N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 ottobre 2021

Ordinanza del 19 ottobre 2021 del Tribunale di Lecce nel procedimento
penale a carico di M. A.. 
 
Processo penale  -  Indagini  preliminari  -  Prove  illegittimamente
  acquisite - Sanzione dell'inutilizzabilita' delle  prove  acquisite
  in  violazione  di  un  divieto  di  legge  -   Omessa   previsione
  dell'applicazione della sanzione anche alle c.d. "inutilizzabilita'
  derivate", cioe' ai risultati degli atti di ricerca o  acquisizione
  della prova, quando compiuti, fuori dei casi in  cui  la  legge  lo
  consenta, in danno di uno dei diritti inviolabili di cui agli artt.
  13 e 14 Cost. 
- Codice di procedura penale, art. 191. 
Processo penale - Indagini preliminari - Perquisizioni operate  dalla
  polizia giudiziaria - Omessa previsione che, nel  caso  in  cui  il
  pubblico ministero non provveda a convalidare la perquisizione  nei
  termini di legge, ne divengano  inutilizzabili  tutti  i  risultati
  probatori anche in termini di "inutilizzabilita' derivata". 
- Codice di procedura penale, art. 352. 
(GU n.10 del 9-3-2022 )
 
                   IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                        Sezione prima penale 
 
    In composizione monocratica in persona del giudice, dott. Stefano
Sernia, sciogliendo la riserva formulata  all'udienza  dibattimentale
del giorno 12 dicembre 2018 nel processo nei confronti di: 
        M. A. , nato a ... il ..., letti gli atti e sentite le parti,
ha pronunziato la seguente ordinanza; 
    Si procede con rito ordinario,  ma  con  acquisizione  concordata
dell'informativa di p.g. ed altri atti  del  fascicolo  del  pubblico
ministero, a seguito di rinvio a  giudizio  dell'imputato  davanti  a
questo Tribunale, cdn l'accusa di  aver  coltivato  delle  piante  di
marijuana. 
    Si premette, al fine  di  agevolare  la  lettura  della  presente
compendiosa ordinanza, il sommario degli argomenti trattati. 
    1. Gli esiti della perquisizione: prova fondamentale nel presente
processo; 
    2. Il diritto vivente; 
    3. Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - sintesi; 
    4. Le nuove questioni - sintesi; 
        4.1 Il  contrasto  con  gli  articoli  13,  14  e  111  della
Costituzione; 
          4.1.a   «...   e   restano   privi   di   ogni    effetto»:
l'inutilizzabilita'  derivata  dalla  perdita  di   efficacia   delle
perquisizioni illegittime; 
          4.1.b Inutilizzabilita' derivata - art. 103 del  codice  di
procedura penale; 
        4.2 Violazlone dell'art. 3 della Costituzione; 
          4.2.a L'art. 103  del  codice  di  procedura  penale  quale
«tertium comparationis»; 
          4.2.b Gli articoli 271 del codice  di  procedura  penale  e
132, comma 3, del codice privacy; 
          4.2.c Ulteriori violazioni dell'art. 3 della Costituzione; 
        4.3 Violazione dell'art. 2 della Costituzione:  principio  di
effettivita'; 
        4.4 Violazione dell'art. 24 della Costituzione; 
        4.5 Principio di effettivita' e violazione art. 8 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali - contrasto con gli articoli 2 e 117 della Costituzione; 
        4.6 Principio di effettivita' e violazione art. 6 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali - contrasto dell'art. 352 del codice di procedura penale
con gli articoli 2, 111, comma 6, e 117 della Costituzione. 
1. - Gli esiti della perquisizione: prova fondamentale  nel  presente
processo 
    Le parti non hanno chiesto l'esame dei testi indicati nelle liste
a  suo  tempo  depositate,  e  tutti  i   verbali   divengono   cosi'
utilizzabili ai sensi degli articoli 511 e  seguenti  del  codice  di
procedura penale. 
    Cio' consente di rilevare che la prova riposa tutta  sugli  esiti
di una perquisizione, domiciliare eseguita dalla polizia  giudiziaria
in forza di propalazioni provenienti da una fonte confidenziale. 
    Il presente processo vede l'imputato accusato del  reato  di  cui
all'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309/1990,
per aver detenuto presso la propria abitazione le piante di marijuana
ivi scoperte a seguito di perquisizione domiciliare eseguita ex  art.
103 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990  ed
autorizzata oralmente dal pubblico ministero, sebbene, come si  legge
nell'informativa di reato, gli  elementi  posti  a  fondamento  della
richiesta risiedessero in quanto riferito da una fonte confidenziale. 
    L'imputato non veniva arrestato, non e'  stato  interrogato,  ne'
risulta in alcun modo aver ammesso la detenzione o coltivazione delle
piante contenenti - come da ct in atti  -  principio  attivo  THC  in
percentuale utile ad avere efficacia stupefacente tale da consentire,
da un campione di soli grammi 3 consegnato al CT, di  ricavare  circa
sei dosi. 
    La  prova  della  responsabilita'  dell'imputato  poggia   quindi
esclusivamente sugli esiti della perquisizione eseguita presso la sua
abitazione. 
    Non risulta monitorata alcuna attivita' di acquisto o  detenzione
di  sostanze  stupefacenti  da  parte  dell'imputato;  non  vi   sono
intercettazioni o servizi di osservazione  che  documentino  ne'  che
l'imputato frequentasse soggetti noti per rifornire i dettaglianti di
sostanze psicotrope, ne' che egli frequentasse tossicodipendenti  con
modalita' sospette, ne'  che  detenesse  sostanza  stupefacente,  ne'
tanto  meno  che  la  cedesse  a  terzi;  ciononostante,  la  polizia
giudiziaria procedette a perquisizione domiciliare ponendo a base  di
tale atto l'art. 103 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
309/1990, senza peraltro esplicare quali fossero gli elementi atti  a
giustificare - come imposto da tale norma -  il  «fondato  motivo  di
ritenere che» potessero «essere  rinvenute  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope»  ma,  semplicemente,  apoditticamente   affermandone   la
ricorrenza; il pubblico ministero venne informato  preventivamente  e
verosimilmente autorizzo' oralmente l'atto ma, poiche' l'art. 103 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 non ne  prevedeva
espressamente la necessita' per il caso in cui il pubblico  ministero
avesse rilasciato un'autorizzazione orale, e  non  essendo  all'epoca
ancora   intervenuta   la   sentenza   n.   252/2020   della    Corte
costituzionale, il pubblico ministero non ha emesso provvedimento  di
convalida della perquisizione, ed ha convalidato solo il  conseguente
sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria. 
    Inoltre, l'imputato non risulta aver mai processualmente  ammesso
la detenzione della sostanza  stupefacente,  o  che  essa  sia  stata
rinvenuta nell'abitazione da lui occupata. 
    Concludendo, l'unico elemento di prova a carico dell'imputato  e'
costituito  da   quanto   rinvenuto   (la   sostanza   stupefacente),
nell'abitazione da lui occupata, in occasione della perquisizione ivi
eseguita fuori dei  casi  di  flagranza:  situazione  che  la  stessa
sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  252/2020  ricorda   dover
ricorrere ex ante, dato che deve  fungere  da  causa  giustificatrice
preventiva  dell'esercizio  di  poteri  riconosciuti   alla   polizia
giudiziaria  solo  in  via  eccezionale,  come  peraltro  gia'  aveva
statuito la Corte di Cassazione a sezioni unite con la nota  sentenza
n. 39131 del 24 novembre 2015, che ha precisato che  «E'  illegittimo
l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria  sulla  base
delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza
del fatto, poiche', in tale ipotesi, non sussiste  la  condizione  di
"quasi flagranza", la  quale  presuppone  la  immediata  ed  autonoma
percezione, da parte di chi proceda  all'arresto,  delle  tracce  del
reato e del loro collegamento  inequivocabile  con  l'indiziato»;  di
talche' appare  assolutamente  ovvio  che  non  puo'  essere  l'esito
positivo della perquisizione a fungere da giustificazione  della  sua
esecuzione ad opera della polizia giudiziaria. 
    Poiche' gli articoli 13 e  14  della  Costituzione  assegnano  il
potere di procedere atti di limitazione della liberta' personale (nei
quali  ricomprende  le  ispezioni  e   perquisizioni   personali)   e
domiciliare ai casi previsti dalla legge ed ha provvedimento motivato
dell'autorita' giudiziaria, quali forme di garanzia dell'effettivita'
di tali liberta' costituzionali; e riconosce alla polizia  il  potere
di procedere ad atti dello stesso genere  solo  nelle  situazioni  di
necessita' ed urgenza tassativamente indicate dalla legge, prevedendo
altresi' che tali atti si intendano revocati e perdono ogni efficacia
ove non convalidati dall'autorita' giudiziaria, il  Tribunale  si  e'
posto e pone il problema, perche'  di  assoluta  rilevanza,  ai  fini
della decisione, della questione relativa  all'utilizzabilita'  degli
esiti di una perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la legge ne
attribuisca il potere alla polizia giudiziaria, atteso che la perdita
di efficacia prevista dagli articoli  13  e  124  della  Costituzione
appare dover  essere  quella  di  natura  probatoria,  essendosi  gli
effetti limitativi della liberta' personale (o  domiciliare),  propri
della perquisizione, esauritisi col compimento dell'atto, e gli unici
altri effetti ipotizzabili, di cui la carata  Costituzionale  prevede
l'inefficacia, non possono che essere quelli probatori. 
    Il veicolo processuale per far valere tale  inefficacia  dovrebbe
essere la categoria dell'inutilizzabilita' di cui  all'art.  191  del
codice di procedura penale,  ma  la  giurisprudenza  di  legittimita'
pressocche' monoliticamente dominante e' invece di  segno  contrario,
creando cosi' un diritto vivente contro il quale  l'unico  rimedio  a
disposizione del giudice, per ristabilire il rispetto costituzionale,
anche in sede  processuale,  dei  diritti  di  liberta'  personale  e
domiciliare, non puo' che essere la questione di  incostituzionalita'
del predetto art. 191 del codice  di  procedura  penale,  cosi'  come
interpretato ed applicato nel diritto vivente. 
2. - Il diritto vivente 
    Come si e' accennato, la lettura  dell'art.  191  del  codice  di
procedura penale  che  questo  Tribunale  ritiene  costituzionalmente
corretta e' pero'  contrastata  dal  diritto  vivente  offerto  dalla
costante giurisprudenza di legittimita', che nega l'inutilizzabilita'
probatoria degli esiti di una perquisizione illegittima. 
    A tal proposito, il remittente ha richiamato, e richiama ancora a
fondamento del diritto vivente che si intende  sottoporre  al  vaglio
della Corte costituzionale con l'eccezione che  si  va  a  sollevare,
l'insegnamento espresso dalle della Corte  di  cassazione  sin  dalla
sentenza 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto la piena utilizzabilita'
probatoria degli esiti delle perquisizioni e sequestri eseguiti dalla
polizia giudiziaria al di fuori dei casi previsti  dalla  legge,  pur
prendendo  le  mosse   da   statuizioni   di   principio   di   segno
apparentemente opposto alle conclusioni finali. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  sezioni  unite  della
Suprema Corte di cassazione (svolgendo un'argomentazione  di  cui  la
sentenza della Corte costituzionale n. 219/2019 non si  e'  occupata)
hanno in primo luogo affermato a chiare lettere che la conseguenza di
un'attivita' di illecita acquisizione della  prova,  nello  specifico
una perquisizione illegittima, non puo'  limitarsi  a  mere  sanzioni
amministrative,  disciplinari  o  penali  nei  confronti  dell'autore
dell'illecito, ma deve  comportare  l'inutilizzabilita'  della  prova
stessa, statuendo che: «non e' certamente difficile  riconoscere  che
allorquando   una   perquisizione   sia   stata   effettuata    senza
l'autorizzazione del  magistrato  e  non  nei  "casi"  e  nei  "modi"
stabiliti  dalla  legge,  cosi'  come  disposto  dall'art.  13  della
Costituzione, si e' in presenza di un mezzo di  ricerca  della  prova
che non e' piu' compatibile con la tutela del diritto di liberta' del
cittadino,    estrinsecabile     attraverso     il     riconoscimento
dell'inviolabilita' del domicilio. L'illegittimita' della ricerca  di
una prova, pur quando non assuma le dimensioni dell'illiceita' penale
(cfr. art. 609 del codice penale),  non  puo'  esaurirsi  nella  mera
ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del  diritto  soggettivo,
come   presupposto   per   l'eventuale   applicazione   di   sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati  gli
autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto  di  investigazione
diretta, e' il  mezzo  piu'  idoneo  per  la  ricerca  di  una  prova
preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso  procedimento
acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone
tra la ricerca e la scoperta di cio' che  puo'  essere  necessario  o
utile ai fini della indagine: nessuna prova, diversa  da  quelle  che
possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere
acquisita al processo se una sua ricerca non  sia  stata  compiuta  e
questa non abbia avuto esito positivo. 
    Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca  di  una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per
se'  stessa  sottratta  alla   materiale   possibilita'   di   essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
    Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non  e'
esauribile  nell'area  riduttiva  di   una   mera   consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr. sez.1 - 17 febbraio 1976 ric. C  ...;  sez.  VI  -  23
gennaio 1973 ric. E ...; sez.V - 24 novembre 1977 ric. M ...; sez.  1
- 15 marzo 1984 ric. Z ...; sez. VI - 24 aprile 1991 ric. L ...; sez.
