N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2021
Ordinanza del 25 marzo 2021 del Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di L.P. D. Processo penale - Dibattimento - Contestazione suppletiva di un reato concorrente - Facolta' dell'imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova - Omessa previsione. - Codice di procedura penale, art. 517.(GU n.24 del 16-6-2021 )
TRIBUNALE DI PALERMO Sezione terza penale Il giudice Fabrizio Molinari, esaminati gli atti del procedimento n. 16213/2015 R.G.N.R. e n. 7344/2017 R.G.T.; Premesso in fatto Il pubblico ministero emetteva decreto di citazione a giudizio nei confronti di L P D , in atti generalizzata, chiamata a rispondere del seguente reato: «reato p. e p. dall'art. 44 lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 380/2001 perche', quale proprietaria e committente dei lavori nell'immobile sito al terzo piano in , Via , distinto in catasto al foglio , particella , sub , in assenza del permesso di costruire, realizzava le seguenti opere abusive: 1) l'ampliamento di un vano nella misura di mq. 16, mediante la demolizione della muratura di prospetto; 2) creazione di un solaio ex novo in travi, tavole e guaina di mq. 30,00 circa; 3) realizzazione di due portici in legno per complessivi mq. 37,00 prospicienti la via , in , in epoca antecedente e prossima il giorno 1° settembre 2015» Dichiarata l'apertura del dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti, nel corso del giudizio veniva escusso un teste della lista del pubblico ministero ed acquisita documentazione. All'udienza del 29 gennaio 2019 il pubblico ministero contestava gli ulteriori seguenti reati: capo b) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale, 64 e 71 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, per avere realizzato in cemento armato la suddetta opera edilizia senza progetto esecutivo redatto da tecnico abilitato e iscritto all'albo»; capo c) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale 65 e 95 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 per avere iniziato in cemento armato l'opera suddetta omettendo di darne avviso ai Genio civile competente»; capo d) «reato p. e p. dagli articoli 81 cpv. codice penale 93 e 95 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 per avere iniziato i lavori abusivi descritti al capo a) in zona a rischio sismico senza averne dato preavviso al sindaco di e all'ufficio del Genio civile di ». All'udienza del 19 marzo 2019, il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, avanzava istanza di messa alla prova con riferimento ai reati oggetto di nuova contestazione. Alla successiva udienza, l'U.E.P.E. di , trasmetteva il programma di trattamento relativo alla richiesta di messa alla prova ed il giudice riservava la decisione. Cio' posto, evidente che tra il reato oggetto dell'originaria contestazione formulata con decreto di citazione diretta a giudizio e quelli oggetto della contestazione suppletiva effettuata in corso di giudizio vi e' connessione ai sensi dell'art. 12 lettera b) codice di procedura penale, in considerazione dell'omogeneita' delle violazioni contestate, tutte afferenti la normativa urbanistico-edilizia e del fatto che le condotte hanno interessato il medesimo immobile in un unitario contesto temporale. Siamo, dunque, nell'ambito della contestazione suppletiva di cui all'art. 517 codice di procedura penale. Com'e' noto, l'art. 464-bis, comma 2, codice di procedura penale prevede che nel procedimento di citazione diretta a giudizio, quale quello in esame, la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova puo' essere avanzata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Detta disposizione, tuttavia, non consente la proposizione dell'istanza di messa alla prova con riferimento ai reati oggetto di nuova contestazione. Si intende, dunque, in questa sede sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione. La questione e' indubbiamente rilevante ai fini del decidere in quanto da essa dipende l'accoglimento o meno della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. E', inoltre, non manifestamente infondata per le ragioni che di seguono si espongono. La tematica dei rapporti tra le nuove contestazioni dibattimentali ed il «recupero», da parte dell'imputato, della facolta' di formulare in quella sede richiesta di applicazione di riti alternativi - opzioni, queste, temporalmente precluse dal raggiungimento di uno stadio processuale concettualmente «incompatibile» con modelli procedimentali ad esso, per definizione, «alternativi» - ha