N. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 2021
Ordinanza del 26 gennaio 2021 del Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura della Maremma e del Tirreno contro Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Ministero dello Sviluppo economico.. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure di riduzione della spesa pubblica - Obbligo per gli enti pubblici non territoriali e le amministrazioni pubbliche dotate di autonomia finanziaria (nella specie, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno) di versare le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. - Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, in combinato disposto. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Misure di vario contenuto volte al contenimento della spesa pubblica - Obbligo per gli enti pubblici non territoriali e le amministrazioni pubbliche dotate di autonomia finanziaria (nella specie, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno) di versare le somme provenienti dalle riduzioni di spesa indicate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, in combinato disposto. Bilancio e contabilita' pubblica - Riduzione della spesa degli enti pubblici non territoriali - Riduzione delle spese per consumi intermedi - Somme corrispondenti alle riduzioni realizzate (nella specie, dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno) - Obbligo di versamento annuale ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, entro il 30 giugno di ciascun anno. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 8, comma 3. Bilancio e contabilita' pubblica - Riduzione della spesa degli enti pubblici non territoriali - Riduzione delle spese per consumi intermedi - Somme corrispondenti alle riduzioni realizzate (nella specie, dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Maremma e del Tirreno) - Obbligo di versamento annuale ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, entro il 30 giugno di ciascun anno. - Decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, art. 50, comma 3.(GU n.46 del 17-11-2021 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione seconda civile Il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa Alessandra Imposimato, ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 50007 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: «altre controversie di diritto amministrativo» e pendente tra Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura della Maremma e del Tirreno, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma - via G. Borsi n. 4 - presso e nello studio dell'avv. Federica Scafarelli, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente dagli avv. Maria Cristina Berti, Marica Del Sal, Giacomo Quarneti, per procura in calce alla citazione introduttiva - attore - e Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente pro tempore, Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero dello sviluppo economico, in persona dei Ministri pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, nonche' domiciliati ex lege presso gli uffici dell'Avvocatura in Roma - via dei Portoghesi n. 12 - convenuto. Motivi della decisione 1. sui fatti controversi. 1.1. Con l'atto introduttivo della lite, la Camera di Commercio Industria Artigianato ed Agricoltura della Maremma e del Tirreno ha chiesto al tribunale di: «in via principale: 1) accertare e dichiarare che l'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012, laddove prevede l'obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello Stato, non si applica all'odierna attrice per le ragioni indicate nella parte in diritto sub § 2.1, 2.2, e 2.3, e che l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 188.310,46, e/o alcuna altra somma, anche con riferimento a somme rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; 2) accertare e dichiarare che l'art. 50, comma 3, del decreto-legge n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89/2014, laddove prevede l'obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello Stato, non si applica all'odierna attrice per le ragioni indicate nella parte in diritto sub § 2.1, 2.2, 2.3, e che l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 94.155,23, e/o alcuna altra somma, anche con riferimento a somme rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; 3) accertare e dichiarare che l'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, laddove prevede l'obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello Stato, non si applica all'odierna attrice per le ragioni indicate nella parte in diritto sub § 3, 3.1, 3.2, 3.3, 3.4 e che l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 34.966,75, e/o alcuna altra somma, anche con riferimento a somme rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; 4) accertare e dichiarare che l'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 del decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, laddove prevede l'obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello Stato, non si applica all'odierna attrice per le ragioni indicate nella parte in diritto sub § 4, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4 e che l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato la somma di euro 76.685,45, e/o alcuna altra somma, anche con riferimento a somme rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; in via subordinata: 5) ove il tribunale ritenga che l'odierna attrice sia soggetta all'obbligo di versamento al bilancio dello Stato di cui all'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l'eccepita questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 118 ultimo comma della Costituzione (come indicato nella parte in diritto sub § 2.4) e conseguentemente, sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate; 6) ove il tribunale ritenga che l'odierna attrice sia soggetta all'obbligo di versamento al bilancio dello Stato di cui all'art. 50, comma 3, del decreto-legge n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2014, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l'eccepita questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 118 ultimo comma della Costituzione (come indicato nella parte in diritto sub § 2.4) e conseguentemente, sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate; 7) ove il tribunale ritenga che l'odierna attrice sia soggetta all'obbligo di versamento al bilancio dello Stato di cui all'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l'eccepita questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 118 ultimo comma della Costituzione (come indicato nella parte in diritto sub § 3.5) e conseguentemente, sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate; 8) ove il tribunale ritenga che l'odierna attrice sia soggetta all'obbligo di versamento al bilancio dello Stato di cui all'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l'eccepita questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, per contrasto con gli articoli 3, 97 e 118 ultimo comma della Costituzione (come indicato nella parte in diritto sub § 4.5) e conseguentemente, sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate». ... il tutto con vittoria di spese della lite. A motivo della domanda, ha esposto: di essere stata istituita a seguito dell'accorpamento della Camera di commercio di Livorno, con la Camera di commercio di Grosseto; che il procedimento di accorpamento, operato ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 