N. 225 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 2021
Ordinanza del 29 novembre 2021 del Tribunale di Brescia nel procedimento civile promosso da Poma Francesca contro Ministero della giustizia e INPS - Istituto nazionale previdenza sociale. Ordinamento giudiziario - Magistrato onorario - Giudice di pace - Durata dell'incarico e conferma - Possibilita' di conferme successive dell'incarico per una durata complessiva fino a diciotto anni - Possibilita' di conferimento di un ulteriore incarico di durata quadriennale. - Legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), art. 7; decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92 (Disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio), art. 1.(GU n.5 del 2-2-2022 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria nella causa promossa da Francesca Poma, con gli avvocati Bruno Caruso, Stefano Giubboni, Vincenzo De Michele, Giorgio Fontana e Sergio Natale Galleano, ricorrente; contro Ministero della giustizia, con l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, convenuto. Il giudice, sciogliendo la riserva assunta all'udienza dell'11 giugno 2021, letti atti e documenti, osserva. 1. Con ricorso depositato il 24 luglio 2018, Francesca Poma deduceva: a) di svolgere le funzioni di giudice di pace presso l'Ufficio del giudice di pace di Brescia dal 2012 (dove aveva svolto anche il ruolo di coordinatore), avendo precedentemente, dal 2004 al 2010, operato presso l'Ufficio del giudice di pace di Viareggio e, dal 2010 al 2012, presso l'Ufficio del giudice di pace di Lodi; b) che dal 2004 in avanti aveva tenuto costantemente due udienze a settimana (in alcuni periodi, anche tre udienze a settimana), per un totale di n. 920 udienze; c) che, a fronte di n. 13.400 fascicoli che le erano stati assegnati negli anni 2004-2017, aveva definito n. 13.400 fascicoli ed emesso nel settore civile n. 3.400 sentenze e n. 3.157 decreti ingiuntivi, mentre in quello penale n. 730 sentenze e, con funzioni di GIP, circa n. 3000 decreti di archiviazione; d) che era stata incaricata per un periodo di tempo determinato (quattro anni) con il primo decreto di nomina, incarico poi rinnovato finora senza soluzione di continuita' a seguito di proroghe e conferme e previa valutazione positiva del proprio lavoro (ai sensi dell'art. 7 della legge n. 374/1991, secondo cui «in attesa della complessiva riforma dell'ordinamento dei giudici di pace, il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace dura in carica quattro anni e puo' essere confermato per un secondo mandato di quattro anni e per un terzo mandato di quattro anni», con un ulteriore periodo successivo di proroga di un altro biennio e poi ancora di un ulteriore mandato di quattro anni «salva comunque la cessazione dell'esercizio delle funzioni al compimento del settantacinquesimo anno di eta'»); e) che, ai sensi della legge n. 374/1991 (istitutiva dei giudici di pace e vigente fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 116/2017) era stata nominata Giudice di pace a seguito di concorso per titoli e assoggettata, ogni quattro anni, a valutazioni di idoneita' dei consigli giudiziari e del Consiglio superiore della magistratura, che costituiscono veri e propri giudizi di merito sulla qualita' e quantita' del lavoro svolto, in base agli stessi rigorosi criteri utilizzati per le valutazioni di professionalita' del magistrato ordinario; f) che si era sempre attenuta a quanto disposto dall'art. 5, comma 1, lettera g), e dall'art. 8 della legge n. 374/1991, norme che stabiliscono per i Giudici di pace un sistema di rigorose incompatibilita', per garantire l'imparzialita' della funzione giurisdizionale, come prescritto dagli articoli 102 e 106 della Costituzione; g) che aveva sempre garantito la propria costante reperibilita' per ragioni di servizio, essendovi obbligata dalla circolare 15 marzo 2006 del Dipartimento per gli affari di giustizia par. 4.3; h) che aveva ricevuto, durante tutto il periodo di servizio, un trattamento economico conforme alle disposizioni di cui all'art. 11 della legge n. 374/1991, che prevedono il pagamento di alcune indennita' (euro 36,15 per ciascuna udienza civile o penale; euro 56,81 per ogni altro processo assegnato e definito; un'indennita' di euro 258,23 per ciascun mese di effettivo servizio a titolo di rimborso spese per l'attivita' di formazione; in materia civile un'indennita' di euro 10,33 per ogni decreto ingiuntivo o ordinanza ingiuntiva emessi, anche se di rigetto; in materia penale un'indennita' di euro 10,33 per ogni provvedimento emesso; ed altro ancora) (v. art. 11, legge n. 374/1991); i) che alla fine di ogni anno aveva ricevuto sempre il C.U.D. (Certificato unico dei redditi); l) che aveva preso parte ai corsi di formazione istituiti dal C.S.M., obbligatori ai fini della conferma degli incarichi quadriennali, sia presso