N. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 2021

Ordinanza del 26 gennaio 2021 del Tribunale di Roma nel  procedimento
civile promosso  da  Camera  di  Commercio  Industria  Artigianato  e
Agricoltura  della  Maremma  e  del  Tirreno  contro  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, Ministero dell'Economia  e  delle  Finanze  e
Ministero dello Sviluppo economico.. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Misure di  riduzione  della  spesa
  pubblica - Obbligo per gli enti  pubblici  non  territoriali  e  le
  amministrazioni pubbliche dotate di  autonomia  finanziaria  (nella
  specie, Camera di commercio, industria, artigianato  e  agricoltura
  della Maremma e del Tirreno) di versare le somme provenienti  dalle
  riduzioni di spesa e  le  maggiori  entrate  ad  apposito  capitolo
  dell'entrata del bilancio dello Stato. 
- Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo
  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la  competitivita',  la
  stabilizzazione  della   finanza   pubblica   e   la   perequazione
  tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge  6  agosto
  2008, n. 133, art. 61, commi 1, 2, 5 e 17, in combinato disposto. 
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Amministrazione  pubblica   -
  Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Misure di vario
  contenuto volte al contenimento della spesa pubblica - Obbligo  per
  gli enti pubblici non territoriali e le  amministrazioni  pubbliche
  dotate di autonomia finanziaria (nella specie, Camera di commercio,
  industria, artigianato e agricoltura della Maremma e  del  Tirreno)
  di versare le somme provenienti dalle riduzioni di  spesa  indicate
  ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, in combinato disposto. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Riduzione della spesa  degli  enti
  pubblici non territoriali  -  Riduzione  delle  spese  per  consumi
  intermedi - Somme corrispondenti alle riduzioni  realizzate  (nella
  specie,  dalla  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato   e
  agricoltura della Maremma e del Tirreno) -  Obbligo  di  versamento
  annuale ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato,
  entro il 30 giugno di ciascun anno. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
  cittadini  nonche'  misure  di  rafforzamento  patrimoniale   delle
  imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella
  legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 8, comma 3. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Riduzione della spesa  degli  enti
  pubblici non territoriali  -  Riduzione  delle  spese  per  consumi
  intermedi - Somme corrispondenti alle riduzioni  realizzate  (nella
  specie,  dalla  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato   e
  agricoltura della Maremma e del Tirreno) -  Obbligo  di  versamento
  annuale ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato,
  entro il 30 giugno di ciascun anno. 
- Decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
  competitivita'   e   la   giustizia   sociale),   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89, art. 50, comma 3. 
(GU n.46 del 17-11-2021 )
 
                     TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA 
                       Sezione seconda civile 
 
    Il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa  Alessandra
Imposimato, ha emesso la seguente ordinanza  nella  causa  civile  di
primo grado iscritta al n. 50007 del ruolo generale  per  gli  affari
contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: «altre controversie di
diritto amministrativo» e pendente tra Camera di Commercio  Industria
Artigianato e Agricoltura della Maremma e del Tirreno, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in  Roma
- via G. Borsi n. 4  -  presso  e  nello  studio  dell'avv.  Federica
Scafarelli, che lo rappresenta e difende unitamente e  disgiuntamente
dagli avv. Maria Cristina Berti, Marica Del  Sal,  Giacomo  Quarneti,
per procura in calce alla citazione introduttiva - attore - 
    e Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del Presidente
pro tempore, Ministero dell'economia  e  delle  finanze  e  Ministero
dello sviluppo economico, in persona dei Ministri pro tempore,  tutti
rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato,  nonche'
domiciliati ex lege presso gli uffici dell'Avvocatura in Roma  -  via
dei Portoghesi n. 12 - convenuto. 
 
                       Motivi della decisione 
 
1. sui fatti controversi. 
    1.1. Con l'atto introduttivo della lite, la Camera  di  Commercio
Industria Artigianato ed Agricoltura della Maremma e del  Tirreno  ha
chiesto al tribunale di: 
        «in via principale: 
          1) accertare e  dichiarare  che  l'art.  8,  comma  3,  del
decreto-legge n. 95/2012, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 135/2012, laddove prevede l'obbligo di versamento all'entrata  del
bilancio dello Stato, non  si  applica  all'odierna  attrice  per  le
ragioni indicate nella parte in diritto sub § 2.1, 2.2, e 2.3, e  che
l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta  a
versare all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  la  somma  di  euro
188.310,46, e/o alcuna altra somma, anche  con  riferimento  a  somme
rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del  bilancio
dello Stato non siano ancora scaduti; 
          2) accertare e dichiarare  che  l'art.  50,  comma  3,  del
decreto-legge n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla legge n.
89/2014, laddove prevede  l'obbligo  di  versamento  all'entrata  del
bilancio dello Stato, non  si  applica  all'odierna  attrice  per  le
ragioni indicate nella parte in diritto sub § 2.1, 2.2,  2.3,  e  che
l'odierna attrice, per le predette ragioni, non e' pertanto tenuta  a
versare  all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  la  somma  di euro
94.155,23, e/o alcuna altra somma,  anche  con  riferimento  a  somme
rispetto alle quali i termini di versamento all'entrata del  bilancio
dello Stato non siano ancora scaduti; 
          3) accertare e dichiarare che l'art. 61, commi 1,  2,  5  e
17, del decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla
legge  n.  133/2008,  laddove   prevede   l'obbligo   di   versamento
all'entrata del bilancio dello  Stato,  non  si  applica  all'odierna
attrice per le ragioni indicate nella parte in diritto sub § 3,  3.1,
3.2, 3.3, 3.4 e che l'odierna attrice, per le predette  ragioni,  non
e' pertanto tenuta a versare all'entrata del bilancio dello Stato  la
somma  di euro  34.966,75,  e/o  alcuna  altra   somma,   anche   con
riferimento a somme rispetto  alle  quali  i  termini  di  versamento
all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; 
          4) accertare e dichiarare che l'art. 6, commi 1, 3,  7,  8,
12, 13,  14  e  21  del  decreto-legge  n.  78/2010,  convertito  con
modificazioni dalla legge n. 133/2008, laddove prevede  l'obbligo  di
versamento all'entrata del  bilancio  dello  Stato,  non  si  applica
all'odierna attrice per le ragioni indicate nella  parte  in  diritto
sub § 4, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4 e che l'odierna attrice, per le  predette
ragioni, non e' pertanto tenuta a versare  all'entrata  del  bilancio
dello Stato la somma di euro 76.685,45, e/o alcuna altra somma, anche
con riferimento a somme rispetto alle quali i termini  di  versamento
all'entrata del bilancio dello Stato non siano ancora scaduti; 
        in via subordinata: 
          5) ove il  tribunale  ritenga  che  l'odierna  attrice  sia
soggetta all'obbligo di versamento al bilancio  dello  Stato  di  cui
all'art. 8, comma 3, del decreto-legge n.  95/2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135/2012, dichiarare  rilevante  e  non
manifestamente  infondata  l'eccepita   questione   di   legittimita'
costituzionale della predetta norma, per contrasto con  gli  articoli
3, 97 e 118 ultimo comma  della  Costituzione  (come  indicato  nella
parte in  diritto  sub  §  2.4)  e  conseguentemente,  sospendere  il
giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si
pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate; 
          6) ove il  tribunale  ritenga  che  l'odierna  attrice  sia
soggetta all'obbligo di versamento al bilancio  dello  Stato  di  cui
all'art. 50, comma 3, del decreto-legge n. 66/2014,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 89/2014,  dichiarare  rilevante  e  non
manifestamente  infondata  l'eccepita   questione   di   legittimita'
costituzionale della predetta norma, per contrasto con  gli  articoli
3, 97 e 118 ultimo comma  della  Costituzione  (come  indicato  nella
parte in  diritto  sub  §  2.4)  e  conseguentemente,  sospendere  il
giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si
pronunci sulla legittimita' costituzionale delle norme citate; 
          7) ove il  tribunale  ritenga  che  l'odierna  attrice  sia
soggetta all'obbligo di versamento al bilancio  dello  Stato  di  cui
all'art. 61, commi 1, 2, 5  e  17,  del  decreto-legge  n.  112/2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  133/2008,  dichiarare
rilevante e non  manifestamente  infondata  l'eccepita  questione  di
legittimita' costituzionale della predetta norma, per  contrasto  con
gli articoli 3, 97  e  118  ultimo  comma  della  Costituzione  (come
indicato nella parte  in  diritto  sub  §  3.5)  e  conseguentemente,
sospendere  il   giudizio   e   rimettere   gli   atti   alla   Corte
costituzionale,   affinche'   si    pronunci    sulla    legittimita'
costituzionale delle norme citate; 
          8) ove il  tribunale  ritenga  che  l'odierna  attrice  sia
soggetta all'obbligo di versamento al bilancio  dello  Stato  di  cui
all'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21  del  decreto-legge  n.
78/2010, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  122/2010,
dichiarare  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   l'eccepita
questione di legittimita' costituzionale della  predetta  norma,  per
contrasto  con  gli  articoli  3,  97  e  118  ultimo   comma   della
Costituzione (come indicato nella parte  in  diritto  sub  §  4.5)  e
conseguentemente, sospendere il giudizio e rimettere  gli  atti  alla
Corte  costituzionale,  affinche'  si  pronunci  sulla   legittimita'
costituzionale delle norme citate». 
        ... il tutto con vittoria di spese della lite. 