5, della legge n. 580/1993, si apriva con le delibere adottate, dalle Giunte delle due CCIAA, nel febbraio 2015, ed esitava nel decreto istitutivo, in data 6 agosto 2015, del Ministero dello sviluppo economico; che tale operazione veniva attuata, anche rispondendo alla circolare del Ministero dello sviluppo economico in data 26 giugno 2014, per conseguire una struttura piu' agile ed economie di spesa, come illustrato nella Relazione al Piano economico 2016-2018, fatta propria dalle giunte di ciascuna delle Camere coinvolte nell'operazione, nelle delibere propedeutiche all'avvio dell'iter di accorpamento; che a seguito di tale virtuoso procedimento di autoriforma la Camera «accorpata» conseguiva gli obiettivi prefissati, dotandosi di una struttura piu' snella e capace di conseguire consistenti risparmi di spesa, ed in particolare: (a) la riduzione della dotazione complessiva del personale, variata dalle 114 unita' alla data del febbraio 2015 (pari alla sommatoria degli organici delle due Camere di commercio, prima dell'accorpamento), alle 90 unita' al 31 dicembre 2016; (b) la riduzione del personale in servizio, variata dalle 97 unita' presenti al febbraio 2015 alle 88 unita' presenti al 31 dicembre 2016, con risparmio di spesa pari, nel 2015, ad euro 394.051,00; (c) la riduzione del numero dei componenti degli organi istituzionali, variata dai 51 membri al febbraio 2015 (sommatoria dei membri degli organi istituzionali di ciascuna delle due Camere di commercio, antecedentemente all'accorpamento) ai 28 membri previsti per la Camera accorpata, con risparmio annuo di spesa di circa euro 79.000,00; (d) la riduzione dei consumi intermedi, dall'importo di euro 1.546.397,30 dell'anno 2014 (coacervo dei consunti riferiti a ciascuna delle Camere di commercio, antecedentemente all'accorpamento) all'importo di euro 1.325.214,17 dell'anno 2016, con un risparmio pari al 14,30%. Tanto esposto in fatto, l'odierna attrice ha soggiunto che, stando alla circolare n. 26 del 7 dicembre 2016, del Ministero delle finanze, l'ente istituito a seguito dell'accorpamento, benche' avesse conseguito delle consistenti economie di gestione, rispetto alla situazione di bilancio esposta, in precedenza, da ciascuna delle due Camere di commercio poi accorpate, comunque sarebbe rimasta vincolata agli obblighi di riversamento (al bilancio dello Stato) introdotti dalle norme sui tagli di spesa a carico delle amministrazioni pubbliche concorrenti al conto consolidato, adottate dal legislatore negli anni 2008, 2010, 2012 e 2014 (v. a seguire), ancorche' tali norme facessero riferimento a spese affrontate da soggetti diversi (le Camere di commercio di Livorno e di Grosseto) in annualita' (2004, 2007, 2009, 2010) antecedenti a quella in cui si era operata la loro unificazione in una nuova autonomia funzionale. In virtu' degli argomenti di cui si dira' meglio a seguire, la parte attrice ha quindi sostenuto: (a) che le norme in questione (ed in particolare: l'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008; l'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, decreto-legge n. 78/2010; l'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012; l'art. 50, comma 3, decreto-legge n. 66/2014) non si applicassero, secondo una lettura costituzionalmente orientata, alla fattispecie dedotta in lite, non essendo la Camera di commercio «accorpata» espressamente nominata tra i destinatari delle norme in questione, e comportando la loro applicazione la frustrazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza, non discriminazione (art. 3), buon andamento (art. 97) e sussidiarieta' orizzontale (art. 118 ultimo comma), di cui alla Carta costituzionale; (b) in subordine, ove non praticabile l'interpretazione suggerita, che le norme in questione fossero costituzionalmente illegittime, per violazione dei parametri costituzionali di cui agli articoli 3, 97 e 118 della Costituzione. In ogni caso, ha evidenziato di non essere tenuta a versare al bilancio dello Stato, nell'anno 2017, la complessiva somma di euro 394.117,89, di cui: euro 34.966,75 pretesi dal Ministero delle finanze in applicazione dell'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008; euro 76.685,45, pretesi in applicazione dell'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 del decreto-legge n. 78/2010; euro188.310,46, pretesi in applicazione dell'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012; euro 94.155,23, pretesi in applicazione dell'art. 50, comma 3, decreto-legge n. 55/2014. 1.2 Attivato il contraddittorio, le amministrazioni convenute si sono costituite in giudizio contestando gli assunti dell'avversario, e sostenendo che: (i) le Camere di commercio in genere, anche ove istituite a seguito di una procedura di accorpamento, in quanto enti pubblici non territoriali investiti della cura di pubblici interessi e concorrenti alla formazione del bilancio consolidato, fossero a tutti gli effetti incluse nel novero delle amministrazioni destinatarie delle norme (sui tagli di spesa e correlativi obblighi di riversamento) di cui all'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008, all'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, decreto-legge n. 78/2010, all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, all'art. 50, comma 3, decreto-legge n. 66/2014; (ii) tali norme non fossero in conflitto con alcun parametro costituzionale, essendo piuttosto la tesi dell'attrice a condurre, ove accolta, a conseguenze discriminatorie, suggerendo che le Camere di commercio «accorpate» fossero (arbitrariamente) esonerate dagli obblighi gravanti su tutte le altre Camere di commercio, non accorpate. Per tali ragioni ha chiesto, oltre al rigetto delle istanze avversarie, in via riconvenzionale la condanna della Camera di commercio (industria, Artigianato ed Agricoltura) della Maremma e del Tirreno al pagamento della somma di euro 394.117,39, per i titoli e le causali indicate dalla stessa parte attrice. 1.3 I termini controversi sono rimasti invariati all'esito dell'assegnazione dei termini consecutivi di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. In sede di precisazione delle conclusioni la parte attrice ha dato atto di avere fatto luogo al pagamento preteso dall'Amministrazione con riserva di ripetizione, e senza rinuncia a tutte le domande formulate nel presente giudizio. Ha pertanto coltivato la domanda di accertamento negativo - previo rilievo, occorrendo, della questione di legittimita' costituzionale delle norme sopra indicate - ed inoltre richiesto la condanna delle amministrazioni convenute alla restituzione di quanto versato, nelle more della lite. La causa e' stata trattenuta in decisione all'udienza del 6 ottobre 2020. 2. sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa della Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura della Maremma e del Tirreno. 