N. 42 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 agosto 2021

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 3  agosto  2021  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Paesaggio - Norme della Regione Abruzzo - Nuova disciplina
  del Parco naturale regionale Sirente Velino - Revisione dei confini
  - Organi dell'Ente Parco - Vigilanza e sorveglianza. 
- Legge della Regione Abruzzo 8 giugno 2021, n. 14 (Nuova  disciplina
  del  Parco  naturale  regionale  Sirente  Velino  e  revisione  dei
  confini. Modifiche alla l.r. 42/2011), artt. 2, 3  e  8,  commi  2,
  lettera c), e 3 (recte: art. 8,  nella  parte  in  cui  sostituisce
  l'art. 12, commi 2, lettera  c),  e  3,  della  legge  regionale  2
  dicembre 2011, n. 42). 
(GU n.39 del 29-9-2021 )
    Ricorso ex art.  127,  comma  1,  Cost.  per  il  Presidente  del
Consiglio dei Ministri - (C.F. 80188230587), rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui
uffici domicilia in Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12,  telefax  n.
06.96.51.40.00;  indirizzo  PEC   ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it,
giusta delibera del Consiglio dei Ministri  adottata  nella  riunione
del 20 aprile 2020 ricorrente; 
    contro Regione Abruzzo, in persona del  Presidente  della  Giunta
Regionale in carica intimata per la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, 3 e 8, comma 2 e 3, della legge Regione
Abruzzo del 8 giugno 2021, n. 14, pubblicata nel BUR  n.  115  del  9
giugno 2021, recante "Nuova disciplina del Parco  naturale  regionale
Sirente Velino e revisione dei confini. Modifiche alla l.r. 42/2011". 
    per violazione degli artt. 2, 3, 9,  secondo  comma,  97  e  117,
secondo comma, lettere g) h), l) m) ed s)  Cost.  in  relazione  agli
artt.9, commi 8bis e 9, 22, comma 1, lett. a) e c), 23, 24, comma  1,
L.394/1991  (Legge  quadro  sulle  aree  protette),  all'art.6,  DLGS
152/2006, della Direttiva 2009/147/CE,  della  direttiva  42/2001/CE,
dell'art.6,  comma  3,  della  Direttiva   43/92/CE   come   recepito
dall'art.6 DPR 120/2003 che ha sostituito l'art.5 DPR 357/1997,  agli
artt. 135, 140, comma 2, 142, comma 1, lett. c, d, f) g), 143,  commi
1, lett.c) e 9, 145, commi 3 e 5, 167 , comma 4, 181  del  D.LGS.  n.
42/2004 (codice dei  beni  culturali),  alla  L.47/1985,  all'art.32,
comma 27, DL n.269/2003, agli artt.55 e 57, commi 1  e  2  cpp,  agli
133-141 TULPS e 254 del  regolamento  di  esecuzione  di  cui  al  RD
635/1940. 
    1. Con la legge n.14 dell'8 giugno 2021  la  regione  Abruzzo  ha
introdotto la "Nuova disciplina del Parco naturale regionale  Sirente
Velino e revisione dei confini. Modifiche alla l.r. 42/2011". 
    In particolare, l'art. 2 della predetta legge, che ha  sostituito
l'art.2 della previgente L.R. Abruzzo n.42/2011 -  contenente  "Nuova
disciplina del Parco Naturale regionale Sirente Velino" - prevede 
    "I confini del  Parco  naturale  regionale  Sirente  Velino  sono
individuati come da cartografia  in  scala  1:100.000  allegata  alla
presente legge (Allegato 1) e come da cartografia in  scala  1:25.000
depositata presso il competente ufficio della Giunta regionale. 
    2. Il territorio dell'area del Parco comprende i seguenti  comuni
suddivisi in tre aree comprensoriali: 
        a) Area Subequana: Acciano,  Castel  di  Ieri,  Castelvecchio
Subequo, Fagnano Alto, Fontecchio, Gagliano Aterno,  Goriano  Sicoli,
Molina Aterno, Ocre, San Demetrio ne' Vestini, Secinaro, Tione  degli
Abruzzi; 
        b)  Area  Marsicana:  Aielli,  Celano,  Cerchio,  Collarmele,
Magliano dei Marsi, Massa d'Albe, Pescina; 
        c) Area dell'Altopiano Sirente  Velino:  Ovindoli,  Rocca  di
Mezzo e Rocca di Cambio. 
    3. Le designazioni di cui al comma 6  dell'articolo  11,  lettera
a),   della   l.r.   38/1996   sono    effettuate    garantendo    la
rappresentativita' di ogni area comprensoriale di cui al comma  2;  a
tal fine i delegati dei  Comuni  di  ogni  area  designano  i  propri
rappresentanti con votazioni separate, il cui esito e' ratificato con
un'unica deliberazione della Comunita' del Parco. 
    4. La gestione del Parco, ai  sensi  dell'articolo  23  della  I.
394/1991 e dell'articolo 11 della l.r. 38/1996, e' affidata  all'Ente
di diritto pubblico denominato Ente Parco Naturale Regionale  Sirente
Velino, di seguito denominato Ente Parco. 
    5. L'Ente Parco esercita la  direzione  e  l'amministrazione  del
Parco ed attua le attivita' necessarie  per  il  conseguimento  delle
finalita' di cui all'articolo 1.". 
    Il successivo art.3, rubricato "Modifiche  all'art.3  della  L.R.
42/2011", nel sostituire i commi da 2 a 26  dell'art.  3  della  L.R.
42/2011, dispone: 
        "1. All'articolo 3 della L.R. 42/2011 i commi da 2 a 26  sono
sostituiti dai seguenti: 
        "2. Sono organi dell'Ente Parco: 
a) il Presidente; 
b) il Consiglio direttivo; 
c) la Comunita' del Parco; 
d) il Revisore unico. 
    3. Il Presidente e' nominato con  decreto  del  Presidente  della
Regione,  su  proposta  della  Comunita'  del  Parco,  d'intesa   con
l'Assessore preposto, tra soggetti dotati di esperienza e  competenza
in materia amministrativa e in materia di  tutela,  valorizzazione  e
gestione del patrimonio pubblico, naturalistico ed ambientale. 
    4. La proposta di cui al comma 3 e' formalizzata dalla  Comunita'
del  Parco  con  apposita  deliberazione  approvata   a   maggioranza
assoluta. 
    5. Il Presidente: 
        a)  ha  la  legale  rappresentanza  dell'Ente,  ne   coordina
l'attivita', convoca e presiede le sedute del Consiglio direttivo; 
        b) esercita i poteri di cui all'articolo 29 della L. 394/1991
e le altre funzioni attribuitegli dalla legge e dallo Statuto; 
        c) in casi straordinari  di  necessita'  ed  urgenza,  adotta
provvedimenti di competenza del  Consiglio  direttivo,  portandoli  a
ratifica nella prima seduta utile; qualora il Consiglio direttivo non
sia   ancora   costituito,   richiede   preventivamente   il   parere
dell'ufficio regionale preposto che  puo'  opporre  motivato  diniego
entro sette giorni dalla data di notifica della richiesta. 
    6. Il Consiglio direttivo e' composto dal  Presidente  e  da  sei
membri dei quali: 
        a) tre nominati  con  decreto  del  Presidente  della  Giunta
regionale su designazione della Comunita' del Parco come  espressione
del territorio dell'area protetta, previa votazione segreta con  voto
limitato ad un nominativo; possono  essere  designati  anche  esperti
scelti all'esterno degli organi rappresentativi della Comunita'; 
        b) tre nominati dal Consiglio regionale tra esperti in  campo
ambientale e con  esperienza  amministrativa  o  gestionale  in  enti
pubblici. 
    7. In caso di mancata designazione dei  membri,  o  di  parte  di
essi,  di  cui  alla  lettera  a),  comma  6  entro  sessanta  giorni
dall'insediamento  di  cui  al  comma  16,  decorsi  infruttuosamente
ulteriori dieci giorni dall'invio della richiesta fatta  dall'ufficio
regionale  competente,  la  Giunta  regionale  provvede  alle  nomine
sostitutive. 
    8. Il Consiglio direttivo puo' validamente esercitare le funzioni
di competenza quando sia composto da almeno quattro membri. 
    9. I membri del  Consiglio  direttivo,  compreso  il  Presidente,
durano in carica cinque anni con decorrenza dallo specifico  atto  di
nomina  e  non  possono  essere  nominati  per  piu'  di  due   volte
consecutive. 
    10. Il Consiglio direttivo nella prima seduta elegge  al  proprio
interno,  a  votazione  segreta  e  a  maggioranza  dei  votanti,  un
Vicepresidente. 
    11. In caso  di  cessazione  dalla  carica  del  Presidente,  per
qualsiasi motivo, le funzioni sono esercitate dal  Vicepresidente  ed
entro 45 giorni dalla cessazione e' convocata la Comunita' del  Parco
per la formalizzazione della proposta di cui al comma 4. 
    12. Il Consiglio direttivo: 
        a)  delibera  su  questioni  generali,   bilanci,   programmi
triennali e annuali, contrazione di  mutui,  acquisti  e  alienazioni
immobiliari; 
        b) ratifica gli atti adottati dal  Presidente  ai  sensi  del
comma 5, lettera c); 
        c) adotta il Piano del  Parco  e  il  Regolamento,  ai  sensi
dell'articolo 14 della L.R. 38/1996; 
        d) adotta lo Statuto dell'Ente Parco, ai sensi  dell'articolo
13 della L.R. 38/1996. 
    13. Al Presidente dell'Ente Parco spetta  un'indennita'  pari  al
60% di quella attribuita per la medesima carica dai parchi nazionali. 
    14. Al Vicepresidente e ai membri del Consiglio direttivo  spetta
un gettone di presenza pari ad euro 30,00 per ogni seduta,  oltre  al
rimborso delle spese di viaggio debitamente documentate. 
    15.  La  Comunita'  del  Parco  e'  costituita  dai  Sindaci,   o
Consiglieri comunali delegati, e dal  Presidente  della  Provincia  o
Consigliere provinciale delegato, dei Comuni e delle Province  i  cui
territori  sono  ricompresi,  anche  parzialmente,  all'interno   del
territorio del Parco. 