V - 12 gennaio 1994 ric. V ...;  la  perquisizione  non  e'  soltanto
l'antecedente cronologico del sequestro, ma rappresenta lo  strumento
giuridico che rende possibile il ricorso al sequestro.» 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra  la  perquisizione,  quale  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
        «La  stessa  utilizzabilita'  della  prova  e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto finzionale esistente tra  perquisizione
e sequestro: l'art. 252 del codice  di  procedura  penale  impone  il
sequestro delle «cose rinvenute  a  seguito  della  perquisizione»  e
l'art. 103, comma settimo, dello stesso codice espressamente sancisce
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  perquisizioni  allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle  particolari  garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter  esercitare  congruamente
il diritto di difesa. E non si vede  perche'  a  diverse  ed  opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una  perquisizione  sia  stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano,  in  concreto,  l'attuazione  di  quella  ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13, comma secondo, della Costituzione: si tratta pur sempre
di un  procedimento  acquisitivo  della  prova  che  reca  l'impronta
ineludibile della subita lesione ad un  diritto  soggettivo,  diritto
che, per la sua rilevanza costituzionale,  reclama  e  giustifica  la
piu' radicale sanzione di cui l'ordinamento processuale , dispone,  e
cioe' l'inutilizzabilita' della prova cosi' acquisita  in  ogni  fase
del procedimento.» 
    Il prosieguo della statuizione della Suprema Corte  si  risolveva
peraltto, ed alquanto sorprendentemente  (considerate  le  premesse),
nella pratica vanificazione della portata  di  tali  principi  appena
enunciati; continuava  infatti  detta  sentenza  affermando  comunque
valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse ad oggetto
il corpo del reato o cose pertinenti al reato;  pertanto,  di  fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini  probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo  ne'  al  corpo
del reato, ne' a cose  pertinenti  al  reato;  affermava  infatti  la
Suprema Corte a sezioni unite: 
        «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a  quel  sequestra  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un «atto dovuto»,  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Va osservato che,  comunque,  le  predette  sezioni  unite  della
Corte,  affermata  la  legittimita'  del  sequestro,  quale  atto  di
sottrazione  a  terzi  della  disponibilita'  di  una  res,   e   sua
acquisizione  al  processo,  sembravano  voler  lasciare  aperta   la
possibilita'  di  conseguenze  sul  piano  probatorio,  nel  caso  di
perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la legge la consentisse,
osservando: 
        «Con cio' non si intende affatto affermare che l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   leza   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253, comma 1, del codice di procedura penale, gli aspetti strumentali
della ricerca, pur rimanendo partecipi del  procedimento  acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un  obbligo
giuridico che trova la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso
ordinamento  processuale  ed  ha  una  sua  razionale  ed   appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia  giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente  legati
al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o  no  -  in
cui egli si trovi ad operare» . 
    Tali   statuizioni   avrebbero   potuto,    quindi,    risolversi
nell'asserzione della  legittimita'  del  sequestro,  ferma  restando
pero' la inutilizzabilita' probatoria della perquisizione, quale atto
di indagine caratterizzato da un preciso contesto spazio temporale di
acquisizione della «res» ed  atto  ad  individuare  una  relazione  -
carica di valenze probatorie - tra di essa ed il soggetto perquisito;
ma le sezioni unite, invece, concludevano osservando che  gli  agenti
di polizia giudiziaria avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti
della perquisizione, ferma restando l'inutilizzabilita'  di  essa  in
quanto tale (e cioe', par di capire, con inutilizzabilita'  solo  del
verbale che ne documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). 
    Da tale arresto delle sezioni unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che si  e'  ancorata,  apparentemente,  unicamente
alla massima tratta dalla predetta sentenza circa la legittimita'  ed
utilizzabilita'   a   fini   probatori   del   sequestro,   rimanendo
apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei  principi  affermati
dalle stesse sezioni unite nella prima - e piu' consistente  -  parte
della propria statuizione, e che probabilmente avrebbero meritato una
riflessione e sviluppo su possibili ulteriori  esiti  interpretativi:
come, ad  esempio,  quello  che  volesse  limitare  l'utilizzabilita'
probatoria del sequestro alla res in quanto  tale,  cioe'  nella  sua
materiale idoneita' a provare la sussistenza del fatto (si  pensi  al
rinvenimento di un'arma o di sostanza stupefacenti, idonei a  provare
i reati di detenzione illecita di  tali  oggetti)  ed  a  fungere  da
eventuale supporto di tracce di' reato (impronte digitali,  materiale
biologico suscettibile di  comparazione  del  DNA)  aventi  carattere
individualizzante:  interpretazione,  questa,  sostenuta  da   questo
giudice in precedenti procedimenti,  ma  non  condivisa  dai  giudici
competenti per i successivi gradi, che si sono  sempre  rimessi  alla
giurisprudenza che  si  e'  richiamata  e  che  delle  citate sezioni
unite coglieva,   sostanzialmente,   solo   quanto   risultante   dal
dispositivo e dalla massima. 
    Come si e' detto, la' successiva giurisprudenza  di  legittimita'
si  e'  monoliticamente  assestata  su  tali  esiti   interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano,  a  titolo  di  esempio  e  senza  pretesa  di
esaustivita', ed in assenza di pronunzie di segno contrario,  che  lo
scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
        sezione 3, ordinanza n. 3879 del 14 novembre 1997; sezione 1,
sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, sezione 5, sentenza n. 6712 del
7 dicembre 1998, sezione 3, sentenza  n.  1228  del  17  marzo  2000,
sezione 4, sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, sezione 6, sentenza n.
3048 del 3 luglio 2000, sezione 2, sentenza n. 12393  del  10  agosto
2000, sezione 1, sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, sezione  1,
sentenza n. 41449 del 2 ottobre 2001, sezione 1, sentenza n. 497  del
5 dicembre 2002, sezione 5, sentenza n. 1276 del  17  dicembre  2002,
sezione 2, sentenza n. 26685 del 14 maggio 2003, sezione 2,  sentenza
n. 26683 del 14 maggio 2003, sezione 1,  sentenza  n.  18438  del  28
aprile 2006, sezione 2,  sentenza  n.  40833  del  10  ottobre  2007,
sezione 6, sentenza n. 37800 del 23 giugno 2010, sezione 1,  sentenza
n. 42010 del 28 ottobre 2010, sezione 2, sentenza  n.  31225  del  25
giugno 2014, sezione 3,  sentenza  n.  19365  del  17  febbraio  2016
(quest'ultima   addirittura   nel   senso   della   legittimita'   di
perquisizioni  ordinate  od  eseguite  in   forza   di   sole   fonti
confidenziali), sezione 2, sentenza n. 15784 del  23  dicembre  2016,
sezione 5, sentenza n. 32009 dell'8 marzo 2018. 
3. - Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - sintesi 
    In merito questo giudicante ha pertanto gia' piu' volte sollevato
questione di illegittimita' costituzionale  (per  contrasto  con  gli
articoli 3, 13, 14, 24, 117 della Costituzione) del  diritto  vivente
formatosi attorno all'art. 191 del codice di  procedura  penale,  che
non  ritiene   inutilizzabili   probatoriamente   gli   esiti   delle
perquisizioni operate dalla polizia giudiziaria fuori dei casi in cui
la legge glielo consente, nonostante che: 
        gli  articoli  13  e  14  della  Costituzione   espressamente
prevedano la  perdita  di  ogni  efficacia  (compresa  quindi  quella
probatoria) dei provvedimenti - tra  gli  altri  -  di  perquisizione
operati illegittimamente dalla polizia giudiziaria; 
        venga violato il principio  di  eguaglianza  che  impone  che
situazioni tra di loro  analoghe  siano  oggetto  di  discipline  non
irrazionalmente difformi, atteso che per le  perquisizioni  e'  cosi'
adottata una disciplina meno favorevole per  l'imputato  e  di  minor
tutela dei suoi diritti costituzionali  rispetto  a  quella  prevista
dall'art.  271  del  codice   di   procedura   penale   che   prevede
l'inutilizzabilita'  probatoria  delle  intercettazioni  illegittime,
nonostante queste ledano un diritto costituzionale, quale quello  del
diritto alla segretezza e riservatezza della corrispondenza, di minor
grado ed importanza rispetto a  quello  della  liberta'  personale  e
domiciliare; 
        l'interpretazione consolidatasi si pone inoltre in  contrasto
con l.'art. 8 della Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,  e
quindi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione che impone allo
Stato italiano  il  rispetto  delle  convenzioni  internazionali,  in
quanto si risolve nel non adottare efficaci disincentivi  agli  abusi
delle forze di polizia, e di qualsiasi organo dello Stato in  genere,
che, limitando la liberta' della persona, si  risolvano  in  indebite
interferenze  nella  sua  vita  privata  o  nel  suo  domicilio,  non
giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o  repressione  dei
reati (vennero  richiamate  le  sentenze  Corte europea  dei  diritti
dell'uomo 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, nonche', la piu' recente
sentenza emessa  in  data  27  settembre  2018  dalla  prima  sezione
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali nel caso Brazzi contro Italia; 
        infine, si osservava come l'interpretazione divenuta  diritto
vivente ponesse anche gravi problemi quanto a tutela del  diritto  di
difesa, atteso che perquisizioni eseguite dalla  polizia  giudiziaria
fuori dei casi previsti dalla legge, perche' in  forza  di  indizi  o
ragioni mai  concretamente  esplicitati  e  senza  indicazione  delle
specifiche fonti, ne impedisse ogni  verifica  e  controllo  (sia  da
parte del giudice, che della difesa) e quindi anche  la  possibilita'
di dimostrare la possibilita' che fossero state le fonti propalatrici
a  nascondere  le  «res  illicite»  tra  gli  effetti   personali   o
nell'abitazione dell'imputato. 
    La Corte costituzionale ha reiteratamente respinto - dapprima con
la sentenza n. 219/2019, di poi con la  sentenza  n.  252/2020  -  le
eccezioni  sollevate  in  tema   di   inutilizzabilita'   da   questo
giudicante, pur accogliendo  -  con  la  sentenza  n.  252/2020,  per
l'appunto - la questione  accessoria  relativa  alla  illegittfluita'
costituzionale dell'art. 103 decreto del Presidente della  Repubblica
n. 309/1990, nella parte in cui prevede  che  il  pubblico  ministero
possa, dopo aver autorizzato oralmente una perquisizione, omettere un
atto formale (che la Corte ha ritenuto  di  poter  individuare  nella
convalida  della  perquisizione)  di   esposizione   degli   elementi
giustificativi    della    perquisizione;    quanto    al    problema
dell'inutilizzabilita'  delle   prove   acquisite   in   esito   alla
perquisizione illegittima, anche con tale ultima sentenza la Corte ha
ribadito che - come gia' aveva affermato con la sentenza n.  219/2019
- l'eccezione non poteva essere accolta, perche' si  sarebbe  risolta
in una pronunzia fortemente manipolativa,  atteso  che  l'ordinamento
italiano non accoglie la disciplina della inutilizzabilita' derivata,
espressione della c.d. «teoria dei  frutti  dell'albero  avvelenato».
Per tale assorbente ragione, la Corte non aveva considerato le  altre
questioni sollevate, ed  in  particolare  aveva  ritenuto  assorbente
quella relativa al contrasto con l'art. 117  della  Costituzione  per
violazione dell'art. 8 della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  come  vivente
nell'interpretazione  espressa  dalla  Corte  europea   dei   diritti
dell'uomo. 
4. - Le nuove questioni - sintesi 
    Ritiene il Tribunale di poter e  dover  offrire  nuovi  argomenti
alla Corte, proprio sul tema della  «teoria  dei  frutti  dell'albero
avvelenato»,  rinvenendosi   nell'ordinamento   dati   testuali   che
dimostrano, a parere di questa A.G. remittente,  che  tale  istituto,
oltre ad essere implicitamente previsto proprio dagli articoli  13  e
14 della Costituzione (nella parte in cui prevedono che gli  atti  di
perquisizione  non  convalidati  perche'  illegittimi  perdano   ogni
efficacia che,  rispetto  ad  atti  conclusisi  -  nei  loro  effetti
limitativi della liberta' personale - col loro compimento,  non  puo'
che essere quella probatoria), conosce  anche  almeno  una  esplicita
applicazione processuale,  nell'art.  103  del  codice  di  procedura
penale  (che  prevede   l'inutilizzabilita'   dei   risultati   delle
ispezioni, perquisizioni, sequestri ed intercettazioni eseguite senza
il rispetto delle norme stabilite da detto  articolo,  e  che  questo
Tribunale ancora non aveva utilizzato come «tertium  comparationis»),
a tutela del diritto dostituzionale di difesa; sarebbe poi del  tutto
irrazionale, e quindi in violazione dell'art. 3  della  Costituzione,
un sistema normativo che assicurasse ai  diritti  strumentali  (quali
quello di difesa  di  cui  all'art.  24  della Costituzione  e  nella
disciplina di cui all'art. 103 del codice  di  procedura  penale  per
quel che qui interessa) una tutela di rango maggiore e piu'  efficace
(per il tramite della sanzione della inutilizzabilita' dei  risultati
delle perquisizioni illegittime) di quella invece apprestata a tutela
delle  situazioni  sostanziali  preminenti  quali  il  diritto   alla
liberta'  personale  ed  alla  liberta'  domiciliare  sanciti   dagli
articoli 13 e 14 della Costituzione. 
    Il  diritto  vivente  formatosi  sull'art.  1912  del  codice  di
procedura penale risulta poi integrare  una  violazione  dell'art.  2
della Costituzione e del principio  di  effettivita'  delle  garanzie
costituzionali, immanente alla previsione di una  tutela  data  dalla
Costituzione (articoli 2), dalla circostanza che questa sia la  legge
fondamentale dello Stato cui tutti devono osservanza (art. 54,  comma
1, della Costituzione) e che non puo' essere violata da  altre  leggi
ordinarie  (desumi  da  articoli  134,  comma  l,  e  136,  comma  1,
della Costituzione); principio di effettivita'  che  e'  poi  proprio
(secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo)
anche delle garanzie previste  dalle  convezioni  internazionali  (in
primis  la  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali) e che, per quel che riguarda
il caso presenta, interessa gli articoli 6  ed  8  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, cui lo Stato ha il dovere Costituzionale (ex  art.  117
della Costituzione) di prestare osservanza. 
