N. 225 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 2021

Ordinanza  del  29  novembre  2021  del  Tribunale  di  Brescia   nel
procedimento civile promosso da Poma Francesca contro Ministero della
giustizia e INPS - Istituto nazionale previdenza sociale. 
 
Ordinamento giudiziario - Magistrato onorario -  Giudice  di  pace  -
  Durata  dell'incarico  e  conferma  -  Possibilita'   di   conferme
  successive dell'incarico per una durata complessiva fino a diciotto
  anni - Possibilita' di conferimento di  un  ulteriore  incarico  di
  durata quadriennale. 
- Legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice  di  pace),
  art. 7; decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92 (Disciplina della
  sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e
  disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei
  giudici onorari di tribunale e  dei  vice  procuratori  onorari  in
  servizio), art. 1. 
(GU n.5 del 2-2-2022 )
 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
            lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria 
 
    nella causa promossa da Francesca Poma, con  gli  avvocati  Bruno
Caruso, Stefano Giubboni, Vincenzo  De  Michele,  Giorgio  Fontana  e
Sergio Natale Galleano, ricorrente; 
    contro Ministero della giustizia, con  l'Avvocatura  distrettuale
dello Stato di Brescia, convenuto. 
    Il giudice, sciogliendo la riserva  assunta  all'udienza  dell'11
giugno 2021, letti atti e documenti, osserva. 
    1. Con ricorso depositato  il  24  luglio  2018,  Francesca  Poma
deduceva: a) di svolgere  le  funzioni  di  giudice  di  pace  presso
l'Ufficio del giudice di pace di Brescia dal 2012 (dove aveva  svolto
anche il ruolo di coordinatore), avendo precedentemente, dal 2004  al
2010, operato presso l'Ufficio del giudice di pace  di  Viareggio  e,
dal 2010 al 2012, presso l'Ufficio del giudice di pace  di  Lodi;  b)
che dal 2004 in avanti  aveva  tenuto  costantemente  due  udienze  a
settimana (in alcuni periodi, anche tre udienze a settimana), per  un
totale di n. 920 udienze; c) che, a fronte di n. 13.400 fascicoli che
le erano stati assegnati negli  anni  2004-2017,  aveva  definito  n.
13.400 fascicoli ed emesso nel settore civile n. 3.400 sentenze e  n.
3.157 decreti ingiuntivi, mentre in quello penale n. 730 sentenze  e,
con funzioni di GIP, circa n. 3000 decreti di archiviazione;  d)  che
era stata incaricata per un periodo  di  tempo  determinato  (quattro
anni) con il primo decreto di nomina, incarico poi  rinnovato  finora
senza soluzione di continuita' a seguito di  proroghe  e  conferme  e
previa valutazione positiva del proprio lavoro (ai sensi dell'art.  7
della legge n. 374/1991, secondo cui  «in  attesa  della  complessiva
riforma dell'ordinamento dei giudici di pace, il magistrato  onorario
che esercita le funzioni di giudice di pace dura  in  carica  quattro
anni e puo' essere confermato per un secondo mandato di quattro  anni
e per un terzo mandato di quattro anni»,  con  un  ulteriore  periodo
successivo di proroga  di  un  altro  biennio  e  poi  ancora  di  un
ulteriore mandato di  quattro  anni  «salva  comunque  la  cessazione
dell'esercizio delle funzioni al  compimento  del  settantacinquesimo
anno di eta'»); e) che, ai sensi della legge n. 374/1991  (istitutiva
dei giudici di pace e vigente fino all'entrata in vigore del  decreto
legislativo n. 116/2017) era stata nominata Giudice di pace a seguito
di  concorso  per  titoli  e  assoggettata,  ogni quattro   anni,   a
valutazioni di idoneita' dei  consigli  giudiziari  e  del  Consiglio
superiore della magistratura, che costituiscono veri e propri giudizi
di merito sulla qualita' e quantita' del lavoro svolto, in base  agli
stessi  rigorosi   criteri   utilizzati   per   le   valutazioni   di
professionalita' del magistrato  ordinario;  f)  che  si  era  sempre
attenuta a quanto disposto  dall'art.  5,  comma  1,  lettera  g),  e
dall'art. 8 della legge n. 374/1991, norme  che  stabiliscono  per  i
Giudici  di  pace  un  sistema  di  rigorose  incompatibilita',   per
garantire  l'imparzialita'  della  funzione   giurisdizionale,   come
prescritto dagli articoli 102 e 106 della Costituzione; g) che  aveva
sempre garantito la propria costante  reperibilita'  per  ragioni  di
servizio, essendovi obbligata  dalla  circolare  15  marzo  2006  del
Dipartimento per gli affari di  giustizia  par.  4.3;  h)  che  aveva
ricevuto, durante  tutto  il  periodo  di  servizio,  un  trattamento
economico conforme alle disposizioni di cui all'art. 11  della  legge
n. 374/1991, che prevedono il pagamento di  alcune  indennita'  (euro
36,15 per ciascuna udienza civile o penale; euro 56,81 per ogni altro
processo assegnato e  definito;  un'indennita'  di  euro  258,23  per
ciascun mese di effettivo servizio a titolo  di  rimborso  spese  per
l'attivita' di formazione; in materia civile  un'indennita'  di  euro
10,33 per ogni decreto  ingiuntivo  o  ordinanza  ingiuntiva  emessi,
anche se di rigetto; in materia penale un'indennita'  di  euro  10,33
per ogni provvedimento emesso; ed altro ancora) (v. art. 11, legge n.
