N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 dicembre 2021

Ordinanza  del  30  dicembre  2021  del  Tribunale   di   Udine   nel
procedimento civile promosso da Flextec srl e altri c/Bluenergy Group
spa  . 
 
Tributi  -  Accise  -  Istituzione  di  una  addizionale   all'accisa
  sull'energia elettrica in  favore  delle  Province  -  Sopravvenuto
  contrasto    tra    la    disposizione    nazionale,     istitutiva
  dell'addizionale  provinciale,  e  l'art.  1,  paragrafo  2,  della
  direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008  -  Azione
  di ripetizione del cliente finale relativa  alla  parte  di  prezzo
  corrispondente alle somme indebitamente percepite dal  fornitore  a
  titolo di  rivalsa  del  tributo  -  Denunciata  impossibilita'  di
  disapplicazione della normativa nazionale per contrasto  con  norme
  dell'Unione europea prive di effetto diretto. 
- Decreto-legge 28 novembre 1988, n.  511  (Disposizioni  urgenti  in
  materia  di  finanza   regionale   e   locale),   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 27 gennaio 1989, n. 20, art. 6, commi 1,
  lettera c), e 2, come sostituiti dall'art. 5, comma 1, del  decreto
  legislativo 2  luglio  2007,  n.  26  (Attuazione  della  direttiva
  2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la  tassazione
  dei prodotti energetici e dell'elettricita'), "per  il  periodo  di
  sua  vigenza  successivo  al  1°  gennaio  2010  e  fino  alla  sua
  abrogazione". 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
 
                   IL TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE 
                       Sezione seconda civile 
 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 1904/2021 promossa da: 
      Flextec Srl (codice  fiscale  03585150265)  con  il  patrocinio
dell'avv.  Calvetti  Sergio;  Gamma   Legno   Srl   (codice   fiscale
00207370933) con il patrocinio dell'avv. Calvetti  Sergio;  IDGH-TECH
SRL (codice fiscale 01643880931) con il patrocinio dell'avv. Calvetti
Sergio; 
      M.B.F. SRL  (codice  fiscale  01014060931)  con  il  patrocinio
dell'avv. Calvetti Sergio; 
      Martoni Spa  (codice  fiscale  0012404932)  con  il  patrocinio
dell'avv.  Calvetti  Sergio;  contro  attori  Bluenergy   Group   Spa
(02259960306) con il patrocinio dell'avv. Piron Francesco e dell'avv.
Biasin Paolo; Convenuto il giudice ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Le  cinque  societa'  commerciali  in  epigrafe   hanno   avviato
l'odierno  giudizio  con  unico  ricorso  ex  art.  702-bis   c.p.c.,
depositato in data 27 maggio 2021; la convenuta  si  e'  regolarmente
costituita in giudizio. 
    Ciascun'attrice deduce di aver a suo tempo stipulato un contratto
di somministrazione di energia elettrica con Bluenergy Group Spa e di
aver pagato puntualmente a quest'ultima le somme via via  a  ciascuna
richieste, comprendenti - per  quanto  qui  interessa  -  un  importo
dovuto a titolo di addizionale  provinciale  all'accisa  sull'energia
elettrica. Cio' per effetto dell'art. 6,  commi  1,  lett.  C,  e  2,
del decreto legge n. 511/1988 (convertito in legge n.  20/1989),  nel
testo modificato dall'art. 5, comma 1,  del  decreto  legislativo  n.
26/2007 (d'ora in poi: «addizionale») 
    Cio' premesso, le attrici chiedono la condanna della convenuta  a
restituire loro ex art. 2033 c.c. le  somme  da  esse  percepite  nel
periodo 1° gennaio 2011 - 31 marzo 2012  a  titolo  della  menzionata
addizionale, affermando che tale pagamento e' avvenuto  senza  valido
titolo legale. 
    Sulla giurisdizione  dell'A.G.O.  e  sulla  legittimazione  delle
parti. 
