N. 43 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2022
Ordinanza del 14 marzo 2022 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Istituto Nord Est Qualita' contro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Sanzioni amministrative - Disposizioni a tutela delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari - Inadempienze della struttura di controllo alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorita' pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta - Prevista applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila. - Decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297 ("Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari"), art. 4.(GU n.18 del 4-5-2022 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE seconda sezione civile Composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati: dott. Felice Manna, Presidente; dott. Lorenzo Orilia, consigliere; dott. Aldo Carrato, consigliere; dott. Giuseppe Grasso, rel. consigliere; dott. Rossana Giannaccari, consigliere; Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso n. 34997-2018 proposto da: Istituto Nord Est Qualita' in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Ventuno Aprile n. 11, presso lo studio dell'avvocato Salvatore Alberto Romano, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Annalisa Molinari, Carlo Nasi; ricorrente; Contro Ministero politiche agricole alimentari e forestali in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende; resistente; Avverso la sentenza n. 816/2018 della Corte d'appello di Venezia, depositata l'11 maggio 2018; Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27 gennaio 2022 dal consigliere dott. Giuseppe Grasso; La Corte osserva 1. All'Istituto Nord Est Qualita' venne applicata, con provvedimento del Ministero delle politiche agricole e forestali, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000,00, prevista dall'art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, per non avere adempiuto, quale struttura incaricata di controllare la qualita', siccome prevede la norma richiamata, «alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorita' pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta». Controllo che, nella specie, riguardava il prosciutto San Daniele d.o.c. L'Istituto sanzionato propose opposizione davanti al competente Tribunale, adducendo l'insussistenza delle tre violazioni contestate: a) avere omesso di rilevare la violazione perpetrata dall'azienda agricola Casaletto s.r.l., la quale non aveva proceduto all'annullamento della certificazione unitaria di conformita' (la predetta azienda si era limitata a barrare il numero errato «64» dei capi inviati al macellatore sostituendolo con il numero «65», non attenendosi alla previsione di cui al p. 2.5. del «manuale 1», la quale imponeva di annullare con chiarezza la certificazione, con barratura trasversale e la dicitura «annullata»); b) avere omesso di rilevare le violazioni perpetrate da alcuni produttori di prosciutti, i quali non avevano proceduto a registrare nell'apposito registro le cosce di suino fresche, introdotte per la lavorazione, cosi' violando la prescrizione di cui al «manuale 2»; c) non avere sottoscritto il registro del produttore per presa visione, sottoscrizione contemplata espressamente dal p. 27.4 del «manuale 2». Inoltre, l'opponente critico' l'eccessivita' della sanzione fissa. Il Tribunale rigetto' l'opposizione e l'Istituto appello' la sentenza di primo grado davanti alla Corte d'appello di Venezia, la quale disattese l'impugnazione. In sintesi, la Corte lagunare riassume le censure come appresso: «L'appellante ha inteso sottolineare la circostanza che nel caso di specie, in presenza di un numero di suini certificati (64) inferiore a quello dei suini effettivamente consegnati (65) nell'ambito della partita, il macello ha correttamente operato entro il limite massimo del numero dei suini dichiarati nella C.u.c., come precisato nel punto b) del paragrafo 4.8.2. del «manuale 1»; tuttavia il comportamento del macellatore non comporta una deroga a quanto previsto nel paragrafo 2.5.6 del suddetto manuale, secondo cui la C.u.c., in caso di errore materiale di compilazione, «deve essere annullata con chiarezza, tracciando sul documento una barra trasversale ed apponendovi la dicitura «ANNULLATA»).». L'altra doglianza con la quale si contestava l'addebito di non avere rilevato la trasgressione dei produttori, i quali non avevano proceduto a registrare le cosce di suino introdotte per la lavorazione, era priva di fondamento davanti al fatto oggettivo della conclamata omissione di controllo, ne' meritava di essere accolta la difesa dell'appellante, secondo la quale al momento della constatazione della violazione da parte degli agenti accertatori, in data 3 dicembre 2010, l'Istituto avrebbe ancora potuto effettuare i controlli sul registro tenuto dal produttore, essendo «ineludibile [la] distinzione tra le modalita' temporali previste per l'esecuzione del controllo in capo all'Istituto (par. 19.2.6) e la verifica dei tempi di esecuzione degli incombenti di cui al par. 19.2.5 da parte singolo prosciuttificio››. La critica mossa al terzo addebito (non avere l'Istituto sottoscritto il registro del produttore per presa visione) non poteva essere condivisa, trattandosi d'incombente, diretto al controllo di qualita' e genuinita' del prodotto, non surrogabile mediante altre forme di controllo. Infine, appariva manifestamente infondata l'eccezione d'incostituzionalita', per violazione dell'art. 3 Cost., per avere la legge previsto una sanzione pecuniaria fissa a differenza che per violazioni analoghe in altri settori merceologici, trattandosi di opzione legislativa incensurabile. Avverso la decisione d'appello l'Istituto Nord Est Qualita' ricorre sulla base di quattro censure e il Ministero, rimasto intimato, ha manifestato il proprio interesse alla partecipazione all'eventuale udienza di discussione. 2. I quattro motivi esposti sono accomunati dalla denuncia di violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 297/2004, in relazione ai «Manuali» 1, 2 e 3 per il controllo della qualita' di settore. 