le strutture di formazione distrettuale, che presso la Scuola superiore della magistratura; m) che, in qualita' di Giudice di pace, non aveva goduto di nessuna tutela in materia previdenziale, assicurativa, retributiva e nella disciplina del rapporto di servizio intercorso con il Ministero della giustizia, non ritenendosi applicabili a tale rapporto le garanzie e le tutele di diritto comune applicabili a qualsiasi lavoratore, in regime di diritto privato o di diritto pubblico, con rapporto di dipendenza; n) che, infatti, nessuna disposizione di legge aveva disciplinato e previsto, in favore dei giudici onorari, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, la contribuzione per la pensione di vecchiaia o di anzianita', le ferie, la maternita', ed ogni altro diritto fondamentale riconosciuto nei confronti dei lavoratori subordinati, fino alla riforma introdotta dal decreto legislativo n. 116/2017. Tanto premesso in fatto, la ricorrente in diritto esponeva: a) che il rapporto intrattenuto con il Ministero era qualificabile come rapporto di lavoro subordinato; b) che, in ogni caso, rientrava nella definizione di «lavoratore» ai fini dell'applicazione del diritto dell'Unione europea e delle direttive in materia di ferie, maternita', malattia e lavoro a tempo determinato, definizione che, secondo la Corte di giustizia, va applicata a tutti quei rapporti di lavoro la cui «caratteristica essenziale (..) e' la circostanza che una persona fornisca prestazioni di indiscusso valore economico ad un'altra persona e sotto la direzione della stessa, ricevendo come contropartita una retribuzione.»; c) che, essendo qualificabile come «lavoratore» secondo tale definizione ed essendo assunta a tempo determinato, doveva trovare applicazione alla fattispecie la direttiva 1999/70 e conseguentemente il principio di non discriminazione (clausola 4 punto 1); d) che, in forza del principio di non discriminazione, aveva diritto a condizioni di impiego (ivi comprese la tutela previdenziale, la tutela della maternita' e della malattia, le ferie, l'orario di lavoro e le condizioni economiche) pari - o comunque commisurate, seppur con riduzione percentuale - a quelle riservate ai lavoratori del Ministero della giustizia comparabili, e cioe' il Magistrato ordinario, ovvero, in via gradata, il Dirigente amministrativo dell'amministrazione giudiziaria; e) che, essendo qualificabile come «lavoratore» nel senso gia' indicato, dovevano trovare applicazione alla fattispecie le disposizioni sulla reiterazione abusiva di contratti a termine (clausola 5 dell'accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE), sulle ferie (art. 7, direttiva 2003/88, in combinato disposto con la clausola 4 dell'accordo quadro recepito dalla direttiva 97/81/CE e con la clausola 4 dell'accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE) e sul congedo di maternita' (art. 8 direttiva 92/85 e art. 8 direttiva 2010/41); f) che la legge n. 374/1991 prevede per i giudici onorari proroghe dei distinti rapporti di lavoro a termine per diciotto anni, oltre quelle previste dalla legge di riforma della magistratura onoraria (art. 29 del decreto legislativo n. 116/2017) per altri dodici anni, ponendo in essere, in tal modo, un chiarissimo abuso nella reiterazione di contratti a tempo determinato, ai sensi della direttiva 1999/70, senza alcuna giustificazione, posto che e' la legge stessa a riconoscere l'esistenza di un'esigenza stabile della prestazione lavorativa dei giudici onorari; g) che aveva diritto al risarcimento dei danni derivati da tale abuso, quantificati in relazione alla perdita di chance sofferta in ragione dell'impossibilita' di partecipare ad altri concorsi pubblici e perseguire altre scelte di vita sul piano lavorativo e professionale; h) che, rientrando nella definizione euro-unitaria di «lavoratore», aveva diritto, anche prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 116 del 2017, a beneficiare di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, ai sensi della direttiva 2003/88; i) che, infine, aveva diritto al congedo di maternita' ai sensi dell'art. 8 direttiva 92/85 e dell'art. 8 direttiva 2010/41; l) che, in estremo subordine, andava sollevata questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui alla legge n. 374/1991 e al successivo decreto legislativo n. 116/2017, per violazione, fra l'altro, dell'art. 117, primo comma della Costituzione e della Carta sociale europea. La ricorrente concludeva, quindi, chiedendo: a) di accertare e dichiarare, preliminarmente, che, in qualita' di Giudice onorario con funzioni di Giudice di pace, tuttora in servizio, aveva svolto fin dalla propria assunzione, a seguito dei decreti di nomina allegati, un servizio continuativo alle dipendenze del Ministero della giustizia, qualificabile in termini di lavoro subordinato, ovvero rientrante nella nozione di «lavoratore» prevista ed accolta nell'ambito del diritto dell'Unione europea, secondo i principi indicati dalla Corte di giustizia europea; b) di accertare e dichiarare il suo diritto ad un trattamento economico e normativo, in relazione al rapporto di lavoro in essere con il Ministero della giustizia, non discriminatorio ed equivalente a quello assicurato ai lavoratori comparabili che svolgono funzioni analoghe alle dipendenze del Ministero convenuto, ai sensi della normativa vigente e in ogni caso conformemente a quanto disposto dalla direttiva n. 1999/70/CE; c) conseguentemente, di condannare il Ministero della giustizia, ove occorra ai sensi dell'art. 2126 del codice civile, alla rideterminazione del trattamento economico applicato nei suoi confronti sin dalla data di assunzione in servizio, in materia di retribuzione e mensilita' aggiuntive, ferie, maternita', malattia ed infortunio, trattamento fine rapporto di lavoro, ed in relazione ad ogni altro diritto derivante dalle disposizioni di legge e di contratto collettivo applicabili a tale rapporto, in ragione dell'attivita' svolta alle dipendenze del Ministero convenuto, con pronuncia di condanna generica e con espressa riserva di successiva quantificazione in separato giudizio anche in base ai principi dell'art. 36 della Costituzione; d) di accertare il suo diritto alla tutela previdenziale ed assicurativa, con obbligo del Ministero convenuto di provvedere alla regolarizzazione della posizione con effetto dall'inizio del rapporto di servizio e con obbligo di versamento dei relativi contributi previdenziali ed assicurativi presso gli enti competenti con eguale decorrenza, secondo il regime applicabile ad un rapporto di lavoro alle dipendenze del Ministero della giustizia ritenuto comparabile, nei sensi indicati in ricorso; e) di accertare e dichiarare l'abusiva reiterazione da parte del Ministero convenuto di rapporti di lavoro a termine fin dalla sua assunzione in servizio con il primo decreto di nomina, in violazione della direttiva n. 1999/70/CE e della vigente normativa nazionale, e, conseguentemente, condannare il Ministero della giustizia al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa e comunque in misura non inferiore all'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 32, legge n. 180/2010, oltre al risarcimento del danno ulteriore, come dedotto in ricorso; f) di accertare e dichiarare infine ed in ogni caso, in via gradata, il suo diritto al godimento delle ferie, dei congedi di maternita' o paternita' e di ogni altra tutela o diritto derivanti dalle direttive europee ed applicabili in quanto lavoratrice, e pertanto condannare il Ministero convenuto al risarcimento dei danni per l'inadempienza agli obblighi ivi previsti, fin dall'inizio del rapporto lavorativo, da liquidarsi in via equitativa; g) di condannare il Ministero della giustizia al pagamento delle spese ed onorari di causa. 2. Si costituiva il Ministero della giustizia, chiedendo il rigetto del ricorso e deducendo: a) che secondo il costante orientamento giurisprudenziale in materia, l'incardinamento, in via di fatto, dei magistrati onorari nell'apparato organizzativo degli uffici giudiziari, nonche' l'osservanza dei doveri e delle responsabilita' per essi previste, oltre che la soggezione alle direttive generali dettate per la magistratura togata, non sono assolutamente significativi al fine di riconoscerne insorgenza di rapporto di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione, ovvero per la trasformazione del rapporto con lo Stato in vincolo a tempo indeterminato; b) che la figura del magistrato onorario per sua natura partecipa solo occasionalmente - oltre che in modo non esclusivo - all'esercizio della funzione giudiziaria, risultando, conseguentemente, sia dal punto di vista del rapporto di servizio, che da quello del rapporto organico, radicalmente diversa da quella del giudice professionale, la cui attivita' e' piena ed esclusiva, mentre quella del primo e' discontinua, parziale ed essenzialmente compatibile con altre attivita', anche libero-professionali; c) che la specialita' del trattamento economico previsto per i giudici di pace e' connessa, proprio, con la natura della funzione svolta dagli stessi e con la possibilita', loro garantita, di esercitare la professione forense, non essendo, conseguentemente, ad essi estensibili posizioni giuridiche ed economiche previste per i giudici togati, che svolgono professionalmente ed in via esclusiva funzioni giurisdizionali ed il cui status e' disciplinato sulla base di parametri completamente diversi; d) che alcuna valenza poteva assumere il rilievo temporale della durata dell'attivita' dei giudici di pace, del tutto temporanea e non superiore a quattro anni - rinnovabile per uguale periodo e per una sola volta - mentre nello stesso decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 