    Il «diritto vivente» sostiene che: 
      il rapporto  tributario  inerente  al  pagamento  di  accise  e
addizionali (tra cui  rientra  anche  l'addizionale  in  discussione)
intercorre solo tra Fisco e soggetti che commerciano beni  sottoposti
a tale sistema d'imposizione; rispetto a  tale  rapporto  rimane  del
tutto estraneo l'acquirente finale di detti beni; 
      il soggetto passivo di accise e addizionali puo' traslare sugli
acquirenti finali -  a  titolo  di  rivalsa  e  non  di  sostituzione
d'imposta (ex art. 16, comma 3, decreto legislativo n. 504/1995) - il
costo di tali tributi assolti, quale componente del prezzo finale  di
vendita dei beni; 
      in caso di accertata insussistenza dell'obbligo  di  versamento
all'Erario di accise o addizionali,  il  cliente  finale  (che  abbia
pagato al proprio cedente una quota del prezzo a titolo di rivalsa di
tali poste) ha azione dinanzi all'A.G.O. nei confronti del  fornitore
onde ripetere gli importi indebitamente versati, mentre non ha alcuna
azione nei confronti dell'Erario; 
      fa eccezione il caso in cui l'azione del cliente nei  confronti
del fornitore si riveli oltremodo gravosa (ad  esempio,  nell'ipotesi
di fallimento del fornitore). 
    Si tratta di  affermazioni  costantemente  ripetute  dalla  Corte
Suprema  di  Cassazione:   sentenze   nn.   14200/2019;   15199/2019;
27099/2019;   27100/2019;   27101/2019;    27306/2019,    28047/2019;
29980/2019; 33345/2019; 33603/2019; 901/2020; 3233/2020;  10112/2020;
10113/2020;   10114/2020;   10226/2020;    15504/2020;    15505/2020;
15506/2020;   21770/2020;   21771/2020;    21772/2020;    22344/2020;
22345/2020. 
    In quest'ottica, da ritenersi oramai consolidata ed integrante un
vero  e  proprio  «diritto  vivente»,  la  giurisdizione  di   questa
autorita' adita, la legitimatio ad causam delle odierne  parti  e  la
correttezza dell'impostazione da esse data alla presente controversia
non possono essere messe in discussione. 
    Argomenti fondanti la domanda attorea. 
    Le attrici affermano che i pagamenti  da  esse  eseguiti  dal  1°
gennaio  2010  a  favore  della  convenuta  a   titolo   di   rivalsa
dell'addizionale sono indebiti, per: 
      a) sopravvenuto contrasto della norma nazionale  che  prevedeva
l'obbligo con l'art. 1, par. 2, direttiva 2008/118/CE  del  Consiglio
dell'UE, che consente simili imposizioni indirette - su prodotti gia'
sottoposti ad accisa - solo se aventi «finalita' specifiche»; 
      b) conseguente necessita' di disapplicare la norma interna. 
    Il contrasto fra  norma  interna  e  disposizione  sovranazionale
deriverebbe dal seguente percorso argomentativo: 
      1) la Direttiva  in  questione  doveva  essere  recepita  dalla
Repubblica italiana entro il primo gennaio 2010; 
      2) l'addizionale regolata dalla norma  interna  non  perseguiva
«finalita' specifiche»; 
      3)  la  norma  interna  istitutiva  dell'addizionale  e'  stata
abrogata solo a decorrere dal 1° aprile 2012 dall'art. 4,  comma  10,
del decreto legge 16/2012, convertito in legge n. 44/2012. 
    La disapplicazione dovrebbe essere operata perche'  fa  direttiva
ha natura c.d. self  executing  giacche'  impone  agli  Stati  membri
obblighi precettivi immediati. 
    La conseguenza  sarebbe  l'accertamento  del  fatto  che,  dal 1°
gennaio 2010 fino alla sua abrogazione, ogni pagamento effettuato  da
allora alla convenuta per effetto della norma tributaria nazionale in
tema di addizionale e' stato indebitamente  eseguito  e  deve  essere
restituito alle attrici ai sensi dell'art. 2033 c.c. 