    Appare poi a  questo  giudicante  evidente  che  ogni  disciplina
normativa, ivi compresa quella processuale, la  quale  riconosca,  ad
una  attivita'  illecitamente  compiuta  in  violazione  di   diritti
costituzionali  altrui,  l'idoneita'  a  produrre  effetti  giuridici
favorevoli a chi detta violazione abbia compiuto ed in danno  di  chi
l'abbia   subita,   non   presta   adeguata   garanzia   ai   diritti
costituzionali che pur astrattamente riconosce. 
    A tal proposito va osservato che  gia'  le  sezioni  unite  della
Corte di cassazione, con la richiamata sentenza  5021  del  27  marzo
1996, avevano osservato che la garanzia di effettivita' della  tutela
della liberta' personale  e  domiciliare  da  atti  di  perquisizione
indebita non puo' essere garantita solamente  da  una  sterile  presa
d'atto dell'avvenuta  violazione  e  dalla  previsione  di  eventuali
responsabilita' penali o  disciplinari  degli  operatori  di  polizia
giudiziaria, asserendo che: «L'illegittimita' della  ricerca  di  una
prova, pur quando non assuma  le  dimensioni  dell'illiceita'  penale
(cfr. art. 609 del codice penale),  non  puo'  esaurirsi  nella  mera
ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del  diritto  soggettivo,
come   presupposto   per   l'eventuale   applicazione   di   sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati  gli
autori» . 
    Va quindi osservato che pero',  di  fatto,  a  parte  la  teorica
responsabilita' disciplinare o penale per  le  perquisizioni  abusive
eventualmente non convalidate, evenienza peraltro piuttosto teorica e
concretamente  rara,  le  forze  di  polizia  possono  contare  sulla
potenziale   fruttuosita'   processuale   di   qualsiasi   atto    di
perquisizione vadano a compiere, legale o illegale che sia,  di  modo
che la Repubblica, in forza del  diritto  vivente  formatosi  attorno
all'art.  191  del  codice  di procedura  penale,  non  appresta  una
efficace garanzia a tutela dei diritti  costituzionali  di  cui  agli
articoli  13  e  14  della  Costituzione.  Cio'  integra  una  palese
violazione dell'art. 2 della Costituzione, il quale  prevede  che  la
Repubblica non solo  riconosca,  ma  altresi'  garantisca  i  diritti
inviolabili della persona, tra i quali sicuramente  rientrano  quelli
previsti dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, i  quali  infatti
espressamente  definiscono  i  diritti  di   liberta'   personale   e
domiciliare come inviolabili. 
    Ne  consegue  che  le  questioni  gia'   ritenute   dalla   Corte
insuperabilmente assorbite nella ritenuta natura  manipolativa  della
pronuncia richiesta dal remittente, risultano riacquistare  rilevanza
e necessitare di una valutazione di merito. 
    Cio'  vale,  in  particolare,  secondo  questo   Tribunale,   con
specifico  riferimento  alla  questione  relativa   alla   violazione
dell'art. 117 della  Costituzione  con  riferimento  alla  violazione
dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  quale  interpretato  dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo,  la  quale
ripetutamente  ha  affermato  che  le  tutele  nazionali  ai  diritti
tutelati dalla Convenzione debbano essere effettive e tali da rendere
reali  e  praticamente  tutelati,  e  non  meramente  illusori,  tali
diritti.  Tale  questione  va  affrontata  anche  perche'  la   Corte
costituzionale, con la citata sentenza n. 252/2020, ha - ovviamente -
confermato la  particolare  rilevanza  costituzionale  del  controllo
giudiziale sulla legittimita' degli atti di perquisizione,  lasciando
pero' irrisolta la questione relativa alle conseguenze dell'omissione
della   convalida   della   perquisizione,   o   del   suo   rigetto,
sull'utilizzabilita' del materiale probatorio acquisito  grazie  alla
perquisizione non convalidata: conseguenze che, necessariamente, deve
ritenersi che la stessa  Corte  costituzionale  abbia  implicitamente
condiviso debbano esservi, atteso che quella della  inutilizzabilita'
probatoria  degli  esiti  delle  perquisizioni  non  convalidate  era
l'unica ragione di rilevanza della questione  di  incostituzionalita'
individuata dal giudice rimettente e  quindi  idonea  a  radicare  la
cognizione della Corte stessa. 
     Ed invero, sintetizzando cio' che meglio oltre si osservera', il
Tribunale ritiene che l'art. 191  del  codice  di  procedura  penale,
nella lettura offertane dal diritto vivente, sia in contrasto con gli
articoli 13 e 14 della Costituzione, proprio perche' non accoglie  la
«teoria dei frutti dell'albero avvelenato» che, invece, appare essere
espressamente  considerata  dalle  suddette   norme   costituzionali;
tant'e' che, non a caso, il diritto  processuale  penale  ne  prevede
almeno un'ipotesi espressamente disciplinata dall'art. 103 del codice
di  procedura  penale,   che   sanziona   proprio   in   termini   di
inutilizzabilita'  ogni  acquisizione  probatoria  (ivi  compresi  «i
risultati delle  ispezioni  e  perquisizioni»)  della  corrispondenza
(tramite sequestro o  anche  solo  presa  di  cognizione  per  quella
consistente in messaggi scritti o telematici; tramite intercettazione
per le  conversazione  telefoniche  o  ambientali)  tra  difensore  e
imputato  compiuta  presso  gli  studi  dei  difensori,  «salvo   che
l'autorita' giudiziaria abbia  fondato  motivo  di  ritenere  che  si
tratti  del  corpo  del  reato»  (valutazione  da   compiersi,   deve
ritenersi,  essendo  una  condizione  di  legittimita'  dell'atto  di
ispezione o perquisizione, ex ante, e non ex post). 
    Questo Tribunale ritiene cioe' di dover risollevare la  questione
davanti alla  Corte  costituzionale  prendendo  le  mosse  da  quanto
statuito dalla Corte con la sentenza n.  252/2020,  e  rinvenendo  in
essa nuovi spunti argomentativi, confermati peraltro  dall'esistenza,
nella disciplina dettata dall'art. 103 del codice di procedura penale
-  norma  finora  mai  evocata  da  questo  Tribunale  come  «tertium
comparationis»  (pur  essendo  contemplata  nella  motivazione  della
sentenza della Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 5021  del
27 marzo 1996) - una concreta applicazione  del  c.d.  principio  dei
«ftutti dell'albero avvelenato», tale da indurre a ritenere che  esso
sia  implicito  al  sistema  processuale,  e   che   sia   necessario
risottoporre alla Corte il tema della  compatibilita'  della  vigente
disciplina dell'art. 191 del codice di procedura penale (nel  diritto
vivente) con quanto statuito dall'art. 8 Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
questione, gia' ripetutamente evocata  da  questo  Tribunale  per  il
contrasto con l'art. 117 della Costituzione,  che  la  Corte  con  le
citate  sentenze  non  ha  affrontato   ritenendola   assorbita   dal
prevalente rilievo che la teoria dei «frutti dell'albero  avvelenato»
sarebbe estranea all'ordinamento italiano. 
    Il  diritto  vivente  formatosi  sull'art.  191  del  codice   di
procedura penale risulta cosi' non solo in contrasto diretto con  gli
articoli  13  e  14  Costituzione,  ma  anche  con  l'art.  3   della
Costituzione,  perche'  sottopone  ad  un   trattamento   palesemente
difforme da quello previsto dall'art. 103  del  codice  di  procedura
penale, i risultati delle perquisizioni operate presso l'abitazione o
sulla persona del diretto interessato in violazione dei suoi  primari
diritti costituzionali di liberta' personale  e  domiciliare,  mentre
invece  sanziona  con   l'inutilizzabilita'   probatoria   dei   suoi
risultati, quelle eseguite presso il titolare del diritto  di  difesa
tecnico, che e' tuttavia diritto strumentale - e quindi accessorio se
non addirittura servente  -  rispetto  a  quello  sostanziale  (della
tutela della liberta' dell'imputato, in primis) di cui e'  strumento:
cosi' irrazionalmente offrendo alla tutela del diritto principale una
tutela inferiore rispetto a quella garantita al  diritto  strumentale
ed accessorio. 
    Con la presente  ordinanza,  questo  Tribunale  intende  pertanto
sottomettere nuovamente alla Corte costituzionale le  questioni  gia'
sollevate, ovviamente utilizzando argomentazioni ulteriori a sostegno
di quelle parziali gia' esaminate dalla Corte costituzionale  con  le
precedenti  pronunzie  (una  delle  quali,  peraltro,   di   parziale
accoglimento),  e  prendendo  peraltro   le   mosse   anche   proprio
dall'ultima di tali  pronunzie;  e'  tuttavia  ovviamente  necessario
ripercorrere l'intero spettro delle  argomentazioni  gia'  sollevate,
atteso che e' la loro sinergia a rendere manifesta,  a  parere  dello
scrivente,  l'illegittimita'  costituzionale  del   diritto   vivente
formatosi attorno all'art. 191 del codice di procedura penale,  quale
consolidatosi in  numerosissime  pronunzie  della  Suprema  Corte  di
cassazione   costantemente   orientate   a    ritenere    la    piena
utilizzabilita'  degli  esiti  probatori   di   tali   perquisizioni,
cristallizzando nel tempo  l'insegnamento  ricavato  dalla  Corte  di
cassazione sezioni unite, sentenza 5021 del 27  marzo  1996  che,  in
realta', avrebbe consentito piu' articolate interpretazioni. 
4.1 - Il contrasto con gli articoli 13, 14 e 111 della Costituzione 
    Il  diritto  vivente  formatosi  sull'art.  191  del  codice   di
procedura  penale  non  appare,  a  giudizio  di  questo  giudicante,
conforme in primo luogo agli articoli 13 e 14 della Costituzione. 
    Invero,  l'art.  13  della Costituzione  (richiamato,  quanto   a
garanzie e forme ivi previste, dall'art.  14  della  Costituzione  in
tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri eseguite nel  domicilio)
prescrive che ogni atto di limitazione della liberta' personale - tra
i quali  annovera  non  solo  l'arresto  o  il  fermo,  ma  anche  le
perquisizioni e le ispezioni  personali  -  sia  riservato  ad  «atto
motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e  modi  previsti
dalla legge»; la norma costituzionale introduce quindi una riserva di
legge e di provvedimento (motivato) dell'Autorita'  giudiziaria,  cui
puo' derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso
che la norma prosegue prevedendo che solo  «in  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,   indicati   tassativamente   dalla   legge,
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'   adottare   provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita' giudiziaria  e,  se  questa  non  li,  convalida  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni efficacia». 
    L'art. 14 della Costituzione estende agli atti  di  perquisizione
domiciliare le garanzie dettate per le  perquisizioni  personali,  in
considerazione   della   primaria   importanza    che    la    tutela
dell'inviolabilita'  del  domicilio   assume   quale   strumento   di
protezione della sfera spaziale in cui si svolge l'abituale esercizio
di fondamentali diritti della  persona;  tutela  costituzionalizzata,
per il tramite dell'art. 117 della Costituzione (cfr. sentenze  della
Corte costituzionale nn. 348 e 349/2007),  anche  dall'art.  8  della
Carta europea dei diritti dell'uomo, che sancisce  il  diritto  della
persona al rispetto del proprio domicilio - oltre che  della  propria
vita  privata  e  famigliare  -  anche  dalle  ingerenze   pubbliche,
legittime solo se previste dalla legge e necessitate da  esigenze  di
(per quel che qui interessa) difesa  dell'ordine  e  prevenzione  dei
reati. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal Legislatore costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime -  da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario,  dall'obbligo  che  quest'ultima   provveda   con   atto
motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita'  ed  urgenza,  che  spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono  titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito  un  potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in  caso
di mancata  convalida  da  parte  dell'A.G.  con  provvedimento  che,
sebbene   cio'   non   sia   espressamente   previsto   dalla   norma
costituzionale, deve ritenersi - come peraltro ha concordato anche la
Corte costituzionale con la  sentenza  n.  252/2020,  ritenendo  tale
obbligo implicito nell'art. 13 della Costituzione -  debba  anch'esso
essere motivato, dato che non  vi  e'  ragione  di  ritenere  che  il
Legislatore costituzionale, per l'ipotesi di particolare  delicatezza
costituzionale data della convalida (la cui  funzione  e'  verificare
che la polizia giudiziaria non  abbia  agito  in  tali  delicatissime
materie abusando dei propri poteri, fuori dei casi  in  cui  essi  le
sono riconosciuti), abbia voluto  esonerare  l'Autorita'  giudiziaria
dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti, che in  tema  di
atti  limitativi  della  liberta'  personale  gli  e'  specificamente
imposta dall'art. 13, comma 2, della Costituzione  (e  come  peraltro
previsto  gia'  in  via  generale  dall'art.  111,  comma  6,   della
Costituzione per tutti i provvedimenti giurisdizionali). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
della Costituzione anche al caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e
sequestri domiciliari, giusta il richiamo che tale norma  opera  alle
garanzie prescritte (dall'art. 13 della Costituzione) per  la  tutela
della liberta' personale. 
    Fondamento  comune  alle  eccezioni  sollevate  (e  che  qui   si
reiterano)  da  questo  Tribunale  era  ed  e'  quindi  la   ritenuta
necessita' che la disciplina processuale non si ponga d'ostacolo alla
piena operativita' delle garanzie stabilite dagli articoli  13  e  14
della Costituzione a tutela della liberta' personale  e  domiciliare:
garanzie tra le quali va  in  primo  luogo  annoverata  quella  della
perdita di efficacia (ivi compresa quella  probatoria,  che  per  gli
atti di perquisizione, esauritisi  questi  col  loro  compimento,  e'
l'unica efficacia di cui la norma costituzionale possa aver  disposto
la cessazione) degli atti di limitazione della liberta'  personale  e
domiciliare non convalidati nei termini di legge. 