    16. Entro sessanta giorni  dall'entrata  in  vigore  della  legge
istitutiva del parco naturale  regionale,  il  componente  la  Giunta
competente provvede all'insediamento della Comunita' del Parco. 
    17. La Comunita' del Parco ha compiti consultivi  e  propositivi.
In particolare il suo parere e' obbligatorio. 
        a) sullo Statuto dell'Ente Parco; 
        b) sul Piano del Parco e sul Regolamento del Parco; 
        c) sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo; 
        d) su altre questioni, a richiesta di un terzo dei componenti
del Consiglio direttivo. 
    18. La Comunita' del Parco elegge al suo interno un Presidente ed
un Vicepresidente e puo' adottare un proprio regolamento interno  per
il suo  funzionamento.  La  Comunita'  del  Parco  e'  convocata  dal
Presidente almeno due  volte  l'anno  e  quando  venga  richiesta  la
convocazione da parte di un terzo dei suoi componenti o su  richiesta
del Presidente dell'Ente Parco. 
    19. Ai componenti della Comunita' del Parco spettano  i  rimborsi
delle spese di viaggio  debitamente  documentate,  limitatamente  per
incarichi conferiti dall'Ente. 
    20. Ai sensi di quanto disposto dall'articolo 16  della  legge  7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento  amministrativo)  i
pareri di competenza della Comunita' del Parco di cui al comma 17  si
intendono  favorevolmente  acquisiti  trascorsi  venti  giorni  dalla
avvenuta trasmissione degli atti da parte  del  Presidente  dell'Ente
Parco. 
    21. La Giunta regionale, con proprio provvedimento,  in  caso  di
vacatio degli organi direttivi,  puo'  affidare  la  gestione  ad  un
Commissario scelto tra i dipendenti del Dipartimento competente. 
    22. Il Revisore unico e' nominato dal Consiglio regionale  ed  e'
scelto tra coloro che sono iscritti nel registro di  cui  al  decreto
legislativo 27  gennaio  2010,  n.  39  (Attuazione  della  direttiva
2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti  annuali  e  dei
conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE,
e che abroga la direttiva 84/253/CEE). 
    23. Il Revisore unico esercita il riscontro contabile sugli  atti
dell'Ente Parco secondo le norme di contabilita' dello Stato e  sulla
base dei regolamenti di contabilita' dell'Ente Parco e  la  vigilanza
sulla regolarita' contabile e finanziaria  della  gestione  dell'Ente
Parco. Redige una relazione sul bilancio di previsione  e  sul  conto
consuntivo e formula proposte  tendenti  a  conseguire  una  migliore
efficienza ed economicita' della gestione. 
    24. E' obbligatorio acquisire il parere del  Revisore  unico  sul
bilancio preventivo economico e sul conto consuntivo. 
    25. Il Revisore  unico,  qualora  riscontri  gravi  irregolarita'
nella  gestione  dell'Ente  Parco,  ne  riferisce  immediatamente  al
Consiglio direttivo ed alla Giunta regionale. 
    26. Il Revisore ha diritto di accesso agli atti  e  ai  documenti
dell'Ente Parco e puo'  partecipare,  senza  diritto  di  voto,  alle
sedute del Consiglio direttivo. 
    27. Il Revisore unico dura in  carica  cinque  anni  e  non  puo'
essere rinominato presso lo stesso Ente Parco. 
    28.  Al  Revisore  unico  compete  un   compenso   lordo   annuo,
determinato  dal  Consiglio  direttivo,  nel  rispetto  della   legge
regionale 4 luglio 2019, n. 15 (Disposizioni  in  materia  di  tutela
delle prestazioni professionali e di equo compenso). Al  medesimo  e'
riconosciuto  il  rimborso  delle  spese   di   viaggio   debitamente
documentate, se sostenute per l'utilizzo di  mezzi  pubblici,  ovvero
un'indennita' chilometrica pari ad 1/5  del  costo  di  un  litro  di
benzina, per ogni chilometro percorso con  il  mezzo  proprio,  dalla
sede del proprio domicilio a quella del Parco. 
    29. In merito alla quantificazione dei compensi e dei gettoni  di
presenza,  l'Ente  Parco  assicura  il  rispetto  delle  disposizioni
nazionali in materia di coordinamento della  finanza  pubblica  e  di
contenimento della spesa ove applicabili. 
    30. Sono incompatibili con le cariche di cui alle lettere a),  b)
e d) del comma 2: 
        a) coloro che hanno riportato  condanne  che  non  consentono
l'iscrizione  nelle  liste  elettorali,  salvi  gli   effetti   della
riabilitazione; 
        b) i dipendenti dell'Ente Parco; 
        c) coloro che hanno con l'Ente Parco liti pendenti rientranti
nella giurisdizione della magistratura  ordinaria,  amministrativa  o
tributaria; 
        d) coloro che hanno parte in imprese che  forniscono  beni  o
rendono servizi per conto dell'Ente Parco; 
        e) i Parlamentari nazionali o europei; 
        f) i Consiglieri o Assessori regionali; 
        g) i Sindaci e Assessori di Comuni con popolazione  superiore
a 15 mila abitanti; 
        h) i Presidenti delle Camere di Commercio; 
        i) il Presidente ed il  Vicepresidente  della  Comunita'  del
Parco; 
        j) gli Amministratori di enti, aziende ed agenzie dipendenti,
vigilate o societa' partecipate dalla Regione. 
    31. Le cause di cui alle lettere a), b), c) e  d)  del  comma  30
comportano, qualora intervengano in corso di  mandato,  la  decadenza
dall'incarico; per le restanti cause l'interessato esercita l'opzione
entro 15 giorni dalla seconda nomina,  a  seguito  dei  quali  decade
automaticamente dall'incarico presso l'Ente Parco.". 
    Infine,  l'art.8,  novellando  l'art.12  della  precedente   L.R.
n.42/2011, stabilisce al comma 2, lett.c) che 
    "c) ad apposite guardie del parco assegnate all'Ente Parco cui e'
attribuita la qualifica di  agente  di  polizia  giudiziaria  di  cui
all'articolo 57 del codice di procedura penale con  apposito  decreto
prefettizio nei limiti territoriali dell'area protetta di competenza; 
    ed al comma 3) che 
    "3. Il personale di cui alle lettere c) ... del comma 2 svolge il
proprio  servizio  in  divisa  ed   e'   munito   di   tesserino   di
riconoscimento rilasciato dall'Ente Parco.". 
    2.  Le  predette  disposizioni  intervengono  in  modifica  della
disciplina del Parco Naturale regionale Sirente-Velino con  revisione
e riduzione dei suoi confini, restando esclusa l'area di circa  6.400
ettari, in una materia che coinvolge sia profili di tutela ambientale
che paesaggistica la cui conservazione e valorizzazione, come codesta
Corte ha in piu' occasioni affermato, spetta, in base  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (ex
plurimis, sentenza n. 172 del 2018; n. 367 del 2007). 
    Con le disposizioni sopra  riportate  il  legislatore  regionale,
come si spieghera', non ha rispettato la sfera di competenze ad  esso
destinate,  ed  ha  violato  la  legislazione  emanata  dallo   Stato
nell'esercizio della  propria  competenza  esclusiva  in  materia  di
tutela del paesaggio,  dell'ambiente  e  dell'ecosistema  nonche'  in
quella di ordinamento penale, che gli artt. 9 e 117,  secondo  comma,
lett. l), m e s), della Costituzione, attribuiscono in via  esclusiva
allo Stato. 
    Pertanto, il Presidente del Consiglio  dei  Ministri  propone  il
presente ricorso, affidandolo ai seguenti motivi in 
 
                               Diritto 
 
1.Illegittimita' dell'art.2 della legge della  Regione  Abruzzo  n.14
dell'8 giugno 2021, 
        A) sotto il profilo della tutela ambientale , per  violazione
degli artt.9, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. s) Cost.  in
relazione agli obiettivi  fissati  dalla  Strategia  europea  per  la
Biodiversita' 2030, agli artt. 22, comma 1, lett. a) e  c)  e  23,  1
comma, della L. n.394/1991 (Legge quadro sulle aree  protette),  alla
Direttiva 147/2009/CE, alla direttiva 42/2001/CE, all'art. 6 del DLGS
3 aprile 2006, n. 152, all'art.6, comma 3, della Direttiva  43/92/CE,
come  recepito  dall'art.6  del  DPR  120/2003,  all'art.5  del   DPR
357/1997; 
        B)  sotto  il  profilo  della   tutela   paesaggistica,   per
violazione degli artt.3, 9, secondo comma, 97 e 117,  secondo  comma,
lett. l, m) e s) Cost., in relazione agli artt. 135,  140,  comma  2,
142, comma 1, lett. c, d, f, g), 143, commi  1,  lett.c)  e  9,  145,
commi 3 e 5,  167,  comma  4,  181  DLGS  42/2004  (codice  dei  beni
culturali e del paesaggio); alla 1.47/1985, all'art.32, comma 27,  DL
n.269/2003. 
    1.A. Sotto il profilo della tutela ambientale. 
    1.A.a. La norma in esame contempla una nuova  perimetrazione,  di
minore consistenza, attesa l'esclusione di  6.400  ettari,  dell'area
del Parco regionale Sirente-Velino. 
    In materia ambientale, la Legge  quadro  sulle  aree  protette  -
legge 6 dicembre 1991, n. 394 - contiene i principi  fondamentali  ai
quali le Regioni sono tenute ad adeguarsi, in quanto tale  disciplina
e'   stata    reiteratamente    ricondotta    dalla    giurisprudenza
costituzionale alla  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  (da
ultimo, sentenze n.  74  e  n.  36  del  2017  Corte  Cost.)  perche'
espressione della competenza esclusiva dello Stato a porre  standards
uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, non derogabili in
peius dalle regioni, pena  l'invasione  di  un  ambito  di  esclusiva
spettanza statale. 
    L'art. 23 della suddetta legge quadro  sulle  aree  protette  (n.
