente previsto «il differimento urgente delle udienze
e una  sospensione  dei  termini  nei  procedimenti  civili,  penali,
tributari e militari sino al 22 marzo 2020» (cosi', testualmente,  la
relazione  illustrativa  al  d.d.l.  di  conversione  in  legge   del
decreto-legge n. 18/2020). 
    Il termine del 22 marzo 2020 e' stato poi prorogato, dapprima, al
15 aprile 2020, in forza dell'art. 83, primo comma, decreto-legge  n.
18/2020 e, successivamente, all'11 maggio 2020, in  virtu'  dell'art.
36, primo comma, del decreto-legge n. 23/2020, che  non  ha  tuttavia
sostituito il pregresso termine inscritto  nel  corpo  dell'art.  83,
limitandosi a disporne la proroga, con autonoma disposizione. 
    L'art. 83, comma 1, del decreto-legge n. 18/2020, nella  versione
attualmente in vigore, prevede al comma primo che «dal 9  marzo  2020
al 15 aprile  2020  le  udienze  dei  procedimenti  civili  e  penali
pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d'ufficio a
data successiva al 15 aprile 2020», aggiungendo,  al  secondo  comma,
che «dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 e'  sospeso  il  decorso  dei
termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e
penali». Prevede poi l'art. 36, comma 1, del decreto-legge n. 23/2020
che «il termine del 15 aprile 2020 previsto dall'art. 83, commi  1  e
2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 e' prorogato all'11  maggio
2020». 
    Ne' la legge di conversione,  ne'  il  decreto-legge  n.  28/2020
hanno modificato i commi 1  e  2  del  decreto-legge  n.  18/2020  e,
dunque, la disciplina complessivamente  prevista  ai  commi  primo  e
secondo dell'art. 83 del decreto-legge n. 18/2020 - come, d'altronde,
espressamente  affermato  e  riconosciuto  dallo  stesso  legislatore
governativo  nella   relazione   al   d.d.l.   di   conversione   del
decreto-legge n. 18/2020 - ruota attorno a un duplice  asse:  da  una
parte, la necessita' di «sospendere tutte  le  attivita'  processuali
allo scopo di ridurre al minimo quelle forme  di  contatto  personale
che favoriscono il propagarsi dell'epidemia»; dall'altra,  l'esigenza
di «neutralizzare ogni effetto negativo che il  massivo  differimento
delle attivita'  processuali  disposto  al  comma  1  avrebbe  potuto
dispiegare sulla  tutela  dei  diritti  per  effetto  del  potenziale
decorso dei termini  processuali»  (cfr.  relazione  illustrativa  al
d.d.l. di conversione del decreto-legge 18/2020). 
    In altri termini, se nel primo comma viene prescritto il «massivo
differimento» di ogni attivita' processuale, disponendosi  il  rinvio
obbligatorio di tutte le udienze gia' fissate tra il 9 marzo  2020  e
l'11  maggio  2020,  nel  secondo  comma  viene  invece  prevista  la
sospensione, per lo stesso periodo di tempo, del decorso dei  termini
processuali. 
    Resta pertanto fermo quanto gia'  previsto  dal  decreto-legge  e
dunque, nella cd. fase 1, e' sospeso il decorso dei  termini  per  il
compimento di qualsiasi atto del procedimento penale, e non del  solo
processo - fatte salve le eccezioni di cui al comma 3 -  e,  seguendo
l'indicazione contenuta all'art. 83, comma 2, del decreto-legge cit.,
sono pertanto sospesi i termini stabiliti per la fase delle  indagini
preliminari, i termini per l'adozione dei provvedimenti giudiziari  e
per il deposito della loro motivazione, i termini per la proposizione
degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi,  i
termini  per  le  impugnazioni  e,  in  genere,   tutti   i   termini
procedurali, formula questa di evidente chiusura,  con  la  quale  la
sospensione viene tout court estesa a tutti i procedimenti penali, in
qualunque fase e grado essi si trovino, nonche'  a  tutti  i  termini
procedurali, siano essi di prescrizione, o cautelari, o, per esempio,
di conclusione delle indagini preliminari. 
    La sospensione ex lege, nella fase 1, viene dunque dilatata oltre
i confini  della  «pendenza»  del  procedimento  e  investe  tutti  i
procedimenti penali. 
    Ma la disposizione che,  in  questa  sede,  risulta  di  maggiore
rilievo  risiede  nel  quarto  comma  del  citato   art.   83:   «nei
procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai  sensi
del comma 2 e' altresi' sospeso, per  lo  stesso  periodo,  il  corso
della prescrizione». 
    Tale norma non ha subito alcuna modifica e, pertanto,  alla  luce
della ratio della riforma (che mira, nella fase 1 ad una  sospensione
generalizzata e diffusa) va superata l'illogica discrasia dovuta alla
formulazione della norma che, con il richiamo al solo art. 83,  comma
2, sembra inopinatamente escludere i procedimenti in cui  le  udienze
vengano rinviate d'ufficio ai sensi  dell'art.  83,  comma  1;  resta
dunque inalterata, per la fase 1, la  generalizzata  sospensione  dei
termini e, per la sua stessa durata, la sospensione del  corso  della
prescrizione relativamente a tutti i procedimenti penali pendenti. 