374/1991); i) che alla fine di ogni anno  aveva  ricevuto  sempre  il
C.U.D. (Certificato unico dei redditi); l) che aveva preso  parte  ai
corsi di formazione istituiti dal C.S.M., obbligatori ai  fini  della
conferma degli incarichi quadriennali, sia  presso  le  strutture  di
formazione  distrettuale,  che  presso  la  Scuola  superiore   della
magistratura; m) che, in qualita'  di  Giudice  di  pace,  non  aveva
goduto di nessuna  tutela  in  materia  previdenziale,  assicurativa,
retributiva e nella disciplina del rapporto  di  servizio  intercorso
con il Ministero della giustizia, non ritenendosi applicabili a  tale
rapporto le garanzie e le tutele  di  diritto  comune  applicabili  a
qualsiasi lavoratore, in regime  di  diritto  privato  o  di  diritto
pubblico, con  rapporto  di  dipendenza;  n)  che,  infatti,  nessuna
disposizione di legge aveva disciplinato e previsto,  in  favore  dei
giudici onorari, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  e
le malattie  professionali,  la  contribuzione  per  la  pensione  di
vecchiaia o di anzianita', le ferie, la  maternita',  ed  ogni  altro
diritto  fondamentale  riconosciuto  nei  confronti  dei   lavoratori
subordinati, fino alla riforma introdotta dal decreto legislativo  n.
116/2017. Tanto premesso in fatto, la ricorrente in diritto esponeva:
a) che il rapporto intrattenuto con il  Ministero  era  qualificabile
come rapporto di lavoro subordinato; b) che, in ogni caso,  rientrava
nella definizione  di  «lavoratore»  ai  fini  dell'applicazione  del
diritto dell'Unione europea e delle direttive in  materia  di  ferie,
maternita', malattia e lavoro a tempo determinato,  definizione  che,
secondo la Corte di giustizia, va applicata a tutti quei rapporti  di
lavoro la cui «caratteristica essenziale (..) e' la  circostanza  che
una persona fornisca prestazioni di indiscusso  valore  economico  ad
un'altra persona e sotto la direzione della  stessa,  ricevendo  come
contropartita una retribuzione.»; c) che, essendo qualificabile  come
«lavoratore» secondo tale definizione  ed  essendo  assunta  a  tempo
determinato,  doveva  trovare  applicazione   alla   fattispecie   la
direttiva  1999/70   e   conseguentemente   il   principio   di   non
discriminazione (clausola 4 punto 1); d) che, in forza del  principio
di non discriminazione, aveva diritto a condizioni  di  impiego  (ivi
comprese la tutela previdenziale, la tutela della maternita' e  della
malattia, le ferie, l'orario di lavoro e  le  condizioni  economiche)
pari - o comunque commisurate, seppur con riduzione percentuale  -  a
quelle  riservate  ai  lavoratori  del  Ministero   della   giustizia
comparabili, e cioe' il Magistrato ordinario, ovvero, in via gradata,
il Dirigente amministrativo dell'amministrazione giudiziaria; e) che,
essendo qualificabile come  «lavoratore»  nel  senso  gia'  indicato,
dovevano trovare applicazione alla fattispecie le disposizioni  sulla
reiterazione abusiva di contratti a termine (clausola 5  dell'accordo
quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE),  sulle  ferie  (art.  7,
direttiva  2003/88,  in  combinato  disposto  con   la   clausola   4
dell'accordo quadro  recepito  dalla  direttiva  97/81/CE  e  con  la
clausola 4 dell'accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE) e
sul congedo di maternita' (art. 8 direttiva 92/85 e art. 8  direttiva
2010/41); f) che la legge n. 374/1991 prevede per i  giudici  onorari
proroghe dei distinti rapporti di lavoro a termine per diciotto anni,
oltre quelle previste  dalla  legge  di  riforma  della  magistratura
onoraria  (art.  29  del  decreto  legislativo   n.   116/2017)   per
altri dodici anni, ponendo in essere, in  tal  modo,  un  chiarissimo
abuso nella reiterazione di contratti a tempo determinato,  ai  sensi
della direttiva 1999/70, senza alcuna giustificazione, posto  che  e'
la legge stessa a  riconoscere  l'esistenza  di  un'esigenza  stabile
della prestazione  lavorativa  dei  giudici  onorari;  g)  che  aveva
diritto  al  risarcimento  dei  danni   derivati   da   tale   abuso,
quantificati in relazione alla perdita di chance sofferta in  ragione
dell'impossibilita' di  partecipare  ad  altri  concorsi  pubblici  e
perseguire altre scelte di vita sul piano lavorativo e professionale;
h) che, rientrando nella definizione euro-unitaria  di  «lavoratore»,
aveva  diritto,  anche  prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo  n.  116  del  2017,  a  beneficiare  di  ferie   annuali
retribuite di almeno quattro  settimane,  ai  sensi  della  direttiva
2003/88; i) che, infine, aveva diritto al congedo  di  maternita'  ai
sensi dell'art. 8 direttiva 92/85 e dell'art. 8 direttiva 2010/41; l)
che, in estremo subordine, andava sollevata questione di legittimita'
costituzionale delle norme  di  cui  alla  legge  n.  374/1991  e  al
successivo decreto  legislativo  n.  116/2017,  per  violazione,  fra
l'altro, dell'art. 117, primo comma della Costituzione e della  Carta
sociale europea. 