inerente «Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonche' disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57» veniva infatti ribadito come si tratti di incarico a termine sia nell'ipotesi di conferimento ex novo, sia con riferimento a coloro che alla data di entrata in vigore della normativa di riferimento fossero in servizio; e) che, rispetto ad eventuali differenze retributive - nonche' diritti accessori conseguenti il riconoscimento del rapporto di pubblico impiego -, era maturata la prescrizione prevista dall'art. 2948 n. 4, codice civile, quanto al periodo antecedente al quinquennio rispetto all'attivazione del procedimento; f) che la domanda azionata ex art. 2126 del codice civile era pure infondata, in evidente assenza del perfezionarsi della fattispecie legale di riferimento in mancanza sia di nullita', che di annullamento del contratto di lavoro, nonche' di violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, neppure compiutamente dedotte, ferma in ogni caso l'intervenuta prescrizione di eventuali diritti retributivi; g) che la pretesa equiparazione retributiva non poteva ritenersi fondata sulla, comunque genericamente richiamata, giurisprudenza comunitaria che, peraltro, si era espressa nel senso che compete al giudice del rinvio valutare se la distinzione operata dal diritto nazionale tra giudici a tempo pieno e giudici a tempo parziale - retribuiti sulla scorta di tariffe giornaliere - sia giustificata da ragioni obiettive, peraltro costantemente confermate dalla giurisprudenza occupatasi della materia; h) che parimenti infondata appariva la domanda volta ad ottenere riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni asseritamente derivanti da «reiterazione» dell'incarico, in assenza di qualsivoglia presupposto al riguardo e rispetto alla quale doveva ritenersi comunque maturata la prescrizione prevista dall'art. 2947, primo comma, codice civile, quanto al periodo antecedente al quinquennio rispetto all'attivazione del procedimento. 3. In corso di causa, e' intervenuta la sentenza del 16 luglio 2020 (causa C-658/18), con la quale la Corte di giustizia dell'Unione europea si e' pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata in una causa in cui un giudice di pace aveva lamentato il mancato riconoscimento di ferie retribuite. Il giudice italiano aveva chiesto alla Corte di giustizia se l'attivita' di servizio del giudice di pace rientrasse nella nozione di «lavoratore a tempo determinato»; di cui, in combinato disposto, agli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88, alla clausola 2 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE e all'art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e, in caso di risposta affermativa, se il magistrato ordinario o professionale potesse essere considerato lavoratore a tempo indeterminato equiparabile al lavoratore a tempo determinato «giudice di pace», ai fini dell'applicazione delle stesse condizioni di lavoro di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro. La Corte di giustizia ha concluso nel senso che: «(...) L'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che un giudice di pace che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, puo' rientrare nella nozione di "lavoratore", ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di "lavoratore a tempo determinato", contenuta in tale disposizione, puo' includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente marginali ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di trenta giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di "lavoratore a tempo determinato", ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilita', circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.». Secondo la Corte di giustizia, la nozione di «lavoratore» non puo' essere interpretata in modo da variare a seconda degli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma, propria del diritto dell'Unione (sentenze del 26 marzo 2015; F., C-316113, EU:C:2015:200, punto 25, e del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha quindi richiamato la giurisprudenza costante secondo cui la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro e' data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni che non siano puramente marginali e accessorie, in cambio delle quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Ha osservato a tal proposito che il numero dei provvedimenti redatti dal giudice di pace italiano ricorrente erano indicativi di prestazioni non meramente marginali e accessorie. La sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale, a parere della Corte, non significa che le prestazioni finanziarie percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo. In relazione all'esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, la Corte ha ritenuto di dover prendere