    Il legislatore  ha  infatti  istituito  uno  stretto  legame  tra
sospensione dei termini processuali e  sospensione  del  corso  della
prescrizione, ancorando quest'ultima alla prima,  sia  per  quel  che
concerne  i  presupposti  applicativi,  sia  per  quel  che  riguarda
l'estensione temporale. Pertanto, la' dove siano  sospesi  i  termini
per  il  compimento  di  qualsiasi  attivita'  processuale,  restera'
parimenti sospeso il corso della  prescrizione,  per  un  periodo  di
tempo, sempre fisso e prestabilito, corrispondente all'arco di  tempo
che intercorre tra il 9 marzo e l'11 maggio 2020, pari a  complessivi
sessantatre' giorni. 
    In ragione di siffatti rilievi, ritiene pertanto il tribunale che
la prescrizione del reato  contestato  nel  presente  giudizio  debba
intendersi  sospesa,  in  virtu'   dell'art.   83,   comma   4,   del
decreto-legge  n.  18/2020,  per  complessivi  sessantatre'   giorni,
dovendosi pertanto posticipare al  15  agosto  2020  il  decorso  del
termine massimo di prescrizione, per le ragioni che di qui a poco  si
esporranno. 
    Le considerazioni e i  rilievi  innanzi  esposti,  ad  avviso  di
questo  giudice,  depongono  tutti  nel   senso   di   escludere   la
possibilita'  che  il  presente  giudizio   possa   essere   definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83, comma  4,  del  decreto-legge  17  marzo
2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020,
n. 27, in riferimento all'art.  25,  comma  2  della  Costituzione  e
all'art.  117  della  Costituzione  in  relazione  all'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
Sul termine di prescrizione del reato contestato  e  sulla  rilevanza
della questione nel presente giudizio. 
    Tanto  premesso,  e'  necessario  precisare  la  data  ultima  di
consumazione   dei    fatti    estorsivi    in    contestazione    e,
conseguentemente,  procedere  all'individuazione   del   termine   di
prescrizione. 
    Trattasi, invero, di ipotesi delittuosa tentata - punita  con  la
pena massima della reclusione pari a sei  anni  e  otto  mesi,  cosi'
individuata applicando la riduzione di un terzo ex art. 56 del codice
penale alla  pena  massima  edittalmente  stabilita  per  il  delitto
consumato - la cui data ultima di consumazione va individuata  al  28
novembre 2011. 
    Ebbene, l'art.  157  del  codice  di  procedura  penale  -  nella
formulazione introdotta con la legge n. 251/2005, entrata  in  vigore
l'8 dicembre 2005 e  pertanto  certamente  applicabile  ai  fatti  in
contestazione - prevede che la prescrizione estingue il reato decorso
il tempo corrispondente al  massimo  della  pena  edittale  stabilita
dalla legge o comunque decorso un tempo non inferiore a sei anni  per
i reati di tipo delittuoso e non superiore, ex art.  161  ult.  comma
del codice penale, al termine massimo  individuato  aumentato  di  un
quarto, e dunque non superiore, nel caso di specie,  a  otto  anni  e
quattro  mesi.  Tale  termine  risulta  poi  ulteriormente  allungato
considerando  la  sospensione  dovuta  all'adesione   del   difensore
all'astensione proclamata per l'udienza del 6 dicembre 2019 ed avente
una durata pari a giorni settantasette (fino alla successiva  udienza
del 21 febbraio 2020), nonche' la  sospensione  introdotta  dall'art.
83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,  convertito  con
modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n.  27,  pari  a  ulteriori
sessantatre' giorni. 
    Ebbene, al fine  di  comprendere  la  rilevanza  della  questione
avanzata dalla difesa nel caso di specie, va evidenziato che,  se  la
norma della quale si invoca l'incostituzionalita' non fosse mai stata
introdotta, i fatti in contestazione si sarebbero prescritti in  data
13 giugno 2020; tuttavia, proprio in virtu'  dell'entrata  in  vigore
della nuova ipotesi di sospensione in parola, il decorso del  termine
massimo di prescrizione risulta slittato in avanti sino al 15  agosto
2020. 
    E' semplice comprendere, dunque, che la questione di legittimita'
dall'art. 83, comma 4,  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,
convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 ha una
piana rilevanza nel  caso  che  ci  occupa,  trattandosi  inoltre  di
processo pendente in piena fase di istruttoria a carico. 
Sulla fondatezza della questione proposta  e  sull'impossibilita'  di
giungere ad un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Per comprendere appieno la fondatezza della  questione  proposta,
e' necessario a questo punto analizzare le peculiarita'  della  nuova
ipotesi  di  sospensione  del  termine  di  prescrizione   introdotta
dall'art. 83, comma 4,  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,
convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.  Tale
norma ha infatti si' introdotto ex novo un «evento» del  decorso  del
termine  prescrizionale  legato  ad  una  sospensione  ex  lege   del
procedimento penale - come gia' avvenuto in passato - ma lo ha  fatto
in virtu' del dilagare di un'emergenza sanitaria nazionale e globale.
Dunque, la ratio che ha di certo condotto il legislatore a  prevedere
tale sospensione obbligata dell'attivita' processuale  nazionale  non
sembra in alcun modo connessa ad un disinteresse all'attuazione della
pretesa punitiva, bensi' dipendente  dalla  oggettiva  impossibilita'
dell'ordinamento di  esercitare  le  funzioni  giurisdizionali  senza
ledere il diritto alla  salute  di  tutti  gli  utenti  degli  uffici
giudiziari. 
    Il legislatore ha cosi' previsto la sospensione del  decorso  dei
termini prescrizionali al fine di evitare che la forzata e  obbligata
inattivita' degli organi giurisdizionali potesse andare a  favore  di
alcuni soggetti, i quali avrebbero inopinatamente  beneficiato  della
stasi giudiziaria, senza che la stessa potesse essere in  alcun  modo
legata allo scemare dell'interesse dello Stato alla  repressione  dei
reati. 