2.1 La parte odierna attrice sostiene di non essere tenuta ai versamenti, in favore del bilancio dello Stato, previsti: (a) dall'art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni in legge n. 133/2008; (b) dall'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni in legge n. 122/2010; (c) dall'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, convertito con modificazioni in legge n. 135/ 2012; (d) dall'art. 50, comma 3, decreto-legge n. 66/2014, convertito con modificazioni in legge n. 89/2014. Cio' sostiene per due ordini di ragioni: in primo luogo, evidenzia che nessuna delle suddette norme faccia riferimento alle Camere di commercio istituite a seguito del procedimento di accorpamento di cui all'art. 1, comma 5, legge n. 580/1993; in secondo luogo, sottolinea che tale conclusione sia l'unica costituzionalmente orientata ed idonea ad evitare la violazione dei principi di ragionevolezza e non discriminazione (art. 3 della Costituzione), di correttezza e buon andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione), di sussidiarieta' orizzontale (art. 118 ultimo comma della Costituzione), che - unitariamente intesi - pretenderebbero di non penalizzare, ma di premiare e valorizzare tutte le iniziative assunte, dalle pubbliche amministrazioni in senso lato, per conseguire economie di gestione e la riduzione delle spese di funzionamento. 2.2 Tali - in estrema sintesi - le questioni poste dalla parte attrice, ad opinione del tribunale non e' sostenibile che la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura della Maremma e del Tirreno non appartenga al novero dei soggetti destinatari delle norme sopra richiamate, e di cui appresso. L'art. 61, decreto-legge n. 112/2008 (recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria», convertito con modificazioni in legge n. 133/2008), nelle parti d'interesse recita testualmente: «1. A decorrere dall'anno 2009 la spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (1) , con esclusione delle Autorita' indipendenti, per organi collegiali e altri organismi, anche monocratici, comunque denominati, operanti nelle predette amministrazioni, e' ridotta del 30 per cento rispetto a quella sostenuta nell'anno 2007. A tale fine le amministrazioni adottano con immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa. 2. Al fine di valorizzare le professionalita' interne alle amministrazioni, riducendo ulteriormente la spesa per studi e consulenze, all'art. 1, comma 9, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: "al 40 per cento", sono sostituite dalle seguenti: "al 30 per cento"; b) in fine, e' aggiunto il seguente periodo: "Nel limite di spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti; [...] 5. A decorrere dall'anno 2009 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2007 per le medesime finalita'. [omissis] 17. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle Province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale. Le somme versate ai sensi del primo periodo sono riassegnate ad un apposito fondo di parte corrente. La dotazione finanziaria del fondo e' stabilita in 200 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009; la predetta dotazione e' incrementata con le somme riassegnate ai sensi del periodo precedente. [omissis]». L'art. 6, decreto-legge n. 78/2010 (recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», convertito con modificazioni in legge n. 122/2010), nelle parti d'interesse recita: «1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la partecipazione agli organi collegiali di cui all'art. 68, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e' onorifica; essa puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera. [omissis]. [omissis] 3. Fermo restando quanto previsto dall'art. 1 comma 58 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennita', i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilita' comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196 (2) , incluse le autorita' indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2017, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma. Le disposizioni del presente comma si applicano ai commissari straordinari del Governo di cui all'art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400 nonche' agli altri commissari straordinari, comunque denominati. La riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio. [omissis] 7. Al fine di valorizzare le professionalita' interne alle amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, incluse le autorita' indipendenti, escluse le universita', gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonche' gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non puo' essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. [omissis]. 8. A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita'. [omissis]. [omissis] 12. A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero, con esclusione delle missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze di polizia e dei vigili del fuoco, del personale di magistratura, nonche' di quelle strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonche' con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009. [omissis] 13. A decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, per attivita' esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'aiuto 2009. [omissis] 14. A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi; [omissis]. [omissis] 21. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui al primo periodo del comma 6, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. La disposizione di cui al primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle Province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale, nonche' alle associazioni di cui all'art. 270 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Ancora, ai sensi dell'art. 8, decreto-legge n. 95/2012 (recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito con modificazioni in legge n. 135/2012) nelle parti d'interesse: «[omissis] 3. Ferme restando le misure di contenimento della spesa gia' previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196, nonche' alle autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa (Consob) con esclusione delle regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale, e delle universita' e degli enti di ricerca di cui all'allegato n. 3, sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l'anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». Infine, a termini dell'art. 50, decreto-legge n. 66/2014 (recante «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale», convertito con modificazioni in legge n. 89/2014), nelle parti d'interesse: «[omissis] 3. Fermo restando quanto previsto dall'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, al fine di assicurare la riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi per gli enti pubblici di cui al comma 4, lettera c), dell'art. 8 del presente decreto, nelle more della determinazione degli obiettivi da effettuarsi con le modalita' previste dal medesimo art. 8, comma 5, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, compresi fra le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196, con esclusione delle regioni, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale, sono ulteriormente ridotti, a decorrere dall'anno 2014 su base annua, in misura pari al 5 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alla misura indicata nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». In via di prima approssimazione: con le norme sopra riportate il legislatore da un lato ha prescritto, alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)» (ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge n. 311/2004, e successivamente ai sensi dell'art. 1, comma 2 e comma 3, della legge n. 196/2009) di operare dei tagli di spesa, distinti in base ai capitoli di bilancio od alle finalita' cui destinati i vari costi operativi, e dall'altro ha imposto, a quelli - tra gli enti ed amministrazioni obbligate ai tagli di spesa - che