    La ricorrente concludeva, quindi, chiedendo: a)  di  accertare  e
dichiarare, preliminarmente, che, in qualita' di Giudice onorario con
funzioni di Giudice di pace, tuttora in servizio,  aveva  svolto  fin
dalla propria assunzione, a seguito dei decreti di  nomina  allegati,
un  servizio  continuativo  alle  dipendenze  del   Ministero   della
giustizia, qualificabile in termini  di  lavoro  subordinato,  ovvero
rientrante  nella  nozione  di  «lavoratore»  prevista   ed   accolta
nell'ambito del  diritto  dell'Unione  europea,  secondo  i  principi
indicati  dalla  Corte  di  giustizia  europea;  b)  di  accertare  e
dichiarare il suo diritto ad un trattamento economico e normativo, in
relazione al rapporto di lavoro in  essere  con  il  Ministero  della
giustizia, non discriminatorio ed equivalente a quello assicurato  ai
lavoratori comparabili che svolgono funzioni analoghe alle dipendenze
del Ministero convenuto, ai sensi della normativa vigente e  in  ogni
caso conformemente a quanto disposto dalla direttiva  n.  1999/70/CE;
c) conseguentemente, di condannare il Ministero della giustizia,  ove
occorra  ai  sensi   dell'art.   2126   del   codice   civile,   alla
rideterminazione  del  trattamento  economico  applicato   nei   suoi
confronti sin dalla data di assunzione in  servizio,  in  materia  di
retribuzione e mensilita' aggiuntive, ferie, maternita', malattia  ed
infortunio, trattamento fine rapporto di lavoro, ed in  relazione  ad
ogni altro  diritto  derivante  dalle  disposizioni  di  legge  e  di
contratto  collettivo  applicabili  a  tale  rapporto,   in   ragione
dell'attivita' svolta alle dipendenze del  Ministero  convenuto,  con
pronuncia di condanna generica e con espressa riserva  di  successiva
quantificazione in  separato  giudizio  anche  in  base  ai  principi
dell'art. 36 della Costituzione; d) di accertare il suo diritto  alla
tutela previdenziale  ed  assicurativa,  con  obbligo  del  Ministero
convenuto di provvedere alla  regolarizzazione  della  posizione  con
effetto dall'inizio  del  rapporto  di  servizio  e  con  obbligo  di
versamento dei  relativi  contributi  previdenziali  ed  assicurativi
presso gli enti competenti con eguale decorrenza, secondo  il  regime
applicabile ad un rapporto di lavoro alle  dipendenze  del  Ministero
della giustizia ritenuto comparabile, nei sensi indicati in  ricorso;
e) di accertare e dichiarare  l'abusiva  reiterazione  da  parte  del
Ministero convenuto di rapporti di lavoro a  termine  fin  dalla  sua
assunzione in servizio con il primo decreto di nomina, in  violazione
della direttiva n. 1999/70/CE e della vigente normativa nazionale, e,
conseguentemente,  condannare  il  Ministero   della   giustizia   al
risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa e comunque
in  misura  non  inferiore   all'indennita'   risarcitoria   prevista
dall'art. 32, legge n. 180/2010,  oltre  al  risarcimento  del  danno
ulteriore, come dedotto in ricorso;  f)  di  accertare  e  dichiarare
infine ed in ogni caso, in via gradata, il suo diritto  al  godimento
delle ferie, dei congedi di maternita' o paternita' e di  ogni  altra
tutela o diritto derivanti dalle direttive europee ed applicabili  in
quanto lavoratrice, e pertanto condannare il Ministero  convenuto  al
risarcimento dei danni per l'inadempienza agli obblighi ivi previsti,
fin  dall'inizio  del  rapporto  lavorativo,  da  liquidarsi  in  via
equitativa;  g)  di  condannare  il  Ministero  della  giustizia   al
pagamento delle spese ed onorari di causa. 
