N. 41 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 gennaio 2021
Ordinanza del 19 gennaio 2021 del G.U.P. del Tribunale di Rimini nel procedimento penale a carico di B. A.. Processo penale - Giudizio abbreviato - Imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio - Mancata previsione della possibilita' di chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo. - Codice di procedura penale, art. 438, comma 1-bis, introdotto dalla legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo).(GU n.15 del 14-4-2021 )
TRIBUNALE DI RIMINI Sezione penale Ufficio del Giudice dell'udienza preliminare questione di legittimita' costituzionale Con richiesta di rinvio a giudizio depositata in data 5 novembre 2020 il Pubblico Ministero chiedeva il rinvio a giudizio di B. A. in relazione al reato di cui agli articoli 575 e 577 n. 1) c.p., poiche' cagionava la morte della nonna materna S. R. , afferrandola per le braccia e colpendola con pugni alla testa, cosi' facendola precipitare al suolo, dove continuava a colpirla al capo ed in varie parti del corpo con pugni, calci ed anche con un corpo contundente, provocandole svariate lesioni ed un grave trauma cranio - facciale; quando la vittima giaceva al suolo ormai in stato di agonia, si portava con il suo corpo sopra di lei, immobilizzandola e stringendole il collo con le mani, soffocandola. All'udienza del 22 dicembre 2020 il difensore e procuratore speciale dell'imputato (vedi procura speciale in atti, aff. 492) chiedeva in via principale l'emissione di sentenza di non luogo a procedere, in subordine insisteva nella richiesta di rito abbreviato avanzata con l'istanza depositata il 18 dicembre 2020, ritenendo che, nel caso in esame, detta richiesta fosse valutabile, nonostante il disposto dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p., a norma del quale «non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo», trattandosi di imputato gia' riconosciuto totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, socialmente pericoloso e in grado di partecipare al processo, «in quanto consapevole del reato commesso, del giudizio che si pone in essere nei suoi confronti, e puo', pur nella dimensione patologica che lo connota, argomentare una propria difesa» (cosi' la perizia in atti, pag. 39, aff. 537). Il Pubblico Ministero si opponeva alla richiesta avanzata in via principale dal difensore, e quanto alla richiesta di giudizio abbreviato, depositava una memoria nella quale invitava il giudicante a sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, c.p.p., inserito dalla legge 12 aprile 2019, n. 33, per violazione degli articoli 2, 3, 27 Cost., anche in relazione agli articoli 32 e 111 Cost. In particolare il rappresentante della Pubblica Accusa ritiene, con riferimento agli articoli 2 e 3 Cost., che la preclusione in esame comporti un irragionevole parificazione di trattamento tra situazioni disomogenee, con effetti dannosi e, pertanto, discriminatori, rispetto al soggetto non imputabile perche' affetto da malattia mentale insanabile. La detta preclusione, con conseguente obbligo di celebrazione di un pubblico processo per i reati puniti con la pena dell'ergastolo nei confronti di un soggetto, reo confesso, completamente incapace di intendere e di volere, periziato in sede di indagini preliminari nelle forme dell'incidente probatorio, non risponderebbe a nessuna delle ragioni che, secondo la recente pronuncia della Consulta n. 260/2020, la giustificano nei confronti dei processi relativi a soggetti imputabili. Nessuno sconto di pena deriva dall'accesso al rito abbreviato per l'imputato non imputabile, ne' vi e' ragionevolmente alcun interesse, da parte delle vittime, alla celebrazione di un pubblico processo nei confronti di una persona che non era capace di autodeterminarsi al momento dei fatti (ne' lo e' tuttora), secondo un accertamento peritale svolto nelle forme dell'incidente probatorio in sede di indagini preliminari, e quindi in una fase anticipata rispetto al dibattimento in cui la disposta perizia varrebbe, comunque, come prova. C'e' anzi - prosegue il Pubblico Ministero - un opposto interesse delle vittime a non riprodurre in dibattimento il ricordo di fatti assai dolorosi, con conseguente ulteriore loro vittimizzazione, anche perche' l'incapacita' totale dell'imputato gli impedirebbe di cogliere qualunque