    Il legislatore ha dunque inserito un'ipotesi di sospensione della
prescrizione avente una particolare efficacia retroattiva, in  quanto
applicabile si' a tutti i fatti commessi prima della sua  entrata  in
vigore gia' sfociati in un procedimento penale (di qualunque stato  e
grado), ma non anche ai fatti commessi prima del 9 marzo 2020, ma non
ancora  approdati  neppure  alla  primissima  fase   delle   indagini
preliminari. 
    Proprio sulla base delle considerazioni appena svolte, sembra che
il legislatore abbia inserito nel nostro ordinamento la  prima  causa
di sospensione dei termini di prescrizione avente valenza prettamente
processuale e non sostanziale e,  percio',  sottoposta  al  principio
tempus  regit  actum  invece  che   all'inderogabile   principio   di
irretroattivita' della legge penale sfavorevole, di cui agli articoli
25 della Costituzione e 117 della Costituzione in relazione  all'art.
7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali. 
    E' d'obbligo  rilevare,  tuttavia,  che  nel  nostro  ordinamento
all'istituto  della  prescrizione   e'   stata   attribuita   valenza
sostanziale, incidendo lo stesso sulla pena latu sensu intesa  e  sul
diritto dei consociati di conoscere e prevedere  le  conseguenze  cui
possono incorrere commettendo un reato. 
    L'istituto  in  parola,  dunque,  deve   necessariamente   essere
sottoposto al principio di legalita' e  tutte  le  modifiche  che  lo
riguardano devono essere regolate dal principio della  retroattivita'
della lex mitior e  da  quello  della  irretroattivita'  della  legge
penale sfavorevole. Pur riconoscendosi una doppia anima dell'istituto
della prescrizione, avente natura ibrida in quanto  legata  a  doppio
filo a vicende processuali per quanto concerne gli eventi connessi al
suo decorso, questa causa di estinzione del  reato  e  tutte  le  sue
vicende sono state sempre ricondotte sotto  l'alveo  applicativo  dei
principi suddetti e, dunque, le modifiche in peius  della  disciplina
della prescrizione  sono  state  applicate  solo  ai  fatti  commessi
successivamente all'entrata in vigore delle novelle normative. 
    Infatti, la giurisprudenza costituzionale, nel  recente  passato,
ha riconosciuto natura sostanziale  all'istituto  della  prescrizione
del reato, traendone conseguenze proprio in  ordine  all'applicazione
dei principi in materia di diritto intertemporale. 
    Con  la  sentenza  n.  393/2006,  relativa  alla  riforma   della
prescrizione del reato realizzata nel 2005 dalla legge «ex  Cirielli»
(legge n. 251/2005), la Corte  costituzionale  ha  affermato  che  il
principio di retroattivita' della legge penale favorevole all'agente,
radicato nell'art. 3 della Costituzione,  opera  in  rapporto  a  una
legge che, a processo in corso, abbrevi i termini di prescrizione del
reato. Quel principio, secondo la Corte, puo' subire deroghe solo nei
limiti della ragionevolezza, cio' che in quel  caso  fu  escluso.  In
particolare, la Corte  costituzionale  in  quell'occasione  dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma  3,  della  legge
«ex Cirielli» nella parte in cui escludeva che  i  nuovi  termini  di
prescrizione del reato, ove risultassero piu' brevi, si  applicassero
ai processi gia' pendenti in  primo  grado  ove  vi  fosse  stata  la
dichiarazione di apertura del dibattimento, nonche' ai processi  gia'
pendenti in grado di appello  o  avanti  alla  Corte  di  cassazione.
Secondo la sentenza n. 393 del 2006, la  soluzione  che  inquadra  le
modifiche  in  melius  del  regime  della  prescrizione   del   reato
nell'ambito del principio  di  retroattivita'  della  lex  mitior  e'
«coerente con la natura sostanziale della prescrizione  (sentenza  n.
275 del 1990) e con l'effetto da essa prodotto, in quanto «il decorso
del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina  la
punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa  di
rinuncia totale dello Stato alla  potesta'  punitiva»  (Cassazione  -
sezione I - 8 maggio 1998, n. 7442). Tale effetto, peraltro,  esprime
l'«interesse generale di non piu'  perseguire  i  reati  rispetto  ai
quali il lungo tempo decorso dopo la  loro  commissione  abbia  fatto
venir meno, o notevolmente attenuato [...] l'allarme della  coscienza
comune, ed altresi'  reso  difficile,  a  volte,  l'acquisizione  del
materiale probatorio» (sentenza n. 202 del 1971; v. anche sentenza n.
254 del 1985; ordinanza n. 337 del 1999). Pertanto,  le  norme  sulla
prescrizione dei reati, ove piu' favorevoli al reo, rispetto a quelle
vigenti al momento della commissione del fatto,  devono  conformarsi,
in linea generale, al principio previsto  dalla  citata  disposizione
del codice penale». E' un principio,  questo,  ribadito  dalla  Corte
costituzionale nella successiva sentenza n.  324/2008:  «e'  pacifico
[...] che la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale,  e'
soggetta alla disciplina di cui all'art. 2, quarto comma, del  codice
penale che prevede la  regola  generale  della  retroattivita'  della
norma piu' favorevole, in quanto "il decorso del tempo non si  limita
ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se' e per
se', nel senso che costituisce una causa  di  rinuncia  totale  dello
Stato alla potesta' punitiva"». 