    2. Si costituiva  il  Ministero  della  giustizia,  chiedendo  il
rigetto  del  ricorso  e  deducendo:  a)  che  secondo  il   costante
orientamento giurisprudenziale in materia, l'incardinamento,  in  via
di fatto, dei magistrati onorari  nell'apparato  organizzativo  degli
uffici  giudiziari,  nonche'  l'osservanza   dei   doveri   e   delle
responsabilita' per essi  previste,  oltre  che  la  soggezione  alle
direttive generali dettate  per  la  magistratura  togata,  non  sono
assolutamente significativi al fine  di  riconoscerne  insorgenza  di
rapporto di  lavoro  subordinato  con  la  pubblica  amministrazione,
ovvero per la trasformazione del rapporto con lo Stato in  vincolo  a
tempo indeterminato; b) che la figura del magistrato onorario per sua
natura partecipa  solo  occasionalmente  -  oltre  che  in  modo  non
esclusivo - all'esercizio  della  funzione  giudiziaria,  risultando,
conseguentemente, sia dal punto di vista del  rapporto  di  servizio,
che da quello del rapporto organico, radicalmente diversa  da  quella
del giudice professionale, la cui attivita' e'  piena  ed  esclusiva,
mentre quella del primo e' discontinua,  parziale  ed  essenzialmente
compatibile con altre attivita', anche libero-professionali;  c)  che
la specialita' del trattamento economico previsto per  i  giudici  di
pace e' connessa, proprio, con la natura della funzione svolta  dagli
stessi e con  la  possibilita',  loro  garantita,  di  esercitare  la
professione  forense,  non   essendo,   conseguentemente,   ad   essi
estensibili posizioni giuridiche ed economiche previste per i giudici
togati, che svolgono professionalmente ed in via  esclusiva  funzioni
giurisdizionali ed il  cui  status  e'  disciplinato  sulla  base  di
parametri  completamente  diversi;  d)  che  alcuna  valenza   poteva
assumere il rilievo temporale della durata dell'attivita' dei giudici
di pace, del tutto temporanea  e  non  superiore  a  quattro  anni  -
rinnovabile per uguale periodo e per una sola volta  -  mentre  nello
stesso decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116  inerente  «Riforma
organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici
di  pace,  nonche'  disciplina  transitoria  relativa  ai  magistrati
onorari in servizio a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57» veniva
infatti  ribadito  come  si  tratti  di  incarico   a   termine   sia
nell'ipotesi di conferimento ex novo, sia con  riferimento  a  coloro
che alla data di entrata in vigore  della  normativa  di  riferimento
fossero  in  servizio;  e)  che,  rispetto  ad  eventuali  differenze
retributive - nonche' diritti accessori conseguenti il riconoscimento
del rapporto di pubblico impiego  -,  era  maturata  la  prescrizione
prevista dall'art. 2948  n.  4,  codice  civile,  quanto  al  periodo
antecedente al quinquennio rispetto all'attivazione del procedimento;
f) che la domanda azionata ex art. 2126 del codice  civile  era  pure
infondata, in evidente assenza del  perfezionarsi  della  fattispecie
legale  di  riferimento  in  mancanza  sia  di   nullita',   che   di
annullamento del contratto di lavoro, nonche' di violazione di  norme
poste a  tutela  del  prestatore  di  lavoro,  neppure  compiutamente
dedotte, ferma in ogni caso l'intervenuta prescrizione  di  eventuali
diritti retributivi; g) che la pretesa equiparazione retributiva  non
poteva ritenersi fondata sulla,  comunque  genericamente  richiamata,
giurisprudenza comunitaria che, peraltro, si era espressa  nel  senso
che compete al giudice del rinvio valutare se la distinzione  operata
dal diritto nazionale tra giudici a tempo pieno  e  giudici  a  tempo
parziale - retribuiti sulla  scorta  di  tariffe  giornaliere  -  sia
giustificata da ragioni obiettive, peraltro costantemente  confermate
dalla giurisprudenza  occupatasi  della  materia;  h)  che  parimenti
infondata appariva la domanda volta ad  ottenere  riconoscimento  del
diritto  al  risarcimento  dei  danni  asseritamente   derivanti   da
«reiterazione» dell'incarico, in assenza di qualsivoglia  presupposto
al riguardo e rispetto alla quale doveva ritenersi comunque  maturata
la prescrizione prevista dall'art. 2947, primo comma, codice  civile,
quanto al periodo antecedente al quinquennio rispetto all'attivazione
del procedimento. 
    3. In corso di causa, e' intervenuta la sentenza  del  16  luglio
2020 (causa C-658/18), con la quale la Corte di giustizia dell'Unione
europea si e' pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata  in
una causa in cui un  giudice  di  pace  aveva  lamentato  il  mancato
riconoscimento di ferie retribuite. Il giudice italiano aveva chiesto
alla Corte di giustizia se l'attivita' di  servizio  del  giudice  di
pace rientrasse nella nozione di «lavoratore a tempo determinato»; di
cui, in combinato disposto, agli articoli 1, paragrafo 3, e  7  della
direttiva 2003/88, alla clausola 2 dell'Accordo Quadro allegato  alla
direttiva 1999/70/CE e all'art. 31,  paragrafo  2,  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea,  e,  in  caso  di  risposta
affermativa, se  il  magistrato  ordinario  o  professionale  potesse
essere considerato lavoratore a tempo indeterminato  equiparabile  al
lavoratore  a  tempo  determinato  «giudice   di   pace»,   ai   fini
dell'applicazione delle stesse  condizioni  di  lavoro  di  cui  alla
clausola 4 dell'accordo quadro. 