disvalore penale dell'azione commessa, nonostante il pubblico processo. In relazione agli articoli 27 e 32 Cost. il Pubblico Ministero rileva che l'obbligatoria celebrazione del processo nei confronti di soggetto non imputabile, per totale vizio di mente, si tradurrebbe in un comportamento contrario alla dignita' umana. L'imputato infatti esso stesso vittima della sua malattia, avendo soppresso immotivatamente la propria nonna, ovvero colei che si prendeva cura quotidianamente di lui, e non vi sono sanzioni penali che possano essergli applicate; detta malattia, che lo rende pericoloso, impone che, con celerita', venga decisa l'applicazione della misura di sicurezza idonea, che potra' consentirgli di continuare a vivere dignitosamente. A fronte, allora, di una situazione come quella descritta, dovrebbe considerarsi sproporzionata, rispetto alle esigenze di tutela della dignita' e della riservatezza dell'imputato una disciplina come quella in esame, che impone in ogni caso la celebrazione del processo pubblico, anche laddove l'imputato sia soggetto non imputabile, disposto a rinunciare a tale garanzia. In riferimento agli articoli 111, primo e secondo comma Cost., il Pubblico Ministero ritiene che l'onere di procedere in ogni caso con il rito ordinario innanzi alla Corte d'Assise per i reati puniti con l'ergastolo provocherebbe una dilatazione dei tempi processuali non necessaria, e anzi particolarmente gravosa, per soggetti non imputabili che spesso si trovano, come nel caso di specie, assoggettati all'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza. Riallacciandosi alla motivazione adottata nella sentenza n. 260/2020, con la quale la Consulta ha ritenuto non fondata la Questione di legittimita' costituzionale della stessa norma, in relazione a casi non assimilabili a quelli per cui si procede, il Pubblico Ministero evidenzia che la violazione della ragionevole durata del processo deve essere ravvisata allorche' l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza e si riveli, invece, privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (cfr. ex plurimis sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009). Per il soggetto la cui non imputabilita' e' stata gia' accertata nella fase delle indagini preliminari, con perizia formatasi in incidente probatorio, nessuna delle ragioni che rendono opportuna, in generale, la celebrazione di processi pubblici, innanzi alle corti di assise, per i reati puniti con la pena dell'ergastolo, e' ravvisabile. Pertanto, conclude il Pubblico Ministero, si deve ritenere che la dilatazione dei tempi medi di risoluzione dei processi relativi a questi reati, se commessi da non imputabili, determinerebbe di per se' un risultato di «irragionevole» durata di tali processi, all'esito dei quali non potra' essere inflitta una pena, bensi' una misura di sicurezza, alla cui celere definizione l'imputato ha diritto per poter tornare a vivere dignitosamente, non potendo essere ristretto in carcere, ne' fare rientro liberamente nella collettivita', se (come nel caso di specie) pericoloso. Ebbene, come e' noto, nella sua versione originaria, l'art. 442, comma 2, codice di procedura penale prevedeva espressamente la sostituzione della pena dell'ergastolo, all'esito del giudizio abbreviato, con quella della reclusione di anni trenta; dando cosi' per presupposta l'ammissibilita' del rito anche per i reati puniti con tale pena. Con la sentenza n. 176 del 1991, tuttavia, la Corte costituzionale dichiaro' illegittimo l'art. 442, comma 2, codice di procedura penale , nella parte in cui prevedeva che «[a]lla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta» per violazione dell'art. 76 Cost., dal momento che la legge delega prevedeva unicamente, per il giudizio abbreviato, il criterio della diminuzione di un terzo della pena, evidentemente inapplicabile ai reati puniti con l'ergastolo. Il venir meno di tale disposizione, dichiarata incostituzionale, non pote' che determinare - secondo quanto espressamente affermato dalla sentenza n. 176 del 1991 - l'inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai «processi concernenti delitti punibili con l'ergastolo». Risolvendo le incertezze interpretative emerse nella prassi all'indomani di tale pronuncia, le sezioni unite della Corte di cassazione affermarono che l'inammissibilita' del giudizio abbreviato