    Come e' facile notare, in occasione della riforma attuata con  la
legge «ex Cirielli», la giurisprudenza costituzionale non si  occupo'
del  problema  opposto  e,  cioe',  del   divieto   di   applicazione
retroattiva delle modifiche in malam partem, che  avevano  comportato
(ad es., in rapporto alle contravvenzioni)  termini  di  prescrizione
del reato piu' lunghi. Il  problema  fu  infatti  in  quell'occasione
risolto dal legislatore, stabilendo espressamente  che  le  riformate
disposizioni «non si applicano ai procedimenti e ai processi in corso
se i nuovi termini di prescrizione risultano piu'  lunghi  di  quelli
previgenti» (art. 10, comma 2, legge n. 251/2005). 
    Un'analoga  disposizione  transitoria  e'  stata  inserita  nella
successiva legge di riforma dell'istituto, che interesso' proprio  il
meccanismo della sospensione del corso  della  prescrizione.  Con  la
legge Orlando, nel 2017, fu come  e'  noto  introdotta  un'automatica
sospensione correlata ai gradi di giudizio; ebbene, tale sospensione,
per espressa previsione normativa (art. 1, comma 15, della  legge  n.
103/2017), poteva operare in  relazione  ai  procedimenti  per  fatti
commessi dopo l'entrata  in  vigore  della  legge  stessa.  Nulla  ha
previsto  a  riguardo,  invece,   l'ultima   riforma   dell'istituto,
realizzata nel 2019 (a decorrere dal 1°  gennaio  2020)  dalla  legge
Bonafede, meglio nota come legge «spazzacorrotti».  Anche  in  questo
caso, come si sa, il  legislatore  e'  intervenuto  sulla  disciplina
della sospensione  del  corso  della  prescrizione,  stabilendone  in
realta' l'interruzione (il «blocco») dopo la sentenza di primo  grado
o il decreto penale di condanna.  Senonche',  in  considerazione  del
diritto vivente, sembrerebbe pacifico che, anche in  assenza  di  una
disposizione transitoria analoga a quelle delle leggi «ex Cirielli» e
Orlando, la nuova e  piu'  sfavorevole  disciplina  introdotta  dalla
legge Bonafede non possa  trovare  applicazione  retroattiva  per  le
ragioni sin qui evidenziate. 
    La riferibilita' del principio di irretroattivita'  ex  art.  25,
comma 2 della Costituzione all'istituto della prescrizione del reato,
sul  presupposto  della  sua  asserita  natura  sostanziale   e   non
processuale, e' stata affermata pure dalla Corte  costituzionale  con
l'ordinanza n. 24/2017 e con la  sentenza  n.  115/2018,  nell'ambito
della   nota   vicenda   Taricco,   in   rapporto   alla   disciplina
dell'interruzione del corso della prescrizione e, in particolare, del
prolungamento del  termine  per  effetto  di  atti  interruttivi.  In
quell'occasione veniva in rilievo «l'estensione del  potere  punitivo
pubblico oltre il limite temporale previsto al tempo del  fatto»  non
gia' - si noti - in conseguenza di una modifica normativa, bensi' per
effetto della sentenza Taricco della Corte di  giustizia  dell'Unione
europea, alla luce della quale il giudice penale, in materia di gravi
frodi a danno degli interessi finanziari dell'Unione europea  avrebbe
dovuto disapplicare la disposizione codicistica che, in  presenza  di
atti interruttivi, pone un limite al termine di  durata  massima  del
corso della prescrizione. Cio' avrebbe comportato, secondo  la  Corte
costituzionale, in relazione ai fatti commessi prima  della  sentenza
Taricco, un vulnus all'art. 25, comma 2, della Costituzione.  Secondo
la Corte, infatti, «un istituto che incide  sulla  punibilita'  della
persona, riconnettendo al decorso del  tempo  l'effetto  di  impedire
l'applicazione della pena, nel nostro ordinamento  giuridico  rientra
nell'alveo  costituzionale  del   principio   di   legalita'   penale
sostanziale enunciato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione
con formula di particolare ampiezza». La prescrizione pertanto  «deve
essere considerata un istituto sostanziale, che il  legislatore  puo'
modulare attraverso  un  ragionevole  bilanciamento  tra  il  diritto
all'oblio e l'interesse a perseguire i reati fino a quando  l'allarme
sociale indotto dal reato non  sia  venuto  meno  (potendosene  anche
escludere l'applicazione per delitti di estrema gravita'), ma  sempre
nel  rispetto  di  tale  premessa  costituzionale  inderogabile   (ex
plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del  2010
e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288
del 1999)» (sentenza n. 115/2018). 
    Infine, anche con le sentenze n. 143 del 2014 e n. 265 del  2017,
la Corte costituzionale ha ribadito fermamente la natura  sostanziale
dell'istituto della prescrizione e la sua conseguenziale applicazione
irretroattiva   per   le   modifiche   sfavorevoli   in    relazione,
rispettivamente, al raddoppio dei termini di prescrizione del delitto
di incendio colposo e del delitto di cui al combinato disposto  degli
articoli 434 e 449 del codice penale. 
    Nella pronuncia n. 265 del 2017, in particolare, la Corte afferma
che  la  prescrizione  «pur  potendo  assumere  una   valenza   anche
processuale, in rapporto alla garanzia della ragionevole  durata  del
processo  (art.  111,  secondo  comma,  della   Costituzione)   [...]
costituisce,  nel  vigente  ordinamento,  un   istituto   di   natura
sostanziale [...] la cui ratio "si  collega  preminentemente,  da  un
lato, all'"interesse generale di non piu' perseguire i reati rispetto
ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia  fatto
venir meno, o notevolmente attenuato, [...] l'allarme della coscienza
comune" [...]; dall'altro, "al  "diritto  all'oblio"  dei  cittadini,
quando il reato non sia cosi' grave da escludere tale tutela"»  (cfr.