in considerazione le modalita' di organizzazione del lavoro dei giudici di pace. Ha quindi rilevato che questi, sebbene possano organizzare il loro lavoro in modo piu' flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, sono tenuti a rispettare tabelle che indicano la composizione del loro ufficio di appartenenza e che disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l'organizzazione del loro lavoro, compresi l'assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza; sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del capo dell'ufficio e i provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM; sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali. Non sono invece state ritenute dirimenti le modalita' di reclutamento del lavoratore, ne' la definizione interna formale di magistrato «onorario», ne' la durata limitata del rapporto di lavoro, dovendosi tenere conto della situazione di fatto in cui un soggetto svolge la propria attivita' e non della cornice giuridica in cui lo stesso e' inquadrato. Quanto all'applicabilita' alla fattispecie in esame della direttiva 1999/70/CE e del relativo «Accordo Quadro», queste norme si riferiscono, secondo la Corte di giustizia, all'insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purche' vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale. Sebbene, come risulta dal considerando 17 della direttiva 1999/70 e dalla clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro, tale direttiva lasci agli Stati membri il compito di definire i termini «contratto di assunzione» o «rapporto di lavoro», impiegati in tale clausola, secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, cio' non toglie che il potere discrezionale conferito agli Stati membri per definire tali nozioni non sia illimitato. Infatti, siffatti termini possono essere definiti in conformita' con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di rispettare l'effetto utile di tale direttiva e i principi generali del diritto dell'Unione (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, O., C-393/10, EU:C:2012:110, punto 34). 4. Se questi sono i principi applicabili, si ritiene che la ricorrente rientri nella definizione euro-unitaria di «lavoratore», avendo reso a favore del Ministero convenuto prestazioni non puramente marginali ed accessorie, in cambio delle quali ha percepito una retribuzione commisurata all'attivita' svolta, ed avendo ella dovuto rispettare le apposite tabelle di organizzazione del lavoro e le disposizioni del capo dell'ufficio. Ed infatti, e' pacifico che la ricorrente abbia prestato servizio come giudice onorario di pace in via continuativa dal 2004 al 2018, tenendo costantemente due udienze a settimana (in alcuni periodi, anche tre udienze a settimana), per un totale di n. 920 udienze, definito n. 13.400 fascicoli ed emesso nel settore civile n. 3.400 sentenze e n. 3.157 decreti ingiuntivi, mentre in quello penale n. 730 sentenze e, con funzioni di GIP, circa n. 3000 decreti di archiviazione. E', inoltre, pacifico che la ricorrente abbia svolto il ruolo di coordinatore dell'Ufficio del giudice di pace di Brescia, che sia tenuta a rispettare tabelle che disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l'organizzazione del lavoro, compresi l'assegnazione dei fascicoli e i giorni di udienza, nonche' ad osservare gli ordini di servizio del capo dell'ufficio e i provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM. Ed ancora, e' pacifico che la ricorrente sia soggetta, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali e che abbia ricevuto un compenso commisurato al numero di udienze celebrate ed ai provvedimenti emessi. Infine, e' pacifico, oltre che confermato dai documenti prodotti, che la ricorrente sia stata nominata con decreto ministeriale 31 ottobre 2001 ed immessa nelle funzioni il 27 settembre 2004, ottenendo poi due conferme quadriennali dell'incarico ai sensi dell'art. 7 della legge n. 374 del 1991, nonche' una ulteriore conferma quadriennale nel 2016 ai sensi degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 92 del 2016. 5. Ne segue che alla fattispecie trova applicazione, tra le altre disposizioni richiamate dalla ricorrente, anche la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, ai sensi della quale «Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o piu' misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.» In ordine alla misura prevista sub a) della clausola 5 (esistenza di «ragioni obiettive» che giustifichino il rinnovo dei rapporti a tempo determinato successivi), la Corte di giustizia ha precisato (sentenza Adeneler cit.; sentenza 23 aprile 2009, in cause riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri) che «( ...) La nozione di «ragioni oggettive» dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attivita' e, pertanto, tali da giustificare, in