394/1991) al primo comma dispone: 
        «1.  La  legge  regionale  istitutiva  del   parco   naturale
regionale,  tenuto  conto  del  documento   di   indirizzo   di   cui
all'articolo 22, comma 1, lettera  a),  definisce  la  perimetrazione
provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la
gestione del parco e indica gli elementi del piano per il  parco,  di
cui all'articolo 25, comma 1, nonche' i principi del regolamento  del
parco.» ed il richiamato art. 22, comma 1, lett. a), stabilisce che 
    «Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree
naturali protette regionali: a)  la  partecipazione  delle  province,
delle comunita' montane e dei comuni al procedimento  di  istituzione
dell'area  protetta,  fatta  salva  l'attribuzione   delle   funzioni
amministrative alle province, ai sensi dell'articolo 14 della legge 8
giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si  realizza,  tenuto  conto
dell'articolo 3 della  stessa  legge  n.  142  del  1990,  attraverso
conferenze per la redazione di un  documento  di  indirizzo  relativo
all'analisi territoriale dell'area da destinare  a  protezione,  alla
perimetrazione provvisoria,  all'individuazione  degli  obiettivi  da
perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area
protetta sul territorio» a garanzia, come disposto alla lett.c),  per
gli enti locali di partecipare alla gestione dell'area protetta,  non
potendo gli stessi essere estromessi  dal  procedimento  con  cui  si
compie un atto  di  evidente  rilievo  gestionale,  quale  quello  di
variazione dei confini del parco. 
    L'art.2 dell'impugnata legge, rubricato "Ente Parco  e  confini",
nel far riferimento alla cartografia in allegato 1 e nel  richiamare,
per sostituirlo, l'art.2 della L.42/2011 ed il  suo  allegato  1,  ha
disposto la riduzione del perimetro del  Parco  Regionale  Sirente  -
Velino, come precedentemente risultante  dalla  cartografia  presente
nella normativa modificata di cui all'art.2 L.R. 42/2011. 
    Ma nel disporre cio', in  primo  luogo,  non  ha  rispettato  gli
obiettivi fissati dalla Strategia europea per la Biodiversita'  2030,
la quale richiede ad ogni Stato membro di individuare  una  superfice
protetta pari al 30%  del  territorio  nazionale,  e,  di  questa,  a
considerare strettamente protetto il 10%. 
    In  secondo  luogo,  la   variazione   dei   confini,   contenuta
nell'art.2, che non ha comportato  modifiche  del  piano  del  parco,
anziche' essere effetto della partecipazione dei rappresentanti degli
enti locali, risulta essere stata attuata direttamente con la  legge,
senza aver posto in  essere  il  medesimo  procedimento  seguito  dal
legislatore per la perimetrazione provvisoria dei confini, nel quale,
ai sensi dell'art. 22 della legge quadro, erano state coinvolte anche
le autonomie locali. 
    1.A.b. L'art.2, riducendo l'area del Parco di  6.400  ettari,  si
pone ancora  in  contrasto  con  la  Direttiva  2009/147/CE,  che  ha
formalmente  riconosciuto  tutta  l'area  quale  Zona  di  Protezione
Speciale -codice IT7110130 della Rete  Natura2000  della  UE  -  rete
ecologica diffusa su tutto il territorio  dell'Unione,  istituita  ai
sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" e costituita  dai  Siti  di
Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri  secondo
quanto  stabilito  dalla  stessa  Direttiva  Habitat,   che   vengono
successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC),
e che comprende le Zone di Protezione  Speciale  (ZPS)  istituite  ai
sensi della suddetta Direttiva 2009/147/CE "Uccelli"  concernente  la
conservazione degli uccelli selvatici - riconoscimento  in  relazione
al quale il Parco regionale Sirente-Velino,  per  mezzo  dello  Stato
italiano,  ha  percepito  cospicui  finanziamenti  dalla  Commissione
Europea al fine di tutelare l'Orso bruno, oggetto dell'accordo  PATOM
(Accordo tra  Pubbliche  Amministrazioni  per  l'implementazione  del
Piano d'Azione per la tutela dell'Orso bruno marsicano). 
    Conseguentemente,  la  sancita  esclusione  di  siffatta,  estesa
porzione di territorio dal Parco Regionale, in riferimento alle leggi
nazionali ed eurounitarie e alle misure di conservazione  attualmente
vigenti  nelle  aree  della  Rete  Natura  2000,  interessate   dalla
riperimetrazione, che avevano tenuto conto dei  vincoli  imposti  dal
Parco Regionale, avra' come conseguenza che,  venendo  meno  anche  i
vincoli imposti su tale porzione di  territorio,  lo  Stato  italiano
rischiera'   la   contestazione,   anche   in    sede    comunitaria,
dell'inefficacia di dette  misure  di  conservazione,  con  correlati
riflessi anche sullo stesso accordo PATOM. 
    1.A.c. In una visione complessiva  e  di  sistema  degli  impatti
della norma regionale e  nella  ipotizzabile  riconducibilita'  della
intervenuta riperimetrazione del  Parco  regionale  alla  nozione  di
"Piano", si delineano  anche  potenziali  riflessi  contrastanti  con
l'art. 6, DLGS 3 aprile 2006, n. 152 «in considerazione dei possibili
impatti sulle finalita' di conservazione dei siti designati come zone
di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e
quelli classificati  come  siti  di  importanza  comunitaria  per  la
protezione degli  habitat  naturali  e  della  flora  e  della  fauna
selvatica». 
    Cio', tenuto conto della ampia nozione di "piano",  recata  dalla
Direttiva 42/2001/CE sulla Valutazione  Ambientale  Strategica,  come
recepita dal  legislatore  nazionale,  in  relazione  alla  quale  la
Commissione Europea e' intervenuta piu' volte chiarendo,  sulla  base
di una uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia, che  ("[...]
in  considerazione   della   finalita'   della   direttiva   2001/42,
consistente  nel  garantire  un   livello   elevato   di   protezione
dell'ambiente,   le   disposizioni   che   delimitano   l'ambito   di
applicazione di  tale  direttiva,  ed  in  special  modo  quelle  che
enunciano le definizioni  degli  atti  ivi  previsti,  devono  essere
interpretate in senso ampio" sentenza C-567/10, punti 24-43). 
    La  Valutazione  Ambientale  Strategica  deve,   quindi,   essere
prevista per tutte quelle decisioni  che  determinano  effetti  sulle
modalita' di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale
cambiamento. 
    In proposito, sul concetto di "piano", si richiamano i  paragrafi
3.3,  3.4,  3.5  e  3.6  del  documento  della  Commissione   Europea
"Attuazione della direttiva  2001/42/ce  concernente  la  valutazione
degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente", in cui
viene chiarito, in maniera inequivocabile, che 
    "uno dei possibili parametri di valutazione puo' essere la misura
in  cui  e'  probabile  che  un  atto  abbia  effetti   significativi
sull'ambiente.  Una  possibile  interpretazione  e'  che  i   termini
includano  qualsiasi  dichiarazione  ufficiale  che  vada  oltre   le
aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro" 
    e, piu' avanti, 
    "Cio' potrebbe includere, ad esempio, piani per  la  destinazione
dei suoli che stabiliscano le modalita' di riassetto del territorio o
che fissino delle regole o un orientamento sul tipo di  sviluppo  che
potrebbe essere appropriato o consentito in determinate aree o ancora
che propongano i criteri da tenere in considerazione nel concepimento
del nuovo progetto". 
    Tra l'altro, si deve anche considerare che la VAS e' ancora  piu'
rilevante nei procedimenti che hanno per oggetto la rete Natura  2000
e, sempre in tale ottica, a tale violazione si accompagnerebbe  anche
quella, correlata, della mancata sottoposizione del  provvedimento  a
Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA), di cui all'art. 6, comma
3, della Direttiva 43/92/CE, come recepito dall'art. 6, DPR 12  marzo
2003, n. 120, che ha sostituito l'art. 5, DPR 8  settembre  1997,  n.
357, applicabile anche ai piani e ai programmi (anche in questo  caso
la Commissione Europea, a pag. 41 del documento  "Gestione  dei  siti
Natura  2000  -  Guida  all'interpretazione  dell'articolo  6   della
direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat)" ha osservato: 
    "Di ovvia rilevanza a norma della direttiva Habitat sono i  piani
territoriali o di  destinazione  dei  suoli.  Alcuni  di  essi  hanno
effetti legali diretti per la destinazione d'uso dei  terreni,  altri
invece soltanto indiretti. A titolo di esempio, i piani  territoriali
regionali o aventi un'ampia estensione  geografica  spesso  non  sono
applicati direttamente, bensi' costituiscono la base per  piani  piu'
dettagliati o fungono da quadro generale per consensi  allo  sviluppo
con effetti legali diretti. Entrambi i tipi di piani di  destinazione
dei  suoli  si  dovrebbero  considerare  coperti   dall'articolo   6,
paragrafo 3, nella misura in cui possono avere effetti  significativi
su un sito Natura 2000.") 
    Pertanto, la Regione Abruzzo, attraverso un apposito screening di
Valutazione di Incidenza Ambientale, avrebbe  dovuto  valutare  quale
effetto avra' il provvedimento sull'Orso  bruno,  presente  nei  siti
SIC/ZPS (e anche esternamente ad essi,  nelle  aree  oggetto  appunto
della riperimetrazione) limitrofi al territorio ora escluso dall'area
protetta. 
    A  riguardo,  va  ribadito  quanto  gia'  affermato  dalla  Corte
Costituzionale con la sentenza n. 38/2015,  per  cui  "la  disciplina
della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette
ai sensi di "Natura 2000", contenuta nell'art. 5 del  regolamento  di
cui al d.P.R. n.  357  del  1997,  deve  ritenersi  ricompresa  nella
"tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", rientrante nella competenza
esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti
attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie". 
    1.B. Sotto il profilo della tutela paesaggistica. 
    Per effetto della  revisione  in  senso  riduttivo  dei  confini,
effettuata dall'art. 2 della legge  regionale  in  esame,  parte  dei
territori dei Comuni, prima  ricompresi  nel  Parco,  sono  sottratti
oltre che alla tutela naturalistica, quali aree protette, anche  alla
correlata tutela paesaggistica, imposta ex lege sulle medesime  aree,
ai sensi dell'art.142,  comma  1,  lett.  f),  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio (di seguito, anche solo codice) di  cui  al
DLGS 42/2004. 
    Si tratta, ad esempio, del comune di Fagnano Alto e dei pregevoli
centri del comune di Acciano, nonche' del centro storico di  Gagliano
Aterno, che  risultera'  completamente  sprovvisto  di  strumenti  di
tutela. 