Corte costituzionale - sentenza n. 265 del 2017). 
    Negli  stessi  termini  la  Corte  si  e' espressa  anche   nella
precedente pronuncia n. 143  del  2014:  «sebbene  possa  proiettarsi
anche sul piano processuale - concorrendo, in specie, a realizzare la
garanzia della ragionevole durata del  processo  (art.  111,  secondo
comma,   della   Costituzione)   -   la   prescrizione   costituisce,
nell'attuale configurazione, un istituto di natura sostanziale» (cfr.
Corte costituzionale - sentenza n. 143 del 2014). 
    E' doveroso rilevare, tuttavia,  che  tutte  le  pronunce  appena
citate  fanno  riferimento  a  dei   casi   di   specie   nei   quali
effettivamente si era posto un problema  di  serio  allungamento  dei
termini prescrizionali e, comunque, era intervenuta  una  riforma  di
sistema  avente  carattere  generale  ed  applicabile  ad  un  numero
assolutamente indeterminato di casi. 
    La sospensione dei termini di prescrizione  introdotta  dall'art.
83, comma 4, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,  convertito  con
modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, invece, comporta  un
allungamento dei termini di prescrizione di durata  predeterminata  -
dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 - ed applicabile a tutti i  fatti
commessi prima della sua entrata in vigore che siano gia' sfociati in
un procedimento penale (di qualunque stato e grado), ma non anche  ai
fatti commessi prima del 9 marzo 2020 e non ancora approdati  neppure
alla primissima fase delle indagini preliminari. Come tale, la  nuova
ipotesi di sospensione introdotta dal decreto-legge cd.  Cura  Italia
sembra differenziarsi da tutte le ipotesi sulle quali la Consulta  ha
gia' avuto modo di pronunciarsi. La norma di cui all'art.  83,  comma
4, del decreto-legge citato trova la sua ispirazione nel fatto che lo
Stato si e' trovato a dover necessariamente restare immobile  dinanzi
ad un'emergenza sanitaria di portata mondiale ed appare  percio'  del
tutto slegata da ragioni connesse  al  minore  o  maggiore  interesse
dell'ordinamento alla pretesa punitiva. 
    Un simile intervento «emergenziale» non e' un novum assoluto.  In
passato il legislatore  ha  gia'  emanato  disposizioni  emergenziali
volte a sospendere i procedimenti penali, ma  anche  il  decorso  del
termine di prescrizione  (in  concomitanza  con  alcune  calamita'  -
naturali e non - che interessavano  specifiche  zone  del  territorio
nazionale): si allude all'art. 1, comma 1, del  decreto-legge  n.  73
del 2018 (Sospensione dei termini e dei procedimenti penali  pendenti
dinanzi  al  Tribunale  di  Bari);  all'art.   49,   comma   9,   del
decreto-legge n. 189 del 2016 (Interventi  urgenti  in  favore  delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016); all'art. 6, comma
9, del decreto-legge n. 74 del 2012  (Interventi  urgenti  in  favore
delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno  interessato
il territorio delle Province di Bologna,  Modena,  Ferrara,  Mantova,
Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012); all'art. 5, comma
8, del decreto-legge n. 39 del 2009  (Interventi  urgenti  in  favore
delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella Regione  Abruzzo
nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di  protezione
civile). 
    Tuttavia, non risulta che la Consulta sia mai stata  chiamata  ad
occuparsi delle omologhe previsioni di sospensione  del  corso  della
prescrizione in occasione  delle  precedenti  leggi  emergenziali  e,
percio', non si e' mai rinvenuto un appiglio  costituzionale  a  quel
minoritario orientamento - per lo piu' dottrinario - che afferma  che
la prescrizione «e' un istituto bizzarro», la cui fisionomia  non  e'
«costituzionalmente  delineata»  e  che,  al  di  la'  di   qualsiasi
approccio nominalistico, cio' che conta e'  il  concreto  atteggiarsi
dell'istituto nel sistema, al fine di evitare possibili «frodi  delle
etichette». 
    Inoltre, vi e' da aggiungere che la disposizione di cui  all'art.
83, comma 4, del decreto-legge cd. Cura Italia se non rappresenta una
novita' dal punto di vista delle ragioni ispiratrici, costituisce  di
certo  un  novum  con  riguardo  al  suo   generalizzato   campo   di
applicazione, in  quanto  risulta  slegata  da  realta'  emergenziali
prettamente locali e territorialmente  circoscritte  ed  applicabile,
invece, all'intero territorio nazionale. 
    Nel tentativo di ricondurre a sistema  la  norma  oggi  censurata
potrebbe affermarsi che l'art. 159 del codice penale prevede - tra le
altre ipotesi tipiche - anche la  possibilita'  che  il  corso  della
prescrizione possa essere sospeso «in ogni caso in cui la sospensione
del procedimento o del processo penale  o  dei  termini  di  custodia
cautelare e' imposta da una particolare disposizione di legge». 