formato oggetto di numerosi interventi da parte della Corte costituzionale, contrassegnati da una linea evolutiva ispirata ad una sempre maggiore apertura. L'istituto delle nuove contestazioni dibattimentali si pone, peraltro, in possibile frizione col diritto di difesa e con le opzioni relative ai riti alternativi, che di quel diritto sono parte essenziale. Rispetto al tema di accusa contestato in dibattimento - e che costituisce un novum rispetto alla contestazione elevata all'atto dell'esercizio della azione penale - vengono, infatti, in discorso le facolta' difensive che l'imputato avrebbe potuto esercitare prima della mutatio libelli (basti pensare, al riguardo, alle facolta' difensive esercitabili in sede di udienza preliminare e, piu' in generale, al tema del diritto alla prova, anche nella prospettiva delle cosiddette indagini difensive, ignote nella versione originaria del codice di rito), nonche' le preclusioni che caratterizzano l'accesso ai riti speciali. Le nuove contestazioni dibattimentali hanno dunque rappresentato, proprio sotto quest'ultimo profilo, un vero e proprio punctum dolens, che ha comportato, sin dai primi tempi di applicazione del nuovo codice di procedura, l'attenzione della Corte, dal momento che, a fronte del «nuovo» quadro contestativo, risultavano ormai spirati i termini entro i quali formulare la richiesta di procedimenti speciali e dei meccanismi di definizione anticipata del procedimento (oblazione). Riti e meccanismi che, per giurisprudenza costituzionale costante (da ultimo, sentenza n. 141 del 2018), costituiscono anch'essi modalita' di esercizio, e tra le piu' qualificanti, del diritto di difesa. Per effetto delle nuove contestazioni elevate dal pubblico ministero nel corso del dibattimento, l'imputato potrebbe infatti trovarsi a dover fronteggiare un'accusa in ordine alla quale sarebbe suo interesse chiedere i citati riti o meccanismi alternativi; ma tali opportunita' gli sono normativamente precluse, essendo ormai decorsi i termini utili per le relative richieste. Da qui, l'avvio di uni progressivo percorso di riallineamento costituzionale della disciplina codicistica, le cui tappe salienti non pare superfluo rievocare. In una prima - e ormai superata - fase, l'atteggiamento della Corte costituzionale fu, come e' noto, improntato ad un rigoroso atteggiamento negativo rispetto a possibilita' di «recupero» postumo della facolta' di accedere ai riti alternativi, una volta spirato il termine «fisiologico» del loro espletamento. La Corte ha, infatti, piu' volte osservato, tanto a proposito dell'applicazione di pena concordata quanto a proposito del giudizio abbreviato, che l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi, in tanto rileva, in quanto egli rinunzi al dibattimento e venga percio' effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere l'obiettivo di rapida definizione del processo perseguito dal legislatore con l'introduzione di detti riti speciali. Ed ha altresi' ritenuto, piu' specificamente, che la preclusione all'ammissione di tali giudizi, in caso di contestazione dibattimentale suppletiva, non risultasse irragionevole. Si tratta, infatti - ha affermato la Corte - di un'evenienza che non e' infrequente in un sistema processuale imperniato sulla formazione della prova in dibattimento ed e' - soprattutto - ben prevedibile, dato lo stretto rapporto intercorrente tra l'imputazione originaria ed il reato connesso; e, per contro, di un'evenienza che preclusa ove tali riti siano introdotti. Di conseguenza, si osservo', il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determina a chiederli o meno, onde egli non ha che da addebitare a se' medesimo le conseguenze della propria scelta (tra le tante, sentenze n. 129 del 1993, n. 316 del 1992, n. 277 e n. 593 del 1990, nonche' l'ordinanza n. 213 del 1992). Il tema, pero', e' stato poco dopo approfonditamente riesaminato, specie alla luce della «non colpevole inerzia» serbata dall'imputato a fronte della «tardivita'» della contestazione nuova mossa dal pubblico ministero, in quanto elevata in forza di elementi gia' acquisiti all'atto della contestazione originaria, posta a base del provvedimento dispositivo del giudizio. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha cosi' finito per «adeguare» gradualmente l'accesso ai riti alternativi, a fronte di contestazioni dibattimentali cosiddette «patologiche», appunto perche' frutto di un «ritardo» imputabile al pubblico ministero. Gia' con la sentenza n. 265 del 1994, la Corte ha rivisto le proprie posizioni, in caso, appunto, di nuove contestazioni «patologiche». Nel frangente, la Corte ha infatti osservato che, poiche' le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito speciale - giudizio abbreviato e di applicazione della pena («patteggiamento») - vengono indissolubilmente a dipendere, anzitutto, dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, e cioe' dalla natura dell'addebito, quando non possa rinvenirsi alcun profilo di inerzia dell'imputato e quindi di addebitabilita' al medesimo delle conseguenze della mancata instaurazione del rito differenziato - come nel caso di errore, sulla individuazione del fatto e del titolo del reato, in cui incorso il pubblico ministero - risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali a seguito di nuove contestazioni per fatto diverso o per reato concorrente nel corso del dibattimento, dal momento che l'imputazione subisce una variazione sostanziale. E cio', anche nel caso in cui il procedimento richiesto dall'imputato sia stato ingiustificatamente o erroneamente negato, con la conseguente inapplicabilita', relativamente al «patteggiamento», del comma 1 dell'art. 448 codice di procedura penale con riguardo alla nuova contestazione: in tal modo, infatti, risulterebbe inevitabilmente incongrua la pena richiesta, in quanto formulata con riferimento ad imputazione modificata nel corso del dibattimento. Tale preclusione - ha osservato la Corte - risultava inoltre censurabile in riferimento all'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione circa le risultanze delle indagini preliminari, operata dal pubblico ministero. Conseguentemente, con riguardo al procedimento di applicazione della pena su richiesta, avendo la Corte gia' affermato che possibile fare applicazione dell'istituto della restituzione nel termine, e quindi non sussistendo ostacoli di carattere logico-sistematico, vennero dichiarati incostituzionali, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost., gli articoli 516 e 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedevano la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concernesse un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine preliminare al momento dell'esercizio dell'azione penale, ovvero quando l'imputato avesse tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. Con riferimento al giudizio abbreviato, con la sentenza n. 333 del 2009 la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerneva un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. Premesso - rilevo' la Corte - che il dubbio di costituzionalita' investiva la fattispecie della contestazione suppletiva tardiva (derivante, cioe', da un'incompletezza gia' apprezzabile sulla base degli atti di indagine e non dalla fisiologica emersione di nuovi elementi nel corso dell'istruzione dibattimentale), e che oggetto di scrutinio era la perdita, da parte dell'imputato, della facolta', di accesso al giudizio abbreviato, essendo la nuova contestazione intervenuta dopo che era spirato il termine ultimo di proposizione della relativa richiesta, la norma censurata violava gli evocati parametri costituzionali, poiche', come gia' riconosciuto dalla sentenza n. 265 del 1994, nell'ipotesi di contestazione dibattimentale tardiva, precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali e' «lesivo del diritto di difesa», risultando la libera scelta dell'imputato verso il rito alternativo sviata da aspetti di anomalia nella condotta processuale del pubblico ministero, collegati all'erroneita' o all'incompletezza dell'imputazione, riscontrabili sulla base degli elementi acquisiti nel corso delle indagini. Si ritenne anche violato l'art. 3 Cost., «venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero nell'esercitare l'azione penale». La dichiarazione di illegittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 517 codice di procedura penale comportava la dichiarazione di illegittimita' costituzionale consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell'art. 516 del medesimo codice, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concernesse un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale infatti, i profili di violazione degli evocati parametri costituzionali, riscontrabili con riferimento all'ipotesi di contestazione nel corso del dibattimento di un reato concorrente, sussistevano, allo stesso modo, anche in rapporto alla parallela ipotesi in cui la nuova contestazione dibattimentale consista, ai sensi dell'art. 516 codice di procedura penale, nella modifica dell'imputazione originaria per diversita' del