    La scelta regionale risulta completamente immotivata e gravemente
penalizzante per la tutela del paesaggio,  che  ha  finora  mantenuto
intatta  la  propria  rilevante  valenza  ambientale   ed   estetica,
fortemente rinaturalizzato dal  bosco  e  contraddistinto  da  centri
storici  con  caratteri  di  grande  pregio,  pur   se   notevolmente
danneggiati a causa del sisma del 2009 e quasi disabitati. 
    L'art. 142, comma  1,  lett.f),  del  Codice  contempla,  tra  le
categorie di beni tutelati paesaggisticamente per legge, "i parchi  e
le riserve nazionali o regionali, nonche' i territori  di  protezione
esterna dei parchi", gia' riconosciuti meritevoli di tutela ope legis
dalla legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso), in  quanto  considerate
"comunque di  interesse  paesaggistico"  e  percio'  sottoposte  alla
normativa di tutela. 
    Il  contesto   naturalistico-ambientale   di   spiccato   rilievo
paesaggistico,  costituito   dal   Parco   Naturale   Regionale   del
Sirente-Velino risulta,  quindi,  integralmente  tutelato  ope  legis
anche dal punto di vista paesaggistico, oltre che dal punto di  vista
naturalistico, da oltre trent'anni. 
    Alcune   porzioni   dello   stesso   contesto    sono    tutelate
paesaggisticamente anche in riferimento alla previsione di  cui  alle
lettere d), c) e g) dell'art. 142, comma 1, del Codice. 
    Sono inoltre presenti  aree  tutelate  con  decreti  ministeriali
(D.M. 21/6/85 Gole di San Venanzio e D.M. 21/6/85 Monte Sirente). 
    II perimetro originario del  Parco  risulta,  inoltre,  riportato
come "Parco esistente" nel Piano Paesistico Regionale (PPR)  vigente,
approvato con atto del Consiglio Regionale  141/21  del  1990,  cosi'
come nello  strumento  adottato  nel  2004,  e  nel  redigendo  Piano
paesaggistico, per il quale e' prevista la co-pianificazione  con  il
Ministero della cultura, ai sensi degli articoli 135, 143 e  145  del
Codice dei beni culturali e del paesaggio che  prevede  che  le  aree
tutelate per legge siano necessariamente  comprese  nell'elaborazione
del Piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lett.c), e siano  oggetto
di co-pianificazione obbligatoria tra lo Stato  e  le  Regioni  (art.
135). 
    Al   riguardo,   si   precisa   che,   benche'   l'attivita'   di
co-pianificazione  non  abbia   ancora   condotto   alla   definitiva
approvazione del Piano paesaggistico regionale, ai sensi del  Codice,
sono tuttora pienamente validi ed efficaci gli accordi tra la Regione
Abruzzo e il Ministero della Cultura oggetto dell'Intesa sottoscritta
nel 2009 e del disciplinare aggiornato, sottoscritto in data 8 giugno
2016. Tali accordi si riferiscono a tutto il territorio regionale. 
    L'iter di elaborazione e approvazione della  legge  regionale  in
esame, invece, non ha  previsto  alcun  coinvolgimento  degli  Uffici
territoriali di detto  Ministero  costituendo  l'espressione  di  una
scelta unilaterale della Regione Abruzzo su una materia  che  attiene
all'attivita' di copianificazione paesaggistica obbligatoria. 
    La modifica unilaterale dei confini del Parco regionale, in senso
riduttivo, da parte  della  Regione,  quindi,  e'  costituzionalmente
illegittima in quanto un'ampia parte del  territorio  regionale,  pur
mantenendo invariati i caratteri  di  pregio  riconosciuti  da  oltre
trent'anni,  viene  esclusa  dal  perimetro  del  Parco  naturale  e,
conseguentemente, sottratta oltre che alla tutela naturalistica anche
a quella paesaggistica. 
    Seppure alle Regioni sia consentito legittimamente  modificare  i
confini dei parchi regionali  con  propria  legge,  come  di  recente
affermato dalla Corte Costituzionale  -  che  ha  ritenuto  legittimo
l'ampliamento del Parco regionale dell'Appia Antica  da  parte  della
Regione Lazio con la legge regionale n. 7/2018 (sentenza  n.276/2020)
- deve tuttavia rimarcarsi che, in  quel  caso,  si  trattava  di  un
ampliamento dei confini  del  Parco,  e  conseguentemente,  anche  di
ampliamento del relativo vincolo  paesaggistico,  attivita'  conforme
alla costante giurisprudenza della Corte che riconosce alle  Regioni,
in materia ambientale, la potesta' di dettare leggi volte  unicamente
a incrementare il livello della tutela, e non certo a ridurlo. 
    La Corte ha riconosciuto alle  Regioni  un  ruolo  integrativo  e
concorrente, meramente aggiuntivo e non sostitutivo,  della  potesta'
statale in materia di tutela dei beni culturali (cfr. sentenza  Corte
cost. n. 194/2013); ruolo da ritenersi analogamente predicabile anche
in materia di tutela del paesaggio,  ove  le  Regioni  esercitano  le
specifiche  competenze  amministrative  alle  stesse  attribuite  dal
Codice. 
    Con la legge in esame, la Regione Abruzzo ha, quindi, ecceduto  i
limiti  propri  dell'autonomia  regionale,  come   delimitati   dalle
pronunce della Corte (da ultimo, cfr.  sentenza  n.  134/2020,  nella
quale si afferma: "Questa Corte ha infatti  ripetutamente  ricondotto
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  la   disciplina
ambientale dei parchi (da ultimo, sentenze n. 290 del  2019;  n.  121
del 2018), pur riconoscendo che  il  parco  regionale  resta  «tipica
espressione dell'autonomia regionale» (sentenza n. 108 del  2005),  e
che esso «ben puo' essere oggetto di regolamentazione da parte  della
Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e  quarto  dell'art.
117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia  del
patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni» (sentenza
n. 44 del 2011)". 
    1.B.a. Nello specifico, l'art. 2 della legge  regionale  si  pone
anzitutto in contrasto con l'art. 142, comma 1, Iett.f),  del  Codice
che sottopone a tutela paesaggistica per legge i territori dei parchi
e delle riserve, nonche' le fasce di protezione esterna  dei  parchi,
in  ragione  del  valore  paesaggistico  intrinseco  che  tali   aree
presentano per le loro caratteristiche morfologiche e ubicazionali. 
    La norma regionale, riducendo notevolmente i confini  del  Parco,
inteso quale bene paesaggistico, sottrae  alla  tutela  paesaggistica
ampie porzioni di territorio, ad oggi tutelate in forza  della  legge
nazionale. 
    La Corte costituzionale ha gia' riconosciuto l'illegittimita'  di
disposizioni regionali che miravano, sostanzialmente, alla  rimozione
di vincoli paesaggistici esistenti ope legis, mediante  "sottrazione"
del territorio regionale  alla  categoria  prevista  dal  legislatore
statale (ci si riferisce alla sentenza n. 210/2014 che ha  dichiarato
illegittimo l'art. 1 della legge della Regione  autonoma  Sardegna  2
agosto 2013, n. 19,  il  quale  privava  il  sistema  di  tutela  del
paesaggio e dell'ambiente del presidio costituito dagli usi civici in
tal  modo  direttamente  incidendo,  invadendola,  sulla   competenza
esclusiva dello Stato in materia). In  tale  occasione  la  Corte  ha
rimarcato che "La coesistenza dei due ambiti competenziali impone  la
ricerca di un modello procedimentale che  permetta  la  conciliazione
degli interessi che sono ad essi sottesi". Secondo la Corte, in  tali
casi, lo strumento del piano paesaggistico si rivela  inadeguato,  in
quanto "la tutela  dell'interesse  ambientale  esige  l'anticipazione
dell'intervento statale alla  fase  della  formazione  del  piano  di
accertamento  straordinario  previsto  dalla  disposizione  regionale
censurata",  fase  che,  nel  caso  in  esame,  coincide  con  l'iter
regionale che ha portato alla riduzione dei confini del Parco,  quale
presupposto amministrativo su cui poggia il vincolo paesaggistico. 
    La  Corte  ha  infatti  affermato  che  "La  necessita'  di  tale
anticipazione deriva dalla stessa natura del bene protetto.  Gli  usi
civici,  infatti,  analogamente  ad  altre   fattispecie   quali   le
universita' agrarie, i parchi e le riserve, non trovano la loro fonte
nel dato puramente geografico, oggetto; di mera rilevazione nel piano
paesaggistico (come accade, ad esempio, per le  fasce  di  rispetto),
bensi' in precedenti atti amministrativi, cosicche' e' in questa fase
a monte che si consuma la  scelta  ambientale.  (...)  D'altra  parte
l'eventuale apposizione di un diverso vincolo  non  e'  in  grado  di
assicurare  una  tutela  equivalente,  poiche'  in  questo  caso   il
mantenimento delle caratteristiche morfologiche  ambientali  richiede
non una disciplina meramente "passiva", fondata su limiti e  divieti,
ma un intervento attivo, e cioe' la cura assidua della  conservazione
dei  caratteri  che  rendono  il  bene   di   interesse   ambientale"
concludendo: "In tale  prospettiva,  deve  concludersi  che  per  una
efficace tutela del paesaggio e dell'ambiente non e'  sufficiente  un
intervento successivo alla soppressione degli usi civici: occorre  al
contrario garantire che lo Stato possa far valere  gli  interessi  di
cui e' portatore sin nella  formazione  del  piano  straordinario  di
accertamento demaniale, concorrendo a verificare se sussistano o meno
le condizioni per la loro stessa  conservazione,  ferme  restando  le
regole nazionali inerenti al loro regime giuridico  e  alle  relative
forme di tutela". 
    Anche piu' recentemente, la Corte ha annullato  una  disposizione
regionale che, modificando una precedente legge regionale  che  aveva
introdotto un vincolo "ha surrettiziamente aggirato il vincolo  posto
dalla norma interposta costituita dall'art. 142, comma 1, lettera g),
del d.lgs. N. 42 del 2004" (sentenza n. 141/2021). 