    A motivo della domanda, ha esposto: 
        di essere stata istituita a seguito  dell'accorpamento  della
Camera di commercio  di  Livorno,  con  la  Camera  di  commercio  di
Grosseto; 
        che il procedimento di accorpamento, operato ai sensi  e  per
gli effetti dell'art. 1, comma 5, della legge n. 580/1993, si  apriva
con le delibere adottate, dalle Giunte delle due CCIAA, nel  febbraio
2015, ed esitava nel decreto istitutivo, in data 6 agosto  2015,  del
Ministero dello sviluppo economico; 
        che tale operazione veniva attuata,  anche  rispondendo  alla
circolare del Ministero dello sviluppo economico in  data  26  giugno
2014, per conseguire una struttura piu' agile ed economie  di  spesa,
come illustrato nella Relazione al Piano economico  2016-2018,  fatta
propria   dalle   giunte   di   ciascuna   delle   Camere   coinvolte
nell'operazione, nelle delibere propedeutiche all'avvio dell'iter  di
accorpamento; 
        che a seguito di tale virtuoso procedimento di autoriforma la
Camera «accorpata» conseguiva gli obiettivi prefissati, dotandosi  di
una struttura piu' snella e capace di conseguire consistenti risparmi
di spesa,  ed  in  particolare:  (a)  la  riduzione  della  dotazione
complessiva del personale, variata dalle 114  unita'  alla  data  del
febbraio 2015 (pari alla sommatoria degli organici delle  due  Camere
di commercio, prima dell'accorpamento), alle 90 unita' al 31 dicembre
2016; (b) la riduzione del personale in servizio,  variata  dalle  97
unita' presenti al febbraio  2015  alle  88  unita'  presenti  al  31
dicembre 2016,  con  risparmio  di  spesa  pari,  nel  2015,  ad euro
394.051,00; (c) la riduzione del numero dei componenti  degli  organi
istituzionali, variata dai 51 membri al febbraio 2015 (sommatoria dei
membri degli organi istituzionali di ciascuna  delle  due  Camere  di
commercio, antecedentemente all'accorpamento) ai 28  membri  previsti
per la Camera accorpata, con risparmio annuo di spesa  di  circa euro
79.000,00; (d)  la  riduzione  dei  consumi  intermedi,  dall'importo
di euro 1.546.397,30 dell'anno 2014 (coacervo dei consunti riferiti a
ciascuna    delle    Camere    di     commercio,     antecedentemente
all'accorpamento) all'importo di euro  1.325.214,17  dell'anno  2016,
con un risparmio pari al 14,30%. 
    Tanto esposto in  fatto,  l'odierna  attrice  ha  soggiunto  che,
stando alla circolare n. 26 del 7 dicembre 2016, del Ministero  delle
finanze, l'ente istituito a seguito dell'accorpamento, benche' avesse
conseguito delle consistenti  economie  di  gestione,  rispetto  alla
situazione di bilancio esposta, in precedenza, da ciascuna delle  due
Camere di commercio poi accorpate, comunque sarebbe rimasta vincolata
agli obblighi di riversamento (al bilancio  dello  Stato)  introdotti
dalle norme  sui  tagli  di  spesa  a  carico  delle  amministrazioni
pubbliche concorrenti al conto consolidato, adottate dal  legislatore
negli anni 2008, 2010, 2012 e 2014 (v.  a  seguire),  ancorche'  tali
norme facessero riferimento a spese affrontate  da  soggetti  diversi
(le Camere di commercio di  Livorno  e  di  Grosseto)  in  annualita'
(2004, 2007, 2009, 2010) antecedenti a quella in cui si  era  operata
la loro unificazione in una nuova autonomia funzionale. 
    In virtu' degli argomenti di cui si dira' meglio  a  seguire,  la
parte attrice ha quindi sostenuto: 
        (a) che le norme in questione (ed in particolare: l'art.  61,
commi 1, 2, 5 e 17, decreto-legge n. 112/2008; l'art. 6, commi 1,  3,
7, 8, 12, 13, 14 e 21, decreto-legge n. 78/2010; l'art. 8,  comma  3,
decreto-legge n.  95/2012;  l'art.  50,  comma  3,  decreto-legge  n.
66/2014) non si applicassero, secondo una lettura  costituzionalmente
orientata, alla fattispecie dedotta in lite, non essendo la Camera di
commercio «accorpata» espressamente nominata tra i destinatari  delle
norme  in  questione,  e  comportando   la   loro   applicazione   la
frustrazione  dei  principi  di  eguaglianza,   ragionevolezza,   non
discriminazione (art. 3), buon andamento (art. 97)  e  sussidiarieta'
orizzontale  (art.   118   ultimo   comma),   di   cui   alla   Carta
costituzionale; 
        (b)  in  subordine,  ove  non  praticabile  l'interpretazione
suggerita, che  le  norme  in  questione  fossero  costituzionalmente
illegittime, per violazione dei parametri costituzionali di cui  agli
articoli 3, 97 e 118 della Costituzione. 
    In ogni caso, ha evidenziato di non essere tenuta  a  versare  al
bilancio dello Stato, nell'anno 2017, la complessiva  somma  di  euro
394.117,89, di cui: 
        euro  34.966,75  pretesi  dal  Ministero  delle  finanze   in
applicazione dell'art. 61, commi 1,  2,  5  e  17,  decreto-legge  n.
112/2008; 
        euro 76.685,45, pretesi in applicazione dell'art. 6, commi 1,
3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21 del decreto-legge n. 78/2010; 
        euro188.310,46, pretesi in applicazione dell'art. 8, comma 3,
decreto-legge n. 95/2012; 
        euro 94.155,23, pretesi in applicazione dell'art.  50,  comma
3, decreto-legge n. 55/2014. 
    1.2 Attivato il contraddittorio, le amministrazioni convenute  si
sono costituite in giudizio contestando gli assunti  dell'avversario,
e sostenendo che: (i) le Camere di commercio  in  genere,  anche  ove
istituite a seguito di una procedura di accorpamento, in quanto  enti
pubblici non territoriali investiti della cura di pubblici  interessi
e concorrenti alla formazione del  bilancio  consolidato,  fossero  a
tutti  gli  effetti  incluse   nel   novero   delle   amministrazioni
destinatarie delle norme (sui tagli di spesa e  correlativi  obblighi
di  riversamento)  di  cui  all'art.  61,  commi  1,  2,  5   e   17,
decreto-legge n. 112/2008, all'art. 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e
21, decreto-legge n. 78/2010, all'art. 8, comma 3,  decreto-legge  n.
95/2012, all'art. 50, comma 3, decreto-legge n.  66/2014;  (ii)  tali
norme non fossero in conflitto con  alcun  parametro  costituzionale,
essendo piuttosto la tesi dell'attrice a  condurre,  ove  accolta,  a
conseguenze discriminatorie, suggerendo che le  Camere  di  commercio
«accorpate»  fossero  (arbitrariamente)  esonerate   dagli   obblighi
gravanti su tutte le altre Camere di commercio, non accorpate. 
    Per tali ragioni ha  chiesto,  oltre  al  rigetto  delle  istanze
avversarie, in  via  riconvenzionale  la  condanna  della  Camera  di
commercio (industria, Artigianato ed Agricoltura) della Maremma e del
Tirreno al pagamento della somma di euro 394.117,39, per i  titoli  e
le causali indicate dalla stessa parte attrice. 
    1.3  I  termini  controversi  sono  rimasti  invariati  all'esito
dell'assegnazione dei termini consecutivi di cui all'art. 183 comma 6
c.p.c. 
    In sede di precisazione delle conclusioni  la  parte  attrice  ha
dato   atto   di   avere   fatto   luogo   al    pagamento    preteso
dall'Amministrazione con riserva di ripetizione, e senza  rinuncia  a
tutte  le  domande  formulate  nel  presente  giudizio.  Ha  pertanto
coltivato la domanda  di  accertamento  negativo  -  previo  rilievo,
occorrendo, della  questione  di  legittimita'  costituzionale  delle
norme sopra  indicate  -  ed  inoltre  richiesto  la  condanna  delle
amministrazioni convenute alla restituzione di quanto versato,  nelle
more della lite. 
    La causa e' stata  trattenuta  in  decisione  all'udienza  del  6
ottobre 2020. 
    2. sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla
difesa  della  Camera  di  commercio,   industria,   artigianato   ed
agricoltura della Maremma e del Tirreno. 
    2.1 La parte odierna attrice sostiene di  non  essere  tenuta  ai
versamenti, in favore del bilancio dello Stato, previsti: 
        (a) dall'art. 61, commi  1,  2,  5  e  17,  decreto-legge  n.
112/2008, convertito con modificazioni in legge n. 133/2008; 
        (b) dall'art. 6,  commi  1,  3,  7,  8,  12,  13,  14  e  21,
decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni  in  legge  n.
122/2010; 
        (c)  dall'art.  8,  comma  3,   decreto-legge   n.   95/2012,
convertito con modificazioni in legge n. 135/ 2012; 
        (d)  dall'art.  50,  comma  3,  decreto-legge   n.   66/2014,
convertito con modificazioni in legge n. 89/2014. 