conseguente alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale dovesse valere in ogni caso in cui l'imputazione enucleata nella richiesta di rinvio a giudizio concernesse un reato «punibile» con l'ergastolo, anche laddove il giudice ritenesse in ragione della sussistenza di circostanze attenuanti - doversi in concreto applicare una pena diversa (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 6 marzo 1992, n. 2977). Poco dopo, con l'ordinanza n. 163 del 1992, la Corte costituzionale dichiaro' manifestamente inammissibili le questioni poste da due ordinanze di rimessione, che si dolevano appunto della mancata possibilita' di definire il giudizio con rito abbreviato per i delitti punibili con l'ergastolo, conseguente alla sentenza n. 176 del 1991. La Corte ritenne, in particolare, che l'inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai reati punibili con l'ergastolo non fosse di per se' irragionevole, ne' determinasse ingiustificate disparita' di trattamento rispetto ad altri reati. L'art. 30 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita' spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), la cosiddetta «legge Carotti», ripristino' - nel contesto di una piu' generale modifica dei tratti strutturali del giudizio abbreviato - la possibilita' di accesso a tale rito per i delitti puniti con l'ergastolo, aggiungendo un secondo periodo al comma 2 dell'art. 442 codice di procedura penale, con cui reiterava l'originaria soluzione dei compilatori del codice, prevedendo che «[a]lla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta». Il di poco successivo art. 7 del decreto-legge 23 novembre 2000, n. 341 (Interpretazione autentica dell'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per reati puniti con l'ergastolo), convertito, con modificazioni, nella legge 10 gennaio 2001, n. 4, stabili' quindi che «[n]ell'art. 442, comma 2, ultimo periodo, del codice di procedura penale, l'espressione «pena dell'ergastolo» deve intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno», aggiungendo poi allo stesso art. 442, comma 2, codice di procedura penale Un terzo periodo, dal seguente tenore letterale: «[a]lla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, e' sostituita quella dell'ergastolo». In seguito a tali novelle, dunque, il giudizio abbreviato torno' ad operare anche per i reati punibili con la pena dell'ergastolo, dando luogo - in caso di condanna - alle pene previste dall'art. 442, comma 2, secondo e terzo periodo, codice di procedura penale , in sostituzione, rispettivamente, dell'ergastolo senza isolamento diurno e dell'ergastolo con isolamento diurno. La legge n. 33 del 2019 ha nuovamente previsto l'inapplicabilita' del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. In particolare, l'art. 1, comma 1, lettera a), di tale legge ha introdotto il comma 1-bis dell'art. 438 codice di procedura penale, il quale espressamente stabilisce che «[n]on e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo». L'art. 3 della legge n. 33 del 2019 ha parallelamente abrogato il secondo e il terzo periodo dell'art. 442, comma 2, codice di procedura penale , introdotti - come si e' poc'anzi rammentato - rispettivamente dalla legge Carotti e dal decreto-legge n. 341 del 2000, come convertito, eliminando cosi' le pene eventualmente applicabili in luogo dell'ergastolo (con o senza isolamento diurno) in esito al giudizio abbreviato. Infine, l'art. 5 della legge n. 33 del 2019 stabilisce che le nuove disposizioni «si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore» della legge medesima. La questione e' senz'altro rilevante nel caso di specie, trattandosi di fatto commesso dopo l'entrata in vigore della novella del 2019 ed avendo il difensore, munito di procura speciale, chiesto di definire il processo con rito abbreviato, di talche' giudicante deve necessariamente fare applicazione della norma della cui costituzionalita' si sospetta. Per quanto concerne il requisito della non manifesta infondatezza, conviene rammentare che la Consulta si e' gia' pronunciata in passato, come gia' detto, con l'ordinanza n. 163 del 1992, sulla preclusione del giudizio abbreviato per gli imputati di delitti punibili con l'ergastolo, rilevando che tale disciplina - conseguente alla precedente sentenza n. 176 del 1991, e rimasta in vigore sino alla legge n. 479 del 