    La Corte di giustizia ha concluso nel senso che: «(...) L'art. 7,
paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e  del
Consiglio,  del  4  novembre   2003,   concernente   taluni   aspetti
dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'art. 31, paragrafo  2,
della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  devono
essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell'ambito
delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed  effettive,  che  non
sono  ne'  puramente  marginali  ne'  accessorie,  e  per  le   quali
percepisce indennita' aventi carattere remunerativo,  puo'  rientrare
nella  nozione  di  "lavoratore",  ai  sensi  di  tali  disposizioni,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La  clausola
2, punto 1,  dell'accordo  quadro  sul  lavoro  a  tempo  determinato
concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato  della  direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno  1999,  relativa  all'accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve  essere
interpretata  nel  senso  che  la  nozione  di  "lavoratore  a  tempo
determinato", contenuta  in  tale  disposizione,  puo'  includere  un
giudice  di  pace,  nominato  per  un  periodo  limitato,  il  quale,
nell'ambito  delle  sue  funzioni,  svolge   prestazioni   reali   ed
effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per
le  quali  percepisce  indennita'  aventi   carattere   remunerativo,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La  clausola
4, punto 1,  dell'accordo  quadro  sul  lavoro  a  tempo  determinato
concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato  della  direttiva
1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa
nazionale che non prevede il  diritto  per  un  giudice  di  pace  di
beneficiare di ferie annuali retribuite di trenta giorni, come quello
previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale  giudice
di pace rientri nella nozione di "lavoratore a tempo determinato", ai
sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui  si
trovi in  una  situazione  comparabile  a  quella  di  un  magistrato
ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata
dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle  mansioni  di
cui detti magistrati devono assumere la responsabilita',  circostanza
che spetta al giudice del rinvio verificare.». 
    Secondo la Corte di giustizia, la  nozione  di  «lavoratore»  non
puo'  essere  interpretata  in  modo  da  variare  a  seconda   degli
ordinamenti nazionali,  ma  ha  una  portata  autonoma,  propria  del
diritto dell'Unione  (sentenze  del  26  marzo  2015;  F.,  C-316113,
EU:C:2015:200, punto 25, e del 20 novembre 2018,  Sindicatul  Familia
Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto  41  e  giurisprudenza
ivi citata). La Corte ha quindi richiamato la giurisprudenza costante
secondo cui la caratteristica essenziale del rapporto  di  lavoro  e'
data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo
di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di  quest'ultima,
prestazioni che non siano puramente marginali e accessorie, in cambio
delle quali percepisca una retribuzione  (sentenza  del  20  novembre
2018, Sindicatul Familia Constanta  e  a.,  C-147/17,  EU:C:2018:926,
punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Ha osservato a  tal  proposito
che il numero dei provvedimenti redatti dal giudice di pace  italiano
ricorrente erano indicativi di prestazioni non meramente marginali  e
accessorie. La sola circostanza che le funzioni del giudice  di  pace
siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale, a parere
della Corte, non significa che le prestazioni  finanziarie  percepite
da un giudice di pace debbano essere considerate prive  di  carattere
remunerativo.  In  relazione   all'esistenza   di   un   vincolo   di
subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, la  Corte
ha ritenuto di dover  prendere  in  considerazione  le  modalita'  di
organizzazione del lavoro dei giudici di pace. Ha quindi rilevato che
questi, sebbene possano organizzare  il  loro  lavoro  in  modo  piu'
flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, sono  tenuti  a
rispettare tabelle che indicano la composizione del loro  ufficio  di
appartenenza e che disciplinano nel dettaglio e  in  modo  vincolante
l'organizzazione  del  loro  lavoro,  compresi   l'assegnazione   dei
fascicoli, le date e gli orari di udienza; sono tenuti  ad  osservare
gli ordini di  servizio  del  capo  dell'ufficio  e  i  provvedimenti
organizzativi speciali e generali del CSM; sono  soggetti,  sotto  il
profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a  quelli  dei  magistrati
professionali. Non sono invece state ritenute dirimenti le  modalita'
di reclutamento del lavoratore, ne' la definizione interna formale di
magistrato «onorario», ne' la durata limitata del rapporto di lavoro,
dovendosi tenere conto della situazione di fatto in cui  un  soggetto
svolge la propria attivita' e non della cornice giuridica in  cui  lo
stesso e' inquadrato. Quanto all'applicabilita' alla  fattispecie  in
esame della direttiva 1999/70/CE e  del  relativo  «Accordo  Quadro»,
queste  norme  si  riferiscono,  secondo  la  Corte   di   giustizia,
all'insieme dei  lavoratori  che  forniscono  prestazioni  retribuite
nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li  lega
al loro datore di lavoro, purche' vincolati da un contratto o  da  un
rapporto di lavoro ai sensi  del  diritto  nazionale.  Sebbene,  come
risulta dal considerando 17 della direttiva 1999/70 e dalla  clausola
2, punto 1, dell'accordo quadro,  tale  direttiva  lasci  agli  Stati
membri il compito di definire i termini «contratto di  assunzione»  o
«rapporto  di  lavoro»,  impiegati  in  tale  clausola,  secondo   la
legislazione e/o la prassi nazionale, cio' non toglie che  il  potere
discrezionale conferito agli Stati membri per definire  tali  nozioni
non sia illimitato. Infatti, siffatti termini possono essere definiti
in conformita' con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di
rispettare l'effetto utile di tale direttiva e  i  principi  generali
del diritto dell'Unione (v., in tal  senso,  sentenza  del  1°  marzo
2012, O., C-393/10, EU:C:2012:110, punto 34). 
    4. Se questi sono i  principi  applicabili,  si  ritiene  che  la
ricorrente rientri nella definizione euro-unitaria  di  «lavoratore»,
avendo  reso  a  favore  del  Ministero  convenuto  prestazioni   non
puramente marginali ed accessorie, in cambio delle quali ha percepito
una retribuzione commisurata all'attivita'  svolta,  ed  avendo  ella
dovuto rispettare le apposite tabelle di organizzazione del lavoro  e
le disposizioni del capo dell'ufficio. 