      A) sulla contrarieta' della nonna interna rispetto  al  diritto
UE. 
    La Corte di legittimita' ha gia' avuto occasione di affermare, in
modo persuasivo  e  con  ampio  richiamo  alla  giurisprudenza  della
C.G.U.E., che la disciplina nazionale in tema di accisa  e'  divenuta
contrastante con la Direttiva sopra menzionata  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2010. 
    Si  richiamano  qui  per  brevita',  e  totale  condivisione,  le
sentenze della suprema corte nn. 15198/2019 (punti  2.2  e  s.  della
motivazione) e 27101/2019 (punti 2 e s. della motivazione). 
    Ne' va dimenticato che la Commissione europea aveva attivato  sul
punto una  procedura  d'infrazione  nei  confronti  della  Repubblica
italiana, interrotta solo a seguito  della  sopravvenuta  abrogazione
della disciplina interna dell'addizionale. 
    Si puo' dunque convenire sul fatto che  l'addizionale  non  aveva
finalita' specifiche (ma perseguiva una mera  esigenza  di  copertura
del bilancio degli enti locali), e dunque che non era piu' consentito
dal diritto dell'U.E. il  suo  mantenimento  in  vigore  a  decorrere
dall'entrata in vigore della direttiva menzionata. 
      B) sulla  disapplicazione  della  norma  interna  nel  presente
giudizio. 
    Le  attrici  chiedono,  su  tali  premesse,  che  questo  giudice
disapplichi la norma interna sull'addizionale,  mantenuta  in  vigore
dal 1° gennaio 2010 fino all'abrogazione nonostante il contrasto  con
le disposizioni U.E. sopravvenute, come premessa per la dichiarazione
del carattere indebito del pagamento eseguito alla convenuta in forza
di essa. 
    Vi sono seri dubbi sulla correttezza di tale impostazione. 
    E' noto che,  in  alcuni  casi,  le  direttive  possono  produrre
effetti autonomi nell'ordinamento dei singoli Stati  membri  anche  a
prescindere  dall'attivita'  di  recepimento  che  ogni   ordinamento
nazionale dovrebbe realizzare a seguito della loro  approvazione.  Si
tratta della  tematica  del  c.d.  effetto  verticale  diretto  delle
direttive: scaduto il termine di recepimento, i privati  possono  far
valere contro lo Stato  o  altri  enti,  anche  di  diritto  privato,
chiamati ad assolvere un compito di interesse pubblico con poteri che
vanno al di la' di quelli propri dei rapporti tra privati, i  diritti
loro attribuiti da una direttiva non  recepita  o  non  correttamente
recepita, purche' la direttiva presenti determinati requisiti su  cui
qui non interessa soffermarsi. 
    La C.G.U.E. si e' espressa ben diversamente nell'ipotesi  in  cui
una direttiva, non  recepita  o  non  correttamente  recepita,  venga
invocata da  un  singolo  nei  confronti  di  altri  privati  che  si
fronteggiano su di un piano di parita'. 
    Si tratta della tematica dei c.d. effetti  diretti  nei  rapporti
orizzontali, che la C.G.U.E.  nega  con  decisione  a  partire  dalle
sentenze 26 febbraio 1986, C-152/84 (punto 48 della motivazione) e 14
luglio 1994, C-91/92 (punti 20 e s. della motivazione). 