    Cio'  sostiene  per  due  ordini  di  ragioni:  in  primo  luogo,
evidenzia che nessuna delle suddette norme  faccia  riferimento  alle
Camere  di  commercio  istituite  a  seguito  del   procedimento   di
accorpamento di cui all'art.  1,  comma  5,  legge  n.  580/1993;  in
secondo  luogo,  sottolinea  che   tale   conclusione   sia   l'unica
costituzionalmente orientata ed idonea ad evitare la  violazione  dei
principi di  ragionevolezza  e  non  discriminazione  (art.  3  della
Costituzione), di correttezza e buon  andamento  dell'amministrazione
(art. 97 della Costituzione), di sussidiarieta' orizzontale (art. 118
ultimo comma  della  Costituzione),  che  -  unitariamente  intesi  -
pretenderebbero di non penalizzare,  ma  di  premiare  e  valorizzare
tutte le iniziative assunte, dalle pubbliche amministrazioni in senso
lato, per conseguire economie di gestione e la riduzione delle  spese
di funzionamento. 
    2.2 Tali - in estrema sintesi - le questioni  poste  dalla  parte
attrice, ad opinione del tribunale non e' sostenibile che  la  Camera
di commercio, industria, artigianato ed agricoltura della  Maremma  e
del Tirreno non appartenga al novero dei soggetti  destinatari  delle
norme sopra richiamate, e di cui appresso. 
    L'art.  61,  decreto-legge  n.  112/2008  (recante  «Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione Tributaria», convertito con modificazioni  in  legge  n.
133/2008), nelle parti d'interesse recita testualmente: 
        «1. A decorrere dall'anno 2009 la spesa complessiva sostenuta
dalle  amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto   economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  5
dell'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (1) , con esclusione
delle  Autorita'  indipendenti,  per  organi   collegiali   e   altri
organismi, anche monocratici,  comunque  denominati,  operanti  nelle
predette amministrazioni, e' ridotta del  30  per  cento  rispetto  a
quella sostenuta nell'anno  2007.  A  tale  fine  le  amministrazioni
adottano con immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla  data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa. 
        2. Al fine di valorizzare le  professionalita'  interne  alle
amministrazioni,  riducendo  ulteriormente  la  spesa  per  studi   e
consulenze, all'art. 1, comma 9, della legge  23  dicembre  2005,  n.
266,  e  successive  modificazioni,  sono   apportate   le   seguenti
modificazioni: 
          a) le parole: "al 40  per  cento",  sono  sostituite  dalle
seguenti: "al 30 per cento"; 
          b) in fine, e' aggiunto il seguente periodo: "Nel limite di
spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve  rientrare  anche  la
spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici
dipendenti; 
        [...] 
        5. A decorrere dall'anno 2009  le  amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'art. 1  della  legge  30
dicembre 2004, n. 311, non possono  effettuare  spese  per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per  un
ammontare superiore al 50 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2007 per le medesime finalita'. 
        [omissis] 
        17. Le somme  provenienti  dalle  riduzioni  di  spesa  e  le
maggiori entrate di cui  al  presente  articolo,  con  esclusione  di
quelle di cui ai commi 14 e 16, sono versate annualmente dagli enti e
dalle amministrazioni dotati di  autonomia  finanziaria  ad  apposito
capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato.  La  disposizione  di
cui al primo periodo non si applica agli  enti  territoriali  e  agli
enti, di competenza regionale o delle Province autonome di  Trento  e
di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale.  Le  somme  versate  ai
sensi del primo periodo sono riassegnate  ad  un  apposito  fondo  di
parte corrente. La dotazione finanziaria del fondo  e'  stabilita  in
200 milioni di euro annui a decorrere  dall'anno  2009;  la  predetta
dotazione e' incrementata con  le  somme  riassegnate  ai  sensi  del
periodo precedente. [omissis]». 
    L'art. 6, decreto-legge n. 78/2010 (recante  «Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica», convertito con modificazioni in legge n. 122/2010), nelle
parti d'interesse recita: 
        «1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del  presente
decreto, la partecipazione agli organi collegiali di cui all'art. 68,
comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112,  convertito  con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e'  onorifica;  essa
puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese  sostenute  ove
previsto dalla normativa vigente; eventuali gettoni di  presenza  non
possono  superare  l'importo  di  30  euro  a   seduta   giornaliera.
[omissis]. 
        [omissis] 
        3. Fermo restando quanto previsto dall'art. 1 comma 58  della
legge 23 dicembre 2005, n. 266, a decorrere dal 1°  gennaio  2011  le
indennita', i  compensi,  i  gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita'   comunque   denominate,   corrisposti    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre
2009 n. 196 (2) , incluse le autorita' indipendenti, ai componenti di
organi   di   indirizzo,   direzione   e   controllo,   consigli   di
amministrazione  e  organi  collegiali  comunque  denominati  ed   ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte
del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla  data  del  30
aprile 2010. Sino al 31 dicembre  2017,  gli  emolumenti  di  cui  al
presente comma non possono superare gli importi risultanti alla  data
del 30 aprile 2010, come ridotti ai  sensi  del  presente  comma.  Le
disposizioni  del  presente  comma   si   applicano   ai   commissari
straordinari del Governo di cui all'art. 11  della  legge  23  agosto
1988, n. 400 nonche' agli  altri  commissari  straordinari,  comunque
denominati. La riduzione non si applica al trattamento retributivo di
servizio. 
        [omissis] 
        7. Al fine di valorizzare le  professionalita'  interne  alle
amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per  studi
ed incarichi di  consulenza,  inclusa  quella  relativa  a  studi  ed
incarichi di consulenza conferiti a  pubblici  dipendenti,  sostenuta
dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'art.  1  della
legge 31 dicembre 2009 n. 196,  incluse  le  autorita'  indipendenti,
escluse le universita', gli enti e le fondazioni  di  ricerca  e  gli
organismi equiparati nonche' gli incarichi  di  studio  e  consulenza
connessi ai processi di privatizzazione e alla  regolamentazione  del
settore finanziario, non puo' essere superiore al  20  per  cento  di
quella sostenuta nell'anno 2009. [omissis]. 
        8. A decorrere dall'anno 2011  le  amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono
effettuare  spese  per   relazioni   pubbliche,   convegni,   mostre,
pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per
cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita'.
[omissis]. 
        [omissis] 
        12. A decorrere dall'anno 2011 le  amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono
effettuare spese per missioni, anche all'estero, con esclusione delle
missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle  missioni
delle forze di polizia e dei  vigili  del  fuoco,  del  personale  di
magistratura, nonche' di  quelle  strettamente  connesse  ad  accordi
internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione
a riunioni  presso  enti  e  organismi  internazionali o  comunitari,
nonche' con investitori istituzionali  necessari  alla  gestione  del
debito pubblico, per un ammontare superiore al  50  per  cento  della
spesa sostenuta nell'anno 2009. [omissis] 
        13. A decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3  dell'art.  1
della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse   le   autorita'
indipendenti, per attivita' esclusivamente di formazione deve  essere
non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'aiuto  2009.
[omissis] 
        14. A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1,  comma  3,  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono
effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della  spesa
sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio
e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di  buoni  taxi;
[omissis]. 
        [omissis] 
        21. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di  cui  al
presente articolo, con esclusione di quelle di cui al  primo  periodo
del  comma  6,  sono  versate  annualmente   dagli   enti   e   dalle
amministrazioni dotati di autonomia finanziaria ad apposito  capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato.  La  disposizione  di  cui  al
primo periodo non si applica agli enti territoriali e agli  enti,  di
competenza regionale  o  delle  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, del Servizio sanitario nazionale, nonche' alle  associazioni
di cui all'art. 270 del testo unico di cui al decreto legislativo  18
agosto 2000, n. 267». 
    Ancora, ai sensi dell'art. 8, decreto-legge n.  95/2012  (recante
«Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario»,  convertito  con
modificazioni in legge n. 135/2012) nelle parti d'interesse: 
        «[omissis] 
        3. Ferme restando le misure di contenimento della spesa  gia'
previste  dalle  vigenti  disposizioni,  al  fine  di  assicurare  la
riduzione delle spese per  consumi  intermedi,  i  trasferimenti  dal
bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche  costituiti  in
forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuati dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
dell'art. 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n.  196,  nonche'
alle autorita' indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale  per
le societa' e la borsa (Consob) con esclusione delle  regioni,  delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, degli  enti  locali,  degli
enti del servizio sanitario nazionale, e delle  universita'  e  degli
enti di ricerca di cui all'allegato n. 3, sono ridotti in misura pari
al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno
2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010.  Nel
caso in cui per effetto delle  operazioni  di  gestione  la  predetta
riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la
disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e  gli  organismi
anche  costituiti  in   forma   societaria,   dotati   di   autonomia
finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello  Stato
adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa
per consumi intermedi in modo da assicurare  risparmi  corrispondenti
alle misure indicate nel periodo precedente; le  somme  derivanti  da
tale  riduzione  sono  versate  annualmente  ad   apposito   capitolo
dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno  di  ciascun
anno. Per l'anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il
presente comma non si applica agli enti e  organismi  vigilati  dalle
regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli  enti
locali». 