    La norma regionale denunciata, pertanto, riducendo i confini  del
Parco regionale, i cui territori sono tutelati ope legis dal  Codice,
ha violato la norma statale che sottopone a tutela  paesaggistica  il
territorio  dei  parchi,  anche  regionali,   in   quanto,   operando
autonomamente e senza il coinvolgimento  dello  Stato,  ha  sottratto
parte del territorio regionale, contraddistinto per i suoi  caratteri
di pregio naturalistico-ambientale, alla tutela paesaggistica imposta
ope legis. 
    1.B.b. La scelta del legislatore regionale appare contraria anche
al principio di co-pianificazione obbligatoria imposto dal Codice con
riferimento alle aree tutelate per legge, oltre che agli  altri  beni
paesaggistici (artt. 135, 143  e  145),  dimostrandosi  lesiva  delle
competenze  primarie  in  materia  di  tutela  del   paesaggio   come
riconosciute allo Stato, in via  esclusiva,  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera s) Cost. 
    Appare  evidente,  infatti,  che  il  legislatore  regionale   e'
intervenuto unilateralmente a modificare il bene paesaggistico "Parco
Naturale  regionale  Sirente  Velino",  gia'  confluito   nel   Piano
paesaggistico regionale,  elaborato  dalla  Regione  ai  sensi  della
normativa c.d. Galasso, nonche'  nel  nuovo  Piano  paesaggistico  in
corso di elaborazione con lo Stato  e  oggetto  di  co-pianificazione
obbligatoria, intervenendo al di fuori del  quadro  necessario  della
pianificazione paesaggistica, nel quale oggi  e'  confluito  il  bene
paesaggistico de quo. 
    Solo al Piano  paesaggistico,  elaborato  congiuntamente  con  lo
Stato, quanto meno con riferimento  ai  beni  paesaggistici,  spetta,
infatti, la ricognizione  dei  beni  paesaggistici  e  l'elaborazione
delle relative prescrizioni  d'uso,  nonche'  l'individuazione  della
tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate nonche'
delle  condizioni  delle  eventuali  trasformazioni.  Il  legislatore
nazionale, nell'esercizio della  potesta'  legislativa  esclusiva  in
materia ha, infatti, assegnato al Piano paesaggistico  una  posizione
di   assoluta   preminenza   nel   contesto   della    pianificazione
territoriale. 
    Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice  sanciscono
l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di
piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o  regionali  di  sviluppo
economico e la loro  cogenza  rispetto  agli  strumenti  urbanistici,
nonche' l'immediata prevalenza del Piano paesaggistico su ogni  altro
atto della pianificazione  territoriale  e  urbanistica  (cfr.  Corte
cost. n. 180/2008). 
    Si tratta  di  una  scelta  di  principio,  la  cui  validita'  e
importanza  e'  gia'  stata  affermata   piu'   volte   dalla   Corte
costituzionale, che ha da tempo statuito l'esistenza  di  un  vero  e
proprio  obbligo,  costituente  un   principio   inderogabile   della
legislazione   statale,   di   elaborazione   congiunta   del   Piano
paesaggistico, con riferimento ai  beni  vincolati  (Corte  cost.  n.
86/2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della  pianificazione
paesaggistica "e' assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale" (Corte cost., n.  182/2006;  cfr.  anche  la  sentenza  n.
272/2009). La  Corte  ha  riconosciuto  la  prevalenza  dell'impronta
unitaria della pianificazione paesaggistica: 
    "Come questa Corte ha avuto modo di affermare  anche  di  recente
con la sentenza n. 367 del 2007, sul  territorio  vengono  a  gravare
piu'  interessi  pubblici:  da  un  lato,   quelli   concernenti   la
conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta  in  via
esclusiva allo Stato, in base all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il governo de territorio  e
la valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali  (fruizione  del
territorio), che sono affidati,  in  virtu'  del  terzo  comma  dello
stesso art. 117, alla competenza  concorrente  dello  Stato  e  delle
Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi  di  tutela,  che  ben
possono essere coordinati fra loro, ma  che  debbono  necessariamente
restare distinti» (cosi' la citata sentenza n. 367/2007). 
    Ne consegue, sul piano del riparto  di  competenze  tra  Stato  e
Regione, in materia di paesaggio, la «separatezza tra  pianificazione
territoriale ed urbanistica,  da  un  lato,  e  tutela  paesaggistica
dall'altro»,  prevalendo,  comunque,   «l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182/2006). E' in  siffatta
piu' ampia prospettiva che, dunque, si  colloca  il  principio  della
"gerarchia" degli strumenti di  pianificazione  dei  diversi  livelli
territoriali, espresso  dall'art.  145  del  d.lgs.n.  42  del  2004"
(sentenza n. 180/2008). 
    La norma regionale e' illegittima in quanto determina una vistosa
deroga, se non addirittura un pieno  contrasto,  al  principio  della
necessaria prevalenza della pianificazione paesaggistica  rispetto  a
ogni altro piano, programma o progetto nazionale o regionale (ex art.
145, comma 3, del Codice). 
    1.B.c. La norma in esame appare contraria anche al  principio  di
irrevocabilita'  dei  vincoli  paesaggistici,  accolto  dal   Codice.
Occorre, a riguardo, evidenziare che la natura meramente  accertativa
del vincolo paesaggistico,  in  conseguenza  del  cui  riconoscimento
trova applicazione  il  regime  di  tutela,  fa  si'  che  una  volta
riconosciuto l'interesse paesaggistico del bene, lo stesso non  possa
piu' essere revocato, neppure mediante contrarius actus. 
    Tale irrevocabilita' discende, secondo i principi,  dalla  natura
meramente ricognitiva dei vincoli  paesaggistici,  come  riconosciuta
dalla Corte fin dalla sentenza n. 56/1968, in quanto i "beni immobili
qualificati di bellezza naturale  hanno  valore  paesistico  per  una
circostanza che  dipende  dalla  loro  localizzazione  e  dalla  loro
inserzione in un complesso che ha in modo  coessenziale  le  qualita'
indicate  dalla  legge.  Costituiscono  cioe'   una   categoria   che
originariamente  e'  di  interesse  pubblico   e   l'Amministrazione,
operando nei modi descritti dalla  legge  rispetto  ai  beni  che  la
compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la
corrispondenza delle sue qualita' alla prescrizione normativa". 
    A  maggior  ragione,  l'accertamento  di  un  interesse  pubblico
"immanente  al  bene"  si  verifica  se  l'individuazione  dei   beni
paesaggistici, anziche' essere compiuta dall'amministrazione mediante
puntuali provvedimenti amministrativi,  e'  effettuata  dallo  stesso
legislatore, mediante l'indicazione di specifiche categorie di  beni,
i  quali  sono   quindi   ritenuti   originariamente   di   interesse
paesaggistico.  Se  l'individuazione  del   bene   paesaggistico   e'
sufficiente a svelarne la natura intrinseca  di  interesse  pubblico,
detta natura non puo' venire meno  per  effetto  della  revoca  della
fonte del vincolo, sia essa un  provvedimento  amministrativo  o  una
norma primaria o anche una disposizione del piano paesaggistico. 
    Tale principio, direttamente discendente dall'art.  9  Cost.,  e'
accolto nel Codice che  non  ha  riprodotto  l'art.  14  del  vecchio
regolamento   di   cui   al   R.D.   n.1357/1940,   da   considerarsi
implicitamente  abrogato,  che  prevedeva  il  potere   ministeriale,
sentita la Commissione provinciale, di  "togliere  o  restringere  il
vincolo (...) quando siano venute a mancare o a  mutare  le  esigenze
che lo avevano determinato". 
    Il Codice, infatti, nega persino al piano paesaggistico,  benche'
elaborato  congiuntamente   e   condiviso   con   specifico   accordo
procedimentale tra Regione e Stato, il potere di rimuovere o  ridurre
vincoli paesaggistici preesistenti (cfr. art. 140, comma 2). 
    La disposizione  si  riferisce  ai  vincoli  provvedimentali,  in
quanto non potrebbe, nemmeno in via ipotetica, dubitarsi che il piano
possa  revocare  vincoli  imposti  dallo   stesso   legislatore.   La
disciplina di  tutela  paesaggistica  ha  accentuato,  rispetto  alle
originarie disposizioni della legge n.  1497/1939,  una  logica,  per
cosi' dire "incrementale", secondo la quale i vincoli possono  essere
estesi e integrati nei contenuti precettivi, e non perdono  efficacia
ne' devono essere sottoposti a forme di revisione o conferma, ma  non
possono venire meno una volta imposti, salvi i casi  eccezionali  nei
quali sia definitivamente perduto l'elemento materiale nel  quale  si
esprime il valore paesaggistico meritevole di tutela. 
    Tali  conclusioni,  peraltro,  sono  pacificamente  accolte   dal
Giudice  amministrativo,  che,  con  riferimento  ai  boschi,   anche
recentemente ha ribadito "L'art. 142, comma 1, lettera g) del  d.lgs.
N. 42/2004 ha individuato i territori coperti da boschi  fra  i  beni
paesaggistici  tutelati   per   legge,   con   previsione   meramente
ricognitiva. Ne consegue, dunque, che i boschi costituiscono un  bene
paesaggistico sottoposto a tutela diretta dalla legge con vincoli che
gli  strumenti  di  pianificazione  regionale  devono  recepire,  non
soggetti a decadenza, perche' traggono origine dalle  caratteristiche
dell'area,   il   cui   valore   paesaggistico   impone   limitazioni
all'esercizio delle facolta' di uso della stessa, rispetto alle quali
non solo  l'intervento  dell'Amministrazione,  ma  anche  quello  del
legislatore,  assume  valenza,  come   detto,   ricognitiva   e   non
costitutiva derivante dalla qualita' intrinseche del  bene  tutelato"
(Consiglio di Stato, sentenza n. 6921/2018). 
    Si  sottolinea  che  il  legislatore  statale  ha   espressamente
sancito, nel Testo unico delle foreste di cui al  d.lgs.  N.  34  del
2017, il divieto di diminuzione del livello di tutela  stabilito  dal
legislatore, in diretta applicazione dell'art.9  della  Costituzione,
conformando  la  funzione  integrativa  regionale  in  senso   (solo)
ampliativo della tutela. 