fossero muniti di autonomia finanziaria, di riversare il risparmio di spesa al bilancio dello Stato. In particolare, con l'art. 61, decreto-legge n. 112/2008, a decorrere dall'anno 2009, si e' imposto alle amministrazioni sopra indicate: (i) di conseguire un taglio della «spesa complessiva» pari al 30% rispetto alla spesa sostenuta nell'anno 2007; (ii) di ridurre la spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e rappresentanza, fino al 50% di quella sostenuta nell'anno 2007. D'altronde, si e' imposto agli «enti» ed «amministrazioni» dotati di «autonomia finanziaria», di riversare il correlativo risparmio di spesa ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato (parte corrente). Con l'art. 6 decreto-legge n. 78/2010, a decorrere dall'anno 2011: (i) tutte le indennita', compensi, gettoni di presenza e retribuzioni, comunque denominate, corrisposte dalle amministrazioni concorrenti al conto economico consolidato, sono state ridotte del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010; (ii) si e' imposto alle medesime amministrazioni di ridurre la spesa per incarichi di consulenza fino al 20% di quella sostenuta, per le medesime finalita', nell'anno 2009, di ridurre (ulteriormente) la spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e rappresentanza, sino al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009, di ridurre le spese per missioni (anche all'estero) e le spese di formazione sino al 50% delle corrispondenti spese sostenute nell'anno 2009, di ridurre le spese per acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi, sino all'80% delle corrispondenti spese dell'anno 2009. Inoltre, a decorrere dall'entrata in vigore del medesimo testo di legge, la partecipazione agli organismi collegiali operanti presso la pubblica amministrazione (art. 68, comma 1, decreto-legge n. 112/2008), eccettuate le fattispecie tassativamente indicate nella norma, e' divenuta onorifica, salvo il rimborso spese (ove gia' previsto dalla normativa vigente) e l'eventuale corresponsione di un gettone di presenza (ove gia' prevista) in ogni caso non superiore ad euro 30,00 pro die. Anche in questo caso, si e' fatto carico agli enti ed amministrazioni «dotati di autonomia finanziaria» di riversare ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, tutti i correlativi risparmi di spesa. Mediante l'art. 8, decreto-legge n. 95/2012, si e' imposto agli enti ed organismi dotati di autonomia finanziaria (inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione), per i quali non potesse operare il taglio dei trasferimenti dal bilancio dello stato, di ridurre la spesa per consumi intermedi, a decorrere dall'anno 2012, in misura pari al 5% della spesa sostenuta nell'anno 2010, e a decorrere dall'anno 2013, in misura pari al 10% della spesa sostenuta nell'anno 2010, riversando il risparmio conseguito all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. Infine, con l'art. 50, decreto-legge n. 66/2014 si e' imposto agli enti ed organismi dotati di autonomia finanziaria e compresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, per i quali non potesse operare il taglio dei trasferimenti dal bilancio dello Stato, di ridurre (ulteriormente) la spesa per consumi intermedi, a decorrere dall'anno 2014, in misura pari al 5% della spesa sostenuta, per consumi intermedi, nell'anno 2010. 2.3 Tali essendo le norme di riferimento, e' chiaro che nessuna di esse faccia specifico riferimento alla Camera di commercio odierna attrice, originata dall'accorpamento delle preesistenti CCIAA di Livorno e di Grosseto, se non altro perche' trattasi di persona giuridica (ente pubblico non territoriale) istituita dopo l'adozione di tali interventi normativi (v. il decreto ministeriale del 6 agosto 2015, all. 6 alla citazione). Ad ogni modo, diversi sono gli argomenti in virtu' dei quali non puo' predicarsi che il nuovo ente, sorto dalla «fusione» delle preesistenti Camere di commercio di Livorno e Grosseto, sia rimasto immune agli obblighi di taglio di spesa e di riversamento, sopra indicati. In primo luogo, v'e' a dire che le Camere di commercio sono incluse nell'elenco Istat richiamato dalle disposizioni teste' riportate, in quanto soddisfanno tutti i requisiti previsti, dai regolamenti comunitari in materia di classificazione dei centri di costo, per essere annoverate nel settore (economico) della pubblica amministrazione (v. il regolamento n. 2223/96, c.d. SEC.95, e successivamente il regolamento n. 549/2013, c.d. SEC.2010). Quindi e' indubbio che, tra le altre, le Camere di commercio di Grosseto e Livorno fossero nella platea dei destinatari di tali normative. Cio' posto, e considerato che la neoistituita Camera di commercio della Maremma e del Tirreno subentrava «nella titolarita' delle posizioni e dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali», afferenti alle preesistenti Camere di commercio di Livorno e Grosseto (cosi' il decreto ministeriale istitutivo, all. 6 cit., art. 3, rubricato: «successione nei rapporti giuridici, finanziari, patrimoniali»), e' inevitabile che essa abbia assunto gli stessi obblighi gia' facenti capo alle CCIAA di cui prendeva il posto. D'altronde, la nuova autonomia funzionale originata dall'accorpamento delle CCIAA di Livorno e Grosseto ha assunto le funzioni ed i compiti, di pubblico interesse (v. articoli 1 e 2 legge n. 580/1993), gia' facenti capo a ciascuna delle Camere accorpate, in relazione ad una circoscrizione territoriale costituente la sommatoria degli ambiti operativi delle autonomie preesistenti; e' divenuta destinataria dei contributi ordinari a carico del bilancio dello Stato gia' destinati alle preesistenti camere di commercio (sino alla loro abolizione, disposta con decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219; v. l'art. 18 della legge n. 580/1993, nel testo anteriore alla modifica); ha conservato la stessa autonomia finanziaria delle Camere accorpate. L'odierna attrice rinviene la sua provvista, oltre che nei contributi volontari e nei «proventi derivanti dalla gestione di attivita' e dalla prestazione di servizi e quelli di natura patrimoniale», nei versamenti obbligatori posti a carico degli iscritti (diritti annuali e diritti di segreteria: v. l'art. 18 della legge n. 580/1993); e' sottoposta alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico e delle Regioni, per quanto di competenza (art. 4 legge n. 580/1993). Essa e', a tutti gli effetti, una Camera di commercio non diversa (per struttura giuridica, funzioni, autonomia finanziaria, organi) da quelle oggi descritte e definite dalla legge n. 580/1993, se non per la circoscrizione territoriale cui correlato il suo ambito operativo, costituente la sommatoria degli ambiti operativi delle Camere di Livorno e Grosseto. Ne' la parte attrice dubita che si tratti di un'autonomia funzionale partecipe, sin dalla sua nascita, al «settore» della pubblica amministrazione, come individuato dai regolamenti comunitari sopra richiamati, a fini classificatori (o piu' precisamente, per conseguire «l'elaborazione di conti e di tabelle su basi comparabili per le esigenze» dell'Unione europea). Cio' posto, e considerata la (palese) finalita' di tutte le disposizioni sopra riportate, adottate in contesti di crisi economica particolarmente acuta - di ridurre la spesa facente capo al settore della pubblica amministrazione - e' evidente che anche il soggetto neoistituito sia rimasto tenuto, in quanto tale, agli obblighi gia' gravanti sulle Camere di commercio in esso confluite, tanto quanto lo erano le medesime, soddisfacendo - sotto il profilo formale e sostanziale - i requisiti previsti dalla legge, per l'applicazione dei tagli di spesa e degli obblighi di riversamento. 