    Infine, a termini dell'art. 50, decreto-legge n. 66/2014 (recante
«Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale»,
convertito con  modificazioni  in  legge  n.  89/2014),  nelle  parti
d'interesse: 
        «[omissis] 
        3. Fermo restando quanto previsto dall'art. 8, comma  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge  7  agosto
2012, n. 135, al fine di assicurare  la  riduzione  della  spesa  per
acquisti di beni e servizi per gli enti pubblici di cui al  comma  4,
lettera c), dell'art.  8  del  presente  decreto,  nelle  more  della
determinazione  degli  obiettivi  da  effettuarsi  con  le  modalita'
previste dal medesimo art. 8, comma 5, i trasferimenti  dal  bilancio
dello Stato agli enti e agli  organismi  anche  costituiti  in  forma
societaria,  dotati  di  autonomia  finanziaria,  compresi   fra   le
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, della legge  30
dicembre 2009, n. 196, con esclusione delle regioni,  delle  Province
autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali,  degli  enti  del
servizio sanitario nazionale, sono ulteriormente ridotti, a decorrere
dall'anno 2014 su base annua, in misura pari al  5  per  cento  della
spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Nel caso in cui
per effetto delle operazioni di gestione la  predetta  riduzione  non
fosse possibile, per gli enti interessati si applica la  disposizione
di cui  ai  periodi  successivi.  Gli  enti  e  gli  organismi  anche
costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria,  che
non  ricevono  trasferimenti  dal  bilancio  dello   Stato   adottano
interventi di razionalizzazione per  la  riduzione  della  spesa  per
consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alla
misura indicata nel periodo precedente; le somme  derivanti  da  tale
riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata
del bilancio dello Stato entro il  30  giugno  di  ciascun  anno.  Il
presente comma non si applica agli enti e  organismi  vigilati  dalle
regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli  enti
locali». 
    In via di prima approssimazione: con le norme sopra riportate  il
legislatore da un lato ha prescritto, alle «amministrazioni pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT)» (ai sensi dell'art. 1, comma 5,  della  legge  n.
311/2004, e successivamente ai sensi dell'art. 1, comma 2 e comma  3,
della legge n. 196/2009) di operare dei tagli di spesa,  distinti  in
base ai capitoli di bilancio od alle finalita' cui destinati  i  vari
costi operativi, e dall'altro ha imposto, a quelli - tra gli enti  ed
amministrazioni obbligate ai tagli di spesa - che fossero  muniti  di
autonomia finanziaria, di riversare il risparmio di spesa al bilancio
dello Stato. 
    In particolare, con  l'art.  61,  decreto-legge  n.  112/2008,  a
decorrere dall'anno 2009, si e' imposto  alle  amministrazioni  sopra
indicate: (i) di conseguire un taglio della «spesa complessiva»  pari
al 30% rispetto alla spesa sostenuta nell'anno 2007; (ii) di  ridurre
la spesa per relazioni pubbliche,  convegni,  mostre,  pubblicita'  e
rappresentanza, fino al 50% di quella sostenuta nell'anno 2007. 
    D'altronde, si e' imposto agli «enti» ed «amministrazioni» dotati
di «autonomia finanziaria», di riversare il correlativo risparmio  di
spesa ad apposito capitolo  dell'entrata  del  bilancio  dello  Stato
(parte corrente). 
    Con l'art. 6 decreto-legge  n.  78/2010,  a  decorrere  dall'anno
2011: (i) tutte  le  indennita',  compensi,  gettoni  di  presenza  e
retribuzioni, comunque denominate, corrisposte dalle  amministrazioni
concorrenti al conto economico consolidato, sono  state  ridotte  del
10% rispetto agli importi risultanti alla data del  30  aprile  2010;
(ii) si e' imposto alle medesime amministrazioni di ridurre la  spesa
per incarichi di consulenza fino al 20% di quella sostenuta,  per  le
medesime finalita', nell'anno 2009,  di  ridurre  (ulteriormente)  la
spesa  per  relazioni  pubbliche,  convegni,  mostre,  pubblicita'  e
rappresentanza, sino al 20% di quella sostenuta  nell'anno  2009,  di
ridurre le spese per  missioni  (anche  all'estero)  e  le  spese  di
formazione sino al 50% delle corrispondenti spese sostenute nell'anno
2009, di ridurre le spese per  acquisto,  manutenzione,  noleggio  ed
esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi,  sino
all'80% delle corrispondenti spese dell'anno 2009. 
    Inoltre, a decorrere dall'entrata in vigore del medesimo testo di
legge, la partecipazione agli organismi collegiali operanti presso la
pubblica  amministrazione  (art.  68,   comma   1,   decreto-legge n.
112/2008), eccettuate le fattispecie  tassativamente  indicate  nella
norma, e' divenuta onorifica,  salvo  il  rimborso  spese  (ove  gia'
previsto dalla normativa vigente) e l'eventuale corresponsione di  un
gettone di presenza (ove gia' prevista) in ogni caso non superiore ad
euro 30,00 pro die. 
    Anche  in  questo  caso,  si  e'  fatto  carico  agli   enti   ed
amministrazioni «dotati di autonomia  finanziaria»  di  riversare  ad
apposito capitolo dell'entrata del  bilancio  dello  Stato,  tutti  i
correlativi risparmi di spesa. 
    Mediante l'art. 8, decreto-legge n. 95/2012, si e'  imposto  agli
enti ed organismi dotati di autonomia finanziaria (inseriti nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione),  per  i  quali
non potesse operare il taglio dei trasferimenti  dal  bilancio  dello
stato, di  ridurre  la  spesa  per  consumi  intermedi,  a  decorrere
dall'anno 2012, in misura pari al 5% della spesa sostenuta  nell'anno
2010, e a decorrere dall'anno 2013, in misura pari al 10% della spesa
sostenuta  nell'anno  2010,  riversando   il   risparmio   conseguito
all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato. 
    Infine, con l'art. 50, decreto-legge n.  66/2014  si  e'  imposto
agli enti ed organismi dotati di autonomia finanziaria e compresi nel
conto economico consolidato della  pubblica  amministrazione,  per  i
quali non potesse operare il taglio dei  trasferimenti  dal  bilancio
dello  Stato,  di  ridurre  (ulteriormente)  la  spesa  per   consumi
intermedi, a decorrere dall'anno 2014, in misura  pari  al  5%  della
spesa sostenuta, per consumi intermedi, nell'anno 2010. 
    2.3 Tali essendo le norme di riferimento, e' chiaro  che  nessuna
di esse faccia specifico riferimento alla Camera di commercio odierna
attrice, originata  dall'accorpamento  delle  preesistenti  CCIAA  di
Livorno e di Grosseto, se  non  altro  perche'  trattasi  di  persona
giuridica (ente pubblico non territoriale) istituita dopo  l'adozione
di tali interventi normativi (v. il decreto ministeriale del 6 agosto
2015, all. 6 alla citazione). 
    Ad ogni modo, diversi sono gli argomenti in virtu' dei quali  non
puo' predicarsi che  il  nuovo  ente,  sorto  dalla  «fusione»  delle
preesistenti Camere di commercio di Livorno e Grosseto,  sia  rimasto
immune agli obblighi di taglio di  spesa  e  di  riversamento,  sopra
indicati. 
    In primo luogo, v'e' a dire  che  le  Camere  di  commercio  sono
incluse  nell'elenco  Istat  richiamato  dalle  disposizioni   teste'
riportate, in quanto soddisfanno  tutti  i  requisiti  previsti,  dai
regolamenti comunitari in materia di classificazione  dei  centri  di
costo, per essere annoverate nel settore (economico)  della  pubblica
amministrazione  (v.  il  regolamento  n.  2223/96,  c.d.  SEC.95,  e
successivamente il regolamento n. 549/2013, c.d. SEC.2010). 
    Quindi e' indubbio che, tra le altre, le Camere di  commercio  di
Grosseto e Livorno fossero  nella  platea  dei  destinatari  di  tali
normative. Cio' posto, e considerato che la  neoistituita  Camera  di
commercio della Maremma e del Tirreno subentrava  «nella  titolarita'
delle posizioni e dei rapporti  giuridici  attivi  e  passivi,  anche
processuali», afferenti alle  preesistenti  Camere  di  commercio  di
Livorno e Grosseto (cosi' il decreto ministeriale istitutivo, all.  6
cit.,  art.  3,  rubricato:  «successione  nei  rapporti   giuridici,
finanziari, patrimoniali»), e' inevitabile che essa abbia assunto gli
stessi obblighi gia' facenti capo  alle  CCIAA  di  cui  prendeva  il
posto. 
    D'altronde,   la    nuova    autonomia    funzionale    originata
dall'accorpamento delle CCIAA di Livorno e  Grosseto  ha  assunto  le
funzioni ed i compiti, di pubblico interesse (v. articoli 1 e 2 legge
n. 580/1993), gia' facenti capo a ciascuna delle Camere accorpate, in
relazione  ad  una   circoscrizione   territoriale   costituente   la
sommatoria degli ambiti operativi delle  autonomie  preesistenti;  e'
divenuta destinataria dei contributi ordinari a carico  del  bilancio
dello Stato gia' destinati  alle  preesistenti  camere  di  commercio
(sino alla loro  abolizione,  disposta  con  decreto  legislativo  25
novembre 2016, n. 219; v. l'art. 18  della  legge  n.  580/1993,  nel
testo anteriore alla modifica); ha  conservato  la  stessa  autonomia
finanziaria delle Camere accorpate. 
    L'odierna attrice  rinviene  la  sua  provvista,  oltre  che  nei
contributi volontari e nei  «proventi  derivanti  dalla  gestione  di
attivita'  e  dalla  prestazione  di  servizi  e  quelli  di   natura
patrimoniale»,  nei  versamenti  obbligatori  posti  a  carico  degli
iscritti (diritti annuali e diritti di segreteria: v. l'art. 18 della
legge n. 580/1993); e' sottoposta alla vigilanza del Ministero  dello
sviluppo economico e delle Regioni, per quanto di competenza (art.  4
legge n. 580/1993). 