    Analogamente, in materia di usi civici, il legislatore statale e'
intervenuto in occasione  della  legge  n.  168/2017,  concernente  i
domini collettivi precisando, riguardo al vincolo paesaggistico,  che
"Tale vincolo e' mantenuto sulle terre anche in caso di  liquidazione
degli usi civici" (cfr. art.  3,  comma  6),  con  cio'  sancendo  il
principio in base al quale il vincolo paesaggistico gravante sull'uso
civico non si puo' considerare estinto in virtu' dei provvedimenti di
sclassificazione, che hanno,  in  ogni  caso,  riguardo  a  interessi
diversi dalla tutela del paesaggio. 
    Poiche' con riferimento  alla  categoria  di  beni  di  cui  alla
lett.f) dell'art. 142,  comma  1,  del  Codice,  tale  principio  non
risulta esplicitato, la Regione, intervenendo sui confini  del  Parco
in senso riduttivo, consegue l'effetto  di  ridurre  illegittimamente
anche il  vincolo  paesaggistico,  in  contrasto  con  il  richiamato
principio di irrevocabilita' del vincolo paesaggistico. 
    1.B.d. L'art.2 della normativa regionale, operando  la  riduzione
dei confini del Parco regionale, determina altresi'  un  abbassamento
dei livelli di tutela in violazione dell'art. 9 Cost. 
    La Corte costituzionale, nella  nota  sentenza  n.  151/1985,  ha
evidenziato come il legislatore, con il decreto-legge n.  312/1985  e
con  la  legge  di   conversione   n.   431/1985,   abbia   proceduto
all'individuazione di porzioni e di elementi  del  territorio  stesso
"secondo   tipologie   paesistiche   ubicazionali   o    morfologiche
rispondenti a criteri largamente  diffusi  e  consolidati  nel  lungo
tempo",  introducendo  "una  tutela  del   paesaggio   improntata   a
integralita'   e   globalita',   vale   a   dire    implicante    una
riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e
in  attuazione  del  valore  estetico-culturale"  sancendo  la  piena
legittimita' della scelta del legislatore statale e chiarendo come 
    "Una tutela cosi' concepita e' aderente al precetto  dell'art.  9
Cost., il quale, secondo una scelta  operata  al  piu'  alto  livello
dell'ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr. sentenze
di questa Corte n.  94  del  1985  e  n.359  del  1985),  cioe'  come
insuscettivo di 'essere subordinato a qualsiasi altro". 
    Appare evidente,  quindi,  che  l'operazione  "inversa"  compiuta
dalla Regione Abruzzo, di espungere dal Parco  parte  del  territorio
regionale prima ricompreso all'interno  del  suo  perimetro e  quindi
(prima) interamente soggetto al vincolo paesaggistico ope  legis,  e'
lesiva anche dell'art. 9 Cost, che eleva il  paesaggio  al  rango  di
valore "primario e assoluto" (sentenza Corte cost. n. 367/2007). 
    1.B.e. La norma regionale e' altresi' contraria  ai  principi  di
proporzionalita' e ragionevolezza di cui agli articoli 3 e  97  Cost.
La Regione ha, infatti, ridotto i confini del Parco, sottraendo parte
dei territori alla tutela paesaggistica esistente  ope  legis,  senza
che tale abrogazione sia giustificata dal contemperamento  con  altri
interessi  costituzionalmente  protetti,  eventualmente  coinvolti  e
considerati prevalenti. Risulta, anzi, che i territori, ora  esclusi,
dal   Parco,   abbiano   conservato   nell'ultimo    trentennio    le
caratteristiche che avevano a suo tempo  sorretto  la  sottoposizione
alla  tutela  naturalistica  e,  conseguentemente,  anche  a   quella
paesaggistica. 
    La  Corte  costituzionale  ha  gia'  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale  di  simili  normative  regionali   che   intervengono
retroattivamente su disposizioni precedenti al solo fine di sottrarre
al regime di tutela categorie di beni precedentemente  vincolati  (ci
si riferisce al caso delle zone umide della  Sardegna,  su  cui  cfr.
sentenza Corte cost. n. 308/2013). 
    In quell'occasione la Corte ha ritenuto, tra l'altro, che 
    "... la volonta' del legislatore deve ravvisarsi,  alla  luce  di
quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle  relative
norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui
al d.lgs. N. 42 del 2004, nella volonta'  di  assicurare  un'adeguata
tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo  attraverso  lo
strumento  del  Piano  paesistico  regionale  (art.  1  della   legge
regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio).  L'effetto  prodotto  dalla  norma  regionale  impugnata,
all'opposto, risulta essere quello di una  riduzione  dell'ambito  di
protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici,  le  zone
umide, senza che cio' sia imposto dal necessario  soddisfacimento  di
preminenti interessi costituzionali. E cio', peraltro, in  violazione
di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla
portata retroattiva  delle  leggi,  con  particolare  riferimento  al
rispetto  delle  funzioni  riservate  al  potere  giudiziario.  Deve,
pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
1, comma 1, della legge reg. Sardegna n.20 del 2012". 
    A  cio'  deve  aggiungersi   che   l'eliminazione   del   vincolo
paesaggistico determina, manifestamente arbitrari e irragionevoli, in
quanto comporta un  ingiustificato  abbassamento  del  livello  della
tutela  del  paesaggio.  Anche  a  voler  ammettere  che  un  vincolo
paesaggistico gia' imposto possa venire meno,  dovrebbe  quanto  meno
ritenersi che l'eliminazione del vincolo debba essere giustificata da
una ponderazione di interessi che faccia  emergere  un  altro  valore
costituzionale   primario   meritevole   di   prevalere   su   quello
paesaggistico. 
    Nulla di simile e' dato rinvenire nella legge regionale in esame,
la quale ignora i vincoli paesaggistici imposti da oltre  trent'anni,
sottraendo parte dei territori comunali dal perimetro del Parco,  pur
in costanza  del  valore  naturalistico-ambientale  riconosciuto  dal
legislatore   meritevole   di   tutela   naturalistica,   oltre   che
paesaggistica ope legis, e  senza  che  emerga  alcuna  finalita'  di
tutela di altri interessi meritevoli di tutela prevalente. 
    Ulteriore profilo di irragionevolezza si  collega  al  fatto  che
l'eliminazione del vincolo paesaggistico comporta l'archiviazione dei
procedimenti di autorizzazione paesaggistica gia' pendenti,  rendendo
improvvisamente  e  irragionevolmente  privi  di  causa  non  solo  i
provvedimenti autorizzatori gia' rilasciati,  ma  anche  le  sanzioni
gia' irrogate per gli illeciti paesaggistici  realizzati,  in  aperto
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. 
    1.B.f.   Il   primo   effetto   dell'abrogazione   del    vincolo
paesaggistico e', sicuramente, quello di consentire il  rilascio  del
condono edilizio (ai sensi delle normative eccezionali del 1985,  del
1994 e del 2004) anche  per  edificazioni  che  non  sarebbero  state
condonabili. Con riferimento alle domande finalizzate al rilascio del
provvedimento di condono per abusi realizzati prima  dell'imposizione
del vincolo paesaggistico del 1989, la  norma  riveste  un  manifesto
effetto  premiale,  atteso  che,  per  le  edificazioni  abusivamente
eseguite nei territori prima facenti  parte  del  Parco,  le  domande
potranno essere senz'altro accolte, senza necessita' di acquisire  il
parere dell'Amministrazione preposta alla tutela del  paesaggio,  che
dovrebbe operare la valutazione  di  compatibilita'  con  il  vincolo
sopravvenuto, ai sensi dell'art.32 della legge n. 47/1985. 
    Cio'  che  e'  piu'  grave,  e  rende   manifestamente   evidente
l'illegittimita'  costituzionale  della  disciplina   censurata,   e'
l'effetto che si produrra' con riferimento alle edificazioni eseguite
dopo l'imposizione  del  vincolo  del  1989,  atteso  che,  per  tali
edificazioni,  non  sarebbe  stato  possibile  neppure  astrattamente
accedere al condono edilizio del 2004. 
    Come e' noto, infatti, l'art.32, comma 27, lett. d),  del  DL  n.
269/2003 preclude in modo assoluto la sanatoria delle  opere  abusive
qualora "siano  state  realizzate  su  immobili  soggetti  a  vincoli
imposti sulla base di  leggi  statali  e  regionali  a  tutela  degli
interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni  ambientali
e paesistici, nonche' dei parchi e  delle  aree  protette  nazionali,
regionali e provinciali qualora istituiti prima della  esecuzione  di
dette opere, in assenza  o  in  difformita'  del  titolo  abilitativo
edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e  alle  prescrizioni
degli strumenti urbanistici". 
    Appare evidente che il mutamento di disciplina,  da  parte  della
Regione, e' sostanzialmente indirizzato a facilitare il ricorso  alla
sanatoria edilizia, con efficacia estesa anche al passato,  cosi'  da
ampliare, irragionevolmente,  la  sfera  dei  possibili  beneficiari,
rendendo persino ammissibili retroattivamente domande di condono che,
in  assenza  della  norma  censurata,  non  sarebbero  state  neppure
scrutinabili nel merito. 
    Al riguardo, deve qui ricordarsi che, con la sentenza n. 39/2006,
la  Corte   Costituzionale   ha   gia'   censurato,   per   manifesta
irragionevolezza  e  contrarieta'  all'art.  3  Cost.,  la  normativa
regionale (della Regione Siciliana) volta a rendere  retroattivamente
piu' ampia l'area di applicazione del  condono  edilizio,  affermando
che la tutela dei vincoli paesaggistici ed ambientali  prevale  sulle
ipotesi di condono edilizio. 
    Conseguentemente, la disciplina regionale si pone  in  violazione
della potesta'  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  ordinamento
penale, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.,  nonche'
della potesta' dello Stato in materia di determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lett. m) e  di
tutela del paesaggio nell'ambito delle procedure di condono  edilizio
(art. 117, secondo comma, lett. s), in concreto  esercitata  mediante
la legge n. 47/1985 e l'art. 3; D.L. n. 269/2003. 
    1.B.h. Sotto ulteriore profilo, strettamente  connesso  a  quanto
sin qui osservato, l'abolizione de vincolo determinera' il venir meno
in radice di abusi paesaggistici  che  non  sarebbero  stati  neppure
sanabili ai sensi degli artt. 167 e 181 del Codice. 