1999 (supra, punti 5.1. e 5.2.) - «non e' in se' irragionevole, ne' l'esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l'ergastolo, in ragione della maggiore gravita' di essi, determina una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee». In successive pronunce, la Corte ha escluso l'illegittimita' costituzionale delle preclusioni di natura oggettiva, fondate sul titolo astratto del reato, poste dal legislatore all'accesso ad altri riti speciali ad effetto premiale. In particolare, l'ordinanza n. 455 del 2006 ha affermato, con riferimento alla legittimita' costituzionale delle preclusioni al cosiddetto patteggiamento allargato, che «l'individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al trattamento piu' rigoroso - proprio in quanto basata su apprezzamenti di politica criminale, connessi specialmente all'allarme sociale generato dai singoli reati, il quale non e' necessariamente correlato al mero livello della pena edittale - resta affidata alla discrezionalita' del legislatore; e le relative scelte possono venir sindacate dalla Corte solo in rapporto alle eventuali disarmonie del catalogo legislativo, allorche' la sperequazione normativa tra figure omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione». La medesima ordinanza n. 455 del 2006 ha d'altra parte sottolineato che «l'ordinamento annovera un'ampia gamma di ipotesi nelle quali, per ragioni di politica criminale, il legislatore connette al titolo del reato - e non (o non soltanto) al livello della pena edittale - l'applicabilita' di un trattamento sostanziale o processuale piu' rigoroso», formulando poi un lungo elenco di esempi a supporto di tale affermazione, e insistendo sul principio (anche di recente ribadito nella sentenza n. 95 del 2015) secondo cui la discrezionalita' legislativa e' soggetta, rispetto a tali scelte, al solo limite della manifesta irragionevolezza o dell'arbitrarieta'. Con la sentenza n. 260/2020 la Consulta, ritenendo di dover ribadire l'orientamento espresso in passato, ha affermato che non «possa ritenersi produttiva di irragionevoli equiparazioni di trattamento una disciplina processuale che precluda, in via generale, l'accesso al giudizio abbreviato a tutti indistintamente gli imputati di tali reati», dato che «la comminatoria edittale dell'ergastolo - che e' pena anche qualitativamente diversa dalla reclusione, in ragione del suo carattere potenzialmente perpetuo, come evidenzia non a caso l'autonoma considerazione della stessa nell'elenco delle pene principali di cui all'art. 17 codice penale - segnala infatti un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale che non e' qui oggetto di censure, ha ritenuto di formulare; speciale disvalore che sta per l'appunto alla base della scelta del legislatore del 2019 di precludere l'accesso al giudizio abbreviato a tutti gli imputati di tali delitti. Una tale scelta non puo' certo essere qualificata ne' in termini di manifesta irragionevolezza, ne' di arbitrarieta'; e si sottrae pertanto, sotto lo specifico profilo qui esaminato, alle censure dei rimettenti». La Corte ha ritenuto «non manifestamente irragionevole, ne' arbitraria, appare la scelta legislativa di ancorare la preclusione del rito alla pena edittale prevista per il reato per il quale si procede. Un simile ancoraggio si ritrova del resto in una quantita' di istituti di diritto penale sostanziale o processuale (dalla prescrizione alla non punibilita' per particolare tenuita' del fatto, ovvero - in materia processuale dalle misure cautelari alle intercettazioni di comunicazioni); e la sua manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' deve qui tanto piu' escludersi, in quanto la comminatoria che determina la preclusione e' quella della pena piu' grave prevista nel nostro ordinamento, che segnala - come parimenti si e' osservato - una valutazione di massimo disvalore del reato per il quale si procede». Anche con riferimento alle finalita' perseguite dal legislatore, la Corte non ha ravvisato alcuna manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' della scelta del legislatore, che ha ritenuto l'opportunita' che rispetto ai reati piu' gravi previsti dall'ordinamento fosse celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l'imputato, sia per le vittime, di partecipare all'accertamento della verita'». Tutte queste finalita' possono