2.4 Essendo chiaro ed inequivoco il tenore letterale delle norme sopra riportate, cosi come palese la ratio (anche dichiarata) di tali interventi normativi, e' impossibile, a giudizio del tribunale, percorrere una interpretazione diversa da quella sopra illustrata, e sostenere che la Camera di commercio derivante dall'accorpamento di quelle di Livorno e Grosseto, solo perche' istituita dopo l'entrata in vigore delle norme in questione, sia rimasta immune agli obblighi di taglio di spesa facenti capo a tutto il settore pubblico in generale, ed agli obblighi di riversamento gravanti, in particolare, sui soggetti (del settore pubblico) dotati di autonomia finanziaria. A bene vedere la tesi della parte attrice, per cui la Camera di commercio della Maremma e del Tirreno sarebbe rimasta immune dalle norme riportate al par. 2.2, postula una discontinuita' (giuridica, economica e finanziaria) tra il soggetto neo istituito e quelli in esso confluiti (CCIAA di Livorno e Grosseto): solo in tal modo potrebbe sostenersi che, non avendosi un termine di comparazione, ossia il parametro su cui operare i tagli di spesa, individuato dalle disposizioni di legge sopra indicate, queste ultime siano rimaste inoperanti ed inapplicabili al soggetto che, alla data della loro entrata in vigore, ancora non esisteva. Tale conclusione e' impedita da ragioni sistematiche e di diritto positivo. Vi e' - da un lato - l'esigenza ordinamentale di assicurare assoluta continuita' nell'esercizio dei compiti (di pubblico interesse) di pertinenza delle autonomie funzionali (re)istituite con d. lgs. lgt. 21 settembre 1944, n. 315 (compiti implementati con la legislazione successiva), ed altrettanta continuita' nella gestione operativa e finanziaria di ciascuna autonomia. D'altro canto, tale esigenza ha trovato voce nella norma di cui alla legge n. 580/1993, art. 1, che ha prefigurato un fenomeno successorio della Camera di commercio accorpata, alle Camere in essa confluite (cosi' l'art. 1, comma 5, nel testo vigente ratione temporis: «5. I consigli di due o piu' camere di commercio possono proporre, con delibera adottata a maggioranza dei due terzi dei componenti, l'accorpamento delle rispettive circoscrizioni territoriali. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e' istituita la camera di commercio derivante dall'accorpamento delle circoscrizioni territoriali. Con lo stesso decreto sono disciplinati i criteri e le modalita' per la successione nei rapporti giuridici esistenti»; attualmente, v. l'art. 1, comma 5-ter: «Con i medesimi decreti sono disciplinate le modalita' per la successione nei rapporti giuridici esistenti»). Tale fenomeno successorio (di subentro) risulta ribadito nel decreto istitutivo (v. all. 6 alla citazione, art. 3), facendo riferimento all'intero patrimonio giuridico gia' facente capo alle Camere accorpate. Pertanto, va concluso che la Camera di commercio odierna attrice, proprio in quanto tale e subentrata in tutti i compiti, funzioni, rapporti giuridici e finanziari gia' facenti capo alle Camere di commercio che la originavano, sia rimasta assoggettata agli obblighi di contenimento di spesa e di riversamento che erano gia' vigenti alla data della sua nascita, avendo riguardo (quale tertium comparationis) alla sommatoria dei costi di gestione in precedenza sostenuti da ciascuna delle Camere di commercio accorpate. Ne' - ad avviso del tribunale - giova all'attrice evidenziare che l'operazione di accorpamento abbia di per se' costituito uno strumento efficace di riduzione dei costi complessivamente gravanti, in precedenza, sulle Camere preesistenti. Trattasi di un'operazione in effetti rispondente agli obiettivi di taglio di spesa imposti dalle norme previgenti e surrichiamate. In altri termini, proprio stando a quanto rappresentato in citazione dalla parte attrice (e non contestato dall'Avvocatura dello Stato), deve concludersi che le Camere di commercio di Livorno e Grosseto abbiano conseguito gli obiettivi di taglio di spesa imposti dalle norme che sono motivo del contendere, anche (o forse solamente, ma cio' non rileva ai fini della lite) grazie all'operazione di accorpamento ed unificazione di cui s'e' detto. Tuttavia, le norme che imponevano tali obiettivi non davano alcun rilievo alle modalita' utilizzate o agli strumenti giuridici impiegati per conseguire il taglio di spesa: pertanto, e' impossibile sostenere che la peculiare modalita' con cui conseguite delle economie di gestione, nel caso di specie, valga ad esonerare gli enti interessati dagli obblighi di riversamento previsti dalla legge; correlativamente, non si ravvisa alcun effetto discriminatorio, in conseguenza dell'applicazione della normativa in esame, alle Camere «accorpate». 2.5 Per quanto sin qui esposto, non e' dubbio che la questione di legittimita' costituzionale, sollecitata dalla difesa attrice, sia rilevante, ai fini della decisione: la controversia si concentra esattamente sulla debenza o non debenza delle somme pretese, dal Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi delle disposizioni indicate al par. 2.2; a tale tema del contendere si e' aggiunta la richiesta di rimborso formulata, dalla parte attrice, in sede conclusionale, all'esito del pagamento operato, con riserva di ripetizione, nel corso del giudizio. Difatti, solo l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' delle norme sopra indicate sarebbe tale da invalidare ed espungere dall'ordinamento, con effetto ex tunc, le norme eventualmente riscontrate in conflitto con la Costituzione, si' da prodursi la caducazione ora per allora della fonte delle pretese creditorie del Ministero, e del titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso di giudizio. Cio' per quanto espressamente previsto dall'art. 136 della Costituzione: «Quando la Corte dichiara l'illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (in tema, tra le tante, v. Cassazione, n. 11953 del 7 maggio 2019: «l'intervenuta declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 15, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Corte costituzionale n. 98 del 2015) produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell'efficacia retroattiva - salva l'avvenuta formazione del giudicato - delle pronunce di accoglimento della Corte costituzionale, inibendo pertanto l'applicazione della sanzione ivi prevista a carico degli enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, per il caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti»; Cassazione n. 11134 del 30 maggio 2016: «l'efficacia retroattiva dell'incostituzionalita' dichiarata "si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione e decadenza"; Cassazione n. 10958 del 6 maggio 2010: "le sentenze di accoglimento di una questione di legittimita' costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere "esauriti" i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge»). D'altronde, l'eventualita' che una sentenza di illegittimita' costituzionale abbia reso indebiti i pagamenti precedentemente eseguiti, in favore di una pubblica amministrazione, in forza di norme (successivamente) dichiarate incostituzionali, si e' gia' presentata (piu' volte) in passato, e la giurisprudenza ha ammesso, senza nutrire particolari dubbi, la conseguente