    Le suddette disposizioni  consentono,  infatti,  di  valutare  la
compatibilita' paesaggistica  delle  opere  eseguite  in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica esclusivamente nei  casi  tassativamente
indicati al comma 4 dell'art. 167. In particolare,  la  sanatoria  e'
esclusa in radice laddove siano stati realizzati  superfici  utili  o
volumi o siano stati aumentati quelli legittimamente realizzati. 
    L'abolizione del vincolo paesaggistico comportera' il venir  meno
anche degli illeciti, stante la radicale  eliminazione  del  vincolo,
con conseguente abolizione anche del trattamento sanzionatorio penale
con invasione, da parte della  Regione,  della  potesta'  statale  in
materia di ordinamento penale (art 117, secondo comma, lett. l). 
    La Corte costituzionale ha gia'  puntualizzato,  in  passato,  in
tema di condono edilizio, che 
    "Non vi e' dubbio sul fatto che solo il legislatore statale  puo'
incidere sulla sanzionabilita' penale"(sentenza n.  487/1989)  e  che
esso, specie in occasione di  sanatorie  amministrative,  dispone  di
assoluta discrezionalita' in materia "di estinzione del reato o della
pena, o di non procedibilita' (sentenze n. 327/2000,  n.  149/1999  e
n.167/1989, richiamate nella sentenza n. 196/2004): 
    In tale  ottica,  le  disposizioni  regionali  che  incidono  sul
trattamento sanzionatorio degli  illeciti  paesaggistici,  anche  sul
piano amministrativo, si pongono in contrasto con  la  determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono  essere  garantiti  uniformemente  in  tutto  il
territorio nazionale, venendo, quindi, in rilievo la violazione della
potesta' esclusiva dello Stato in materia di ordinamento  penale,  di
cui all'art. 117,  secondo  comma,  lett.  l)  Cost.,  nonche'  della
potesta'  dello  Stato  in  materia  di  determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo  comma,  lett.  m)  e
dell'art. 117, secondo comma, lettera s) pe violazione degli artt.167
e 181 del Codice, da considerare parametri interposti. 
    1.B.i. L'art.2 della legge regionale in esame, laddove  introduce
il nuovo comma 1 dell'art. 2 delle legge regionale n.  42  del  2011,
viola il principio costituzionale di leale collaborazione, in  quanto
esse costituisce il frutto  di  una  scelta  assunta  unilateralmente
dalla Regione, al di fuori  del  percorso  condiviso  con  lo  Stato,
trasfuso nell'intesa sottoscritta nel  2009  e  che  ha  condotto  al
disciplinare aggiornato, sottoscritto in data 8 giugno 2016. 
    Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della  Corte
costituzionale, il principio di leale collaborazione "deve presiedere
a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni", atteso  che
"la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti' (cosi'  ir
particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31/2006).  In  particolare,
la Corte ha chiarito che "Il Principio di leale collaborazione, anche
in una accezione minimale, impone alle  parti  che  sottoscrivono  ui
accordo ufficiale in una sede  istituzionale  di  tener  fede  ad  un
impegno assunto" (cosi' ancora la sentenza richiamata). 
    Piu' recentemente, la Corte ha ribadito che la  "unitarieta'  del
valore della tutela paesaggistica comporta (...) l'impossibilita'  di
scindere  il  procedimento   di   pianificazione   paesaggistica   in
subprocedimenti che vedano del tutto assente la componente  statale",
sottolineando  che  il  principio  di   leale   collaborazione   deve
concretizzarsi in "un confronto costante, paritario e  leale  tra  le
parti, che deve caratterizzare  ogni  fase  del  procedimento  e  non
seguire la sua conclusione" (sentenza n. 240/2020). 
    La scelta unilaterale della Regione  Abruzzo,  al  di  fuori  del
percorso di collaborazione gia' proficuamente avviato con  lo  Stato,
si pone in contrasto anche con il predetto principio, traducendosi in
un comportamento non  leale,  nella  misura  in  cui,  nonostante  il
percorso di collaborazione avviato, la Regione approva  la  riduzione
dei confini del Parco naturale, destinata a produrre i  suoi  effetti
nelle more  dell'approvazione  del  Piano  paesaggistico  oggetto  di
accordo con il Ministero della Cultura. 
2. Illegittimita' dell'art.3 della legge della Regione  Abruzzo  n.14
dell'8 giugno 2021 per violazione dell'art. 117 Cost., comma 2, lett.
s) in relazione agli artt. 22, comma 1, lett.c), 23 e  24,  comma  1,
della legge n. 394 del 6 dicembre 1991. 
    L'art.3 della legge regionale in esame, nel sostituire i commi da
2 a 26 dell'art. 3 della L.R. 42/2011, si pone in  contrasto  con  il
parametro interposto statale di cui all'art. 24, comma 1, della legge
quadro n. 394 del 1991 - legge quadro. sulle  aree  protette  -  che,
sotto la rubrica "Organizzazione amministrativa  del  parco  naturale
regionale" prevede che: 
    «1. In relazione alla peculiarita' di ciascuna area  interessata,
ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito  statuto,  una
differenziata  forma  organizzativa,  indicando  i  criteri  per   la
composizione del consiglio direttivo, la designazione del  presidente
e del direttore,  i  poteri  del  consiglio,  del  presidente  e  del
direttore, la composizione e i poteri del collegio dei  revisori  dei
conti  e  degli  organi  di  consulenza  tecnica  e  scientifica,  le
modalita' di convocazione e di funzionamento degli organi  statutari,
la costituzione della comunita' del parco.» 
    Nella sua attuale formulazione l'art.  3  della  L.R.  14/2021  -
sopra riportato - assorbe in larga parte i  contenuti  dello  statuto
del  Parco  regionale,  stabilendo  direttamente  i  criteri  per  la
composizione degli  Organi  del  Parco,  nonche'  i  relativi  poteri
sostanziando   cosi'   un'indebita   spoliazione    delle    potesta'
regolamentari  della  comunita'  locale  da   parte   del   consiglio
regionale, laddove tale regolamentazione deve essere  demandata  allo
Statuto. 
    Cio' comporta l'inosservanza dei principi fondamentali in tema di
disciplina delle aree naturali protette regionali, recati dalla legge
quadro n. 394/1991, che all'art.22, comma  1,  lett.c),  prevede  «la
partecipazione degli enti locali interessati alla gestione  dell'area
protetta;» i quali hanno, per l'appunto, la facolta' di stabilire  la
forma organizzativa dell'Ente Parco  attraverso  la  redazione  dello
Statuto che, in analogia con quanto  esplicitamente  previsto  per  i
Parchi nazionali all'art. 9, comma 8-bis e 9, della  L.  394/91,  «e'
deliberato dal consiglio direttivo, sentito il parere della Comunita'
del parco» e,  solo  successivamente  alla  sua  deliberazione,  puo'
passare ad essere sottoposto a  verifica  di  legittimita'  da  parte
della  Regione,  che  puo'  richiederne  il  riesame,  attendere   le
controdeduzione dell'Ente ed  infine  adottare  lo  Statuto.  Tenuto,
altresi', conto che l'art. 24 della citata  legge  quadro  conferisce
competenza organizzativa alla fonte statutaria, proprio perche'  essa
permette di adeguare l'organizzazione del parco  alle  "peculiarita'"
del territorio. 
    Una  disciplina  uniforme,  come  quella  contenuta  nella  norma
impugnata, non e'  percio'  idonea  ad  adattarsi  alla  specificita'
dell'area del parco, ponendo cosi' a repentaglio lo  standard  minimo
di tutela dell'ambiente prescritto dal legislatore statale  ai  sensi
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  a  cui   deve
conformarsi la potesta' legislativa residuale della Regione  in  tema
di organizzazione dei propri enti (cfr. in tal senso, sentenza  Corte
Cost. n. 134/2020). 
    Si ritiene opportuno, a riguardo, richiamare, stante la  relativa
attinenza, quanto sancito dalla Corte Costituzionale, con sentenza n.
134/2020  -  con  la  quale  e'  stata  dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8  della  legge  della  Regione  Liguria  n.
3/2019, nella parte in cui modificava con legge regionale  i  confini
dei  parchi  naturali  regionali  delle  Alpi  Liguri,   dell'Antola,
dell'Aveto e del Beigua. 
    A giudizio della Consulta, ognuna di queste variazioni,  "non  e'
stata affidata a modifiche del piano del parco, alle quali  avrebbero
potuto partecipare i rappresentanti degli enti locali, ma e' avvenuta
direttamente  con  legge,  e  deve  percio'  osservare  il   medesimo
procedimento seguito dal legislatore  ai  fini  della  perimetrazione
provvisoria dei confini, ai sensi dell'art. 22  della  legge  quadro,
compresa la interlocuzione con le autonomie locali". 
    Detto pronunciamento s'inserisce nel solco di quanto dalla stessa
Corte gia' affermato riguardo alla partecipazione degli enti  locali,
ritenuta necessaria  e  non  surrogabile  con  forme  alternative  di
coinvolgimento  (sentenza  n.  282/2000),   in   quanto   esprimente,
nell'attuale  riparto  delle  competenze  legislative,  uno  standard
minimo inderogabile di tutela dell'ambiente, atto a garantire che sia
acquisita al procedimento di istituzione e di soppressione  di  detti
parchi la voce di chi rappresenta  lo  specifico  territorio,  i  cui
interessi sono in tal modo posti in rilievo. 
    Il mancato coinvolgimento degli enti locali, costituisce, quindi,
un vizio della fase procedimentale, che  si  trasferisce  alla  legge
provvedimento con cui essa e' stata conclusa  e  di  cui  conosce  la
Corte (sentenze n. 2/2018; n. 241/2008; n. 311/1999). 
    La Regione, quindi, ha inteso modificare d'imperio i confini  del
Parco  naturale  regionale  Sirente  Velino  eludendo   le   previste
procedure di revisione del piano del parco,  attraendo  cosi'  a  se'
interamente il governo delle aree protette, che viene sottratto  agli
Enti Parco previsti dalla legge statale n. 394/1991. 