fatto. Il progressivo «sgretolamento» delle preclusioni ai riti alternativi in caso di contestazione «patologica» e' stato portato ad ulteriore stadio con la sentenza n. 184 del 2014, con la quale e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputa di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 codice di procedura penale, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. L'ultimo «tassello» che ha completato l'operazione di «recupero» dei riti alternativi in caso di contestazioni «patologiche» e' rappresentato dalla sentenza n. 139 del 2015, con la quale e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost., l'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. Il fulcro delle decisioni di cui innanzi si e' detto appare, dunque, essere concentrato essenzialmente sulla «non addebitabilita'» all'imputato dello spirare del termine «fisiologico» per la scelta dei riti alternativi, l'opzione per i quali non puo' non presupporre un completamento della imputazione elevata nei suoi confronti. Solo attraverso una esauriente e tempestiva cristallizzazione del quadro di accusa infatti possibile assegnare un termine per l'esercizio di facolta' processuali che - come le scelte sui riti alternativi - con quel quadro devono necessariamente misurarsi, traendo esse naturale alimento proprio dalla natura e specificazione delle fattispecie incriminatrici e dalle correlative basi fattuali. La giurisprudenza costituzionale ha pero' subito notevoli evoluzioni anche per cio' che attiene al terreno delle nuove contestazioni che nascano da acquisizioni dibattimentali e, dunque, del tutto «fisiologiche» nel quadro della mutatio libelli. Il che, come si rammentato, costituiva la ragione di fondo che aveva orientato inizialmente la Corte ad escludere qualsiasi «recupero» postumo, sul piano del le richieste di riti alternativi, proprio facendo leva sulla «prevedibilita'» che l'imputazione possa subire modifiche alla luce della istruzione probatoria dibattimentale. Gia' con la sentenza n. 530 del 1995, infatti, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 codice procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli articoli 162 e 162-bis del codice penale, relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, in quanto - posto che l'istituto dell'oblazione si fonda sia sull'interesse dello Stato di definire con economia di tempo e di spesa i procedimenti relativi ai reati di minore importanza, sia sull'interesse dei contravventore di evitare l'ulteriore corso del procedimento e la eventuale condanna (con tutte le conseguenze della stessa); e comporta, come effetto tipico, la estinzione del reato - la preclusione dell'accesso all'istituto stesso (ed ai connessi benefici), nel caso in cui il reato suscettibile di estinzione per oblazione costituisca oggetto di contestazione nel corso dell'istruzione dibattimentale ai sensi dell'art. 517 codice di procedura penale, risultava lesiva del diritto di difesa, nonche' priva di razionale giustificazione. Nel frangente, venne dichiarato costituzionalmente illegittimo (ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953), per violazione degli articoli 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., anche l'art. 516 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli articoli 162 e 162-bis codice penale, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento. Il «cammino» della Corte e' poi proseguito con la sentenza n. 237 del 2012, con la quale e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost., l'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Dopo aver sottolineato che la questione di costituzionalita' aveva ad oggetto la fattispecie della contestazione suppletiva «fisiologica» di un reato concorrente, vale a dire la nuova contestazione in dibattimento di un fatto emerso solo nel corso dell'istruzione dibattimentale, e che oggetto di scrutinio era la perdita, da parte dell'imputato, della facolta' di accesso al giudizio abbreviato, essendo la nuova contestazione intervenuta dopo che era spirato il termine ultimo di proposizione della relativa richiesta, la Corte ha ritenuto che la norma censurata, valutata nell'odierno panorama ordinamentale, violasse gli evocati parametri costituzionali, dal momento che, rappresentando la contestazione suppletiva di reato concorrente operata ai sensi dell'art. 517 codice di procedura penale un atto equipollente agli atti tipici di esercizio dell'azione penale, il mancato riconoscimento all'imputato della facolta' di optare, anche in tale caso, per il giudizio abbreviato