    Tali  garanzie,  a  giudizio  del  remittente,  risultano  invece
frustrate dalla vigente disciplina  delle  inutilizzabilita'  di  cui
all'art. 191 del codice di procedura penale, che consente  -  secondo
il diritto vivente - l'utilizzabilita' probatoria di quanto acquisito
dalla polizia in occasione di una perquisizione  eseguita  fuori  dei
casi in cui la Costituzione lo consenta, o in  assenza  di  convalida
che la  effettiva  ricorrenza  di  tali  condizioni  abbia  realmente
verificato (con le caratteristiche di  effettivita'  implicite  negli
articoli 13 e 14 della Costituzione e nell'art. 8  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, come  sottolineato  dalla  menzionata  sentenza  Brazzi
contro Italia). 
    Peraltro, la perdita di efficacia probatoria delle  perquisizioni
illegittime (e per tale ragione da non convalidarsi) e' desumibile in
via diretta dagli articoli 13  e  14  della  Costituzione,  ai  quali
potrebbe darsi immediata applicazione se non fosse che la  norma  che
regola   l'istituto   dell'inutilizzabilita'   probatoria   in   sede
processuale, e cioe' l'art. 191 del codice di  procedura  penale,  e'
stato fatto oggetto di una diversa e piu' limitante lettura, in primo
luogo per la ritenuta  inesistenza,  nell'ordinamento,  dell'istituto
della inutilizzabilita' derivata. 
4.1.a - «...e restano privi  di  ogni  effetto»:  l'inutilizzabilita'
derivata dalla perdita di efficacia delle perquisizioni illegittime 
    Atteso che gli articoli 13 e 14 della Costituzione prevedono  che
le autorita'  di  polizia  possano  adottare  atti  limitativi  della
liberta' personale, tra  i  quali  e'  ricompresa  la  perquisizione,
nonche'  procedere  a  perquisizione  domiciliare,   solo   in   casi
eccezionali di necessita' ed urgenza  indicati  tassativamente  dalla
legge, deve conseguentemente ritenersi che, al di fuori di tali casi,
la perquisizione eseguita dagli  apparati  di  polizia  sia  illegale
perche' ad essi ne e' vietata l'esecuzione. 
    La legge ordinaria ha individuato tali situazioni eccezionali  di
necessita' ed urgenza, in via generale, nello stato di flagranza  del
reato. Va a tal proposito ricordato (e la Corte  costituzionale  gia'
con le sentenze 219/19  e  252/20  ha  condiviso  tale  assunto)  che
dall'art. 382 del  codice  di  procedura  penale  si  evince  che  la
situazione di flagranza - che legittima in via ordinaria  l'esercizio
del potere di perquisizione in capo alla  polizia  giudiziaria  -  e'
quella che si presenta allorche' la consumazione del reato cade sotto
la percezione degli organi di  p.g.,  ovvero  questi  scorgono  sulla
persona del reo tracce altamente significative che egli abbia  appena
commesso un delitto (cfr. ad es. quanto statuite dalla nota  sentenza
C. Cassazione SS. UU. n .  39131  del  24  novembre  2015  ,  che  ha
precisato che «E' illegittimo l'arresto in  flagranza  operato  dalla
polizia giudiziaria  sulla  base  delle  informazioni  fornite  dalla
vittima o da terzi nell'immediatezza  del  fatto,  poiche',  in  tale
ipotesi, non sussiste la condizione di "quasi  flagranza",  la  quale
presuppone la immediata ed  autonoma  percezione,  da  parte  di  chi
proceda all'arresto, delle tracce del reato e del  loro  collegamento
inequivocabile con l'indiziato») . 
    Sicche' cio'  che  viene  trovato  in  possesso  dell'imputato  a
seguito della perquisizione non puo' valere a legittimarla ex ante. 
    Proprio perche' la flagranza e' una situazione  che  deve  essere
percepibile e  il  risultare  ex  ante,  e  cio'  puo'  concretamente
frustrare le esigenze di prevenzione e repressione  dei  delitti,  il
legislatore ha introdotto tramite leggi speciali ulteriori altri casi
in cui all'autorita' di polizia e consentito  procedere  ad  atti  di
perquisizione anche fuori  dei  casi  della  flagranza  di  reato;  i
requisiti di necessita' ed urgenza sono  ancorati  dalla  legge  alla
finalita' di prevenzione e repressione di  particolari  categorie  di
reati ritenute particolarmente gravi, ed alla  ricorrenza  di  indizi
(ad es.: «notizia anche se per indizio» per l'art. 41 TULPS; «fondato
motivo» per l'art. 103 del decreto del  Presidente  della  Repubblica
n. 309 del  1990;  «atteggiamento  o  presenza  di  persone  che,  in
relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo non
appaiono giustificabili", quanto all'art. 4 della  legge  numero  152
del 1975) che, pur non  consistendo  in  una  patente  situazione  di
flagranza, sono indicative della probabilita' che sulla persona o nel
domicilio di taluno possano rinvenirsi cose di cui la legge vieta  il
porto o la detenzione. 
    Come si e' accennato, nel presente processo non sono  indicati  i
concreti elementi sulla cui base la  polizia  ha  ritenuto  di  dover
procedere a perquisizione; e' verosimile che si sia trattato di fonti
confidenziali  o  fonti  anonime,  ma  comunque  se   vanificata   la
possibilita' di operare una verifica circa 1'  effettiva  sussistenza
dei presupposti di legittimita' del sequestro di polizia , e la  loro
ricorrenza non puo' essere  ritenuta  solo  perche'  genericamente  e
fumosamente affermata dalle stesse forze di polizia. 
    La sentenza numero 252 del 2020  della  Corte  costituzionale  ha
chiarito che le esigenze di tutela della liberta' personale  e  della
liberta' domiciliare poste dagli articoli 13 e 14 della  Costituzione
valgono sia per le perquisizioni repressive  di  polizia  giudiziaria
sia per quelle preventive di polizia di sicurezza, e che pertanto non
e' giustificata alcuna differenza di disciplina quanto a tutela delle
suddette garanzie a seconda che si tratti di perquisizioni dell'uno o
dell'altro tipo. 
    Se cosi' e', deve ritenersi che i divieti di  utilizzabilita'  di
determinate fonti di prova parte  dal  codice  di  procedura  penale,
debbano  trovare  applicazione  anche  nel  caso   di   perquisizioni
disciplinate da leggi speciali; ne consegue che  ovviamente  le  voci
correnti nel pubblico, le fonti confidenziali, gli  scritti  anonimi,
nonche' ogni altra fonte di prova espressamente vietata dalla legge ,
non possono essere poste a fondamento della decisione di procedere  a
perquisizione; e perquisizioni che in forza di  tali  elementi  siano
state decise o disposte, e  comunque  eseguite,  non  possono  quindi
essere convalidate. 
    In relazione a tali perquisizioni, la stessa sentenza ha ribadito
l'importanza  del  controllo  giurisdizionale   circa   il   corretto
esercizio dei poteri che, in via solo e  del  tutto  eccezionale,  la
legge riconosce in materia alle forze di  polizia;  ed  ha  per  tale
ragione ritenuto l'illegittimita' costituzionale dell'art. 103, comma
3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990  nella
parte in cui non prevede che, nel caso in cui  la  perquisizione  sia
stata eseguita su autorizzazione orale del pubblico ministero, questi
non provveda a formalizzare le ragioni dell'atto con un provvedimento
scritto m che la  Corte  ha  individuato  nell'atto  di  convalida  ,
statuendo espressamente che esso debba essere motivato, atteso che la
garanzia che la motivazione offre in ordine  all'effettivo  esercizio
da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  dei  poteri  di  verifica   e
controllo sull'operato  della  polizia  giudiziaria,  e'  un  momento
essenziale dell'atto di convalida. 
    E tuttavia va ribadito che la convalida e' solo uno dei  passaggi
che realizza il sistema delle garanzie volute dalla Costituzione,  la
principale  delle  quali   e'   la   perdita   di   efficacia   delle
perquisizioni, ispezioni ed  altri  atti  limitativi  della  liberta'
personale compiuti fuori dei casi in cui la legge lo consente. 
    Per  la  precisione,  la  Costituzione  connette  la  perdita  di
efficacia alla  mancanza  della  convalida,  ma  cio'  ovviamente  e'
perche' il costituente ha immaginato che  una  autorita'  giudiziaria
indipendente non avrebbe mai convalidato  un  atto  limitativo  della
liberta' personale o  della  inviolabilita'  del  domicilio  compiuto
dalle forze di  polizia  fuori  dei  casi  in  cui  la  legge  glielo
consentisse. 
    Come si diceva, a tutela del sistema di garanzie cui si e'  fatto
cenno, l'art. 13 della Costituzione,  che  e'  sul  punto  richiamato
anche  dall'art.  14  in  tema  di  disciplina  delle   perquisizioni
domiciliari, prevede che laddove  i  provvedimenti  limitativi  della
liberta' personale o domiciliare compiuti  dalla  polizia  non  siano
comunicati all'autorita' giudiziaria entro quarantott'ore dalla  loro
esecuzione e da detta autorita'  convalidati  nelle  quarantotto  ore
successive, essi «restano privi di ogni effetto». 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  della
Costituzione tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la
liberta' personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione  che
voglia  limitare  la  previsione  costituzionale  della  «perdita  di
efficacia»  ai  soli   provvedimenti   soppressivi   della   liberta'
personale,  quali  l'arresto  ed  il  fermo,  atteso  che  l'art.  13
della Costituzione   utilizza   una   formula   omnicomprensiva    (i
«provvedimenti provvisori» adottabili  dalla  p.g.)  che  a  tutti  i
provvedimenti da detta  norma  contemplati  risulta  riferirsi,  come
evincibile  anche  dalla  disciplina  adottata  dall'art.  14   della
Costituzione, che espressamente li richiama «nominatim»  («ispezioni,
perquisizioni o sequestri»)  prevedendone  l'adottabilita'  da  parte
della p.g. «secondo  le  garanzie  prescritte  per  la  tutela  della
liberta' personale» . 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro novantasei  ore  al  massimo  dalla  loro
esecuzione),  e'  solo  quella  che  attiene  alla   loro   capacita'
probatoria; la sanzione di perdita dell'efficacia equivale  quindi  a
quella - nel linguaggio che il codice di  procedura  repubblicano  ha
adottato quarant'anni dopo l'approvazione della Costituzione -  della
inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 del  codice  di  procedura
penale per le prove assunte in violazione di un divieto di legge. 
    Il legislatore costituzionale - la  cui  saggezza  e  competenza,
forgiate dalla dura esperienza della grave compressione  dei  diritti
di liberta' della persona e del  domicilio  operati  dalla  dittatura
fascista, non possono essere discussi - ha evidentemente  considerato
che qualsiasi atto di  limitazione  della  liberta'  personale  possa
avere degli effetti  pregiudizievoli  perduranti  nel  tempo,  ed  ha
inteso che essi venissero rimossi; non ha operato alcuna  distinzione
tra i vari atti di  limitazione  della  liberta'  personale,  e  deve
pertanto  ritenersi  che  tra  di  essi  abbia   chiaramente   inteso
Comprendere anche gli atti di ispezione e di perquisizione; ed  anche
rispetto a tali  atti  ha  considerato  che  ne  potessero  risultare
effetti pregiudizievoli ed ha voluto  che  questi  cessassero  quando
detti atti fossero stati compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei
limiti previsti dalla legge costituzionale e  dalle  leggi  ordinarie
che ad essa abbiano dato attuazione. 
    Poiche', rispetto ad atti di perquisizione o d'ispezione, l'unico
effetto  che  essi  possano  produrre  dopo  che  ne  e'  cessato  il
compimento, e' quello relativo alla valenza probatoria degli esiti di
tali atti, il Tribunale ritiene che dagli  articoli  13  e  14  della
Costituzione si  tragga  la  previsione,  per  via  diretta  e  senza
necessita'   di   mediazione   nella   norma    processuale,    della
inutilizzabilita'  degli  esiti  probatori  degli  atti  di   polizia
compiuti fuori dai casi in cui la legge attribuisce loro il potere di
farlo ed in cui, per tale  ragione,  detti  atti  non  devono  essere
convalidati. 
    Deve  quindi  considerarsi  che  la  valenza  probatoria  di  una
perquisizione consiste nel rinvenimento, indosso all'imputato o nella
sua abitazione, di cose che costituiscono il corpo del reato  o  sono
ad esse pertinenti. La distinzione concettuale tra perquisizione  che
e' mezzo di ricerca della prova, e sequestro del corpo  del  reato  o
cosa pertinente del reato, che  acquisiscono  al  processo  una  cosa
dotata di capacita' probatoria, gia' evidenziata dalle Sezioni  unite
della Cassazione nella piu' volte citata sentenza del 2006, non  puo'
razionalmente fungere  da  base  all'utilizzabilita'  probatoria  dei
risultati della perquisizione , che sono appunto dati dal  sequestro.
Come gia'  le  sezioni  unite  osservavano,  sebbene  concettualmente
distinti,  perquisizione  e  sequestro  formano  un  binomio  il  cui
scioglimento dissolve la prova, atteso che la cosa  in  se',  oggetto
del sequestro, prova al piu'  l'esistenza  di  un  reato,  ma  e'  la
relazione personale con l'imputato,  di  svelata  dagli  esiti  della
perquisizione,  che  permette  di  attribuire   quantomeno   in   via
indiziaria il reato all'imputato stesso. 
    Va  a  tal  proposito  osservato  che  la  perdita  di  efficacia
probatoria, quale inutilizzabilita' derivata  espressamente  prevista
dal legislatore costituzionale,  e'  logicamente  confermata  proprio
dalla sua coerenza con la  descritta  impostazione  circa  la  natura
composta della prova formata dal binomio perquisizione e sequestro. 
    Appare quindi da ritenersi che il legislatore costituzionale  non
abbia a caso parlato di perdita degli effetti anche a proposito della
perquisizione, ma anzi che avesse in mente appunto un meccanismo  che
colpisse di inutilizzabilita'  le  acquisizioni  probatorie  illegali
perche' compiute in  violazione  della  liberta'  personale  o  della
liberta' domiciliare. 