    In sostanza: 
      anche una disposizione chiara, precisa ed incondizionata di una
direttiva, volta  a  conferire  diritti  o  ad  imporre  obblighi  ai
privati, non puo' essere  applicata  come  tale  nell'ambito  di  una
controversia che ha  luogo  esclusivamente  tra  essi  (cfr.r.  anche
sentt. 5 ottobre 2004, da C-397/01 a C- 403/01, punto 109; 24 gennaio
2012, C-282/10, punto 42; 15 gennaio 2014, C-176/12, punto 36); 
      una direttiva non puo' essere fatta valere in una  controversia
tra privati ai fini  della  disapplicazione,della  normativa  di  uno
Stato membro contraria a tale  direttiva  (sent.  27  febbraio  2014,
C-351/12, punto  48),  perche'  il  giudice  nazionale  e'  tenuto  a
disapplicare la disposizione nazionale contraria a una direttiva solo
laddove quest'ultima sia invocata nei confronti di uno Stato  membro,
degli  organi  della  sua  amministrazione,  ivi  comprese  autorita'
decentralizzate, o degli organismi o entita' sottoposti all'autorita'
o al controllo dello Stato o a cui sia stato demandato da  uno  Stato
membro l'assolvimento di un  compito  di  interesse  pubblico  e  che
dispongono a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti  dalle
norme applicabili nei rapporti fra singoli (sentt. 24  gennaio  2012,
C-282/10, punti 40 e 41; 25 giugno 2015, C-671/13, punti 59 e 60;  10
ottobre 2017, C-413/15, punti da 32 a 42; 24 giugno  2019,  C-573/17,
punti 52-68). 
    Ebbene, traslati detti  principi  nell'odierna  controversia,  si
deve concludere che, pure ammettendo che l'art. 1, par. 2,  direttiva
2008/118/CE  possiede  i  requisiti  richiesti  dalla  C.G.U.E.   per
produrre  effetti  diretti,   essa   non   potrebbe   condurre   alla
disapplicazione della normativa  nazionale  in  tema  di  addizionale
nella presente controversia. 
    Infatti, la disapplicazione avrebbe come effetto la  creazione  a
carico della convenuta di un obbligo che, in assenza della direttiva,
non  sussisterebbe.  Obbligo  consistente  nella  restituzione   alle
attrici delle somme percepite a  titolo  di  addizionale  in  rivalsa
perche' indebite ex art. 2033 c.c. 
    Ne' puo' considerarsi la convenuta come soggetto a cui sia  stato
demandato da  uno  Stato  membro  l'assolvimento  di  un  compito  di
interesse pubblico e che disponga a tal fine di poteri  che  eccedono
quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti  fra  singoli,
perche' nei rapporti fra le odierne parti la  convenuta  non  ha  mai
goduto di  poteri  speciali,  essendosi  limitata  ad  avvalersi  del
diritto di trasferire a mo' di rivalsa il  carico  fiscale  (gia'  da
essa pagato all'Erario per addizionale) sui propri clienti. 
    Quanto sopra  non  e'  in  contrasto  con  le  statuizioni  della
giurisprudenza di legittimita'. 
    Nelle sentenze Cass. 4 giugno 2019, n. 15198; 23 ottobre 2019, n.
27101; 5 giugno 2020, n. l0691; 28 luglio 2020, n. 16142; 15  ottobre
2020, n.  22343  la  Corte  ha  si'  disapplicato  la  norma  interna
sull'addizionale  per  i  motivi  sopra  esposti;  tuttavia  cio'  e'
avvenuto in controversie che vedevano contrapposti l'utente finale  e
lo Stato, in cui dunque venivano in rilievo effetti diretti verticali
della direttiva, e non orizzontali come in questa fattispecie. 
    Esistono certo decisioni di merito (cfr.  Trib.  MI  16  novembre
2020 in re 18698/2020 RG; Trib. MI 14.11.2020 in  re  16171/2020  RG,
prodotte in questa causa) che ritengono di poter  comunque  procedere
alla disapplicazione in questione anche in controversie fra  privati,
affermando che la C.G.U.E. ba  gia'  dichiarato  le  norme  nazionali
istitutive  di  addizionali  sulle  accise  -  prive   di   finalita'
specifiche - in contrasto col  diritto  dell'U.E.  (codice  fiscaler.
sentt. 5 marzo 2015 in re C-533/13 e 25 luglio 2018 in re  C-103/17);
cio' basterebbe ad  imporre  al  giudice  nazionale  di  disapplicare
sempre e comunque la norma interna contrastante con la direttiva, per
doveroso rispetto del principio del primato del diritto dell'U.E. 