era fonte di ingiustificata disparita' di trattamento e di compressione delle facolta' difensive. Poiche' l'esigenza di corrispettivita' tra riduzione della pena e deflazione processuale non puo' prevalere sul principio di uguaglianza, ne' tantomeno sul diritto di difesa, e atteso che la decisione di valersi del giudizio abbreviato costituisce una delle scelte piu' delicate attraverso le quali si esplicano le facolta' defensionali, allorche' all'accusa originaria ne venga aggiunta un'altra, sia pure connessa, non possono non essere restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni. Inoltre, l'accesso al rito alternativo per il reato oggetto della contestazione suppletiva tardiva, anche quando avvenga in corso di dibattimento, risulta comunque sia idoneo a produrre un effetto di economia processuale, giacche' consente al giudice del dibattimento di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti. La declaratoria di incostituzionalita' della norma censurata si imponeva, altresi' - osservo' ancora la Corte - al fine di rimuovere la disparita' di trattamento tra giudizio abbreviato e oblazione dopo che la sentenza n. 530 del 1995 ha dichiaralo l'illegittimita' costituzionale degli articoli 516 e 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedevano la facolta' dell'imputato di proporre domanda di oblazione relativamente al fatto diverso e ai reato concorrente contestati in dibattimento, indipendentemente dal carattere «patologico» o «fisiologico» della nuova contestazione. Un rilievo, quest'ultimo, in forza del quale la Corte si fece carico di «armonizzare» fra loro situazioni, scaturite dalle stesse decisioni della Corte, che imponevano un necessario riallineamento sul piano della ammissione ai riti alternativi o meccanismi di soluzione anticipata della regiudicanda; pena, altrimenti, la evidente compromissione del principio di uguaglianza. Un ulteriore «segmento» inerente al critico rapporto tra mutatio libelli e riti alternativi venne rimosso con la sentenza n. 273 del 2014. Con tale pronuncia, infatti, e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 24, Cost., l'art. 516 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Sono, infatti, estensibili osservo' la Corte - le considerazioni svolte nella richiamata sentenza n. 237 del 2012 con la quale era stato dichiarato illegittimo l'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non consentiva all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato al giudice del dibattimento in relazione al reato concorrente oggetto di contestazione suppletiva «fisiologica», volta, cioe', ad adeguare l'imputazione alle nuove risultanze dell'istruzione dibattimentale. Pertanto, anche in rapporto alla contestazione «fisiologica» del fatto diverso, l'imputato che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore - quanto alla facolta' di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della conciata diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio. La disposizione censurata, inoltre, determinava - ribadi', ancora una volta, la Corte - una ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni analoghe, tenuto conto del possibile recupero, da parte dell'imputato, della facolta' di accesso al giudizio abbreviato per circostanze puramente «occasionali» che determinino la regressione del procedimento, come nel caso in cui, a seguito delle nuove contestazioni, il reato rientri tra quelli per cui si procede con udienza preliminare e questa non sia stata tenuta. A completamento degli interventi che hanno preso in considerazione il tema delle nuove contestazioni «fisiologiche», va rammentata la sentenza n. 206 del 2017, con la quale la Corte, rievocando precedenti dicta, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 516 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. L'importanza di correlare la domanda di applicazione della pena ad un quadro accusatorio «ben sedimentato» giustifica l'assunto secondo il quale al «patteggiamento» non puo' essere riservato - proprio sul terreno delle nuove contestazioni - un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto (al lume della richiamata giurisprudenza costituzionale) al giudizio abbreviato. Con riferimento al rapporto tra nuove contestazioni e l'istituto della messa alla prova, deve segnalarsi, in primo luogo la sentenza n. 141 del 2018, che costituisce un punto sostanziale e quasi definitivo di «approdo» della giurisprudenza costituzionale, con la quale si e' operato un tendenziale superamento della distinzione tra nuove contestazioni «fisiologiche» o «patologiche» con la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova. L'istituto della messa alla prova, introdotto con gli articoli 168-bis, 168-ter e 168-quater del codice penale «ha effetti sostanziali, perche' da' luogo all'estinzione del reato, ma e' connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consistente in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (cfr. Corte costituzionale sentenza 240 del 2015). Nella pronuncia n, 141 del 2018, la Corte ha sottolineato che «[i]n un quadro complessivo di principi, quale quello che, come e' stato ricordato, si andato delineando in modo sempre piu' nitido attraverso l'evoluzione giurisprudenziale, e' chiaro che, nel caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non prevedere nell'art. 517 codice di procedura penale la facolta' per l'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova si risolve, come stato ritenuto per il patteggiamento e per il giudizio abbreviato, in una violazione degli articoli 3 e 24 Cost.». La Corte ha, infatti, ribadito che «[l]a richiesta dei riti alternativi «costituisce [...] una modalita', tra le piu' qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993)» (sentenza 237 del 2012), e si determinerebbe una situazione in contrasto con il principio posto dall'art. 3 Cost. se nella medesima situazione processuale fosse regolata diversamente la facolta' di chiederli». D'altra parte, va pure osservato che non avrebbe alcun senso l'aver imposto - anche in ragione di non pochi interventi della Corte (fra le altre, sentenze n. 201 del 2016, n. 148 del 2004 e n. 497 del 1995) - la previsione dell'avviso a pena di nullita', rivolto all'imputato nei vari atti con i quali si dispone il giudizio in mancanza di udienza preliminare (a proposito di quest'ultima, ordinanza n. 309 del 2005), circa la facolta' di richiesta dei riti alternativi, ove ad un siffatto avviso - sanzionato, se omesso, in modo cosi' grave, e, dunque, chiamato a svolgere una funzione tutt'altro che meramente «didascalica» - fosse correlata una facolta' processuale che, peraltro, finirebbe per risultare nei fatti sostanzialmente elusa, nelle ipotesi in cui i contorni dell'accusa - oggetto e termine di riferimento delle «scelte» difensive dell'imputato - subiscano in dibattimento («fisiologicamente» o meno) un significativo e qualificato mutamento contenutistico, senza offrire una possibilita' di «rinnovare» quelle scelte in rapporto alla «novazione» della accusa. La Corte ha avuto modo di puntualizzare, nella richiamata sentenza n. 141 del 2018, che «[i]l dato rilevante [...] la sopravvenienza di una contestazione suppletiva, quali che siano gli elementi che l'hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del dibattimento, ed e' ad essa che deve ricollegarsi la facolta' dell'imputato di chiedere un rito alternativo, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta in precedenza mancata». Se, dunque, la possibilita' di richiedere i riti alternativi si salda a filo doppio al diritto di difesa - in particolare, al diritto di scegliere il modello processuale congeniale all'esercizio di quel diritto - e se la regiudicanda, nelle sue dimensioni «cristallizzate», a costituire la base su cui operare tali scelte, non puo' che desumersi la incoerenza con quel diritto di qualsiasi preclusione che ne limiti l'esercizio concreto, tutte le volte in cui il sistema ammetta una mutati libelli in sede dibattimentale. All'esito dell'ampia digressione e ricostruzione, puo' chiaramente affermarsi che le medesime argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 141 del 2018 con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere ai giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova relativamente alla circostanza aggravante oggetto di nuova contestazione sono del tutto sovrapponibili e pertinenti al caso, come quello di specie, di richiesta da parte dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova con riferimento ai reati concorrenti oggetto di nuova contestazione.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva questione di legittimita'. costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 517 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova, relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione; sospende il procedimento e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputata ed a suo difensore, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, e che la stessa sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Palermo, 25 marzo 2021 Il giudice: Molinari