esperibilita' dell'azione di ripetizione d'indebito (per citarne solo alcune, si vedano Cassazione n. 5258 del 15 giugno 1987, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 119 del 1981; Cassazione n. 8384 del 27 luglio 1991, Cassazione n. 13053 del 4 dicembre 1991, Cassazione n. 3375 del 18 marzo 1992, Cassazione n. 3378 del 18 marzo 1992, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 370 del 1985; Cassazione n. 10980 dell'8 ottobre 1992, in relazione alla sentenza Corte costituzionale n. 116 del 1985). Ne' pare d'ostacolo, alla rimessione della questione alla Corte costituzionale, la circostanza che il legislatore sia di recente intervenuto nella materia in trattazione, adottando una nuova disciplina, a valere dall'esercizio finanziario 2020 (v. la legge n. 160/2019, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020 - 2022», art. 1, comma 590 e ss.). Come e' stato infatti opinato da altro giudice (Consiglio di Stato sez. VI, 11 marzo 2015, n. 1261, in Foro Amministrativo 2015, 3, 755): «l'abrogazione di una norma anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalita' non determina, di per se', l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza. Persiste la rilevanza della questione anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio o sostituita da una successiva, perche', ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata, "la legittimita' dell'atto deve essere esaminata, in virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione. Del resto, i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono eguali fra loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno, soprattutto, effetti diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e quindi estende la sua invalidita' a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, restandone cosi' esclusi soltanto i "rapporti esauriti", l'abrogazione, salvo il caso dell'abrogazione con effetti retroattivi, opera solo per l'avvenire, atteso che anche la legge abrogante e' sottoposta alla regola di cui all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi)». Inoltre sono numerosi i casi, tratti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, in cui la questione di illegittimita' e' stata esaminata nel merito (ed eventualmente ritenuta fondata), anche se riferita a norme nel frattempo modificate o abrogate, quando la successione di leggi nel tempo non avesse comportato la sterilizzazione degli effetti delle norme precedentemente in vigore (si veda ad es. Corte costituzionale, 6 marzo 2019, n. 34; Corte costituzionale, 21 dicembre 2018, n. 238, nella cui motivazione si legge: «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimita' costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171 del 2018)»; ancora, Corte costituzionale 14 luglio 2017, n. 191, che nomina in motivazione le «sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242 e n. 199 del 2016, sentenza n. 59 del 2017»). 2.6 Quanto al merito delle questioni sollevate dalla difesa attrice, va rammentato che, a sua detta, le norme in questione si porrebbero in conflitto con il principio di non discriminazione, di uguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalita' (art. 3 della Costituzione), di buon andamento (art. 97 della Costituzione), di sussidiarieta' orizzontale (art. 118 ultimo comma della Costituzione), come illustrato in tutti suoi scritti giudiziali (cui si rinvia, per brevita' di esposizione). Ad avviso del tribunale, tali questioni sono non manifestamente infondate, e quindi degne dello scrutinio della Corte costituzionale, nei termini di seguito precisati. In primo luogo, si osserva che: (a) tutte le norme in esame non si limitano ad imporre dei tagli di spesa, ai soggetti partecipi del conto economico consolidato, ma fanno invariabilmente carico ai soggetti obbligati, che siano muniti di autonomia finanziaria, di riversare al bilancio dello Stato il risparmio conseguito; (b) se pure l'imposizione di regole di contenimento della spesa facente capo al «settore pubblico» (elenco Istat) e' chiaramente appropriata alle finalita' degli interventi legislativi in esame, sempre operati in contesti di grave crisi economica (sicche', per questo limitato aspetto, la questione di costituzionalita' risulta manifestamente infondata), non appare altrettanto (intrinsecamente) congruente con le finalita' (anche dichiarate) dell'intervento, l'avere nullificato il risparmio di spesa conseguito dagli enti e soggetti tenuti al taglio, con l'obbligo di riversamento del risparmio al bilancio dello Stato, si' da lasciare invariato il saldo complessivo della spesa consolidata (v. sul punto anche la sentenza Corte costituzionale n. 7/2017, emessa in relazione all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012: «nella manovra di finanza pubblica il contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che il saldo complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico risulta invariato»; v. a seguire); (c) in altri termini, proprio collocandosi nell'ottica legislativa e delle disposizioni in esame, destinate a valere per l'intero settore economico facente capo alla pubblica amministrazione (come definita in ambito sovranazionale dai regolamenti SEC.95 e SEC. 2010, ed in ambito interno dall'elenco pubblicato annualmente dall'Istat, sulla scorta dapprima dell'art. 1, comma 5, legge n. 311/2004, quindi dell'art. 1, comma 2 e comma 3, legge n. 196/2009), non affiora l'utilita' dell'operazione cosiffatta, che si traduce sostanzialmente nella diversa allocazione di spese nel complesso invariate (nell'ambito del conto consolidato), allorche' invece queste, avendo riguardo al consolidato ed agli obblighi assunti in sede europea, avrebbero dovuto subire una complessiva riduzione, come esplicitamente inteso nella lettera dei diversi articoli di legge riportati al par. 2.2; (d) in virtu' di tali considerazioni, e di quelle a seguire, il tribunale ritiene che si profili una questione di compatibilita', delle norme in esame, con l'art. 3 della Costituzione, sotto l'aspetto della (possibile) intrinseca irragionevolezza del mezzo utilizzato rispetto al fine dichiarato e codificato dal legislatore. In secondo luogo, e' inevitabile osservare che le norme in questione, in disparte delle (quantomai sommarie, e a sommesso avviso di chi scrive insufficienti) indicazioni dell'art. 8, comma 17, decreto-legge n. 112/2008 (quinto periodo e successivi (3) ), nulla dicano in merito al doveroso impiego dei risparmi di spesa riversati, dalle amministrazioni obbligate, all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. Per meglio dire, non e' dato evincere la natura (sotto il profilo qualitativo) e la misura (sotto il profilo quantitativo) del beneficio complessivamente ritratto dallo Stato, a spese dei soggetti onerati e lasciando invariata la spesa consolidata. Cio', ad avviso del tribunale, appare rilevante agli effetti del principio di buon andamento dell'amministrazione. Laddove e' il caso di aggiungere che nulla, in particolare, e' stato evidenziato ed illustrato - a tal proposito - dall'Avvocatura dello Stato. Va ancora considerato che le Camere di commercio sono «enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo nell'ambito delle economie locali (art. 1)», che le medesime «rappresentano, nel proprio consiglio, formato da componenti designati o eletti dalle organizzazioni delle imprese, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti, la struttura economica locale (art. 10 e 12)» (cosi' Corte costituzionale 8 novembre 2000, n. 477). Esse configurano un «ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art. 118 della Costituzione» (v. sempre la sentenza n. 477/2000 Corte costituzionale) ed inoltre, nel periodo di vigenza delle norme esaminate, hanno ritratto (fino all'anno 2016) le loro risorse solo in parte da trasferimenti a carico dello Stato, ma principalmente dai diritti annuali (obbligatori) e diritti di segreteria, a carico degli iscritti (secondo tariffe approvate dall'Amministrazione centrale; v. l'art. 18, legge n. 580/1993). Anche su questo aspetto, ed in particolare in ordine alla ridotta incidenza delle risorse assegnate dallo Stato, rispetto alle altre voci di entrata del bilancio delle Camere di commercio, l'Avvocatura dello Stato non ha osservato alcunche'. Infine, vi e' da notare che le norme che costituiscono motivo della lite non risultano adottate per un periodo di tempo predeterminato e circoscritto, ma tendenzialmente sine die: cio' ha comportato non solo l'imposizione di tagli permanenti di spesa (che pure avrebbe meritato, sotto il profilo della congruenza e ragionevolezza, di essere calibrata sui risultati via via gia' conseguiti), bensi' la prescrizione di obblighi permanenti di riversamento, oltretutto rapportati a parametri cristallizzati nel tempo e quindi suscettibili di risultare superati e non piu' congruenti con la reale situazione economica dei soggetti obbligati, negli esercizi finanziari successivi. Cio' considerato, si pongono questioni di compatibilita' con l'art. 3 della Costituzione, con l'art. 53 della Costituzione, con l'art. 97 della Costituzione, con l'art. 118 della Costituzione, anche sotto il profilo: (a) della dubbia proporzionalita' (art. 3, art. 53 della Costituzione) tra i sacrifici imposti a tali autonomie funzionali e il beneficio correlativamente conseguito dall'Erario, potendosi paventare l'eccessiva frustrazione degli interessi tutelati dalle Camere di commercio e facenti capo ai rispettivi iscritti, nonche' l'intralcio alla corretta ed economica gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere, a fronte di utilita' meramente patrimoniali e non adeguatamente delineate, con pregiudizio del principio di correttezza e buon andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione); (b) della eccessiva frustrazione (anziche' valorizzazione) delle economie di gestione conseguite dagli organismi ed enti del settore classificatorio della pubblica amministrazione (elenco ISTAT) e, tra questi, delle Camere di commercio, a detrimento dei principi di intrinseca ragionevolezza, proporzionalita', buon andamento dell'amministrazione, sussidiarieta' orizzontale (articoli 3, 97 e 118 della Costituzione); (c) della imposizione di un prelievo continuativo prevalentemente gravante sul patrimonio degli iscritti e dei soggetti tenuti ai versamenti obbligatori in favore della Camera di commercio, senza alcun rispetto dei principi - di rispetto della capacita' contributiva e di progressivita' - codificati all'art. 53 della Costituzione. Il tutto, senza considerare l'effetto a dir poco demotivante (quindi possibilmente controproducente) che (intuibilmente) consegue a disposizioni che da un lato sollecitano ad economizzare (come e' giusto che sia) e dall'altro neutralizzano le economie conseguite, con prelevamenti destinati ad operare sine die, o meglio sino a nuovo intervento legislativo. Diversi spunti di riflessione offre, in proposito, la (gia' sopra nominata) sentenza della Corte costituzionale n. 7 dell'11 gennaio 2017, non a caso citata dalla difesa attrice nei suoi scritti giudiziali. Si legge nella motivazione della sentenza, inerente alla questione di costituzionalita' sollevata, dal Consiglio di Stato, in relazione all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, in seno ad un giudizio attivato dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti: «1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli articoli 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione, nella parte in cui applica anche alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti (CNPADC) un prelievo commisurato alle spese per consumi intermedi dell'esercizio 2010. [...] 4.- Venendo al merito, la questione di legittimita' costituzionale sollevata in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione con riguardo alla sola prescrizione inerente all'imposizione del versamento annuale nelle casse dello Stato, e' fondata. Per quanto di seguito meglio specificato, la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne' alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall'art. 38 della Costituzione, ne' al buon andamento della gestione amministrativa della medesima. 4.1.- Sotto il profilo della ragionevolezza, l'art. 3 della Costituzione risulta violato per l'incongrua scelta di sacrificare l'interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale. L'esame del contesto legislativo rivela come la disposizione censurata operi in deroga all'ordinario regime di autonomia della Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali. Prescindendo dall'indagine sulla natura del contributo, e tenuto conto che le politiche statali possono, in particolari contingenze, incidere anche sull'autonomia finanziaria di un ente pubblico, nel caso in esame la compressione di un principio di sana gestione finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica degli enti privatizzati di cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994, non risulta proporzionato all'alternativa di assicurare un prelievo generico a favore del bilancio dello Stato. Mentre l'interesse della CNPADC e' specificamente riferibile alla missione istituzionale di gestire ed assicurare nel tempo le prestazioni previdenziali agli associati, quello dello Stato e' - per obiettiva conformazione della norma impugnata - circoscritto alla generica copertura del complesso della spesa. Nella ponderazione delle due finalita' non appare ragionevole il sacrificio - a beneficio di un generico interesse dello Stato ad arricchire, in modo peraltro marginale, le proprie dotazioni di entrata - di quella della CNPADC, che e' collegata intrinsecamente alla necessaria autosufficienza della gestione pensionistica. In particolare, con riguardo al bilanciamento tra le esigenze istituzionali della Cassa e quelle del bilancio statale, non puo' essere condiviso l'assunto dell'Avvocatura generale dello Stato secondo cui l'interesse dell'ente previdenziale a mantenere parte delle risorse acquisite attraverso la contribuzione degli iscritti sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di prelevare dette risorse "per garantire il rispetto del principio del pareggio di bilancio sancito dall'art. 81 della Costituzione anche alla luce degli impegni assunti dal nostro Paese con le autorita' europee". La difesa statale desume un'arbitraria correlazione eziologica tra l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, la prima parte dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, non contestata dal giudice rimettente, e la seconda parte del medesimo comma 3 dell'art. 8: l'iscrizione nell'elenco ISTAT della CNPADC non comporterebbe soltanto la considerazione di quest'ultima nel complesso macroeconomico della finanza pubblica da coordinare attraverso l'imposizione di economie della spesa per beni intermedi, ma anche il prelievo di tali economie a beneficio dello Stato. Al contrario, come gia' premesso, tale