    L'applicazione  letterale  dell'art.  159   del   codice   penale
sembrerebbe  dunque  tollerare  la  sospensione   del   corso   della
prescrizione in un  caso  come  quello  in  esame.  Tuttavia  non  e'
possibile  ignorare   il   conseguenziale   quesito   relativo   alla
conformita' o meno al divieto di irretroattivita' della legge  penale
sfavorevole dell'introduzione di «nuove»  cause  di  sospensione  del
corso della prescrizione introdotte con legge in epoca successiva  al
fatto di reato commesso, con una sorta di  rinvio  mobile;  strumento
questo per il cui tramite il legislatore avrebbe deciso di attribuire
preventivo rilievo a qualunque causa  sospensiva  della  prescrizione
introdotta in futuro. Tale esito  esegetico  si  risolverebbe  in  un
surrettizio aggiramento del principio di irretroattivita'  in  peius,
non garantendo, dunque, alle disposizioni sopravvenute una patente di
immunita' da censure di incostituzionalita', se concepite per colpire
anche fatti commessi in epoca precedente. 
    E' infatti indubbio che l'introduzione di una  «nuova»  causa  di
sospensione del corso della prescrizione sia  previsione  sfavorevole
all'imputato ed e' doveroso percio' analizzare  le  altre  principali
novelle legislative che hanno agito nel medesimo  senso,  nonche'  il
loro regime di applicazione al fine di verificare le  scelte  che  il
legislatore ha posto in essere in ordine alla loro  applicabilita'  a
fatti commessi antecedentemente. 
    Come gia' visto sopra, la legge Orlando del 2017  recava  in  se'
una  apposita  norma  di  diritto  transitorio   che   ne   prevedeva
l'applicazione ai soli fatti commessi dopo la sua entrata in  vigore;
cosi' come pure la riforma dell'art. 159 del codice  penale  adottata
con legge n. 3 del 2019 (cd.  Spazzacorrotti)  ne  affermava  la  sua
applicazione a decorrere dal 1°  gennaio  2020,  intendendosi  -  per
consolidato orientamento - che la stessa risultava  applicabile  solo
ai fatti commessi successivamente a tale data. 
    Anche la legge n. 251 del  2005  «ex  Cirielli»  contemplava  una
norma di diritto transitorio che e' stata anche sottoposta al  vaglio
della Consulta, come gia' visto. 
    Le  riforme  appena  citate  hanno  certamente   comportato   una
rivisitazione strutturale dell'istituto della  prescrizione  e  delle
sue vicende, la cui applicazione, seppur ancorata -  nel  caso  della
legge Orlando  e  della  legge  Spazzacorrotti  -  alla  clausola  di
apertura di cui all'art. 159 del codice  penale,  e'  stata  comunque
limitata da apposite norme  di  diritto  transitorio  solo  ai  fatti
commessi successivamente  alla  loro  entrata  in  vigore,  con  cio'
lasciando  chiaramente  intendere  di   voler   aderire   all'univoco
orientamento della Corte costituzionale che annovera l'istituto della
prescrizione, inteso nella  sua  interezza,  tra  quelli  di  diritto
penale sostanziale e che il semplice aggancio normativo dell'art. 159
del codice penale non e' sufficiente a ritenere coperte dal principio
di irretroattivita' della legge  penale  sfavorevole  le  novelle  in
parola. 
    La medesima scelta legislativa, inoltre, e' stata posta in essere
nelle ipotesi in cui il legislatore e'  intervenuto  a  modificare  o
integrare le ipotesi tipiche di sospensione del decorso  dei  termini
prescrizionali  legate  a  sospensioni   del   procedimento   penale,
espressamente elencate dall'art. 159 del codice penale. 
    Ed invero, la legge n. 103 del 2017 (legge Orlando) nell'incidere
sulle  cause  di  sospensione  legate  alle  ipotesi   di   rogatorie
all'estero e di deferimento di questioni ad  altro  giudizio,  ne  ha
limitato la portata applicativa solo ai fatti commessi in un  momento
successivo alla sua entrata in vigore (cfr. art. 1, comma  15,  della
legge n. 103/2017). 
    Ancora, la legge n. 67 del 2014, nell'aggiungere il numero 3-bis)
all'art. 159 del codice  penale  che  prevede  un'ipotesi  tipica  di
sospensione  della  prescrizione  nel   caso   di   sospensione   del
procedimento ai sensi dell'art. 420-quater, del codice  di  procedura
penale, ha previsto all'art. 15-bis  che  «la  norma  si  applica  ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore  della  presente
legge, a condizione che  nei  medesimi  procedimenti  non  sia  stato
pronunciato il dispositivo  della  sentenza  di  primo  grado».  Tale
previsione, dunque, introduce un'ipotesi di sospensione  dei  termini
prescrizionali applicabile anche ai fatti  commessi  antecedentemente
alla  sua  entrata  in  vigore,  ancorandone  l'applicabilita'   alla
circostanza che il procedimento sia in corso  e  che  non  sia  stata
ancora emessa sentenza di primo grado, limitandone cosi' notevolmente
la portata applicativa. 
    Anche  l'art.  5  della  legge  n.  134  del  2003,  in  tema  di
patteggiamento allargato, ha previsto al suo secondo comma un'ipotesi
particolare   di   sospensione   del   dibattimento,    su    istanza
dell'imputato, per un periodo non inferiore a quarantacinque  giorni,
con consequenziale sospensione  dei  termini  di  prescrizione  e  di
custodia cautelare. Ebbene, perfino in tale occasione, caratterizzata
dal fatto di dipendere da una mera  decisione  dell'imputato  in  tal
senso e, dunque, pensata per tutelare  gli  interessi  di  tutti  gli
attori processuali,  la  Corte  di  cassazione  a  sezioni  unite  e'
intervenuta con sentenza n. 47289 del 10 dicembre 2003  ad  affermare
che il  comma  2  dell'art.  5  della  legge  n.  134/2003  e'  norma
transitoria e, in quanto tale, la sospensione del dibattimento e'  di
carattere eccezionale, da applicare solo nei casi in cui univocamente
lo dispone la lettera della legge. 