essere o meno condivise; ma ne' le finalita' in se', ne' i mezzi individuati dal legislatore per raggiungerle sono apparsi alla Corte connotabili in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarieta'. Piuttosto, si deve ritenere che una disciplina mirante a imporre in ogni caso, per i delitti piu' gravi previsti dall'ordinamento, lo svolgimento di un processo pubblico avanti una corte a composizione mista - nella quale tra l'altro si invera la previsione costituzionale della «partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.) - rientri nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non e' consentito alla Corte sovrapporre la propria autonoma valutazione. Con riferimento al caso di specie, non puo' negarsi che il fatto commesso dall'imputato sia di estrema gravita', commesso con modalita'. cruente e ai danni della anziana congiunta che si prendeva cura di lui e che, pertanto, permanga anche in ipotesi del genere l'interesse dello Stato, visto l'allarme sociale suscitato dal fatto, alla celebrazione di un processo pubblico con un giudice collegiale a composizione mista, in ossequio al principio di cui all'art. 102, terzo comma, Cost. La considerazione che precede vale anche con riferimento alle ipotesi in cui l'imputato sia stato riconosciuto incapace di intendere e di volere con una perizia espletata in sede di incidente probatorio nel contraddittorio tra le parti perche' il fatto genera allarme sociale a prescindere dalle condizioni soggettive del reo e quindi necessario garantire, anche in tal caso, il controllo dell'opinione pubblica. Per quanto concerne poi i dubbi di compatibilita' dell'art. 438, comma 1-bis, codice di procedura penale con il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., in se' considerato e in relazione agli articoli 2, 3 e 27, secondo comma, Cost. la Consulta nella decisione 260/20, piu' volte richiamata, ha rammentato «la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui e' ben vero che "la facolta' di chiedere i riti alternativi - quando e' riconosciuta - costituisce una modalita', tra le piu' qualificanti ed incisive (sentenze n. 237 del 2012 e n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sentenze n. 273 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 219 del 2004). Ma e' altrettanto vero che la negazione legislativa di tale facolta' in rapporto ad una determinata categoria di reati non vulnera il nucleo incomprimibile del predetto diritto" (sentenza n. 95 del 2015). L'accesso ai riti alternativi costituisce, dunque, parte integrante del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilita' in presenza di certe condizioni; di talche' esso deve essere garantito - o quanto meno deve essere garantito il recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l'accesso tempestivo al rito avrebbe consentito - ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell'imputazione nel corso del processo (sentenza n. 14 del 2020 e precedenti ivi citati). Ma dall'art. 24 Cost. non puo' dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall'ordinamento processuale penale». Pertanto il diritto dell'imputato ad accedere a riti alternativi puo' essere legittimamente compresso in ragione della gravita' del fatto. Quanto poi alla lamentata violazione del diritto di difesa «in relazione» al diritto alla dignita' e alla riservatezza dell'imputato, anche in tal caso torna utile l'insegnamento della Consulta nella sentenza piu' volte citata, secondo cui «non v'e' dubbio che la pubblicita' delle udienze sia concepita dall'art. 6, comma 1, CEDU, dall'art. 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) e dall'art. 14, comma 1, del Patto internazionale dei diritti civili e politici come una garanzia soggettiva dell'imputato. Tuttavia, la dimensione di diritto fondamentale riconosciuta alla pubblicita' dei processi dalle carte internazionali dei diritti alle quali il nostro ordinamento e' vincolato non esaurisce la ratio del principio medesimo, che nel suo nucleo essenziale costituisce altresi' - sul piano oggettivo-ordinamentale - un connotato identitario dello stato di diritto, in chiave di «garanzia di imparzialita' ed obiettivita'» di un processo che «si svolge sotto il controllo dell'opinione pubblica», quale corollario sia del principio secondo cui «[l]a giustizia e' amministrata in nome del popolo» (art. 