rapporto di causalita' tra le citate disposizioni non sussiste. E' di tutta evidenza che la prima parte della norma impugnata provvede in modo costituzionalmente legittimo ad assicurare - attraverso il risparmio e l'accantonamento della percentuale di spesa pertinente a ciascuno dei soggetti rientranti nel sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell' Unione europea - SEC 2010 - il coordinamento della finanza pubblica allargata per il raggiungimento degli obiettivi concordati in sede europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a favore dell'Erario. Pertanto, e' la sola disposizione dell'art. 8, comma 3, impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito nei confronti della CNPADC - il quale determina, nella situazione economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata ad una speculare plusvalenza a favore del bilancio dello Stato - mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi, oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei vincoli europei, costituisce di per se' anche un meccanismo idoneo a rendere piu' efficiente la gestione pensionistica nella misura in cui riduce le spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio alla naturale destinazione delle prestazioni previdenziali. A parte il fatto che nella manovra di finanza pubblica il contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che il saldo complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma del legislatore statale (consistente nel trasferimento di risorse della CNPADC al proprio bilancio), del tutto distinta dall'adempimento degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea. Se, in astratto, non puo' essere disconosciuta la possibilita' per lo Stato di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che - come la CNPADC - sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell'equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese. Alla luce di tali considerazioni risultano capovolte anche le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui la fattispecie normativa in esame sarebbe il portato di un'"adeguata ponderazione" delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica di cui all'art. 81 della Costituzione con "gli altri parametri costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato [...] nel rispetto dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza [...] in relazione alla pari necessita' di rispetto dell'art. 81 della Costituzione ed alla luce della necessita' di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla Carta costituzionale". [...] Se la prima parte dell'art. 1, comma 3, appare, dunque, un efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica, la seconda parte - nel destinare detto risparmio all'Erario - collide anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso di specie, non e' tanto l'entita' del prelievo - peraltro esiguo in rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato - a determinare la non conformita' a Costituzione, quanto l'astratta configurazione della norma, che aggredisce, sotto l'aspetto strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell'ambito della quale si articola "la naturale missione" della CNPADC di preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale». Tale il dispositivo della sentenza: «dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato». Pur nella diversita' tra la fattispecie considerata dalla Corte e quella che e' oggetto della lite, la sentenza reca degli enunciati che parrebbero attagliarsi anche al rapporto dedotto in giudizio, e che rendono maggiormente opportuno non soprassedere dal rilievo della questione di legittimita' costituzionale. 2.7 Per tutte le ragioni sin qui esposte, il tribunale ritiene di sottoporre le norme riportate al par. 2.2 del presente provvedimento allo scrutinio della Corte costituzionale, profilandosi diverse questioni di legittimita' che, oltre che rilevanti, paiono non manifestamente infondate: si provvede pertanto come a seguire. (1) legge n. 311/2004, art. 1, comma 5: «Al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per il triennio 2005 - 2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate per l'anno 2005 nell'elenco 1 allegato alla presente legge e per gli anni successivi dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, non puo' superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica». L'elenco all. 1 alla legge finanziaria nominava le «Camere di commercio» tra le «pubbliche amministrazioni». (2) cosi' l'art. 1, comma 2 e comma 3 della legge n. 196/2009, nel testo vigente alla data del decreto-legge n. 78/2010: «2. Ai fini della presente legge, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari. 3. La ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 e' operata annualmente dall'ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 luglio». (3) «Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dell'economia e delle finanze una quota del fondo di cui al terzo periodo puo' essere destinata allo tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa l'assunzione di personale in deroga ai limiti stabiliti dalla legislazione vigente ai sensi e nei limiti di cui al comma 22; un'ulteriore quota puo' essere destinata al finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni indicate nell'art. 67, comma 5, ovvero delle amministrazioni interessate dall'applicazione dell'art. 67, comma 2. Le somme destinate alla tutela della sicurezza pubblica sono ripartite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tra le unita' previsionali di base interessate. La quota del fondo eccedente la dotazione di 200 milioni di euro non destinata alle predette finalita' entro il 31 dicembre di ogni anno costituisce economia di bilancio».
P.Q.M. Il Tribunale di Roma, visti gli articoli 134 e 137 della Costituzione, nonche' l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme di seguito indicate: (a) art. 61, combinato disposto dei commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni in legge n. 133/2008, nella parte in cui prevede, al comma 17: «Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato»; (b) art. 6, combinato disposto commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni in legge n. 122/ 2010, nella parte in cui prevede, al comma 21: «Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo, con esclusione di quelle di cui al primo periodo del comma 6, sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato»; (c) art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, convertito con modificazioni in legge n. 135/2012, nella parte in cui prevede, al terzo periodo: «le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno»; (d) art. 50, comma 3, decreto-legge n. 66/2014, convertito con modificazioni in legge n. 89/2014, nella parte in cui prevede, al terzo periodo: «le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno»... ... per violazione degli articoli 3, 53, 97 e 118 della Costituzione, e per tutte le ragioni indicate al par. 2.6 del presente provvedimento; Dispone che il presente provvedimento, a cura della cancelleria, sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicato al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati e, all'esito, sia trasmesso alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con la prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; Dispone la sospensione del presente processo. Roma, 21 gennaio 2021 Il Giudice: Imposimato