    Essa e', a tutti gli effetti, una Camera di commercio non diversa
(per struttura giuridica, funzioni, autonomia finanziaria, organi) da
quelle oggi descritte e definite dalla legge n. 580/1993, se non  per
la circoscrizione territoriale cui correlato il suo ambito operativo,
costituente la sommatoria degli  ambiti  operativi  delle  Camere  di
Livorno e Grosseto. 
    Ne' la  parte  attrice  dubita  che  si  tratti  di  un'autonomia
funzionale partecipe, sin  dalla  sua  nascita,  al  «settore»  della
pubblica amministrazione, come individuato dai regolamenti comunitari
sopra richiamati, a fini classificatori  (o  piu'  precisamente,  per
conseguire «l'elaborazione di conti e di tabelle su basi  comparabili
per le esigenze» dell'Unione europea). 
    Cio' posto, e considerata  la  (palese)  finalita'  di  tutte  le
disposizioni sopra riportate, adottate in contesti di crisi economica
particolarmente acuta - di ridurre la spesa facente capo  al  settore
della pubblica amministrazione - e' evidente che  anche  il  soggetto
neoistituito sia rimasto tenuto, in quanto tale, agli  obblighi  gia'
gravanti sulle Camere di commercio in esso confluite, tanto quanto lo
erano le  medesime,  soddisfacendo  -  sotto  il  profilo  formale  e
sostanziale - i requisiti previsti dalla  legge,  per  l'applicazione
dei tagli di spesa e degli obblighi di riversamento. 
    2.4 Essendo chiaro ed inequivoco il tenore letterale delle  norme
sopra riportate, cosi come palese la ratio (anche dichiarata) di tali
interventi normativi,  e'  impossibile,  a  giudizio  del  tribunale,
percorrere una interpretazione diversa da quella sopra illustrata,  e
sostenere che la Camera di commercio derivante  dall'accorpamento  di
quelle di Livorno e Grosseto, solo perche' istituita  dopo  l'entrata
in vigore delle norme in questione, sia rimasta immune agli  obblighi
di taglio di spesa facenti  capo  a  tutto  il  settore  pubblico  in
generale, ed agli obblighi di riversamento gravanti, in  particolare,
sui soggetti (del settore pubblico) dotati di autonomia finanziaria. 
    A bene vedere la tesi della parte attrice, per cui la  Camera  di
commercio della Maremma e del Tirreno sarebbe  rimasta  immune  dalle
norme riportate al par. 2.2, postula una  discontinuita'  (giuridica,
economica e finanziaria) tra il soggetto neo istituito  e  quelli  in
esso confluiti (CCIAA di  Livorno  e  Grosseto):  solo  in  tal  modo
potrebbe sostenersi che, non avendosi  un  termine  di  comparazione,
ossia il parametro su cui operare i tagli di spesa, individuato dalle
disposizioni di legge sopra indicate,  queste  ultime  siano  rimaste
inoperanti ed inapplicabili al soggetto che,  alla  data  della  loro
entrata in vigore, ancora non esisteva. 
    Tale conclusione e' impedita da ragioni sistematiche e di diritto
positivo. 
    Vi e' - da un  lato  -  l'esigenza  ordinamentale  di  assicurare
assoluta  continuita'  nell'esercizio  dei   compiti   (di   pubblico
interesse) di pertinenza delle autonomie funzionali (re)istituite con
d. lgs. lgt. 21 settembre 1944, n. 315 (compiti implementati  con  la
legislazione successiva), ed altrettanta continuita'  nella  gestione
operativa e finanziaria di ciascuna autonomia. 
    D'altro canto, tale esigenza ha trovato voce nella norma  di  cui
alla legge n. 580/1993,  art.  1,  che  ha  prefigurato  un  fenomeno
successorio della Camera di commercio accorpata, alle Camere in  essa
confluite (cosi'  l'art.  1,  comma  5,  nel  testo  vigente  ratione
temporis: «5. I consigli di due o piu' camere  di  commercio  possono
proporre, con delibera adottata  a  maggioranza  dei  due  terzi  dei
componenti,   l'accorpamento    delle    rispettive    circoscrizioni
territoriali. Con decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico,
previa intesa con la Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di  Bolzano,  e'
istituita la camera di commercio  derivante  dall'accorpamento  delle
circoscrizioni territoriali. Con lo stesso decreto sono  disciplinati
i criteri e le modalita' per la successione  nei  rapporti  giuridici
esistenti»; attualmente, v. l'art. 1, comma 5-ter:  «Con  i  medesimi
decreti  sono  disciplinate  le  modalita'  per  la  successione  nei
rapporti giuridici esistenti»). 
    Tale fenomeno successorio  (di  subentro)  risulta  ribadito  nel
decreto istitutivo (v.  all.  6  alla  citazione,  art.  3),  facendo
riferimento all'intero patrimonio giuridico gia'  facente  capo  alle
Camere accorpate. 
    Pertanto, va concluso che la Camera di commercio odierna attrice,
proprio in quanto tale e subentrata in  tutti  i  compiti,  funzioni,
rapporti giuridici e finanziari gia'  facenti  capo  alle  Camere  di
commercio che la originavano, sia rimasta assoggettata agli  obblighi
di contenimento di spesa e di riversamento  che  erano  gia'  vigenti
alla  data  della  sua  nascita,  avendo  riguardo   (quale   tertium
comparationis) alla sommatoria dei costi di  gestione  in  precedenza
sostenuti da ciascuna delle Camere di commercio accorpate. 
    Ne' - ad avviso del tribunale - giova all'attrice evidenziare che
l'operazione  di  accorpamento  abbia  di  per  se'  costituito   uno
strumento efficace di riduzione dei costi complessivamente  gravanti,
in precedenza, sulle Camere preesistenti. Trattasi  di  un'operazione
in effetti rispondente agli obiettivi  di  taglio  di  spesa  imposti
dalle norme previgenti e surrichiamate. 
    In altri  termini,  proprio  stando  a  quanto  rappresentato  in
citazione dalla parte attrice (e non contestato dall'Avvocatura dello
Stato), deve concludersi che le Camere  di  commercio  di  Livorno  e
Grosseto abbiano conseguito gli obiettivi di taglio di spesa  imposti
dalle norme che sono motivo del contendere, anche (o forse solamente,
ma cio' non rileva ai  fini  della  lite)  grazie  all'operazione  di
accorpamento ed unificazione di cui s'e' detto. 
    Tuttavia, le norme che imponevano tali obiettivi non davano alcun
rilievo  alle  modalita'  utilizzate  o  agli   strumenti   giuridici
impiegati per conseguire il taglio di spesa: pertanto, e' impossibile
sostenere  che  la  peculiare  modalita'  con  cui  conseguite  delle
economie di gestione, nel caso di specie, valga ad esonerare gli enti
interessati dagli obblighi  di  riversamento  previsti  dalla  legge;
correlativamente, non si ravvisa alcun  effetto  discriminatorio,  in
conseguenza dell'applicazione della normativa in esame,  alle  Camere
«accorpate». 
    2.5 Per quanto sin qui esposto, non e' dubbio che la questione di
legittimita' costituzionale, sollecitata dalla  difesa  attrice,  sia
rilevante, ai fini della  decisione:  la  controversia  si  concentra
esattamente sulla debenza o non  debenza  delle  somme  pretese,  dal
Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi delle  disposizioni
indicate al par. 2.2; a tale tema del contendere si  e'  aggiunta  la
richiesta  di  rimborso  formulata,  dalla  parte  attrice,  in  sede
conclusionale,  all'esito  del  pagamento  operato,  con  riserva  di
ripetizione, nel corso del giudizio. 
    Difatti, solo  l'eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'
delle norme sopra indicate sarebbe tale da  invalidare  ed  espungere
dall'ordinamento,  con  effetto  ex  tunc,  le  norme   eventualmente
riscontrate in conflitto con la  Costituzione,  si'  da  prodursi  la
caducazione ora per allora della fonte delle pretese  creditorie  del
Ministero, e del titolo giustificativo dei pagamenti operati in corso
di giudizio. 
    Cio'  per  quanto  espressamente  previsto  dall'art.  136  della
Costituzione:   «Quando   la    Corte    dichiara    l'illegittimita'
costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge,
la  norma  cessa  di  avere  efficacia  dal  giorno  successivo  alla
pubblicazione della decisione» (in tema, tra le tante, v. Cassazione,
n.  11953  del  7  maggio  2019:   «l'intervenuta   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 53,  comma  15,  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001 (Corte costituzionale  n.  98  del  2015)
produce effetti anche sui giudizi in corso, in ragione dell'efficacia
retroattiva - salva  l'avvenuta  formazione  del  giudicato  -  delle
pronunce  di  accoglimento  della  Corte   costituzionale,   inibendo
pertanto l'applicazione della sanzione ivi prevista  a  carico  degli
enti conferenti incarichi retribuiti a dipendenti pubblici  senza  la
previa autorizzazione dell'amministrazione di  appartenenza,  per  il
caso di omessa comunicazione dei compensi corrisposti»; Cassazione n.