    Tale  ragionamento  non  e'  condivisibile,  perche'  la   stessa
C.G.U.E. (sent. 24 giugno 2019 in re C- 573/17, punti 67 e  68;  cfr.
anche sent. 7 agosto 2018 in re C-122/17) lo ha smentito affermando: 
      «anche se chiara, precisa e incondizionata, una disposizione di
una direttiva non consente al giudice nazionale di  disapplicare  una
disposizione del suo diritto interno ad essa  contraria  se,  in  tal
modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un singolo»; 
      «l'obbligo, per  un  giudice  nazionale,  di  disapplicare  una
disposizione del suo diritto interno contraria a una disposizione del
diritto dell'Unione, pur se  derivante  dal  primato  riconosciuto  a
quest'ultima  disposizione,  e'  tuttavia  condizionato  dall'effetto
diretto della suddetta disposizione nella controversia di  cui  detto
giudice e' investito. Pertanto, un giudice nazionale non  e'  tenuto,
sulla  sola  base  del  diritto  dell'Unione,  a   disapplicare   una
disposizione del suo diritto nazionale contraria a  una  disposizione
del diritto dell'Unione, qualora quest'ultima disposizione sia  priva
di effetto diretto.» 
    Si rinvengono anche altre pronunce (Trib. GE 19 novembre 2021  in
re 5281/21 RG, prodotta in questa causa) in cui si  sostiene  che  la
disapplicazione in discorso sarebbe legittima,  perche'  non  attuata
nel rapporto tra cliente e fornitore, bensi' nei rapporti tra  questi
e l'amministrazione tributaria; la cessazione del titolo  di  rivalsa
per addiziona/e sarebbe solo una conseguenza di cui prendere atto nel
giudizio fra fornitore e cliente. 
    Simile ricostruzione appare sinceramente artificiosa,  alla  luce
delle affermazioni della C.G.U.E. sopra riportate  e  del  fatto  che
comunque la presente causa pende fra privati  che  discutono  in  via
diretta (e non incidentale) del contrasto  fra  le  norme  interne  e
quelle unionali, e della  conseguente  disapplicazione  delle  prime,
quale argomento per affermare come priva di titolo nei loro  rapporti
l'operata rivalsa dell'addizionale. 
    Sul dubbio di legittimita' costituzionale. 
    Quanto sopra delineato non  definisce  la  controversia  pendente
dinanzi a questo giudice. 
    Risulta infatti non manifestamente infondato il dubbio  circa  il
contrasto della disposizione nazionale in  tema  di  addizionale  con
l'art. 117, comma primo, Cost. sotto il profilo del mancato  rispetto
dei vincoli gravanti sulla potesta' legislativa statale  e  derivanti
dall'ordinamento UE. 
    Come risulta dalla sentenza Corte Costituzionale n. 227/2010,  il
giudice  nazionale   deve   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale  per  violazione  di  detto  parametro  costituzionale
quando rileva un contrasto fra norme interne e norme  U.E.  prive  di
effetto diretto. 
    Il che,  come  sopra  illustrato,  e'  quanto  si  riscontra  nel
presente giudizio, pendente fra privati in piano reciproco di parita'
nel quale (per tale motivo) tate effetto diretto non puo' operare. 
    Sicche'  appare  necessario  sollevare  d'ufficio   la   relativa
questione. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza delle ragioni per  cui  si
ritiene esistente il  rilevato  contrasto,  si  rinvia  al  superiore
paragrafo in cui si illustrano i fondamenti della domanda  attorea  e
si  condivide  l'orientamento  espresso  dalla   Corte   Suprema   di
Cassazione sul punto, che ha piu'  volte  accertato  l'esistenza  del
menzionato conflitto. 