    Da ultimo, l'art. 1, comma 466  della  legge  n.  2015  del  2017
(legge finanziaria per il 2018)  ha  inserito  all'art.  420-ter  del
codice di procedura  penale  una  ulteriore  ipotesi  di  impedimento
legittimo a comparire in udienza per il difensore  che  si  trovi  in
stato di gravidanza, ipotesi alla quale consegue la  sospensione  del
processo e, di conseguenza, ai sensi dell'art. 159, n. 3) del  codice
penale, la sospensione del decorso  dei  termini  prescrizionali.  In
tale occasione, tuttavia,  ne'  il  legislatore  ha  inserito  alcuna
disciplina intertemporale, ne' la Consulta e' mai  stata  chiamata  a
pronunciarsi sulla costituzionalita' della norma  in  relazione  agli
articoli 25 della Costituzione e 117 della Costituzione in  relazione
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Come  visto,  dunque,  la  necessita'  di  limitare  la   portata
applicativa   delle   disposizioni   incidenti   sul   regime   della
prescrizione ha da sempre contrassegnato la mente del legislatore,  e
cio' proprio in ossequio al dovere di legiferare nel  rispetto  della
nostra Carta fondamentale e dei principi nel  tempo  enucleati  dalla
Corte costituzionale. 
    L'art. 83, comma 4, del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,
convertito con modificazioni dalla  legge  24  aprile  2020,  n.  27,
tuttavia, sembra differire da tutte le ipotesi sin qui riportate,  in
quanto pur avendo con esse in comune legame  biunivoco  che  lega  la
sospensione  dei  termini   prescrizionali   alla   sospensione   dei
procedimenti,  si  presenta  come  norma  che  si  caratterizza   per
l'eccezionalita' assoluta che ha condotto alla sua  introduzione  nel
nostro ordinamento. 
    La disposizione  censurata,  infatti,  sospende  il  corso  della
prescrizione per una durata prestabilita - dal 9  marzo  2020  all'11
maggio 2020 - e solo in relazione ai procedimenti in corso, lasciando
intendere che la sua applicazione non da' luogo  ad  una  riforma  di
sistema dell'istituto della prescrizione. 
    Proprio  le   circostanze   emergenziali   che   hanno   condotto
all'inserimento di  una  disposizione  di  tal  fatta  costituiscono,
infatti, la ragione per la quale intendendo l'art. 83, comma  4,  del
decreto-legge cd. Cura Italia come applicabile solo ai fatti commessi
dal 9 marzo 2020 in poi, si giungerebbe ad un'interpretatio  abrogans
della normativa emergenziale, che  ne  vanificherebbe  del  tutto  le
rationes ispiratrici. Sembra infatti che non applicando la  norma  in
parola ai fatti gia' commessi, la stessa  non  riuscirebbe  in  alcun
modo a svolgere  la  sua  funzione  di  «neutralizzare  ogni  effetto
negativo che il  massivo  differimento  delle  attivita'  processuali
disposto al comma  1  avrebbe  potuto  dispiegare  sulla  tutela  dei
diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali». 
    Dinanzi ad una norma dotata di tali e tante peculiarita'  -  solo
alcune delle quali affrontate nel presente  provvedimento  in  quanto
rilevanti per il processo de quo - e' dunque necessario domandarsi se
il principio di irretroattivita' della legge penale, di cui  all'art.
25, comma  2  della  Costituzione  e  all'art.  117,  comma  1  della
Costituzione, in relazione all'art. 7 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
operi o meno in rapporto ad una legge che, dopo  la  commissione  del
fatto, sospenda il corso della prescrizione del reato  per  un  certo
periodo, in  ragione  di  un'emergenza  sanitaria  sopravvenuta,  che
impedisca il regolare svolgimento dell'attivita' giudiziaria al  fine
di tutelare il diritto alla salute di tutti gli utenti dei palazzi di
giustizia. 
    Escludere il divieto di applicazione  retroattiva  dell'art.  83,
comma 4, del decreto-legge cd. Cura Italia potrebbe sembrare  l'unica
soluzione ragionevole per evitare di vanificare il  lodevole  intento
del legislatore e garantire che la paralisi del sistema giustizia non
sia foriera di benefici  illegittimi.  La  sospensione  in  tal  caso
sarebbe forzata e, dunque, non imputabile a nessuno e non vi  sarebbe
ragione per cui dovesse tornare a favore di qualcuno. 
    Per giungere a tale soluzione sarebbe necessario approdare per la
prima volta nel nostro sistema  ad  una  «processualizzazione»  della
sospensione dei termini di  prescrizione,  limitatamente  alla  norma
oggi censurata. 
    Tuttavia, la soluzione  favorevole  al  divieto  di  applicazione
retroattiva dell'art. 83, comma 4, del decreto-legge cd. Cura  Italia
sembrerebbe imporsi nel nostro ordinamento alla luce sia del  diritto
vivente sia dei tratti comuni caratterizzanti le novelle  intervenute
in tema di prescrizione nel corso degli anni. Sia  la  giurisprudenza
che  il  legislatore,  infatti,  hanno  mostrato  di  considerare  la
prescrizione del  reato  come  un  istituto  di  natura  sostanziale,
sottratto al principio tempus regit actum ed  attratto  invece  nella
sfera di operativita' del principio di irretroattivita'  della  legge
penale sfavorevole. 