11134    del    30    maggio    2016:    «l'efficacia     retroattiva
dell'incostituzionalita' dichiarata  "si  arresta  esclusivamente  di
fronte al giudicato o  al  decorso  dei  termini  di  prescrizione  e
decadenza"; Cassazione n. 10958 del 6 maggio 2010:  "le  sentenze  di
accoglimento  di  una  questione   di   legittimita'   costituzionale
pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con
l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi  il  relativo
rapporto   definitivamente   esaurito,   potendosi,   in   proposito,
legittimamente ritenere "esauriti" i soli rapporti rispetto ai  quali
si  sia  formato  il  giudicato,  ovvero  sia  decorso   il   termine
prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge»). 
    D'altronde, l'eventualita' che  una  sentenza  di  illegittimita'
costituzionale  abbia  reso  indebiti  i  pagamenti   precedentemente
eseguiti, in favore di una  pubblica  amministrazione,  in  forza  di
norme  (successivamente)  dichiarate  incostituzionali,  si  e'  gia'
presentata (piu' volte) in passato, e la giurisprudenza  ha  ammesso,
senza  nutrire  particolari  dubbi,  la   conseguente   esperibilita'
dell'azione di ripetizione d'indebito (per citarne  solo  alcune,  si
vedano Cassazione n. 5258 del  15  giugno  1987,  in  relazione  alla
sentenza Corte costituzionale n. 119 del 1981; Cassazione n. 8384 del
27 luglio 1991, Cassazione n. 13053 del 4 dicembre  1991,  Cassazione
n. 3375 del 18 marzo 1992, Cassazione n. 3378 del 18 marzo  1992,  in
relazione  alla  sentenza  Corte  costituzionale  n.  370  del  1985;
Cassazione n. 10980 dell'8 ottobre 1992, in relazione  alla  sentenza
Corte costituzionale n. 116 del 1985). 
    Ne' pare d'ostacolo, alla rimessione della questione  alla  Corte
costituzionale, la circostanza che  il  legislatore  sia  di  recente
intervenuto  nella  materia  in  trattazione,  adottando  una   nuova
disciplina, a valere dall'esercizio finanziario 2020 (v. la legge  n.
160/2019, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno  finanziario
2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020  -  2022»,  art.  1,
comma 590 e ss.). 
    Come e' stato infatti opinato  da  altro  giudice  (Consiglio  di
Stato sez. VI, 11 marzo 2015, n. 1261, in Foro  Amministrativo  2015,
3, 755): «l'abrogazione di una norma  anteriormente  alla  rimessione
della questione di  costituzionalita'  non  determina,  di  per  se',
l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza. Persiste
la  rilevanza  della  questione  anche  nel  caso  in  cui  la  norma
sottoposta a scrutinio o sostituita da una successiva,  perche',  ove
un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla  base  di
una norma  poi  abrogata,  "la  legittimita'  dell'atto  deve  essere
esaminata, in virtu' del principio tempus regit actum,  con  riguardo
alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della  sua
adozione. Del resto, i  due  istituti  giuridici  dell'abrogazione  e
della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono  eguali  fra
loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno,  soprattutto,  effetti
diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalita' di una  legge
o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex  tunc
e quindi estende la sua invalidita'  a  tutti  i  rapporti  giuridici
ancora pendenti al momento della decisione  della  Corte,  restandone
cosi' esclusi soltanto i "rapporti esauriti", l'abrogazione, salvo il
caso  dell'abrogazione  con  effetti  retroattivi,  opera  solo   per
l'avvenire, atteso che anche la legge abrogante  e'  sottoposta  alla
regola di cui all'art. 11 delle disposizioni sulla legge in  generale
(c.d. Preleggi)». 
    Inoltre sono numerosi i casi, tratti dalla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, in cui la questione di illegittimita' e'  stata
esaminata nel merito (ed eventualmente ritenuta  fondata),  anche  se
riferita a norme nel  frattempo  modificate  o  abrogate,  quando  la
successione  di  leggi   nel   tempo   non   avesse   comportato   la
sterilizzazione degli effetti delle norme precedentemente  in  vigore
(si veda ad es. Corte costituzionale, 6  marzo  2019,  n.  34;  Corte
costituzionale, 21 dicembre 2018, n. 238, nella  cui  motivazione  si
legge: «Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la
modifica normativa della norma oggetto di questione  di  legittimita'
costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di  giudizio
determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono
simultaneamente le seguenti condizioni: occorre  che  il  legislatore
abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso  satisfattivo
delle pretese  avanzate  con  il  ricorso  e  occorre  che  le  norme
impugnate,  poi  abrogate  o   modificate,   non   abbiano   ricevuto
applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171 del  2018)»;
ancora, Corte costituzionale 14 luglio 2017, n. 191,  che  nomina  in
motivazione le «sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242  e  n.
199 del 2016, sentenza n. 59 del 2017»). 
    2.6 Quanto al  merito  delle  questioni  sollevate  dalla  difesa
attrice, va rammentato che, a sua detta, le  norme  in  questione  si
porrebbero in conflitto con il principio di non  discriminazione,  di
uguaglianza, di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  (art.  3  della
Costituzione), di buon andamento (art.  97  della  Costituzione),  di
sussidiarieta'   orizzontale   (art.   118   ultimo    comma    della
Costituzione), come illustrato in tutti suoi scritti giudiziali  (cui
si rinvia, per brevita' di esposizione). 
    Ad avviso del tribunale, tali questioni sono  non  manifestamente
infondate, e quindi degne dello scrutinio della Corte costituzionale,
nei termini di seguito precisati. 
    In primo luogo, si osserva che: 
        (a) tutte le norme in esame non si limitano  ad  imporre  dei
tagli  di  spesa,  ai  soggetti   partecipi   del   conto   economico
consolidato, ma fanno invariabilmente carico ai  soggetti  obbligati,
che siano muniti di autonomia finanziaria, di riversare  al  bilancio
dello Stato il risparmio conseguito; 
        (b) se pure l'imposizione di  regole  di  contenimento  della
spesa  facente  capo  al  «settore  pubblico»   (elenco   Istat)   e'
chiaramente appropriata alle finalita' degli  interventi  legislativi
in esame,  sempre  operati  in  contesti  di  grave  crisi  economica
(sicche',   per   questo   limitato   aspetto,   la   questione    di
costituzionalita'  risulta  manifestamente  infondata),  non   appare
altrettanto (intrinsecamente)  congruente  con  le  finalita'  (anche
dichiarate) dell'intervento,  l'avere  nullificato  il  risparmio  di
spesa  conseguito  dagli  enti  e  soggetti  tenuti  al  taglio,  con
l'obbligo di riversamento del risparmio al bilancio dello Stato,  si'
da lasciare invariato il saldo complessivo  della  spesa  consolidata
(v. sul punto anche  la  sentenza  Corte  costituzionale  n.  7/2017,
emessa in relazione all'art. 8, comma 3,  decreto-legge  n.  95/2012:
«nella manovra di finanza  pubblica  il  contestato  prelievo  assume
valore neutro, dal momento che il  saldo  complessivo  delle  risorse
disponibili  nel  consolidato  pubblico  risulta  invariato»;  v.   a
seguire); 
        (c)  in  altri  termini,  proprio  collocandosi   nell'ottica
legislativa e delle disposizioni in esame,  destinate  a  valere  per
l'intero settore economico facente capo alla pubblica amministrazione
(come definita in ambito sovranazionale dai regolamenti SEC.95 e SEC.
2010,  ed  in  ambito  interno  dall'elenco  pubblicato   annualmente
dall'Istat, sulla scorta dapprima dell'art.  1,  comma  5,  legge  n.
311/2004, quindi dell'art. 1, comma 2 e comma 3, legge n.  196/2009),
non affiora l'utilita' dell'operazione  cosiffatta,  che  si  traduce
sostanzialmente nella diversa  allocazione  di  spese  nel  complesso
invariate  (nell'ambito  del  conto  consolidato),  allorche'  invece
queste, avendo riguardo al consolidato ed agli  obblighi  assunti  in
sede europea, avrebbero dovuto subire una complessiva riduzione, come
esplicitamente inteso nella lettera dei  diversi  articoli  di  legge
riportati al par. 2.2; 
        (d) in virtu' di tali considerazioni, e di quelle a  seguire,
il tribunale ritiene che si profili una questione di  compatibilita',
delle  norme  in  esame,  con  l'art.  3  della  Costituzione,  sotto
l'aspetto della (possibile)  intrinseca  irragionevolezza  del  mezzo
utilizzato rispetto al fine dichiarato e codificato dal legislatore. 
    In secondo luogo,  e'  inevitabile  osservare  che  le  norme  in
questione, in disparte delle (quantomai sommarie, e a sommesso avviso
di chi scrive  insufficienti)  indicazioni  dell'art.  8,  comma  17,
decreto-legge n. 112/2008 (quinto periodo e successivi (3)  ),  nulla
dicano in merito al doveroso impiego dei risparmi di spesa riversati,
dalle amministrazioni obbligate, all'apposito  capitolo  dell'entrata
del bilancio dello Stato. Per meglio dire, non e'  dato  evincere  la
natura (sotto il profilo qualitativo) e la misura (sotto  il  profilo
quantitativo) del beneficio complessivamente ritratto dallo Stato,  a
spese  dei  soggetti  onerati  e   lasciando   invariata   la   spesa
consolidata. 
    Cio', ad avviso del tribunale, appare rilevante agli effetti  del
principio di buon andamento dell'amministrazione. 
    Laddove e' il caso di aggiungere che nulla,  in  particolare,  e'
stato evidenziato ed illustrato - a tal proposito  -  dall'Avvocatura
dello Stato. 