    La    possibilita'    di    procedere    ad    un'interpretazione
«costituzionalmente   orientata»   della   disposizione   di    legge
sull'addizionale  appare  preclusa,  stante  la  chiarezza  del   suo
dettato, la sua evidente  finalita'  di  finanziamento  generale  del
bilancio pubblico (piu' volte affermata anche dalla Suprema Corte) ed
il chiaro divieto posto dalla direttiva di procedere  ad  imposizioni
addizionali sulle accise sull'energia elettrica per  scopi  meramente
generali. 
    Ne' infine risultano in  gioco  «principi  generali  del  diritto
comunitario», che possano legittimare di per se' una  disapplicazione
di norme interne contrastanti con disposizioni di direttive  U.E.,  a
prescindere dall'efficacia diretta di queste  ultime  (cfr.  C.G.U.E.
sentenza in re C-144/04). 
    Quanto alla rilevanza della  questione,  si  deve  ricordare  che
l'oggetto della controversia e' appunto  l'applicazione  o  meno,  da
parte di questo giudice,  della  normativa  interna  sull'addizionale
fino alla sua abrogazione. 
    La  rilevanza  potrebbe  in  ipotesi  essere  smentita  ritenendo
possibile giungere al risultato del rimborso dell'indebito per  altra
via, ovvero affermando che la riscontrata assenza di effetti  diretti
orizzontali della direttiva in questione legittimi,  eccezionalmente,
l'utente finale a  richiedere  direttamente  il  rimborso  all'Erario
(mentre   di   regola   l'unico   a   cio'    legittimato    e'    il
produttore/fornitore, unico soggetto passivo  dell'imposta).  Sicche'
il privato avrebbe gia' a disposizione un'azione idonea a  soddisfare
la sua pretesa  di  rimborso,  senza  necessita'  di  coinvolgere  in
giudizio il proprio fornitore, cui a sua volta non  si  puo'  opporre
l'effetto diretto di una direttiva. 
    La Suprema Corte (n. 33603/2019,  in  motivazione  p.  2.6.1)  ha
pero' gia' negato tale possibilita',  affermando  che-  alla  stregua
della giurisprudenza  della  C.G.U.E  -  l'eccessiva  difficolta'  di
ottenere il rimborso di imposte indebitamente versate va  individuata
solo con riferimento  alla  situazione  del  soggetto  passivo  della
pretesa (nel caso in questione, del fornitore) e non  gia'  a  quella
del  consumatore  finale.  Sicche'  la  semplice  impossibilita'  per
quest'ultimo di avvalersi dell'effetto diretto di una  direttiva  non
gli consente di interpellare direttamente l'Erario  per  ripetere  le
somme indebitamente  versate  ad  altri  per  rivalsa  di  accise  ed
addizionali. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale, visti l'art. 23, legge n. 87/1953 e l'art. 1, legge
n. 71/1956; 
      dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 1, lett.  C,  e  2,
del decreto legge n. 511/1988 (convertito in legge n.  20/1989),  nel
testo modificato dall'art. 5, comma 1,  del  decreto  legislativo  n.
26/2007, per il periodo di sua vigenza successivo al 1° gennaio  2010
e fino alla sua abrogazione, per  contrasto  con  l'art.  117,  comma
primo, Cost. e l'art. 1, par. 2, direttiva 2008/118/CE del  Consiglio
dell'U.E.; 
      sospende  il  procedimento  fino  alla  decisione  della  Corte
costituzionale; 
      dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura  della
cancelleria, alle parti ed al Presidente del Consiglio  dei  ministri
(Dipartimento affari giuridici e legislativi -  Ufficio  contenzioso,
per la consulenza giuridica e per i rapporti con la Corte europea dei
diritti  dell'uomo  -  piazza  Colonna  n. 370   -   00187   Roma   -
attigiudiziaripec@pec.governo.it), e che sia comunicata ai Presidenti
del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; 
      dispone la trasmissione per  via  telematica  degli  atti  alla
Corte costituzionale,  a  cura  della  cancelleria  e  con  la  prova
dell'esecuzione di tutte le prescritte notificazioni e comunicazioni. 
        Udine, 30 dicembre 2021 
 
                       Il giudice: Massarelli