    La giurisprudenza formatasi sull'art. 191 del codice di procedura
penale  scioglie  tale  binomio  senza  coglierne  gli   effetti   di
dissoluzione della prova: poiche' il verbale di  sequestro  documenta
anche le circostanze  proprie  della  perquisizione,  e  su  di  esse
comunque si ammette la deposizione degli  operatori  di  polizia,  si
ritiene che  l'eventuale  inutilizzabilita'  della  perquisizione,  e
comunque la sua illegalita', non riverberino i propri  effetti  sulla
prova offerta dal sequestro. 
    Dal punto di vista delle garanzie  costituzionali,  tale  sistema
appate  irrazionale  e   pertanto   contrario   alla   volonta'   del
costituente.  La  perdita  di  ogni  effetto  dell'atto  di   polizia
illegalmente  compiuto  si  presenta  pertanto  necessariamente  come
previsione di una sanzione di inutilizzabilita' complessiva dell'atto
di acquisizione della prova, che riguarda sia l'atto tramite la quale
la si e' ricercata,  sia  l'atto  col  quale  la  si  e'  appresa  al
processo; e non e' un caso che l'art. 14 della  Costituzione  preveda
la perdita di affetti anche quanto al sequestro, quale conseguenza di
una perquisizione domiciliare illegittima. La circostanza che analoga
previsione non sia stata dettata per la perquisizione  personale  non
appare  particolarmente   significativa   ai   fini   interpretativi,
spiegandosi col fatto che generalmente, per lo meno all'epoca in  cui
la Costituzione venne emanata (ed in cui ben presente  doveva  essere
il  ricordo  delle  perquisizioni  eseguite  dalla  polizia  e  dagli
apparati nei confronti degli oppositori del  precedente  regime  alla
ricerca di documenti ed altri materiali compromettenti), gli atti  di
sequestro a delicata valenza  probatoria  dovevano  essere  frequenti
piu' presso le  abitazioni  che  a  seguito  di  perquisizioni  sulla
persona. 
    Ritiene quindi il  Tribunale  che  l'inefficacia  degli  atti  di
perquisizione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori  dei  casi  in
cui la legge glielo consente  dia  luogo,  per  diretta  ed  espressa
previsione costituzionale, alla  inutilizzabilita'  probatoria  degli
esiti delle suddette perquisizioni. 
    La  questione  non  e'  pertanto  piu'  solamente  quella   della
incostituzionalita' dell'art. 191  del  codice  di  procedura  penale
nella parte in cui non prevede l'inutilizzabilita' degli esiti  della
perquisizione  illegittimamente  eseguita  dalle  forze  di  polizia,
quanto piuttosto la circostanza che l'art. 191 del  codice  procedura
penale, nella lettura  offertane  sinora  dalla  giurisprudenza,  non
preveda ipotesi di inutilizzabilita' derivata, essendo  stata  questa
la forma di  tutela  che  il  legislatore  costituzionale  ha  inteso
adottare al fine di dare effettivita' alle garanzie di inviolabilita'
della liberta' personale e della liberta' domiciliare. 
    L'art. 191 del codice procedura penale  e'  pertanto  illegittimo
costituzionalmente proprio perche'  letto  nel  senso  che  esso  non
colpisca anche cio' che deriva dall'atto  probatorio  inutilizzabile.
La cosiddetta «teoria del frutto dell'albero avvelenato», se estranea
alla previsione dell'art. 191 codice procedura penale non lo  e'  per
contro  al  tessuto  costituzionale  nell'ordito   delimitato   dagli
articoli 13 e 14 della Costituzione. 
    Il principio di effettivita' delle tutele costituzionali relative
ai diritti fondamentali  della  persona,  di  cui  la  Repubblica  si
impegna a garantire il godimento  (art.  2  della  Costituzione),  la
circostanza che la Costituzione abbia voluto riconoscere dei  diritti
definirli inviolabili e garantire il loro libero esercizio e la  loro
inviolabilita', impone di ritenere che la loro violazione  non  possa
essere per  cosi'  dire  premiata  conservando  l'utilizzabilita'  di
quanto illegalmente acquisito. 
    Ne consegue che l'art. 191 del  codice  di  procedura  penale  e'
illegittimo  proprio  perche'   non   prevede   tra   le   cause   di
inutilizzabilita'  della  prova  anche  quella  di  tipo  derivativo,
allorche' un elemento di prova sia stato acquisito a  seguito  di  un
atto  di  ricerca  e/o  acquisizione   di   altra   prova,   compiuto
illegalmente perche' in violazione di un precetto costituzionale. 
4.1.b - Inutilizzabilita' derivata - art. 103 del codice di procedura
penale 
    D'altra parte un meccanismo di tal genere, costruito sulla figura
dell'inutilizzabilita' derivata, non e' neanche estraneo  al  sistema
ordinario, atteso che il legislatore l'ha introdotto con  l'art.  103
del codice di procedura  penale,  dettato  in  tema  di  garanzie  di
liberta' del  difensore,  con  specifico  riferimento  agli  atti  di
ispezioni perquisizioni e sequestri alle intercettazioni. 
    La norma in oggetto pone una serie di prescrizioni e divieti  che
vanno osservati nell'eseguire le perquisizioni presso gli  studi  dei
difensori: prima di tutto un obbligo  di  informazione  al  Consiglio
dell'Ordine forense, la cui omissione causa la nullita' dell'atto  di
indagine. Dopodiche' una prescrizione di cautela  con  la  previsione
che  alla  ispezione,  alla  perquisizione  o  al  sequestro  proceda
personalmente  il  giudice   ovvero,   nel   corso   delle   indagini
preliminari, il pubblico ministero in forza di  motivato  decreto  di
autorizzazione del giudice: il che equivale a  dire  che  durante  la
fase delle indagini il pubblico ministero non puo' procedere ad  atti
di perquisizione se non dietro autorizzazione del giudice. Di seguito
e' posto il divieto del sequestro e di ogni forma di controllo  della
corrispondenza tra  imputato  ed  il  proprio  difensore,  in  quanto
riconoscibile dalle prescritte indicazioni di cui all'art.  35  delle
disposizioni di  attuazione;  l'unica  eccezione  e'  quella  in  cui
l'autorita' giudiziaria abbia  fondato  motivo  di  ritenere  che  si
tratti di corpo del reato. 
    Il comma settimo dell'art. 103 del codice  di  procedura  penale,
infine, con norma di garanzia a chiusura del  sistema  delle  cautele
che attorniano le  perquisizioni  presso  gli  studi  dei  difensori,
stabilisce che i risultati delle ispezioni, delle perquisizioni,  dei
sequestri, delle intercettazioni di  conversazioni  o  comunicazioni,
eseguiti in violazione del disposizioni dettate dai commi  precedenti
dello stesso articolo, non possono essere utilizzati, e, se si tratta
di intercettazioni, vi e' anche il divieto della  loro  trascrizione,
sia pure sommaria. 
    Orbene, la norma in oggetto e' di particolare  rilievo,  ai  fini
che qui interessano, atteso che espressamente stabilisce non gia'  la
mera inutilizzabilita' dei singoli atti di indagine, ma piuttosto, in
un'ottica di effettivita' massima delle garanzie accessorie al libero
esercizio  del  diritto   di   difesa,   espressamente   dispone   la
inutilizzabilita'  dei  «risultati»   degli   atti   (di   ispezione,
perquisizione, sequestro,  intercettazione)  compiuti  in  violazione
delle forme e dei limiti previsti dai precedenti commi dell'art.  103
del codice di procedura penale. 
    Il  legislatore  ha  quindi  disposto   che   l'inutilizzabilita'
probatoria abbia una portata espansiva  ad  ogni  risultato  di  tali
atti, perche' compiuti  in  violazione  delle  cautele  necessarie  a
garantire quella liberta' e riservatezza del rapporto  tra  difensore
ed imputato, necessario a dare effettivita' al diritto di difesa. E',
questa, la stessa logica che sostiene la disposizione degli  articoli
13 e 14 della Costituzione nella parte in cui prevedono che gli  atti
di perquisizione (per quel che qui interessa), ed in genere quelli di
limitazione della liberta' personale e domiciliare, illegali  perche'
compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi  in  cui  la  legge
gliela consente, «restano priori di ogni effetto». 
    Se ne  deduce  che  l'inutilizzabilita'  derivata,  se  non  gia'
contemplata dall'art. 191 del codice  di  procedura  penale,  non  e'
comunque un  istituto  estraneo  all'ordinamento  giuridico,  e  puo'
quindi  fungere  da  modello  su  cui  la  Corte  puo'  costruire  la
pronunzia, che questa AG chiede, di incostituzionalita' dell'art. 191
del codice di procedura penale nella parte  in  cui  non  prevede  la
figura    dell'inutilizzabilita'    derivata,     e     cioe'     che
l'inutilizzabilita' di un atto di ricerca o acquisizione della  prova
si trasmetta alle ulteriori acquisizioni probatorie che  direttamente
ne discendano. 
    Occorre poi prestare particolare attenzione a non farsi trarre in
inganno  dalla  circostanza  che  negli  studi  dei   difensori   sia
consentito il sequestro della corrispondenza quando si abbia  ragione
di ritenere che costituisca corpo del reato. 
    In realta' non si tratta affatto di un'ipotesi utile a sanare una
perquisizione illegittima; non  e'  cioe'  un  meccanismo  analogo  a
quello delineato dalla giurisprudenza della Corte di  cassazione  che
sostiene che, anche se la perquisizione e' illegittima, il  sequestro
del corpo di reato e delle cose  pertinenti  al  reato  sia  comunque
valido ed utilizzabile. 
    La disposizione appena considerata si limita a stabilire che,  in
deroga al divieto  del  sequestro  della  corrispondenza  all'interno
degli uffici legali, il sequestro e' comunque possibile se ad esserne
oggetto sia il corpo del reato; la deroga riguarda quindi  unicamente
l'individuaziohe di cio' che e' suscettibile  di  sequestro,  ma  non
riguarda le forme  e  cautele  poste  dall'art.  103  del  codice  di
procedura penale al compimento dell'atto. 
    Ne consegue che, se vengono  violate  le  altre  disposizioni  di
garanzia previste dal suddetto  art.  103  del  codice  di  procedura
penale, come ad esempio la necessita' che alla perquisizione  proceda
direttamente il magistrato e che,  durante  la  fase  delle  indagini
preliminari, vi sia un decreto autorizzativo del giudice, la sanzione
della inutilizzabilita' degli esiti era perquisizione  ricorrera'  lo
stesso, anche se ad essere sequestrato sara' il corpo del reato. 
    Come puo' vedersi,  pertanto,  puo'  afferitarsi  quantomeno  che
l'inutilizzabilita'  derivata  non  e'  un  istituto  sconosciuto  al
diritto processuale  interno,  ed  esso  puo'  utilmente  fungere  da
modello, come gia' detto, su cui la Corte puo' costruire la pronunzia
di incostituzionalita' dell'art. 191 del codice di  procedura  penale
in accoglimento della presente eccezione. 
4.2 - Violazione dell'art. 3 della Costituione 
    La disciplina delle inutilizzabilita' offerta dall'art.  271  del
codice di procedura penale con riferimento agli esiti (o «risultati»,
volendo utilizzare la dizione dell'art. 103 del codice  di  procedura
penale) degli atti di perquisizione illegalmente compiuti dalla p.g.,
appare poi  essere  deteriore  rispetto  a  quella  in  via  generale
prevista da altre disposizioni del codice di procedura penale, si  da
integrare una irragionevole disparita' di trattamento  di  situazioni
assimilabili, sotto il profilo della tutela processuale dagli effetti
probatori delle loro violazioni. La Corte costituzionale ha  ritenuto
superata tale eccezione, in base al rilievo assorbente  della  natura
manipolatoria della questione tesa ad introdurre nell'ordinamento  la
figura della inutilizzabilita' derivata. 
    Riservando  al  prosieguo  della  motivazione  la  riproposizione
ragionata delle questioni di incostituzionalita' gia'  in  precedenza
articolate con riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  questo
Tribunale   deve   cominciare   con   l'osservare   che    l'istituto
dell'inutilizzabilita' derivata introdotto dall'art. 103  del  codice
di procedura penale evidenzia anche come il diritto vivente formatosi
sull'art. 191 del  codice  di  procedura  penale  sia  offensivo  del
principio di eguaglianza, che impone di non sottoporre a  trattamenti
irrazionalmente o immotivatamente difformi  situazioni  tra  di  loro
comparabili. 
4.2.a - L'art. 103 del codice  di  procedura  penale  quale  «tertium
comparationis» 
    Si e' gia' osservato come  il  citato  art.  103  del  codice  di
procedura penale miri, attraverso la sanzione dell'inutilizzabilita',
a consentire la liberta' ed effettivita' dell'esercizio  del  diritto
di  difesa,  garantendo  all'imputato  la  riservatezza   delle   sue
comunicazioni col difensore, che abbiano ad oggetto la sua  posizione
processuale. 
    Con un meccanismo che appare  peraltro  essere  comune  a  quello
previsto in via  generale  dall'art.  191  del  codice  di  procedura
penale, a tal fine  si  nega  qualsiasi  riconoscimento  all'atto  di
acquisizione probatoria illegale: per ragioni  di  coerenza,  perche'
l'ordinamento non puo' vietare  l'atto  di  acquisizione  probatoria,
tanto piu' se lesivo  di  un  diritto  costituzionale,  e  poi  pero'
riconoscergli efficacia di  prova,  contraddicendo  se'  stesso;  per
ragioni «compensative» o  limitative  del  danno,  per  impedire  che
l'utilizzazione probatoria dell'atto illegale danneggi  ulteriormente
chi lo ha subito; e,  non  da  ultimo,  per  finalita'  che  potremmo
definire    di    «politica    dell'effettivita'    delle    garanzie
costituzionali»,  atteso  che  impedire  l'utilizzazione   probatoria
dell'atto di indagine vietato comporta un forte disincentivo  al  suo
compimento da parte degli organi dell'indagine, cosi' garantendo  per
via indiretta, ma tutt'altro che secondaria, una piu' efficace tutela
di tali diritti. 