un simile contesto particolare, l'utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione». «Dette circostanze» - prosegue la Corte di giustizia dell'Unione europea - «possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per contro, una disposizione nazionale che si limiti ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, non soddisferebbe i criteri precisati al punto precedente (...)». Inoltre, la Corte di giustizia UE, nella sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04, Marrosu, ha precisato che la citata clausola 5, punto 1, impone - comunque - agli Stati membri l'obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto punto 1, lettere a)-c), qualora non siano gia' in vigore nello Stato membro interessato disposizioni normative equivalenti, volte a prevenire in modo effettivo l'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La stessa sentenza aggiunge che la facolta' di tenere in considerazione le particolari anzidette esigenze puo', viceversa, legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali, reazioni sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita' e/ categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la loro efficacia. 6. Cio' posto, occorre verificare se, come sostenuto dalla ricorrente (la quale ha chiesto di accertare e dichiarare l'abusiva reiterazione da parte del Ministero convenuto di rapporti di lavoro a termine fin dalla sua assunzione in servizio con il primo decreto di nomina, in violazione della direttiva n. 1999/70/CE e della vigente normativa nazionale, e, conseguentemente, condannare il Ministero della giustizia al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa e comunque in misura non inferiore all'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 32 legge n. 180/2010, oltre al risarcimento del danno ulteriore - cfr. la domanda sub e) delle conclusioni di parte ricorrente, siccome riportata al punto 1. della presente ordinanza -), la normativa interna in tema di conferimento degli incarichi a tempo determinato sia conforme a tale clausola. 7. Le norme interne che hanno trovato applicazione alla fattispecie sono: l'art. 7 della legge n. 374 del 1991 (Durata dell'ufficio e conferma del giudice di pace) secondo il quale «In attesa della complessiva riforma dell'ordinamento dei giudici di pace, il magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace dura in carica quattro anni e puo' essere confermato per un secondo mandato di quattro anni e per un terzo mandato di quattro anni. I giudici di pace confermati per un ulteriore periodo di due anni in applicazione dell'art. 20 della legge 13 febbraio 2001, n. 48, al termine del biennio possono essere confermati per un ulteriore mandato di quattro anni, salva comunque la cessazione dall'esercizio delle funzioni al compimento del settantacinquesimo anno di eta'. Per la conferma non e' richiesto il requisito del limite massimo di eta' previsto dall'art. 5, comma 1, lettera j). Tuttavia l'esercizio delle funzioni non puo' essere protratto oltre il settantacinquesimo anno di eta'. Una ulteriore nomina non e' consentita se non decorsi quattro anni dalla cessazione del precedente incarico. (...)»; l'art. 1 del decreto legislativo n. 92 del 2016 (Disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio), a norma del quale «I giudici di pace, i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere confermati nell'incarico, per un primo mandato di durata quadriennale, se ritenuti idonei secondo quanto disposto dall'art. 2. L'incarico cessa in ogni caso al compimento del sessantottesimo anno di eta'.» Tali norme hanno consentito la reiterazione di incarichi a termine in favore della ricorrente per 16 anni, ammettendo in generale rinnovi per complessivi ventidue anni, senza contenere prescrizioni effettive, volte a circoscrivere le ragioni poste a sostegno dei successivi rinnovi, ne' a limitare gli incarichi successivi, o comunque la durata massima totale degli incarichi entro un termine ragionevolmente compatibile con esigenze temporanee e non strutturali, come quello invece previsto per i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (pari, attualmente, a ventiquattro mesi, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2015, come modificato dal decreto-legge n. 87 del 2018). Al contrario, la Corte di giustizia ha statuito che il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non gia' provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, non e' giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell'accordo quadro. Infatti, un utilizzo siffatto dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato e' direttamente in contrasto con la premessa sulla quale si fonda tale accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell'impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attivita'. Ed allora, l'immotivato e reiterato rinnovo di incarichi a tempo determinato previsto dalle norme applicate nella fattispecie risulta certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare il contrasto tra quest'ultimo e la nostra disciplina interna in tema di magistratura onoraria. 