101,primo comma, Cost.), sia della garanzia di un «giusto processo» (art. 111, primo comma, Cost.) (sentenza n. 373 del 1992). Il che appare di particolare significato nei processi relativi ai reati piu' gravi, «che maggiormente colpiscono l'ordinata convivenza civile» (ancora, sentenza n. 373 del 1992) e addirittura ledono il nucleo dei diritti fondamentali delle vittime, a cominciare dalla loro stessa vita. Di talche' il mero consenso dell'imputato non basta a fondare un suo diritto costituzionale - opposto, e anzi speculare, al suo diritto alla pubblicita' delle udienze - alla celebrazione di un processo «a porte chiuse», al riparo del controllo dell'opinione pubblica. A fronte, allora, di imputazioni relative a delitti gravissimi, come quelli puniti con la pena dell'ergastolo, non puo' considerarsi sproporzionata rispetto alle esigenze di tutela della dignita' e della riservatezza dell'imputato una disciplina come quella all'esame, che impone in ogni caso la celebrazione di un processo pubblico, anche laddove l'imputato sia disposto a rinunziare a tale garanzia». Vale la pena osservare, inoltre, che il diritto alla riservatezza dell'imputato e' gia' stato intaccato, nel momento in cui e' stata eseguita la misura cautelare a suo carico (successivamente sostituita con una misura di sicurezza), in favore del diritto di cronaca, data la risonanza mediatica suscitata dal processo (e da tutti i processi concernenti fatti di particolare allarme sociale). Per quanto detto, la norma di cui si tratta non appare incompatibile con i principi di cui agli articoli 2, 3, 24, 27 e 32 della Carta fondamentale. La censura relativa al principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., appare invece fondata, proprio sulla scorta dell'insegnamento reso dalla Consulta nella piu' volte citata sentenza n. 260/2020, secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. potra' essere ravvisata soltanto allorche' l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)». Per quanto concerne tale parametro, va innanzitutto ricordato che la Costituzione lo declina 'in positivo', onerando il legislatore ordinario di attivarsi per sviluppare appositi strumenti che ne assicurino il rispetto. Quindi il legislatore deve individuare elementi strutturali che garantiscano la ragionevole durata di tutti i processi e non limitarsi a indennizzare le vittime di quelli che, ex post, si siano rivelati troppo lunghi. Questa prospettiva implica che l'impatto operativo delle riforme debba essere necessariamente preso in considerazione. E precludere l'accesso al rito abbreviato ad un imputato riconosciuto, con le garanzie del contraddittorio, incapace di intendere di volere, sembra collidere con principi costituzionali di ragionevolezza, nonche' di efficienza del processo penale», entrambi «affermati, in plurime occasioni, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 460 del 1995, che ha affermato che l'efficienza del processo penale "e' bene costituzionalmente protetto")». Ebbene, nel caso di specie recente dottrina ha osservato come sia palese, in generale l'impatto negativo della disposizione censurata sul sistema giudiziario: l'aumento del carico giudiziario della Corte d'Assise, competente a giudicare ai sensi dell'art. 5 codice di procedura penale, i delitti puniti con l'ergastolo sara' consistente, dato che le statistiche ministeriali (tratti dalla delibera del CSM del 6 febbraio 2019) rappresentano, riguardo ai reati puniti con l'ergastolo, percentuali molto elevate di definizione con giudizio abbreviato. L'incremento dei processi davanti alle Corti d'Assise, conseguenti anche alla stessa particolare composizione dell'organo per la partecipazione dei giudizi popolari, determinera' prevedibili problemi organizzativi. Il vulnus al principio della efficiente amministrazione della giustizia ad avviso del giudicante deriva, nel caso di specie, dalla totale superfluita' di un processo dibattimentale e collegiale, che nulla potrebbe aggiungere al materiale probatorio gia' esistente, e non potrebbe rafforzare in alcun modo i diritti della difesa. Se infatti a norma dell'art. 187 codice di procedura penale rientrano nell'oggetto della prova i fatti che si riferiscono alla punibilita' dell'imputato, comprensivi della imputabilita', e che l'imputato ha diritto a «difendersi provando», e' altrettanto