    Orbene,  si  e'  gia'  accennato,  nel   paragrafo   4   dedicato
all'esposizione sintetica  delle  nuove  questioni  che  si  vanno  a
sollevare, come sia irrazionale  una  disciplina  che,  da  un  lato,
introduca con l'art. 103 del codice di procedura penale,  una  tutela
di diritti costituzionalmente rilevanti, costruita  nel  negare  ogni
legittimita'  e   validita'   probatoria   -   anche   al   fine   di
disincentivarne il compimento da parte degli  organi  di  indagine  -
agli atti (ed ai loro risultati) di  ricerca  ed  acquisizione  della
prova compiuti in danno di un diritto che, come quello di difesa  che
(per quanto di assoluta importanza), ha comunque natura strumentale e
servente rispetto alla tutela della liberta' personale, e, dall'altro
lato, comporti invece (tramite il diritto vivente  formatosi  attorno
all'art. 191 del codice di procedura penale) che la  acquisizione  di
prove  mediante  la  commissione  di  atti  illegali  e  direttamente
offensivi  della  liberta'  personale   o   dell'inviolabilita'   del
domicilio  sia  idonea  a   produrre   comunque   effetti   probatori
pregiudizievoli in danno del soggetto  che  li  abbia  subiti  ed  in
favore della parte della pubblica accusa che, rispetto alla p.g.,  si
trovi  in  posizione  sovraordinata  (art.  109   della Costituzione,
articoli da 55 a 59 del codice di procedura penale) e di  coincidenza
di interesse alla persecuzione dei rei li abbia commessi. 
    E' quindi manifestamente irrazionale una disciplina che  assicuri
una tutela inferiore, sotto il piano delle garanzie complessive  (ivi
compreso quello dell'effetto «disincentivante» cui si e' fatto cenno)
ai  diritti  costituzionali,  di  tutela  della   persona   e   della
inviolabilita' del domicilio, rispetto a quella apprestata  a  tutela
del diritto di difesa (per la precisazione, quell'aspetto del diritto
di  difesa  che  e'  dato  dalla  liberta'   e   riservatezza   delle
comunicazioni tra l'imputato ed il suo difensore)  che,  rispetto  ai
richiamati  diritti,  ha  natura  strumentale  se   non   addirittura
servente. 
    L'art. 191 del codice  di  procedura  penale,  pertanto,  risulta
costituzionalmente illegittimo,  per  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione, nella parte in cui non prevede l'inutilizzabilita'  dei
risultati delle perquisizioni personali  o  domiciliari  illegalmente
eseguite dalla p.g., fuori dei casi in cui la legge glielo  consente,
per disparita' di trattamento rispetto al  caso  delle  perquisizioni
presso gli studi dei difensori. 
4.2.b - Gli articoli 271 del codice di procedura penale e 132,  comma
3, codice privacy 
    Cio'   detto,   e   tornando    all'esame    dei    profili    di
incostituzionalita' dell'interpretazione dominante, questo giudicante
deve rilevare che la  giurisprudenza  formatasi  sulla  scorta  della
citata Corte di cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza,  pertanto,  una
violazione dell'art. 3 della Costituzione  anche  nel  raffronto  con
altre ipotesi  di  inutilizzabilita'  specificamente  previste  dalla
legge, in quanto del tutto  irragionevolmente  ed  a  fronte  di  una
palese identita' di ratio (come osservato nel par.  4.2.a),  nega  la
conseguenza dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 del codice  di
procedura penale a casi del tutto  sovrapponibili  ad  altri  (e  per
certi  versi  addirittura  meno  gravi)  per   i   quali   la   legge
espressamente la prevede:  basti  pensare,  ad  es.,  non  solo  alle
ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g. e  quindi
in  assenza  di  decreto  motivato  dell'A.G.  (caso  sanzionato   di
inutilizzabilita' dall'art.  271  del  codice  di  procedura  penale,
avente la medesima ratio dell'art. 191 del codice di procedura penale
e senz'altro la medesima ratio dell'art. 103 del codice di  procedura
penale e degli articoli 13 e 14 della Costituzione), ma anche al caso
dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico eseguito senza
provvedimento motivato dell'A.G. prima il pubblico ministero, ora  il
GIP), ipotesi che le stesse SS.UU. della Suprema corte di  cassazione
hanno ritenuto dar luogo ad  un'ipotesi  di  inutilizzabilita'  della
prova perche' acquista in violazione di un  divieto  di  legge  (cfr.
Sez. U, Sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). 
4.2.c - Ulteriori violazioni dell'art. 3 della Costituzione 
    Sempre in tema di  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,
appare necessario rilevare come tale norma si atteggi  a  scrigno  in
cui e' racchiuso e riassunto il principio di necessaria  razionalita'
dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione;
razionalita'  che   risulta   gravemente   violata   dalla   corrente
interpretazione  circa   la   utilizzabilita'   degli   esiti   delle
perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che: 
        a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza  della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, comma 3 e 4,   legge
n.  87/1953),  e  la  loro  efficacia   sospendibile   (mediante   la
sospensione del processo che consegue, ex art. 23, comma 2, legge  n.
87/1953, alla proposizione della  questione  di  incostituzionalita')
dal giudice ordinario che ne ravvisi un possibile  contrasto  con  le
norme costituzionali, ma efficacissimi -  e  non  disapplicabili  ne'
discutibili dal giudice - e  quindi  inattaccabili,  anche  sotto  il
profilo probatorio, gli  atti  di  polizia  giudiziaria  compiuti  in
violazione dei diritti costituzionali del cittadino; 
        b) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre, viola l'art. 3 della Costituzione anche perche',  del  tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno  spinto  la  p.g.  alla
perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile  fonte  anonima)
non consenta di  verificare  la  genuinita'  ed  affidabilita'  della
«catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i
terzi  autori  della  propalazione   confidenziale   o   anonima,   o
addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze  di
polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita»  costituente
supposta prova del reato; 
        c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega lo  Stato 
di  diritto  quale  configurato  dall'art.   97,   comma   3,   della
Costituzione, che vuole - con norma generale che  appare  applicabile
anche alle definizione dei poteri dell'A.G. e degli organi di polizia
- l'azione dei pubblici poteri sottomessa al principio di  legalita';
se, come gia' si e' osservato, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i
suoi organi sono per primi vincolati al rispetto delle leggi  di  cui
pur pretendono l'osservanza  da  parte  dei  consociati,  e  se  cio'
comporta non solo l'impegno a non violare  tali  leggi,  ma  anche  a
garantire l'effettivo rispetto dei diritti che tali  leggi  prevedono
ed attribuiscono, appare innegabile che ammettere l'efficacia - e per
di piu' nel processo penale ed in aggressione ai diritti di  liberta'
- degli atti  compiuti  dai  pubblici  poteri  in  violazione  di  un
divieto, appare  negare  anche  il  principio  di  legalita'  di  cui
all'art.  97  della  Costituzione,  oltre  ad  attribuire  all'azione
illegale  degli  organi   statuali   una   prevalenza   sui   diritti
costituzionali dei consociati, che appare  realizzare,  sotto  questo
profilo,  una  ulteriore  palese   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione,  in  un  ordinamento  che  vuole  centrali  i   diritti
inviolabili della persona - e quindi quanto  meno  gli  stessi  sullo
stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce
invece per violare tale condizione di pari importanza  per  assegnare
prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; 
        d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre, viola l'art. 3 della Costituzione anche perche',  del  tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzand
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno  spinto  la  p.g.  alla
perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile  fonte  anonima)
non consenta di  verificare  la  genuinita'  ed  affidabilita'  della
«catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i
terzi  autori  della  propalazione   confidenziale   o   anonima,   o
addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze  di
polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita»  costituente
supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto  tale  profilo,
anche un contrasto con l'art. 24 della Costituzione,  per  l'evidente
limite che la tesi  dell'utilizzabilita'  pone  all'esplicazione  del
diritto di difesa, introducendo nell'ambito delle prove  utilizzabili
elementi di cui sia di fatto impossibile verificare approfonditamente
la genuinita'. 
4.3  -  Violazione  dell'art.  2  della  Costituzione:  principio  di
effettivita' 
    I  limiti  fissati  dalla  legge  devono  essere  necessariamente
ritenuti, in ragione della previsione costituzionale che li  assiste,
coffle  invalicabili  e  di  stretta  interpretazione;  sicche'  deve
assolutamente rigettarsi qualsiasi interpretazione che, comunque,  si
risolva in una vahificazione anche solo di fatto  dell'efficacia  dei
litaiti posti al potere  di  perquisizione  ad  opera  della  polizia
giudiziaria o della stessa A.G. (ad es., impedendo la verifica  circa
il rispetto di tali limiti, ivi compreso quello della motivazione del
provvedimento giurisdizionale; o stabilendo l'irrilevanza processuale
di tali violazioni),  o  nella  lesione  sia  pure  mediata  -  della
liberta' personale. 
    Questo   Tribunale   ritiene   che   consentire   l'utilizzazione
probatoria degli esiti delle perquisizioni  personali  o  domiciliari
eseguite dalla polizia  fuori  dai  casi  in  cui  la  legge  in  via
eccezionale attribuisce loro tale potere (e spesso senza che  vi  sia
una  convalida  motivata  in  maniera  pertinente  agli  atti  e  con
indicazione delle ragioni per cui le forze di polizia versavano nella
condizione eccezionale che riconosceva loro il  potere  di  procedere
all'atto di perquisizione), vale a vanificare  non  solo  la  tutela,
prevista in via generale dagli articoli 13 e 14  della  Costituzione,
della liberta' personale e domiciliare, ma anche quella specifica che
il  legislatore  costituzionale  ha  voluto   introdurre   prevedendo
l'inefficacia degli atti limitativi delle suddette liberta' personale
e domiciliare. 
    Rinunziandosi   alla   remora   offerta    dall'inutilizzabilita'
probatoria dei risultati della perquisizione illegale,  tali  diritti
rimangono quindi oggetto di una tutela parziale ed insufficiente, che
riposa unicamente sull'eventuale remora offerta dalla responsabilita'
penale o disciplinare dell'autore della perquisizione illegale, che -
probabilmente anche per la considerevole  rarita'  dei  casi  in  cui
responsabilita' di tal fatta risultano essere state fatte oggetto  di
una domanda di accertamento giudiziale (ad es., la ricerca sul canale
«sentenze penali Corte  di  Cassazione»  sul  sito  ITALGIUREWEB,  al
sintagma   «perquisizione   illegale»    restituisce    solo quindici
risultati) - non esplicano adeguata efficacia dissuasiva,  attesa  la
non  irrisoria  frequenza  -  gia'  solo  nell'esperienza  di  questo
Tribunale, testimoniata dal numero di casi in cui ha dovuto sollevare
l'eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art.  191  del  codice  di
procedura penale - dei casi in cui le forze di polizia  procedono  ad
atti di perquisizione fuori dei casi consentiti dalla legge. 
    Il  diritto  vivente  formatosi  sull'art.  191  del  codice   di
procedura penale appare quindi realizzare una negazione radicale  dei
principi  dello   Stato   di   diritto   quale   tratteggiato   dalla
Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 della Costituzione (come
gia' si e' osservato), e piu' in particolare sviluppato  dall'art.  2
della Costituzione, in quanto finisce per risolversi nell'assenza  di
effettive  garanzie  contro  violazioni   dei   diritti   inviolabili
dell'uomo, tra  i  quali  appare  senz'altro  rientrare  quello  alla
liberta'   personale,   laddove   invece   il   suddetto    art.    2
della Costituzione impone alla Repubblica - anche in  adempimento  di
obblighi internazionali, atteso che i diritti di cui all'art. 2 della
Costituzione sono altresi'  oggetto  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, che, come in piu' occasioni ricordato dalla  Corte
EDU, impone agli Stati aderenti di garantirne  l'effettivita'  -  non
solo di riconoscere tali diritti, ma di garantirli. 
    Ed invero, «riconoscere» un diritto significa  che  l'ordinamento
assegna rilevanza giuridica all'esercizio di una o piu' facolta'  che
costituiscono il contenuto di detto diritto, ed attribuisce il potere
di esercitarlo, liceizzando l'uso di tali facolta' ed assegnando,  di
conseguenza, un diritto  di  azione  a  sua  tutela;  'gatantire»  un
diritto significa che lo Stato tale  situazione  giuridica  non  solo
riconosce,  ma  si  impegna  a  tutelare  particolarmente,  oltre  il
contenuto minimo della liceizzazione e del riconoscimento del diritto
di azione,  adottando  invece  anche  le  misure  che  ne  assicurino
l'effettivita' e lo proteggano preventivamente dalla lesione. 
    Tale  particolare  protezione  non  puo'  risiedere  solo   nella
previsione di fattispecie di reato (art. 609 del codice penale per le
perquisizioni ed  ispezioni  personali  illegali;  art.  323  per  le
perquisizioni domiciliari), atteso  che  la  «protezione  penale»  e'
prevista dallo Stato/Legislatore  anche  -a'  tutela  di  altri  beni
interessi giuridici dei quali  la  Costituzione  prevede  al  piu'  -
direttamente o indirettamente - il riconoscimento, ma non lo  obbliga
a garantire il rispetto (si pensi al complesso,  ad  es.,  dei  reati
contro la pubblica amministrazione; a quelli di falso  ed  in  genere
contro la fede pubblica; quelli contro la moralita'; quelli contro la
famiglia; alla gran patte delle contravvenzioni). 
    Ne  consegue  che  l'obbligo  costituzionale  di  «garantire»  un
diritto comporta per lo Stato la necessita' di predisporre  strumenti
ulteriori, a difesa dell'effettivita' del diritto, rispetto a  quelli
offerti dalla previsione di sanzioni per chi detto diritto violi:  il
che implica la necessaria adozione di  tutte  le  cautele  necessarie
fion solo a punire,  ma  prima  di  tutto  a  prevenire,  e  cioe'  a
proteggere tali diritti scoraggiandone la violazione. 