8. Il contrasto tra la normativa europea e la legislazione italiana in materia non puo' essere risolto mediante la disapplicazione della fonte interna incompatibile, non essendo la clausola 5 direttamente applicabile, come statuito dalla Corte di giustizia (sentenze 15 aprile 2008, causa C-268/2006, Impact; Angelidaki e altri, cit.), secondo la quale la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto, ai sensi di tale disposizione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtu' di suddetta clausola. 9. Si tratta, quindi, di un contrasto tra la normativa interna e una fonte europea priva di effetto diretto. La Corte di giustizia insegna che il contrasto va composto, se possibile, in via interpretativa. Il giudice nazionale, nell'applicare il diritto interno, «deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima (...)» (sentenze 10 aprile 1984, causa C14/83, Von Colson Kamann; 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing; 14 luglio 1994, causa C91/92, Faccini Dori; 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW; Pfeiffer ed altri, citata). «Il principio di interpretazione conforme richiede (...) che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo, al fine di garantire la piena effettivita' della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalita' perseguita da quest'ultima» (Pfeiffer e altri, Adeneler ed altri, citate). Tuttavia «l'obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo' servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del diritto nazionale» (sentenze 8 ottobre 1987, causa C-80/86, Kolpinghuis Nijmegen; 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata; Impact, citata). Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica, stante il tenore testuale delle norme che, appunto, consentono il rinnovo degli incarichi per ben ventidue anni e senza motivazione alcuna. Tale conclusione e' confermata dal fatto che la disciplina di settore ha natura chiusa e speciale, non presenta lacune logico-normative bisognose di essere colmate e non appare integrabile in via ermeneutica da parte di fonti piu' generali. 10. Cio' posto, fungendo le direttive comunitarie da norme interposte, atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformita' della legislazione interna al precetto di cui all'art. 117, primo comma della Costituzione, la violazione della direttiva 1999/70/CE si traduce in un vizio di illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge n. 374 del 1991 e dell'art. 1 del decreto legislativo n. 92 del 2016. 11. Trattasi di questione rilevante per l'esito del processo in corso, essendo gli incarichi quadriennali conferiti alla ricorrente stati rinnovati per complessivi sedici anni, in forza delle citate norme, in assenza di ragioni giustificatrici obiettive (che non possono risolversi in esigenze permanenti del datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente immutabili o dalla durata non preventivabile). Tali incarichi, allo stato conformi al diritto interno, muterebbero la loro qualificazione nel caso d'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, con conseguente accoglimento della domanda della ricorrente di condanna del Ministero convenuto al risarcimento dei danni, domanda riportata al punto 1. della presente ordinanza, lettera e) (accertare e dichiarare l'abusiva reiterazione da parte del Ministero convenuto di rapporti di lavoro a termine fin dall'assunzione in servizio della ricorrente con il primo decreto di nomina, in violazione della direttiva n. 1999/70/CE e della vigente normativa nazionale, e, conseguentemente, condannare il Ministero della giustizia al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa e comunque in misura non inferiore all'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 32, legge n. 180/2010, oltre al risarcimento del danno ulteriore).
P.Q.M. 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge n. 374 del 1991, nella parte in cui consente il rinnovo degli incarichi per diciotto anni, e dell'art. 1 del decreto legislativo n. 92 del 2016, nella parte in cui consente un ulteriore incarico di durata quadriennale, cosi' da determinare una reiterazione abusiva degli incarichi, e cio' per contrasto con l'art. 117, primo comma della Costituzione, in riferimento alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999; 2) dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) sospende il processo in corso. Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata alle parti e notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Brescia, 29 novembre 2021 Il giudice: Corazza