vero, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero, che nel caso di specie l'incapacita' di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto e' stata gia' incontrovertibilmente accertata con perizia disposta in sede di incidente probatorio, e quindi con le regole del contraddittorio, con la conseguenza che un dibattimento si appalesa inutile, essendo la prova gia' cristallizzata, non modificabile e determinante per la decisione. La celebrazione del processo dinanzi alla Corte d'Assise non potrebbe portare in nessun caso a conseguenze diverse da quelle gia' accertate; infatti all'art. 431, comma 1, lettera e) codice di procedura penale previsto l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento dei verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio, che quindi saranno a disposizione della Corte d'Assise che, dopo averne dato lettura nei tempi e con le forme previste, potranno essere utilizzati ai fini della decisione. La Corte di Cassazione ha inoltre avuto modo di precisare che, sebbene la lettera della legge si riferisca solo ai verbali, qualora - come nel caso di specie - l'atto assunto in incidente probatorio sia una perizia, anche l'elaborato con il quale il perito abbia risposto ai quesiti dovra' essere inserito nel fascicolo per il dibattimento (Cassazione 9-7-93, Tacconi, 195321). In entrambi i casi l'esito del processo sarebbe identico, non essendo applicabile alcuna pena, ma soltanto una misura di sicurezza. Misura di sicurezza la cui applicazione e' preclusa dal disposto dell'art. 425, comma 4, codice di procedura penale, a norma del quale il giudice non puo' pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Come e' noto, l'art. 425 comma primo, nella sua versione originaria, prevedeva che la sentenza di non luogo a procedere dovesse essere pronunciata quando risultasse «evidente» che l'imputato fosse persona non imputabile o non punibile per qualsiasi altra causa. In tal caso, qualora l'imputato fosse socialmente pericoloso, al proscioglimento poteva applicarsi l'applicazione di una misura di sicurezza. Tale disposizione stata poi dichiarata illegittima da Corte costituzionale n. 41/93 sulla base del rilievo che in parte qua l'art. 425 imponeva al giudice di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita', applicando, se del caso, le misure di sicurezza, all'esito e sulla base di un accertamento di responsabilita' basato solo sull'etereo presupposto della non evidente infondatezza dell'addebito, con il risultato di privare la persona non imputabile del dibattimento e della conseguente possibilita' di esercitare appieno il diritto alla prova sul merito della regiudicanda, con correlativa compressione del diritto di difesa non bilanciata da contrapposte esigenze di economia processuale. Pertanto da un lato il sistema processuale preclude di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita', quando sia necessaria l'applicazione di una misura di sicurezza, data la particolare natura della sentenza di cui all'art. 425 codice di procedura penale; dall'altro si preclude all'imputato infermo di mente, socialmente pericoloso e reo confesso di ottenere una pronuncia di assoluzione in sede di giudizio abbreviato, rendendo obbligatoria la celebrazione di un lungo e dispendioso processo dibattimentale. Nella specie, la dichiarazione illegittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, codice di procedura penale, nella parte in cui non consente all'imputato infermo di mente, la cui incapacita' di intendere e di volere al momento del fatto sia stata accertata con perizia eseguita in sede di incidente probatorio, al giudizio abbreviato per un reato astrattamente punito con la pena dell'ergastolo, consentirebbe di definire il processo in tempi brevi senza inutile dispendio di preziose risorse organizzative, con l'applicazione, in via definitiva, di una misura di sicurezza e senza nessuna compressione del diritto di difesa.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'art. 111, secondo comma, Cost. la questione relativa alla conformita' a Costituzione dell'art. 438, comma 1-bis, codice di procedura penale, introdotto dalla legge 12 aprile 2019, n. 33, laddove non prevede che l'imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo; Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Rimini, 19 gennaio 2021 Il Giudice: Vitolo