    In verita', la  sanzione  dell'inutilizzabilita'  probatoria  che
discenderebbe dall'art. 191 del codice  di  procedura  penale  (nella
lettura che risulterebbe dall'operazione di ortopedia  costituzionale
che questo giudicante ritiene necessaria e conforme a quanto statuito
dai citati articoli 13 e 14 della  Costituzione),  nel  deprivare  di
effetti processuali il risultato  «probatorio»  di  tali  violazioni,
costituisce la prima e piu' efficace forma di garanzia che uno  Stato
di diritto possa assicurare ai diritti della persona. 
    Ammettere  invece  che  la  polizia  giudiziaria  possa  -  senza
conseguenze sul piano dell'utilizzabilita' probatoria  dei  risultati
di tali atti -procedere a perquisizione fuori dei casi di flagranza e
degli altri specifici casi eventualmente previsti dalla legge,  o  in
forza di elementi vaghi, indeterminati, e  percio'  non  verificabili
dall'A.G.,  o  da  questa  convalidata  con  motivazione   apparente,
apodittica,  incongrua,  equivale  ad  aggirare  le  cautele  che  la
Costituzione ha preposto a garanzia del corretto esercizio dei poteri
dell'A.G., e dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica
sugli  atti  di  polizia  giudiziaria   interferenti   con   liberta'
costituzionalmente garantite. 
    Cio'  comporta  non  solo  una  violazione   del   principio   di
effettivita' di cui all'art.  2  della  Costituzione,  ma  anche  una
violazione del diritto ad un giusto processo di cui agli articoli 111
e 117 della  Costituzione (con  riferimento  all'art.  6  CEDU),  che
postula la possibilita' per l'imputato di verificare  la  correttezza
del processo e la genuinita' degli elementi di prova  addotti  contro
di lui. 
4.4 - Violazione dell'art. 24 della Costituzione 
    Cio' si riverbera anche in  una  violazione  dell'art.  24  della
Costituzione, per l'evidente  compromissione  della  possibilita'  di
difendersi dagli esiti probatori di una perquisizione, quando  questa
sia stata eseguita fuori dei casi consentiti dalla legge per non aver
le forze di polizia specificato sulla  base  di  quali  elementi  (in
primo luogo, indicati da chi) essa abbia  agito,  in  un  ordinamento
che, nell'interpretazione  dell'art.  191  del  codice  di  procedura
penale costituente diritto vivente, noti riconnette alcuna  rilevanza
probatoria all'assenza di tali requisiti iniziali alla omissione,  da
parte  delle  forze  di  polizia,  dell'indicazione  delle  fonti  di
conoscenza circa la ricorrenza dei requisiti fissati dalla legge  per
procedere  a  perquisizioni  (cosi'  essendo,  ad   es.,   l'imputato
impossibilitato  ad  utilizzare   quegli   elementi   difensivi   che
potrebbero  derivargli  dalla  conoscenza  dell'autore  della   fonte
confidenziale, che potrebbe essergli noto come  soggetto  animato  da
malanimo, e/o in  possesso  delle  chiavi  della  sua  abitazione,  o
comunque in grado di accedervi direttamente o  tramite  terzi,  ecc.,
per lasciarvi la «res» compromettente. 
4.5 - Principio di effettivita' e violazione art. 8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali - Contrasto con gli articoli 2 e 117 della Costituzione 
    Invero, non solo le norme nazionali, costituzionali  e  di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria. 
    Infatti,  l'interpretazione  consolidatasi  si  pone   anche   in
contrasto  con  l'art.  8  della  Convenzione  europea  dei   diritti
dell'uomo, e quindi in contrasto con  l'art.  117  della Costituzione
che  impone  allo  Stato  italiano  il  rispetto  delle   Convenzioni
internazionali, in  quanto  si  risolve  nel  non  adottare  efficaci
disencentivi agli abusi delle forze di polizia, e di qualsiasi organo
dello Stato in genere, che, limitando la liberta' della  persona,  si
risolvano in indebite interferenze nella sua vita privata o  nel  suo
domicilio, non giustificate da oggettive necessita' di prevenzione  o
repressione dei reati. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la  ricorrenza  di  ragioni
adeguatamente   giustificatrici   dell'esercizio   del   potere    di
perquisizione,  va  in  primo  luogo   richiamata,   per   l'assoluta
importanza  della  fonte,  che   assegna   alla   decisione   rilievo
costituzionale ex art. 117 della Costituzione, la sentenza  l6  marzo
2017, Modestou c. Grecia, con la quale la Corte europea  dei  diritti
dell'uomo (d'ora in  poi  per  brevita'  CEDU)  ha  ritenuto  essersi
verificata violazione dell'art. 8 CEDU, in un caso in cui  era  stata
eseguita perquisizione presso il domicilio personale e  professionale
del ricorrente senza alcun controllo giurisdizionale ex ante e  sulla
scorta di  un  mandato  di  perquisizione  generico;  ne'  era  stato
previsto un immediato controllo giurisdizionale ex post,  considerato
che la Corte d'appello,  adita  dal  ricorrente,  aveva  respinto  la
doglianza non  solo  piu'  di  due  anni  dopo  la  perquisizione  in
questione,  ma  nemmeno  indicando  neppure  i  motivi  «rilevanti  e
sufficienti» giustificativi della perquisizione: sentenza dalla quale
si trae quindi conferma che,  secondo  le  norme  della  CEDU,  nella
vincolante interpretazione offertane dalla Corte  EDU,  l'A.G.  debba
operare una illustrazione motivata (e  condivisibile)  delle  ragioni
della perquisizione, al fine di rendere verificabile la  legittimita'
dell'esercizio del relativo potere; statuizione che, se vale  per  le
perquisizioni autorizzate dall'A.G., deve a  maggior  ragione  valere
per  quelle  operate  direttamente  dalla   polizia   giudiziaria   e
successivamente convalidate dalla A.G.. 
    In  ordine  all'importanza  -  per  il   diritto   internazionale
pattizio, ai sensi dell'art. 8 della CEDU - va poi richiamata, per la
sua  particolare  pertinenza  rispetto  alle  questioni  proprie  del
presente processo, anche la sentenza emessa in data 27 settembre 2018
dalla Prima Sezione CEDU nel caso Brazzi contro Italia. 
    Con tale  ultima  sentenza,  in  particolare,  la  Corte  EDU  ha
osservato che  la  Convenzione  EDU  impone  che,  nell'ambito  delle
perquisizioni  «il  diritto  interno  offra   garanzie   adeguate   e
sufficienti contro l'abuso e l'arbitrarieta' (Heino, sopra citata,  §
40, e Gutsanovi c.  Bulgaria,  n.  34529/10,  §  220,  CEDU  2013»  ,
garantendo «"controllo effettivo" delle misure contrarie  all'art.  8
della Convenzione (Lambert c. Francia, 24 agosto 1998, § 34,  Recueil
des arrets et decisions 1998-V», pur osservando che «il fatto che una
richiesta di mandato sia stata oggetto un controllo  giurisdizionale,
non costituisce necessariamente, di per se', una garanzia sufficiente
contro gli abusi», di talche' la Corte europea dei diritti  dell'uomo
ha ritenuto essenziale «esaminare le circostanze particolari del caso
di specie e valutare se il quadro giuridico e i limiti  applicati  ai
poteri esercitati costituissero una  protezione  adeguata  contro  il
rischio di ingerenze arbitrarie  delle  autorita'  (K.S.  e  M.S.  c.
Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016)». 
    La Corte EDU pone  quindi,  in  primo  luogo,  una  questione  di
effettivita' dei diritti  assicurati  dalla  legislazione  nazionale:
ogni Stato aderente alla  Convenzione  ha  il  dovere  di  assicurare
garanzie efficaci contro la  violazione  dei  diritti  oggetto  della
Convenzione. 
    Sulla base di tali premesse concettuali, la Corte EDU giungeva  a
ritenere che, allorche' (come, mutatis  mutandis,  e  sostituendo  la
convalida al provvedimento di sequestro,  e'  nel  caso  oggetto  del
presente processo) la perquisizione venga ordinata dalla  Procura  in
una fase precoce del  procedimento  penale  (si  noti  che  la  fonte
confidenziale  risulta  essere  l'unico  elemento  che   la   polizia
giudiziaria  abbia  avuto  a  propria  disposizione),   il   rispetto
dell'art. 8 della CEDU comporta «che una perquisizione effettuata  in
questa fase deve offrire garanzie adeguate e sufficienti per  evitare
che venga usata per fornire alle autorita' incaricate  dell'inchiesta
elementi compromettenti  su  persone  non  ancora  identificate  come
sospettate  di  aver  commesso  un  reato  (Modestou  c.  Grecia,  n.
51693/13, § 44, 16 marzo 2017). 
    In tale ordine di idee, la Corte EDU e'  pervenuta  ad  affermare
che   lo    stesso    pubblico    ministero    dovrebbe    richiedere
un'autorizzazione ad un giudice prima di ordinare una  perquisizione,
o quanto meno l'ordinamento dovrebbe garantire la possibilita' di  un
controllo  post   factum,   in   ordine   alla   legittimita'   della
perquisizione; rilevato  che  l'ordinamento  italiano  non  prevedeva
l'autonoma impugnabilita' del decreto di perquisizione in quanto tale
(e che, nel concreto, non essendo stato rinvenuto alcun  elemento  di
prova ed adottato alcun provvedimento di  sequestro,  tale  controllo
non era stato neanche possibile per via mediata attraverso il riesame
di tale genere di provvedimento), la Corte ha quindi ritenuto esservi
stata una violazione dei diritti della parte istante. 
    Proseguiva poi la Corte osservando che «l'assenza di un controllo
giurisdizionale ex ante puo' essere compensata dalla realizzazione di
un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimita' e della
necessita' della misura «, rammentando, a tal  proposito,  "di  avere
ammesso  che,  in  alcune  circostanze,  il  controllo  della  misura
contraria all'articolo 8 effettuato dai giudici penali  fornisce  una
riparazione adeguata per l'interessato, dal momento  che  il  giudice
procede  a  un  controllo  effettivo  della  legittimita'   e   della
necessita' della misura  contestata  e,  se  del  caso,  esclude  dal
processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi  c.  Italia,
n. 46794/99, § 76  e  77,  10  aprile  2007,  Uzun  c.  Germania,  n.
35623/05, § 71 e 72, CEDU 2010 (estratti), e Trabajo Rueda c. Spagna,
n. 32600/12, § 37, 30 maggio 2017). 
    ...omissis paragrafi 46-51 
    52. Vi e' stata dunque violazione dell'art. 8 della Convenzione 
    La lettura della sentenza permette quindi di rilevare che,  nella
giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo  con  essa
manifestatasi: 
        a)  la  perquisizione  costituisce  un'ingerenza  nella  vita
privata e nella liberta' domiciliare della persona; 
        b) tale ingerenza e' legittima  solo  se  giustificata  dalla
ricorrenza di preesistenti  elementi  indiziari  o  di  sospetto  che
indichino, nel destinatario della perquisizione, l'autore di un reato
le  cui  tracce  possano  essere  reperite   mediante   perquisizione
domiciliare; 
        c) l'ordinamento interno deve assicurare validi  ed  efficaci
struddnti che garantiscano l'effettivita' del  rispetto  dei  diritti
(tra cui l'inviolabilita' del domicilio) tutelati dalla Convenzione; 
        d) l'ordinamento interno deve assicurare validi  ed  efficaci
strumenti di controllo che assicurino almeno una verifica ex post  in
ordine  alla  effettiva  ricorrenza  delle  condizioni   legittimanti
l'ingerenza suddetta; 
        e) tra tali strumenti di controllo  e  tutela  ex  post,  ove
altri non siano stati attivabili o non abbiano concretamente operato,
deve essere ricompresa l'esclusione degli esiti  della  perquisizione
dal materiale probatorio utilizzabile. 
    Ne consegue che: 
        1) se il pubblico ministero emette un  decreto  di  convalida
privo di effettiva motivazione circa la ricorrenza  delle  condizioni
di legalita' per l'esecuzione della perquisizione, tale decreto,  non
costituendo cio' garanzia dell'effettivo esercizio di  un  potere  di
controllo  circa  la  ricorrenza  dei  presupposti  legittimanti   la
perquisizione ad opera delle forze di polizia, non  vale  a  renderla
legittima; 
        2) le fonti confidenziali, ed a maggior ragione gli  anonimi,
in quanto non verificabili e quindi insuscettibili  di  controllo  ex
ante, non possono essere utilizzate per disporre perquisizioni; 
        3) laddove una perquisizione sia  stata  eseguita  fuori  dei
casi consentiti dalla legge (e quindi anche quando eseguita in virtu'
di elementi non verificabili o  insufficienti  a  giustificarla),  il
giudice penale debba escludere dal novero  degli  elementi  probatori
utilizzabili quelli acquisiti mediante la suddetta perquisizione. 
    Pertanto, anche alla luce dei principi di cui  all'art.  8  CEDU,
«costituzionalizzati» per il tramite della disposizione dell'art. 117
della  Costituzione,  la   perquisizione   eseguita   dalla   polizia
giudiziaria illegalmente perche' fuori dei casi di flagranza o  degli
altri casi previsti da leggi speciali, o in virtu' di quanto riferito
da  fonte  confidenziale  o  anonima  ed  in  assenza,  peraltro,  di
provvedimento  di  convalida   dotato   di   effettiva   e   concreta
motivazione, non e' consentita, ed i suoi esiti («risultati», secondo
la terminologia dell'art. 103 del codice di  procedura  penale,  gia'
utilizzato  come  «tertium  comparationis»)  devono  essere  ritenuti
inutilizzabili; la lettura dell'art.  191  del  codice  di  procedura
penale  offerta  dal  diritto  vivente,  come  cristallizzato   nelle
sentenze   gia'   richiamate,   lo   esclude,   e   cio'   la   rende
incostituzionale. 