    Va ancora considerato che  le  Camere  di  commercio  sono  «enti
autonomi  di  diritto  pubblico  che  svolgono,   nell'ambito   della
circoscrizione territoriale  di  competenza,  funzioni  di  interesse
generale  per  il  sistema  delle  imprese  curandone   lo   sviluppo
nell'ambito  delle  economie  locali  (art.  1)»,  che  le   medesime
«rappresentano,  nel  proprio  consiglio,   formato   da   componenti
designati  o  eletti  dalle  organizzazioni  delle   imprese,   dalle
organizzazioni sindacali  dei  lavoratori  e  dalle  associazioni  di
tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti,  la  struttura
economica locale (art.  10  e  12)»  (cosi'  Corte  costituzionale  8
novembre 2000, n. 477). 
    Esse configurano un «ente pubblico  locale  dotato  di  autonomia
funzionale, che entra a pieno titolo, formandone  parte  costitutiva,
nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art.  118  della
Costituzione»   (v.   sempre   la   sentenza   n.   477/2000    Corte
costituzionale) ed  inoltre,  nel  periodo  di  vigenza  delle  norme
esaminate, hanno ritratto (fino all'anno 2016) le loro  risorse  solo
in parte da trasferimenti a carico dello Stato, ma principalmente dai
diritti annuali (obbligatori) e diritti di segreteria, a carico degli
iscritti (secondo tariffe approvate dall'Amministrazione centrale; v.
l'art. 18, legge n. 580/1993). 
    Anche su questo aspetto, ed in particolare in ordine alla ridotta
incidenza delle risorse assegnate dallo Stato,  rispetto  alle  altre
voci di entrata del bilancio delle Camere di commercio,  l'Avvocatura
dello Stato non ha osservato alcunche'. 
    Infine, vi e' da notare che le  norme  che  costituiscono  motivo
della  lite  non  risultano  adottate  per  un   periodo   di   tempo
predeterminato e circoscritto, ma tendenzialmente sine die:  cio'  ha
comportato non solo l'imposizione di tagli permanenti di  spesa  (che
pure  avrebbe  meritato,  sotto  il  profilo   della   congruenza   e
ragionevolezza, di  essere  calibrata  sui  risultati  via  via  gia'
conseguiti),  bensi'  la  prescrizione  di  obblighi  permanenti   di
riversamento, oltretutto rapportati a  parametri  cristallizzati  nel
tempo  e  quindi  suscettibili  di  risultare  superati  e  non  piu'
congruenti con la reale situazione economica dei soggetti  obbligati,
negli esercizi finanziari successivi. 
    Cio' considerato, si  pongono  questioni  di  compatibilita'  con
l'art. 3 della Costituzione, con l'art. 53  della  Costituzione,  con
l'art. 97 della Costituzione,  con  l'art.  118  della  Costituzione,
anche sotto il profilo: (a) della dubbia  proporzionalita'  (art.  3,
art. 53 della Costituzione) tra i sacrifici imposti a tali  autonomie
funzionali e il beneficio  correlativamente  conseguito  dall'Erario,
potendosi paventare l'eccessiva frustrazione degli interessi tutelati
dalle Camere di commercio e  facenti  capo  ai  rispettivi  iscritti,
nonche' l'intralcio alla corretta ed economica gestione  dei  compiti
amministrativi spettanti alle Camere, a fronte di utilita'  meramente
patrimoniali e  non  adeguatamente  delineate,  con  pregiudizio  del
principio di correttezza e buon andamento dell'amministrazione  (art.
97 della Costituzione); (b) della  eccessiva  frustrazione  (anziche'
valorizzazione) delle economie di gestione conseguite dagli organismi
ed enti del settore classificatorio  della  pubblica  amministrazione
(elenco ISTAT) e, tra questi, delle Camere di commercio, a detrimento
dei principi di  intrinseca  ragionevolezza,  proporzionalita',  buon
andamento dell'amministrazione, sussidiarieta' orizzontale  (articoli
3, 97 e 118 della Costituzione); (c) della imposizione di un prelievo
continuativo prevalentemente gravante sul patrimonio degli iscritti e
dei soggetti tenuti ai versamenti obbligatori in favore della  Camera
di commercio, senza alcun rispetto dei principi - di  rispetto  della
capacita' contributiva e di progressivita' - codificati  all'art.  53
della Costituzione. 
    Il tutto, senza considerare  l'effetto  a  dir  poco  demotivante
(quindi possibilmente controproducente) che (intuibilmente)  consegue
a disposizioni che da un lato sollecitano ad  economizzare  (come  e'
giusto che sia) e dall'altro neutralizzano  le  economie  conseguite,
con prelevamenti destinati ad operare sine die, o meglio sino a nuovo
intervento legislativo. 
    Diversi spunti di riflessione offre, in proposito, la (gia' sopra
nominata) sentenza della Corte costituzionale n.  7  dell'11  gennaio
2017, non a  caso  citata  dalla  difesa  attrice  nei  suoi  scritti
giudiziali. 
Si legge nella motivazione della sentenza, inerente alla questione di
costituzionalita' sollevata, dal Consiglio  di  Stato,  in  relazione
all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, in seno ad un giudizio
attivato dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza  a  favore
dei dottori commercialisti: 
    «1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio  di  Stato
ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,
comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario),  convertito  con  modificazioni  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto  2012,  n.  135,  in  riferimento  agli
articoli 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53  e  97  della  Costituzione,  nella
parte in cui applica anche alla  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed
assistenza  per  i  dottori  commercialisti  (CNPADC)   un   prelievo
commisurato alle spese per consumi intermedi dell'esercizio 2010. 
    [...] 
    4.-   Venendo   al   merito,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento agli  articoli  3,  38  e  97
della Costituzione  con  riguardo  alla  sola  prescrizione  inerente
all'imposizione del versamento annuale nelle casse  dello  Stato,  e'
fondata. 
    Per  quanto  di  seguito  meglio  specificato,   la   scelta   di
privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del  bilancio  statale
rispetto alla garanzia, per  gli  iscritti  alla  CNPADC,  di  vedere
impiegato  il  risparmio  di  spesa  corrente  per   le   prestazioni
previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne'
alla  tutela  dei  diritti  degli  iscritti  alla  Cassa,   garantita
dall'art. 38 della Costituzione, ne' al buon andamento della gestione
amministrativa della medesima. 
    4.1.- Sotto il  profilo  della  ragionevolezza,  l'art.  3  della
Costituzione risulta violato per l'incongrua  scelta  di  sacrificare
l'interesse   istituzionale   della   CNPADC   ad   un   generico   e
macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale. 
    L'esame del contesto  legislativo  rivela  come  la  disposizione
censurata operi in deroga all'ordinario  regime  di  autonomia  della
Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi  degli
iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali. 
    Prescindendo dall'indagine sulla natura del contributo, e  tenuto
conto che le politiche statali possono, in  particolari  contingenze,
incidere anche sull'autonomia finanziaria di un  ente  pubblico,  nel
caso in esame la  compressione  di  un  principio  di  sana  gestione
finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica degli enti
privatizzati di cui all'art. 1 del decreto  legislativo  n.  509  del
1994, non risulta  proporzionato  all'alternativa  di  assicurare  un
prelievo  generico  a  favore  del  bilancio  dello   Stato.   Mentre
l'interesse della CNPADC e' specificamente riferibile  alla  missione
istituzionale di gestire  ed  assicurare  nel  tempo  le  prestazioni
previdenziali agli associati, quello dello Stato e' -  per  obiettiva
conformazione della norma  impugnata  -  circoscritto  alla  generica
copertura del complesso della spesa.  Nella  ponderazione  delle  due
finalita' non appare ragionevole il sacrificio - a  beneficio  di  un
generico interesse  dello  Stato  ad  arricchire,  in  modo  peraltro
marginale, le proprie dotazioni di entrata - di quella della  CNPADC,
che e'  collegata  intrinsecamente  alla  necessaria  autosufficienza
della gestione pensionistica. 
    In particolare, con riguardo al  bilanciamento  tra  le  esigenze
istituzionali della Cassa e quelle del  bilancio  statale,  non  puo'
essere  condiviso  l'assunto  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato
secondo cui l'interesse dell'ente  previdenziale  a  mantenere  parte
delle risorse acquisite attraverso la  contribuzione  degli  iscritti
sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di  prelevare  dette  risorse
"per garantire il rispetto del principio  del  pareggio  di  bilancio
sancito dall'art. 81 della Costituzione anche alla luce degli impegni
assunti dal nostro Paese con le autorita' europee". 
    La difesa statale desume  un'arbitraria  correlazione  eziologica
tra l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009,  la  prima  parte
dell'art.  8,  comma  3,  del  decreto-legge  n.  95  del  2012,  non
contestata dal giudice rimettente, e la seconda  parte  del  medesimo
comma 3 dell'art. 8: l'iscrizione nell'elenco ISTAT della CNPADC  non
comporterebbe  soltanto  la  considerazione   di   quest'ultima   nel
complesso  macroeconomico  della  finanza  pubblica   da   coordinare
attraverso l'imposizione di economie della spesa per beni  intermedi,
ma anche il prelievo di tali economie a  beneficio  dello  Stato.  Al
contrario, come gia' premesso, tale rapporto  di  causalita'  tra  le
citate disposizioni non sussiste. E' di tutta evidenza che  la  prima
parte della  norma  impugnata  provvede  in  modo  costituzionalmente
legittimo ad assicurare - attraverso il risparmio e  l'accantonamento
della  percentuale  di  spesa  pertinente  a  ciascuno  dei  soggetti
rientranti nel sistema europeo dei conti nazionali e regionali  dell'
Unione europea - SEC 2010 - il coordinamento della  finanza  pubblica
allargata per il raggiungimento degli obiettivi  concordati  in  sede
europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a  favore
dell'Erario. 