    Ed infatti, e' pacifico che la ricorrente abbia prestato servizio
come giudice onorario di pace in via continuativa dal 2004  al  2018,
tenendo costantemente due udienze a  settimana  (in  alcuni  periodi,
anche tre udienze a settimana), per un  totale  di  n.  920  udienze,
definito n. 13.400 fascicoli ed emesso nel settore  civile  n.  3.400
sentenze e n. 3.157 decreti ingiuntivi, mentre in  quello  penale  n.
730 sentenze e, con  funzioni  di  GIP,  circa  n.  3000  decreti  di
archiviazione. E', inoltre, pacifico che la ricorrente  abbia  svolto
il ruolo di coordinatore dell'Ufficio del giudice di pace di Brescia,
che sia tenuta a rispettare tabelle che disciplinano nel dettaglio  e
in   modo   vincolante   l'organizzazione   del   lavoro,    compresi
l'assegnazione dei fascicoli  e  i  giorni  di  udienza,  nonche'  ad
osservare  gli  ordini  di  servizio  del  capo  dell'ufficio   e   i
provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM.  Ed  ancora,
e'  pacifico  che  la  ricorrente  sia  soggetta,  sotto  il  profilo
disciplinare,  ad  obblighi  analoghi   a   quelli   dei   magistrati
professionali e che abbia ricevuto un compenso commisurato al  numero
di udienze celebrate ed ai provvedimenti emessi. Infine, e' pacifico,
oltre che confermato dai documenti prodotti, che  la  ricorrente  sia
stata nominata con decreto ministeriale 31 ottobre  2001  ed  immessa
nelle funzioni il 27  settembre  2004,  ottenendo  poi  due  conferme
quadriennali dell'incarico ai sensi dell'art. 7 della  legge  n.  374
del 1991, nonche' una ulteriore conferma  quadriennale  nel  2016  ai
sensi degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 92 del 2016. 
    5. Ne segue che alla fattispecie trova applicazione, tra le altre
disposizioni richiamate dalla ricorrente, anche la clausola 5,  punto
1,  dell'accordo  quadro  CES,  UNICE  e  CEEP  sul  lavoro  a  tempo
determinato, allegato alla direttiva n. 1999/70/CE,  ai  sensi  della
quale  «Per  prevenire  gli  abusi  derivanti  dall'utilizzo  di  una
successione di contratti o rapporti di lavoro  a  tempo  determinato,
gli Stati membri, previa consultazione delle parti  sociali  a  norma
delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi  nazionali,  e/o
le parti sociali stesse, dovranno introdurre,  in  assenza  di  norme
equivalenti per la prevenzione degli abusi e in  un  modo  che  tenga
conto  delle  esigenze  di  settori  e/o   categorie   specifici   di
lavoratori, una o piu' misure relative a: a) ragioni obiettive per la
giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b)  la
durata massima totale dei contratti o  rapporti  di  lavoro  a  tempo
determinato  successivi;  c)  il  numero  dei  rinnovi  dei  suddetti
contratti o rapporti.» In ordine alla misura prevista  sub  a)  della
clausola 5 (esistenza di «ragioni  obiettive»  che  giustifichino  il
rinnovo dei rapporti a tempo determinato  successivi),  la  Corte  di
giustizia ha precisato (sentenza Adeneler cit.;  sentenza  23  aprile
2009, in cause riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri) che «(
...) La nozione di «ragioni oggettive» dev'essere  intesa  nel  senso
che  essa  si  riferisce  a  circostanze  precise  e   concrete   che
contraddistinguono una determinata attivita'  e,  pertanto,  tali  da
giustificare,  in  un  simile  contesto  particolare,  l'utilizzo  di
contratti di lavoro a tempo determinato  stipulati  in  successione».
«Dette circostanze» - prosegue  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea - «possono risultare segnatamente  dalla  particolare  natura
delle funzioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono
stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a  queste  ultime  o,
eventualmente,  dal  perseguimento  di  una  legittima  finalita'  di
politica  sociale  di  uno  Stato  membro  (...)  Per   contro,   una
disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale
ed astratto attraverso una  norma  legislativa  o  regolamentare,  il
ricorso a contratti  di  lavoro  a  tempo  determinato  stipulati  in
successione,  non  soddisferebbe  i  criteri   precisati   al   punto
precedente (...)». Inoltre, la Corte di giustizia UE, nella  sentenza
7 settembre 2006, causa C-53/04, Marrosu, ha precisato che la  citata
clausola 5, punto 1, impone - comunque - agli Stati membri  l'obbligo
di introdurre nel loro ordinamento giuridico almeno una delle  misure
elencate nel detto punto 1, lettere a)-c), qualora non siano gia'  in
vigore  nello  Stato  membro   interessato   disposizioni   normative
equivalenti, volte a prevenire in modo effettivo  l'utilizzo  abusivo
di una successione di contratti di lavoro  a  tempo  determinato.  La
stessa sentenza aggiunge che la facolta' di tenere in  considerazione
le  particolari  anzidette  esigenze  puo',  viceversa,  legittimare,
nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali, reazioni sanzionatorie
adeguatamente modulate e distinte per settori attivita' e/  categorie
di lavoratori, senza pregiudizio per la loro efficacia. 