    I principi espressi dalla gia' menzionata  sentenza  della  Corte
EDU nel processo  Brazzi  contro  Italia  non  appaiono  isolati;  ed
invero,  essi  non  solo  appaiono  sviluppo  dell'altra   precedente
giurisprudenza della Corte EDU, gia' citata,  ma  risultano,  a  loro
volta, aver avuto coerente sviluppo in ulterioti  pronunzie,  tra  le
quali puo', ad es., citarsi, perche' la piu' recente, la sentenza del
16 febbraio 2021 Seconda Sezione  nel  caso:  Budak  contro  Turchia,
numero del ricorso: 69762/12, rilevante  perche',  nel  caso  di  una
perquisizione eseguita  dalla  polizia  giudiziaria  su  mandato  del
giudice, ma senza la presenza di due testimoni richiesta  dal  codice
di procedura turco  per  l'ipotesi  in  cui  alla  perquisizione  non
partecipi  un  pubblico  ministero  («prosecutor»),  ha  ritenuto  la
procedura concretamente eseguita  «unlawful»  (illegale),  e  violato
l'art. 8 della Convenzione non solo perche' la perquisizione non  era
stata  eseguita  nelle  forme  e  nei  casi  previsti   dalla   legge
(nazionale), ma anche perche' i giudici nazionali avevano ignorato le
doglianze sul punto dell'imputato, che ricordava che sia l'art. 38 §6
della Costituzione turca che l'art. 206 §2 del  codice  di  procedura
penale turco stabilissero il divieto di utilizzare le prove  raccolte
nel corso di perquisizioni illegali, e su questa  doglianza  non  era
stata data risposta. 
    Si noti che la Corte EDU, sullo  specifico  punto,  non  affronta
tanto il tema del rispetto dei principi del giusto  processo  di  cui
all'art. 6 della Convenzione EDU (a tal proposito, la Corte osservava
che la sua giurisprudenza ai sensi dell'art. 6 della Convenzione  non
esclude automaticamente l'uso, da parte  dei  giudici  nazionali,  di
prove che  possono  essere  considerate  «illecite»  ai  sensi  delle
disposizioni di diritto interno), ne' quello della legittimita' della
perquisizione secondo il diritto interno, ma proprio  il  tema  della
violazione dell'art. 8 e dei rimedi che ad essa  le  Corti  nazionali
devono offrire perche' vi sia effettivita' della tutela  dei  diritti
stabiliti dalla Convenzione; e ritiene violata la norma convenzionale
perche' i giudici non  si  erano  pronunziati  sull'esclusione  della
prova acquista in violazione della convenzione, oltre che della legge
interna. 
4.6 - Principio di effettivita' e violazione art. 6 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali - contrasto dell'art. 352 del codice di procedura penale
con gli articoli 2, 111, comma 6, e 117 della Costituzione 
    Ed invero, la sentenza del 16 febbraio 2021 Seconda  Sezione  nel
caso: Budak contro Turchia offre ulteriori spunti di  riflessione  in
ordine ai riflessi processuali che il principio di effettivita'  (che
tutta la giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
indica come immanente al sistema della Convenzione)  deve  avere  nei
suoi risvolti processuali: in forza di  tale  ultima  sentenza,  deve
affermarsi  che  la  mancata   predisposizione   di   un'architettura
processuale che doti il sistema giudiziario degli strumenti necessari
a tutelare, in sede processuale, l'imputato che lamenti  lesioni  dei
suoi  diritti  fondamentali  relativi  all'inviolabilita'  della  sua
liberta' personale e domiciliare, integri  non  solo  una  violazione
dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  (per  quel   anche   una
violazione dell'art. 6 della CEDU, perche' l'imputato ha  diritto  ad
ottenere  una  risposta  imparziale  alle  sue  doglianze  circa   le
violazioni subite  ed  ai  riverberi  che  esse  devono  avere  sulla
utilizzabilita  delle  prove  acquisite  in  violazione  dei  diritti
tutelati dalla CEDU. 
    Infatti, la Corte EDU, con la menzionata sentenza del 16 febbraio
2021 Seconda Sezione caso: Budak contro Turchia, numero del  ricorso:
69762/12, richiamando numerosi casi della propria giurisprudenza,  ha
anche  statuito  la  necessita'  che  le   tutele   accordate   dagli
ordinamenti nazionali,  ivi  compresi  i  controlli  giurisdizionali,
siano effettive, e tali da garantire che i  diritti  stabiliti  dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali non siano meramente apparenti  o  illusori,  ma
pratici ed effettivi; in  particolare,  con  la  menzionata  sentenza
(cfr.  par.  72  e  73)  ha  statuito  che   nelle   cause   relative
all'ingerenza nei  diritti  garantiti  dalla  Convenzione,  la  Corte
intende stabilire se le motivazioni addotte per le decisioni  fornite
dai   g'iudici   nazionali   siano   meramente   apparenti,   perche'
«automatiche»  o  stereotipate  (richiamando  in  proposito,  mutatis
mutandis, Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], n. 25358/12,  §  210,
CEDO 2017). 73. Tenuto conto del principio secondo cui la Convenzione
mira a garantire non diritti teorici o illusori, ma  diritti  pratici
ed  effettivi,  il  diritto  a  un  equo  processo  non  puo'  essere
considerato effettivo a meno che le richieste e le osservazioni delle
parti non siano veramente  «ascoltate»,  vale  a  dire  adeguatamente
esaminate dal Tribunale (v. Ilgar Mammadov c. Azerbaigian (n. 2),  n.
919/15, § 206, 16 novembre 2017; Carmel Saliba c. Malta, n. 24221/13,
§ 65, 29 novembre 2016 con ulteriori riferimenti in esso; e Fodor  c.
Romania, n.  45266/07,  §  28,  16  settembre  2014).  Nell'esaminare
l'equita' dei procedimenti penali, la Corte ha  anche  dichiarato  in
particolare  che,  ignorando  un  punto   gpecifico,   pertinente   e
importante  sollevato  dall'imputato,  i   tribunali   nazionali   si
manifestano non all'altezza dei loro obblighi ai sensi dell'art. 6  §
l della Convenzione (vedi Zhang c. Ucraina,  n.  6970/15,  §  61,  13
novembre 2018, e Nechiporuk e Yonkalo c. Ucraina, n. 42310/04, § 280,
21 aprile 2011). 
    Il  tema  che  quindi  rileva  non  e'   solo   quello   relativo
all'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  191  del   codice   di
procedura penale nella parte in cui non prevede, tra  le  ipotesi  di
inutilizzabilita', anche  quelle  consistenti  in  «inutilizzabilita'
derivate»,  ma  anche  quello  relativo  alle  conseguenze  che,  sul
materiale probatorio, debba avere, in tertini  di  inutilizzabilita',
l'ipotesi della mancanza della convalida, per  qualsiasi  ragione  il
pubblico ministero non abbia proceduto a detto atto,  ma  in  ispecie
nel caso in cui dagli atti non risultassero  elementi  per  metterla,
come e' nel caso in oggetto. 
    Va ritenuto che non solo nel disegno costituzionale, ma anche  in
quello della CEDU, sia quindi delineato uno Stato di  pieno  diritto,
retto dal principio di legalita', con limiti ai poteri non solo della
p.g., ma anche della stessa A.G. (tra i quali la riserva di  legge  e
l'obbligo di motivazione dei provvedimenti), e previsione di garanzie
giurisdizionali a verifica e controllo del modo e dei casi in cui  le
forze di polizia usino dei loro poteri, al fine di evitarne  l'abuso;
in tale sistema non possano essere tollerate deroghe  ai  presupposti
di fatto e requisiti di forma, richiesti dalla Costituzione  e  dalla
Convenzione EDU, ne' degli  atti  delle  forze  di  polizia  ne'  dei
provvedimenti  dell'A.G.,  ne'  sussistere   limiti   alla   verifida
giurisdizionale della correttezza dell'operato della p.g.. 
    Ammettere quindi che la polizia  giudiziaria  possa  procedere  a
perquisizione fuori dei casi di flagranza  e  degli  altri  specifici
casi eventualmente previsti dalla legge, in forza di elementi  vaghi,
indeterminati, e percio' non  verificabili  dall'A.G.,  e  da  questa
percio'   non   convalidata   senza   che   ne   sortiscano   effetti
sull'utilizzabilita' dei risultati della perquisizione,  equivale  ad
aggirare le cautele che la Costituzione ha preposto  a  garanzia  del
corretto esercizio dei poteri dell'A.G., e dell'effettivita' del  suo
potere di controllo e verifica  sugli  atti  di  polizia  giudiziaria
interferenti con liberta' costituzionalmente garantite. 
    Invero, il  Tribunale  aveva  altresi'  sollevato  questione  di'
incostituzionalita'  dell'art.  103  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 309/1990, nella parte in cui consentiva che il pubblico
ministero possa autorizzare verbalmente tale genere di  perquisizioni
senza provvedere successivamente a  documentare  le  ragioni  su  cui
avesse fondato tale provvedimento, che gli articoli  13  e  14  della
Costituzione vogliono invece motivato;  e  tale  questione  e'  stata
accolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2020. 
    Residua tuttavia irrisolto il problema di quale debba  essere  la
disciplina nel caso, come appunto e' accaduto nel presente  processo,
manchi la convalida della perquisizione. 
    E' bene   poi   ulteriormente    precisare    che    l'art.    13
della Costituzione  riconnette  la  conseguenza  delle   perdita   di
efficacia degli atti  di  polizia,  alla  circostanza  che  essi  non
vengano convalidati dall'A.G. in un  termine  dato;  e  tuttavia,  si
ricorda, causa dell'inefficacia dell'atto limitativo  della  liberta'
personale o domiciliare, ai  sensi  degli  articoli  13  e  14  della
Costituzione,  non  e'  tanto  la  mancata   convalida,   quanto   la
circostanza che detti  atti  siano  stati  compiuti  dalle  forze  di
polizia fuori dei casi di necessita' ed urgenza in cui  la  legge  li
consente, dato che e' per tale ragione che la convalida difettera'. 
    La  convalida  non  svolge  quindi  una  funzione   «sanante»   a
discrezione  dell'A.G.,  ma  opera  una   concreta   verifica   circa
l'effettiva ricorrenza dei presupposti per l'attivita' compiuta dalla
polizia  giudiziaria  di  propria  iniziativa  e  risoltasi  in  atti
invasivi della liberta' personale o domiciliare;  ed  il  legislatore
costituzionale ha inteso, e dato per scontato,  che  in  mancanza  di
tali presupposti, la convalida non verra' emessa. 
    L'assenza di una norma che non  disciplini  le  conseguenze,  sul
piano   processuale,   della   mancanza   della    convalida    della
perquisizione,  nonastante  il  dettato  degli  articoli  13   e   14
della Costituzione,  cordporta  una  violazione  del   principio   di
effettivita', ma anche del diritto ad un giusto processo, che postula
la possibilita' per  l'itputato  di  verificare  la  correttezza  del
processo e la genuinita' degli elementi di prova  addotti  contro  di
lui. 
    In relazione a tali principi, non appare manifestamente infondata
la questione di incostituzionalita', per contrasto con  gli  articoli
2, 13, 14 e 111, comma  6,  della  Costituzione,  dell'art.  352  del
codice di procedura penale nella parte in cui non  prevede  che,  nel
caso in cui il pubblico ministero non emetta il decreto di convalida,
i risultati della perquisizione siano inutilizzabili. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 della legge costituzionale n. 1/1948,  e  23
della  legge  n.  87/1953,  dichiara  d'ufficio   rilevante   e   non
manifestamente   infondata    la    questione    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 191 del  codice  di  procedura  penale,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 14, 24, 97, comma 3, 111  e  117
della Costituzione (quanto a quest'ultima norma, con  riferimento  ai
principi di cui agli articoli 6 ed 8 della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo), nella parte in cui non prevede  che  la  sanzione
dell'inutilizzabilita' della prova, acquisita  in  violazione  di  un
divieto di legge, si  applichi  anche  alle  c.d.  «inutilizzabilita'
derivate», e cioe' ai risultati degli atti di ricerca o  acquisizione
della prova, quando compiuti - fuori dei casi  in  cui  la  legge  lo
consenta - in danno di  uno  dei  diritti  inviolabili  di  cui  agli
articoli 13 e 14 della Costituzione, e  quindi  nella  parte  in  cui
l'art. 191 del codice di procedura penale non  prevede  che  in  tali
casi l'inutilizzabilita' si  trasmetta  alle  ulteriori  acquisizioni
probatorie che direttamente ne discendano, e  riguardi  quindi  anche
ogni esito probatorio - ivi compreso il sequestro del corpo del reato
o delle cose pertinenti al reato e la possibilita' di deporre su tali
atti e sui loro risultati - degli atti di perquisizione ed  ispezione
domiciliare e personale: 
        a) compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi  in  cui
la legge  costituzionale  e  quella  ordinaria  le  attribuiscono  il
relativo potere; 
        b) compiuti dalla polizia  giudiziaria,  fuori  del  caso  di
previa flagranza del  reato,  in  forza  di  segnalazioni  anonime  o
confidenziali e su tali basi autorizzate o convalidate  dal  pubblico
ministero; 
        c) compiuti dalla  polizia  giudiziaria  fuori  del  caso  di
previa flagranza del reato e degli altri casi in cui la legge  glielo
consenta, e successivamente non convalidati, per  qualsiasi  ragione,
dal pubblico ministero; 
    Dichiara altresi' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 352  del  codice
di procedura penale, per contrasto con gli articoli 2, 13,  14  della
Costituzione, nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui  il
pubblico ministero non provveda a convalidare  la  perquisizione  nei
termini di legge,  ne  divengano  inutilizzabili  tutti  i  risultati
probatori anche in termini di «inutilizzabilita' derivata»; 
    Ordina la notificazione della presente ordinanza all'imputato, al
pubblico ministero, ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e la
sua comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento; 
    Dispone la successiva trasmissione della presente ordinanza, e di
copia  degli   atti   del   procedimento,   unitamente   alla   prova
dell'esecuzione delle notificazioni e  delle  comunicazioni  previste
dalla  legge,  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della
questione di costituzionalita' cosi' sollevata; 
    Sospende  il  procedimento  sino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale e, in attesa di questa, rinvia il processo all'udienza
del 13 dicembre 2022, ore 09,00. 
        Lecce, 19 ottobre 2021 
 
                         Il giudice: Sernia