    Pertanto, e' la sola disposizione dell'art. 8, comma 3, impugnata
dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito  nei  confronti
della   CNPADC   -   il    quale    determina,    nella    situazione
economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata
ad una speculare plusvalenza a favore  del  bilancio  dello  Stato  -
mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi,
oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei  vincoli  europei,
costituisce di per se' anche un  meccanismo  idoneo  a  rendere  piu'
efficiente la gestione pensionistica nella misura in  cui  riduce  le
spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio  alla  naturale
destinazione delle prestazioni previdenziali. 
    A parte il  fatto  che  nella  manovra  di  finanza  pubblica  il
contestato prelievo assume valore neutro, dal momento  che  il  saldo
complessivo  delle  risorse  disponibili  nel  consolidato   pubblico
risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma  del
legislatore statale (consistente nel trasferimento di  risorse  della
CNPADC al proprio  bilancio),  del  tutto  distinta  dall'adempimento
degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea. 
    Se, in astratto, non puo' essere  disconosciuta  la  possibilita'
per lo  Stato  di  disporre,  in  un  particolare  momento  di  crisi
economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che
- come la CNPADC - sostanzialmente  si  autofinanziano  attraverso  i
contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a Costituzione
articolare  la  norma  nel  senso  di  un  prelievo   strutturale   e
continuativo nei riguardi  di  un  ente  caratterizzato  da  funzioni
previdenziali  e  assistenziali  sottoposte   al   rigido   principio
dell'equilibrio tra risorse  versate  dagli  iscritti  e  prestazioni
rese. 
    Alla luce di tali considerazioni  risultano  capovolte  anche  le
argomentazioni  dell'Avvocatura   dello   Stato,   secondo   cui   la
fattispecie normativa in esame sarebbe  il  portato  di  un'"adeguata
ponderazione" delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica  di
cui  all'art.  81  della  Costituzione  con  "gli   altri   parametri
costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato [...]  nel  rispetto
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza [...] in  relazione
alla pari necessita' di rispetto dell'art. 81 della  Costituzione  ed
alla luce della necessita' di  individuare  un  punto  di  equilibrio
dinamico e non prefissato  in  anticipo  tra  tutti  i  vari  diritti
tutelati dalla Carta costituzionale". 
    [...] 
    Se la prima parte  dell'art.  1,  comma  3,  appare,  dunque,  un
efficace  strumento  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  la
seconda parte - nel destinare detto risparmio  all'Erario  -  collide
anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sottrae alla CNPADC
risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti.  E,
nel caso di specie, non e' tanto l'entita' del  prelievo  -  peraltro
esiguo in rapporto alla dimensione delle  entrate  dello  Stato  -  a
determinare la non  conformita'  a  Costituzione,  quanto  l'astratta
configurazione  della  norma,   che   aggredisce,   sotto   l'aspetto
strutturale,  la  correlazione  contributi-prestazioni,   nell'ambito
della quale si  articola  "la  naturale  missione"  della  CNPADC  di
preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale». 
    Tale il dispositivo della  sentenza:  «dichiara  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012,  n.
95 (Disposizioni urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese  del  settore  bancario),  convertito  con
modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge  7  agosto  2012,  n.
135, nella  parte  in  cui  prevede  che  le  somme  derivanti  dalle
riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa
nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad
apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato». 
    Pur nella diversita' tra la fattispecie considerata dalla Corte e
quella che e' oggetto della lite, la sentenza  reca  degli  enunciati
che parrebbero attagliarsi anche al rapporto dedotto in  giudizio,  e
che rendono maggiormente opportuno non soprassedere dal rilievo della
questione di legittimita' costituzionale. 
    2.7 Per tutte le ragioni sin qui esposte, il tribunale ritiene di
sottoporre le norme riportate al par. 2.2 del presente  provvedimento
allo  scrutinio  della  Corte  costituzionale,  profilandosi  diverse
questioni di  legittimita'  che,  oltre  che  rilevanti,  paiono  non
manifestamente infondate: si provvede pertanto come a seguire. 

(1) legge n. 311/2004, art. 1, comma 5: «Al  fine  di  assicurare  il
    conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica  stabiliti  in
    sede di Unione europea, indicati nel Documento di  programmazione
    economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per
    il  triennio   2005   -   2007   la   spesa   complessiva   delle
    amministrazioni   pubbliche   inserite   nel   conto    economico
    consolidato, individuate per l'anno 2005 nell'elenco  1  allegato
    alla presente legge  e  per  gli  anni  successivi  dall'Istituto
    nazionale  di  statistica  (ISTAT)  con   proprio   provvedimento
    pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre  il  31  luglio  di
    ogni anno, non puo' superare il limite del 2 per  cento  rispetto
    alle corrispondenti previsioni aggiornate  del  precedente  anno,
    come risultanti dalla Relazione  previsionale  e  programmatica».
    L'elenco all. 1 alla legge finanziaria  nominava  le  «Camere  di
    commercio» tra le «pubbliche amministrazioni». 

(2) cosi' l'art. 1, comma 2 e comma 3 della legge  n.  196/2009,  nel
    testo vigente alla data del decreto-legge n. 78/2010: «2. Ai fini
    della presente legge, per amministrazioni pubbliche si  intendono
    gli enti e  gli  altri  soggetti  che  costituiscono  il  settore
    istituzionale   delle   amministrazioni   pubbliche   individuati
    dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)  sulla  base  delle
    definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari.  3.  La
    ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 e'
    operata  annualmente  dall'ISTAT  con  proprio  provvedimento   e
    pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 luglio». 

(3) «Con decreto del  Ministro  per  la  pubblica  amministrazione  e
    l'innovazione di concerto con il Ministro dell'interno e  con  il
    Ministro dell'economia e delle finanze una quota del fondo di cui
    al  terzo  periodo  puo'  essere  destinata  allo  tutela   della
    sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa  l'assunzione
    di personale in deroga ai  limiti  stabiliti  dalla  legislazione
    vigente ai sensi e nei limiti di cui al  comma  22;  un'ulteriore
    quota puo' essere destinata al finanziamento della contrattazione
    integrativa delle amministrazioni indicate nell'art. 67, comma 5,
    ovvero  delle   amministrazioni   interessate   dall'applicazione
    dell'art. 67, comma 2.  Le  somme  destinate  alla  tutela  della
    sicurezza  pubblica  sono  ripartite  con  decreto  del  Ministro
    dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle
    finanze, tra le unita' previsionali di base interessate. La quota
    del fondo eccedente la dotazione  di  200  milioni  di  euro  non
    destinata alle predette finalita' entro il 31  dicembre  di  ogni
    anno costituisce economia di bilancio». 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  di  Roma,  visti  gli  articoli  134  e  137  della
Costituzione, nonche' l'art. 1 della legge costituzionale 9  febbraio
1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale delle norme di seguito indicate: 
        (a) art. 61, combinato disposto dei  commi  1,  2,  5  e  17,
decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni in  legge  n.
133/2008, nella  parte  in  cui  prevede,  al  comma  17:  «Le  somme
provenienti dalle riduzioni di spesa e le maggiori entrate di cui  al
presente articolo, con esclusione di quelle di cui ai commi 14 e  16,
sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotati di
autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del  bilancio
dello Stato»; 
        (b) art. 6, combinato disposto commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e
21, decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni  in  legge
n. 122/ 2010, nella parte in cui prevede,  al  comma  21:  «Le  somme
provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo, con
esclusione di quelle di cui  al  primo  periodo  del  comma  6,  sono
versate annualmente dagli enti  e  dalle  amministrazioni  dotati  di
autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del  bilancio
dello Stato»; 
        (c) art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95/2012, convertito con
modificazioni in legge n. 135/2012, nella parte in  cui  prevede,  al
terzo periodo: «le somme derivanti da  tale  riduzione  sono  versate
annualmente ad apposito  capitolo  dell'entrata  del  bilancio  dello
Stato entro il 30 giugno di ciascun anno»; 
        (d) art. 50, comma 3, decreto-legge  n.  66/2014,  convertito
con modificazioni in legge n. 89/2014, nella parte in cui prevede, al
terzo periodo: «le somme derivanti da  tale  riduzione  sono  versate
annualmente ad apposito  capitolo  dell'entrata  del  bilancio  dello
Stato entro il 30 giugno di ciascun anno»... 
        ... per violazione degli articoli  3,  53,  97  e  118  della
Costituzione, e per  tutte  le  ragioni  indicate  al  par.  2.6  del
presente provvedimento; 
    Dispone che il presente provvedimento, a cura della  cancelleria,
sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche'  comunicato  al  Presidente  del  Senato   ed   al
Presidente della Camera dei deputati e, all'esito, sia trasmesso alla
Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con  la  prova
delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; 
    Dispone la sospensione del presente processo. 
      Roma, 21 gennaio 2021 
 
                       Il Giudice: Imposimato