    A riguardo, non puo' non evidenziarsi, con riferimento ai  citati
profili di illegittimita', che,  come  ripetutamente  statuito  dalla
Corte Costituzionale (sentenze n. 315 e n. 193/2010, n. 44, n. 269  e
n. 325/2011, n. 14/2012, n. 212/2014 e  n.  36/2017),  la  disciplina
delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in
materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera
s), ed e' contenuta nella legge n.  394/1991  che  detta  i  principi
fondamentali della materia, ai quali  la  legislazione  regionale  e'
chiamata ad adeguarsi,  assumendo  anche  i  connotati  di  normativa
interposta  che  deve  considerarsi   espressione,   per   l'appunto,
dell'esercizio della  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost. (sentenze n. 44/2011, n. 315 e n. 20/2010). 
    Le  Regioni,  pertanto,  in  ambito  di  aree  protette,  possono
soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla
legislazione statale (Corte Cost. sentenze n. 44/2011,  n.  193/2010,
n. 61/2009 e n. 232/2008). 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come
"il territorio dei parchi, siano  essi  nazionali  o  regionali,  ben
(possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in
materie riconducibili ai commi terzo  e  quarto  dell'art.117  Cost.,
purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del  patrimonio
naturale, da  ritenere  vincolante  per  le  Regioni"  (Corte  Cost.,
sentenze nn.rr. 232/2008, punto  5.  Del  Considerato  in  diritto  e
44/2011, gia' citata). 
    Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza, le Regioni
trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale. 
    Questi, tuttavia, non impediscono  al  legislatore  regionale  di
adottare discipline  normative  che  prescrivano  livelli  di  tutela
dell'ambiente piu' elevati (di  recente,  Corte  Cost.,  sentenze  n.
66/2018, n. 74/2017, n. 267/2016 e n. 149/2015), i  quali  «implicano
logicamente il rispetto degli standard adeguati  e  uniformi  fissati
nelle  leggi  statali»  (Corte  Cost.,  sentenza  n.  315/2010),  che
rappresentano, ex se, limiti invalicabili per l'attivita' legislativa
della Regione, in quanto statuenti norme imperative che devono essere
rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze  di
tutela ambientale. 
    Come gia' sottolineato, la legge  quadro  n.  394/1991  e'  stata
reiteratamente ricondotta dalla  giurisprudenza  costituzionale  alla
materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze
n. 74 e n. 36 del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le  Regioni
sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali  da  essa  dettati,
pena l'invasione  di  un  ambito  materiale  di  esclusiva  spettanza
statale. 
    La stessa Corte Costituzionale ha, altresi',  posto  in  evidenza
come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale  si  estrinsechi
nella  predisposizione,  da  parte  degli  enti  gestori  delle  aree
protette, «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per
la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi  alle
esigenze di' protezione» dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n.
171/2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74/2017, n. 263 e n.  44
del 2011, n. 387/2008). 
    La piu' volte menzionata L. n. 394/1991 non si limita, dunque,  a
dettare standard minimi uniformi finalizzati a  tutelare  soltanto  i
parchi e le riserve naturali nazionali e  regionali  -  istituiti  ai
sensi dell'art. 8 della legge quadro  (rispettivamente,  con  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  e  con   decreto   del   Ministro
dell'ambiente) - ma impone anche  un  nucleo  minimo  di  tutela  del
patrimonio  ambientale  rappresentato  dai  parchi  e  dalle  riserve
naturali regionali, che vincola il legislatore regionale  nell'ambito
delle proprie competenze (sentenze  n.  74  e  n.  36  del  2017,  n.
212/2014, n. 171/2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011). 
    Anche in relazione  alle  aree  protette  regionali,  invero,  il
legislatore statale, pur riconoscendo che il  parco  regionale  resta
«tipica espressione dell'autonomia regionale» (sentenza n. 108/2005),
e che esso «ben puo' essere  oggetto  di  regolamentazione  da  parte
della Regione, in materie  riconducibili  ai  commi  terzo  e  quarto
dell'art. 117 Cost.,  purche'  in  linea  con  il  nucleo  minimo  di
salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante  per  le
Regioni» (sentenza n. 44/2011), ha  predisposto  un  modello  fondato
sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera  della  legge
regionale  istitutiva  (art.23),  sull'adozione,   «secondo   criteri
stabiliti con legge regionale  in  conformita'  ai  principi  di  cui
all'articolo 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22,  comma
1, lett. D), peraltro significativamente ed espressamente  ricompreso
tra i «principi fondamentali per la disciplina  delle  aree  naturali
protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite  il
quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale  (art.
24). 
    Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il  legislatore
statale ha previsto, per le aree.  naturali  protette  regionali,  un
quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per  le  aree
naturali protette nazionali, tale che le Regioni abbiano  un  qualche
margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina  delle
stesse aree protette regionali  quanto  sul  contemperamento  tra  la
protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da
parte del legislatore regionale. 
    Cio' non toglie che debba essere, comunque, garantita la conforme
corrispondenza  ai  canoni  inderogabili  imposti   dalla   normativa
nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo di tutela
che  il  legislatore  statale  ha  individuato  nell'esercizio  della
propria competenza esclusiva in materia di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» e che, come dianzi gia' posto in rilievo, le Regioni
possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non certo  derogare
in peius. 
3. Illegittimita' dell'art.8, comma 2,  lett.c),  e  comma  3,  della
legge regionale n.14/2021 per violazione dell'art.117 Cost., comma 2,
lett.g) h) l), in relazione agli artt.55 e 57, commi 1 e 2, codice di
procedura penale e agli artt.133-141  T.U.L.P.S.  e  all'art.254  del
regolamento ddi esecuzione di cui al RD 6 maggio 1940 n.635. 
    L'art. 8, comma 2, lett.c) della legge regionale in esame novella
l'art.12 della legge regionale n. 42/2011, stabilendo che: 
    "ad apposite guardie  del  parco  assegnate  all'Ente  Parco"  e'
attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria con  decreto
prefettizio..." . 
    il predetto personale - che non  sembra  rientrare  nell'organico
dell'Ente Parco poiche', a tenore della norma  regionale,  gli  viene
"assegnato" aliunde - svolge il proprio servizio (di sorveglianza sul
territorio del  Parco)  in  divisa  ed  e'  munito  di  tesserino  di
riconoscimento rilasciato dall'Ente Parco (comma 3 testualmente:  "Il
personale di cui alle lettere c)...del  comma  2  svolge  il  proprio
servizio in divisa ed  e'  munito  del  tesserino  di  riconoscimento
rilasciato dall'Ente Parco"). 
    Al  riguardo   si   osserva,   innanzitutto,   che   cosi'   come
costantemente affermato  dalla  Corte  costituzionale,  "va  ritenuta
costituzionalmente illegittima una norma regionale che (...) provveda
ad attribuire (...) la qualifica di ufficiale  o  agente  di  polizia
giudiziaria, trattandosi di compito riservato in via  esclusiva  alla
legislazione statale" (v. sentenze nn.  313/2003,  167/2010,  8/2017,
82/2018). 
    E', infatti, principio consolidato  che  ufficiali  o  agenti  di
polizia  giudiziaria  possono  essere  solo   i   soggetti   indicati
all'art.57, commi 1 e 2, del  Codice  di  procedura  penale,  nonche'
quelli ai quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni di
cui all'art.55 del medesimo  Codice,  aggiungendo  che  le  fonti  da
ultimo richiamate non possono essere che statali,  in  considerazione
di quanto previsto dall'art.117, secondo comma, lett. h) e l)  Cost.,
in materia, rispettivamente, di ordine  pubblico  e  sicurezza  e  di
ordinamento e giurisdizione penale. 
    La qualifica di agente di polizia giudiziaria non puo', pertanto,
essere conferita sulla base della legge regionale in esame. 
    In assenza  di  una  specifica  disciplina  statale  in  materia,
inoltre, la richiamata previsione normativa regionale appare invasiva
della competenza  esclusiva  statale  in  materia  di  ordinamento  e
organizzazione  amministrativa  dello  Stato  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lett.  g),  Cost.,  poiche'  attribuisce  al  prefetto
compiti non previsti dalla legge statale. 
    Inoltre, si evidenzia che le previsioni  regionali  di  cui  alla
lett. c) del comma 2, nonche' di cui al comma 3, ove  si  riferiscono
alla figura  e  allo  status  della  "guardia  particolare  giurata",
invadono la competenza esclusiva statale di cui all'art.117,  secondo
comma, lett. h) Cost., cui si ricollega la disciplina  dettata  dagli
articoli 133-141 T.U.L.P.S. e dall'art. 254 del relativo  regolamento
di esecuzione, di cui al R.D. 6 maggio 1940, n. 635. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Presidente del Consiglio  dei  Ministri  propone  il  presente
ricorso e confida nell'accoglimento delle seguenti 
 
                             Conclusioni 
 
    "Voglia     I'Ecc.ma     Corte     Costituzionale      dichiarare
costituzionalmente illegittimi gli  articoli  2,  3  e  8,  comma  2,
lett.c) e comma 3, della L.R. Abruzzo n.14/2021 per violazione  degli
artt. 2, 3, 9, secondo comma, 97 e 117, secondo comma, lettere g) h),
l) m) ed s) Cost. in relazione agli artt.9, commi 8bis e 9, 22, comma
1, lett. a) e c), 23, 24, comma 1,  L.394/1991  (Legge  quadro  sulle
aree   protette),   alI'art.6,   DLGS   152/2006,   della   Direttiva
2009/147/CE, della direttiva 42/2001/CE, dell'art.6, comma  3,  della
Direttiva 43/92/CE come  recepito  dall'art.6  DPR  120/2003  che  ha
sostituito l'art.5 DPR 357/1997, agli artt. 135, 140, comma  2,  142,
comma 1, lett. c, d, f) g), 143, commi 1, lett.c) e 9, 145, commi 3 e
5, 167,  comma  4,  181  del  D.LGS.  n.  42/2004  (codice  dei  beni
culturali), alla L.47/1985, aIl'art.32, comma 27, DL n.269/2003, agli
artt.55 e 57, commi  1  e  2  cpp,  agli  133-141  TULPS  e  254  del
regolamento di esecuzione di cui al RD 635/1940. 
    Si producono: 
        1) copia della legge regionale impugnata; 
        2) copia conforme della delibera del Consiglio  dei  Ministri
adottata nella riunione del 22 luglio 2021 recante la  determinazione
di  proposizione  del  presente  ricorso,  con   allegata   relazione
illustrativa. 
          Roma, 28 luglio 2021 
 
                    L'Avvocato dello Stato: Spina