    6. Cio'  posto,  occorre  verificare  se,  come  sostenuto  dalla
ricorrente (la quale ha chiesto di accertare e  dichiarare  l'abusiva
reiterazione da parte del Ministero convenuto di rapporti di lavoro a
termine fin dalla sua assunzione in servizio con il primo decreto  di
nomina, in violazione della direttiva n. 1999/70/CE e  della  vigente
normativa nazionale, e,  conseguentemente,  condannare  il  Ministero
della giustizia al risarcimento dei danni, da quantificarsi in  corso
di  causa  e  comunque  in  misura   non   inferiore   all'indennita'
risarcitoria prevista  dall'art.  32  legge  n.  180/2010,  oltre  al
risarcimento del danno ulteriore -  cfr.  la  domanda  sub  e)  delle
conclusioni di parte ricorrente, siccome riportata al punto 1.  della
presente ordinanza -), la normativa interna in tema  di  conferimento
degli incarichi a tempo determinato sia conforme a tale clausola. 
    7.  Le  norme  interne  che  hanno  trovato   applicazione   alla
fattispecie sono: 
        l'art. 7 della legge n. 374 del 1991 (Durata  dell'ufficio  e
conferma del giudice di pace)  secondo  il  quale  «In  attesa  della
complessiva  riforma  dell'ordinamento  dei  giudici  di   pace,   il
magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace  dura
in carica quattro anni  e  puo'  essere  confermato  per  un  secondo
mandato di quattro anni e per un terzo mandato  di  quattro  anni.  I
giudici di pace confermati per un ulteriore periodo di  due  anni  in
applicazione dell'art. 20 della legge 13 febbraio  2001,  n.  48,  al
termine del  biennio  possono  essere  confermati  per  un  ulteriore
mandato di quattro anni, salva comunque la cessazione  dall'esercizio
delle funzioni al compimento del settantacinquesimo anno di eta'. Per
la conferma non e' richiesto il requisito del limite massimo di  eta'
previsto dall'art. 5, comma 1, lettera j). Tuttavia l'esercizio delle
funzioni non puo' essere protratto oltre il  settantacinquesimo  anno
di eta'. Una ulteriore  nomina  non  e'  consentita  se  non  decorsi
quattro anni dalla cessazione del precedente incarico. (...)»; 
        l'art. 1 del decreto legislativo n. 92 del  2016  (Disciplina
della sezione autonoma  dei  Consigli  giudiziari  per  i  magistrati
onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei  giudici  di
pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari
in servizio), a norma del quale «I giudici di pace, i giudici onorari
di tribunale e i vice procuratori onorari in servizio  alla  data  di
entrata in vigore del  presente  decreto  possono  essere  confermati
nell'incarico, per  un  primo  mandato  di  durata  quadriennale,  se
ritenuti idonei secondo quanto disposto dall'art. 2. L'incarico cessa
in ogni caso al compimento del sessantottesimo anno di eta'.» 
    Tali norme  hanno  consentito  la  reiterazione  di  incarichi  a
termine in  favore  della  ricorrente  per  16  anni,  ammettendo  in
generale rinnovi  per  complessivi  ventidue  anni,  senza  contenere
prescrizioni effettive, volte a  circoscrivere  le  ragioni  poste  a
sostegno  dei  successivi  rinnovi,  ne'  a  limitare  gli  incarichi
successivi, o comunque la durata massima totale degli incarichi entro
un termine ragionevolmente compatibile con esigenze temporanee e  non
strutturali, come quello invece previsto per i  contratti  di  lavoro
subordinato a tempo determinato  (pari,  attualmente,  a ventiquattro
mesi,  ai  sensi  del  decreto  legislativo  n.  81  del  2015,  come
modificato dal decreto-legge n. 87 del 2018). Al contrario, la  Corte
di giustizia ha statuito che il rinnovo di contratti o di rapporti di
lavoro a tempo determinato al fine di  soddisfare  esigenze  che,  di
fatto, hanno un carattere non gia'  provvisorio,  ma,  al  contrario,
permanente e durevole, non e' giustificato ai sensi della clausola 5,
punto 1,  lettera  a),  dell'accordo  quadro.  Infatti,  un  utilizzo
siffatto dei contratti o dei rapporti di lavoro a  tempo  determinato
e' direttamente in contrasto con la premessa  sulla  quale  si  fonda
tale accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a
tempo indeterminato costituiscono la forma  comune  dei  rapporti  di
lavoro,  anche  se  i  contratti  di  lavoro  a   tempo   determinato
rappresentano una caratteristica dell'impiego in alcuni settori o per
determinate occupazioni e attivita'. 
    Ed allora, l'immotivato e reiterato rinnovo di incarichi a  tempo
determinato previsto dalle norme applicate nella fattispecie  risulta
certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare  il  contrasto
tra  quest'ultimo  e  la  nostra  disciplina  interna  in   tema   di
magistratura onoraria. 