    Inoltre, va sottolineato come l'istituto della sospensione  della
prescrizione trovi la sua ratio  nella  forzata  inattivita'  cui  e'
costretto l'organo che procede: se la prescrizione  ha  l'effetto  di
elidere le possibilita' di far valere la pretesa punitiva dello Stato
contro l'autore di un determinato reato,  e'  logico  che  essa  puo'
operare se ed in quanto la pretesa punitiva possa  essere  esercitata
durante tutto  il  periodo  cui  tale  esercizio  sia  possibile;  ne
consegue che, ove vi siano delle cause  che  impediscano  l'esercizio
dell'azione e/o del procedimento penale, il decorso  del  termine  si
deve arrestare fino a quando la causa anzidetta non sia rimossa (cfr.
Cassazione pen.  18  giugno  1971).  Se  allora  tutte  le  cause  di
sospensione della prescrizione -  compresa  quella  introdotta  dalla
norma oggi censurata - si ancorano alla  medesima  ratio  ispiratrice
appena enunciata, non si comprende se sia possibile differenziarne la
disciplina applicativa senza incorrere in una violazione dei principi
costituzionali che ne governano l'esistenza. 
    L'impossibilita' di individuare un  parametro  costituzionale  di
riferimento  per  l'orientamento  della  «processualizzazione»  della
sospensione  dei  termini  di  prescrizione  -  che  questo   giudice
senz'altro  condivide  in  via  logica  -  rende  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 4, del  decreto-legge
17 marzo 2020, n. 18, convertito con  modificazioni  dalla  legge  24
aprile 2020, n. 27 non manifestamente infondata  e  non  permette  di
addivenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata  della
norma in  parola.  Cio'  e'  legato  anche  al  fatto  che  la  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 114 del 1994, aveva  esplicitamente
evidenziato che anche il regime delle cause di sospensione del  corso
della prescrizione  previsto  dall'art.  159  del  codice  penale  e'
sottoposto al principio  di  legalita'  cristallizzato  nell'art.  25
della Costituzione, dichiarando  cosi'  infondata  una  questione  di
legittimita' costituzionale con cui  si  chiedeva  alla  Consulta  di
introdurre  -  con  un  intervento  additivo  in   malam   partem   -
un'ulteriore ipotesi di sospensione del corso della prescrizione. 
    Neppure   potrebbe   infine   individuarsi   una   via   d'uscita
dell'impasse appena evidenziata invocando una deroga al principio  di
irretroattivita'  posta  in  essere  da  una  legge   eccezionale   e
temporanea.  Si  tratta  infatti,  pacificamente,  di  un   principio
«assolutamente inderogabile» (cosi', ad es., Corte costituzionale  n.
394/2006). Le leggi eccezionali  e  temporanee  possono  derogare  al
principio di retroattivita' della lex mitior, come stabilisce  l'art.
2, comma 5, del codice penale e solo nei limiti della  ragionevolezza
(cfr., tra le molte, Corte costituzionale n. 394/2006). Il  principio
di irretroattivita' in malam partem non tollera invece deroghe, e' un
fondamentale e irrinunciabile principio di civilta' del  diritto  che
«erige un bastione a garanzia dell'individuo contro  possibili  abusi
da parte del  potere  legislativo»  (cosi'  Corte  costituzionale  n.
32/2020). 
    Non a caso, nella prospettiva  del  diritto  dei  diritti  umani,
l'art. 15 della Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  annovera  il  nullum  crimen
nulla poena sine previa lege, ex art. 7 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
tra i diritti che non ammettono deroghe nemmeno «in caso di guerra  o
in caso  di  altro  pericolo  pubblico  che  minacci  la  vita  della
nazione». 
Sugli esatti termini della questione di legittimita' costituzionale. 
    Alla luce delle ragioni  innanzi  esposte,  che  giustificano  la
rilevanza e la non manifesta infondatezza  della  questione  proposta
con la presente ordinanza, s'impone la trasmissione  degli  atti  del
presente giudizio alla Corte costituzionale,  affinche'  si  pronunci
sulla legittimita' costituzionale dell'art.  83,  quarto  comma,  del
decreto-legge 17 marzo 2020,  n.  18,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per contrasto con il principio  di
legalita' in materia penale,  espresso  dagli  articoli  25,  secondo
comma, della Costituzione  e  117  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e, piu' in  particolare,  con
il sotto-principio di irretroattivita' della legge penale sfavorevole
al reo, la' dove e' previsto che  il  corso  della  prescrizione  dei
reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso, per un periodo
di tempo pari  a  quello  in  cui  sono  sospesi  i  termini  per  il
compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale ordinario di Crotone: 
        visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 e ss. legge 11
marzo 1953, n. 87; 
        solleva questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,  convertito
con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27,  in  riferimento
agli articoli 25,  secondo  comma  della  Costituzione  e  117  della
Costituzione in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nei
termini di cui in motivazione; 
        sospende il  presente  giudizio  sino  alla  decisione  sulla
proposta questione di legittimita' costituzionale; 
        dispone l'immediata trasmissione  alla  Corte  costituzionale
della presente ordinanza, insieme con gli atti del giudizio e con  la
prova delle notificazioni e comunicazioni di seguito disposte; 
        dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza: 
          sia notificata agli imputati e alle parti  civili,  nonche'
al Presidente del Consiglio dei ministri  e  che  sia  comunicata  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; 
        da' atto che la presente ordinanza e' stata letta in  udienza
e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono  o
devono considerarsi presenti, ex art. 148,  comma  5  del  codice  di
procedura penale. 
    Cosi' deciso in Crotone, all'udienza del giorno 19 giugno 2020. 
 
                         Il Giudice: Girardi