    8. Il contrasto  tra  la  normativa  europea  e  la  legislazione
italiana  in  materia   non   puo'   essere   risolto   mediante   la
disapplicazione della fonte interna  incompatibile,  non  essendo  la
clausola 5 direttamente applicabile, come  statuito  dalla  Corte  di
giustizia  (sentenze  15  aprile  2008,  causa  C-268/2006,   Impact;
Angelidaki e altri, cit.), secondo la quale la clausola 5,  punto  1,
dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo del  suo  contenuto,
incondizionata e sufficientemente precisa per poter  essere  invocata
da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto, ai sensi  di
tale disposizione,  rientra  nel  potere  discrezionale  degli  Stati
membri  ricorrere,  al  fine  di  prevenire  l'utilizzo  abusivo   di
contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le  misure
enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in  vigore,
purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie
specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in
maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere
attuata in virtu' di suddetta clausola. 
    9. Si tratta, quindi, di un contrasto tra la normativa interna  e
una fonte europea priva di effetto diretto.  La  Corte  di  giustizia
insegna  che  il  contrasto  va  composto,  se  possibile,   in   via
interpretativa.  Il  giudice  nazionale,  nell'applicare  il  diritto
interno, «deve interpretare tale diritto per  quanto  possibile  alla
luce del testo e dello  scopo  della  direttiva  onde  conseguire  il
risultato perseguito da quest'ultima (...)» (sentenze 10 aprile 1984,
causa C14/83, Von Colson Kamann; 13 novembre  1990,  causa  C-106/89,
Marleasing; 14 luglio 1994, causa C91/92, Faccini Dori;  23  febbraio
1999, causa C-63/97, BMW; Pfeiffer ed altri, citata).  «Il  principio
di interpretazione conforme richiede (...) che i giudici nazionali si
adoperino al meglio nei limiti della loro  competenza,  prendendo  in
considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando  i
metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo,  al  fine  di
garantire la piena effettivita' della direttiva  di  cui  trattasi  e
pervenire ad una soluzione  conforme  alla  finalita'  perseguita  da
quest'ultima» (Pfeiffer e altri, Adeneler ed altri, citate). Tuttavia
«l'obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al  contenuto
di una direttiva nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme
pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi
generali del diritto,  in  particolare  in  quelli  di  certezza  del
diritto e di non retroattivita', e non puo' servire da fondamento  ad
un'interpretazione contra legem del diritto  nazionale»  (sentenze  8
ottobre 1987, causa C-80/86, Kolpinghuis Nijmegen;  16  giugno  2005,
causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata; Impact, citata). 
    Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica,
stante il tenore testuale delle norme  che,  appunto,  consentono  il
rinnovo degli incarichi per ben ventidue  anni  e  senza  motivazione
alcuna. Tale conclusione e' confermata dal fatto che la disciplina di
settore  ha  natura  chiusa   e   speciale,   non   presenta   lacune
logico-normative bisognose di essere colmate e non appare integrabile
in via ermeneutica da parte di fonti piu' generali. 
    10. Cio'  posto,  fungendo  le  direttive  comunitarie  da  norme
interposte, atte ad integrare il  parametro  per  la  valutazione  di
conformita' della legislazione interna al precetto  di  cui  all'art.
117, primo comma della Costituzione, la  violazione  della  direttiva
1999/70/CE si traduce in un vizio  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 7 della legge n. 374 del 1991 e  dell'art.  1  del  decreto
legislativo n. 92 del 2016. 
    11. Trattasi di questione rilevante per l'esito del  processo  in
corso, essendo gli incarichi quadriennali conferiti  alla  ricorrente
stati rinnovati per complessivi sedici anni, in  forza  delle  citate
norme, in assenza  di  ragioni  giustificatrici  obiettive  (che  non
possono risolversi in esigenze permanenti del datore  di  lavoro,  in
fabbisogni   tendenzialmente   immutabili   o   dalla   durata    non
preventivabile). Tali  incarichi,  allo  stato  conformi  al  diritto
interno, muterebbero la loro qualificazione nel  caso  d'accoglimento
della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  con  conseguente
accoglimento della domanda della ricorrente di condanna del Ministero
convenuto al risarcimento dei danni, domanda riportata  al  punto  1.
della  presente  ordinanza,  lettera  e)  (accertare   e   dichiarare
l'abusiva reiterazione da parte del Ministero convenuto  di  rapporti
di lavoro a termine fin dall'assunzione in servizio della  ricorrente
con il primo decreto di nomina,  in  violazione  della  direttiva  n.
1999/70/CE e della vigente normativa nazionale, e,  conseguentemente,
condannare il Ministero della giustizia al risarcimento dei danni, da
quantificarsi in corso di causa e comunque in  misura  non  inferiore
all'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 32, legge n. 180/2010,
oltre al risarcimento del danno ulteriore). 
 
                                P.Q.M. 
 
    1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della  legge  n.  374  del
1991,  nella  parte  in  cui  consente  il  rinnovo  degli  incarichi
per diciotto anni, e dell'art. 1 del decreto legislativo  n.  92  del
2016, nella parte in cui consente un  ulteriore  incarico  di  durata
quadriennale, cosi' da determinare  una  reiterazione  abusiva  degli
incarichi, e cio' per contrasto con l'art.  117,  primo  comma  della
Costituzione, in riferimento alla clausola 5, punto  1,  dell'accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,  alla  quale
ha dato attuazione la  direttiva  1999/70/CE  del  Consiglio  del  28
giugno 1999; 
    2)  dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
    3) sospende il processo in corso. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
comunicata alle parti e notificata al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ed ai presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Brescia, 29 novembre 2021 
 
                         Il giudice: Corazza