2.1. Con il primo motivo, afferente alla contestazione di cui sopra sub. a), assume il ricorrente di avere sempre sostenuto che la violazione si sarebbe potuta configurare nel solo caso in cui il numero dei suini certificati fosse risultato superiore al numero di quelli consegnati per la macellazione. Il profilo censuratorio era «stato completamente travisato, se non proprio pretermesso, dalla Corte d'appello - il nostro e' un caso opposto a quello contemplato nella norma del Manuale e la relativa disciplina applicabile e' del tutto differente», in quanto il numero dei maiali certificati era inferiore e non superiore al numero di quelli consegnati per la macellazione. 2.2. Con il secondo motivo, afferente alla contestazione di cui sopra sub. b), assume il ricorrente che la Corte di Venezia non aveva considerato che «l'Istituto avrebbe potuto rendersi conto della mancata registrazione dei suini solo per effetto del confronto tra le risultanze del registro e i D.O. Documenti di Omologazione raccolti entro il terzo giorno del mese successivo», pertanto, l'Istituto non era inadempiente poiche' «alla data dell'accertamento del presunto illecito ... doveva ancora (legittimamente) ultimare quell'attivita' di raffronto tra registro e l'insieme dei DO raccolti per individuare eventuali registrazioni di capi non effettuate». 2.3. Con il terzo motivo, afferente alla contestazione di cui sopra sub c), il ricorrente afferma che il registro del produttore costituiva «uno strumento in disuso e obsoleto», utile in un tempo in cui «non erano ancora state approvate tutte le modalita' di rendicontazione dei controlli sistematici e dei controlli specifici per ogni singola fase»; per contro «tale firma, che era evidentemente richiesta per dare prova dell'avvenuto controllo, e' del tutto superflua poiche' esistono (...) rapporti codificati di tutte le operazioni di controllo». 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente critica la sentenza d'appello per avere svolto un ragionamento «eccessivamente schematico», che non aveva colto che l'affermazione della vincolativita' delle disposizioni dei «Manuali» non esonera dall'accertare quali violazioni possano «configurare un inadempimento alle prescrizioni ed agli obblighi, in capo all'Organismo di controllo, tale da integrare la fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 4 del decreto legislativo n. 297/2004». 3. Il decreto legislativo in parola costituisce lo strumento interno emanato in esecuzione del regolamento (CEE) n. 2081/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari. Come si e' anticipato l'art. 4 prevede la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000,00, nel caso in cui risulti che la struttura incaricata del controllo di qualita' non adempia «alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorita' pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta». Trattasi di una previsione sanzionatoria amministrativa in bianco diretta a reprimere ogni e qualunque violazione di disposizioni e ordini dettati non solo attraverso norme secondarie, ma anche mediante specifiche disposizioni amministrative emanate «dalle competenti autorita' pubbliche». Il ricorrente, che nel corso del giudizio di merito eccepi' la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale della disposizione sanzionatoria, denunciando, siccome riporta la sentenza d'appello, «la manifesta ingiustizia e la disproporzionalita' della sanzione (...) per violazione dell'art. 3 della Costituzione», non ha davanti a questa Corte riproposto l'eccezione. Reputa il Collegio che la norma di cui qui si discute presenti profili non manifestamente infondati d'incostituzionalita' e che il giudizio non possa essere definito «indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale». La rilevanza della questione e' del tutto evidente: la controversia pendente in questa sede concerne proprio l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissa introdotta dai piu' volte citato art. 4, che renderebbe vano anche l'accoglimento delle censure relativamente a due degli addebiti su tre. La questione, esaminata d'ufficio, non appare manifestamente infondata per le ragioni che seguono. Assai di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 185/2021 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 7, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 13 settembre, n. 158, convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, «per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU», il quale puniva con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000 la mancata osservanza delle disposizioni di cui al comma 4 del medesimo articolo, le quali impongono a coloro che offrono giochi o scommesse con vincite in denaro, una pluralita' di obblighi informativi, cosi' d'avvertire il fruitore dei rischi di ludopatia. La Corte costituzionale, riprendendo la sua giurisprudenza, premette che la fissita' della sanzione amministrativa impone accorta disamina al fine di superare il dubbio di illegittimita' costituzionale, da escludersi solo laddove essa, in risposta a infrazioni di disomogenea gravita', punisca infrazioni tuttavia connotate da un disvalore tale da non renderla manifestamente sproporzionata. Con la conseguenza che essa Corte aveva «ritenuto costituzionalmente illegittima la previsione di sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza sui diritti dell'interessato per ipotesi di gravita' marcatamente diversa (sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccedenti il limite della proporzionalita' rispetto all'illecito commesso (sentenza n. 112 del 2019». Nell'ipotesi riportata accerta l'incostituzionalita' della norma, giudicando che la fissita' del trattamento sanzionatorio non teneva conto della gravita' in concreto dei singoli illeciti, esemplificativamente ripresi dalla sentenza ed era foriera di manifesta sproporzionalita' per eccesso della risposta sanzionatoria rispetto al concreto disvalore «di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma». Reputa questa Corte che nel caso in esame il dubbio di illegittimita' costituzionale per violazione dei medesimi parametri non appaia manifestamente infondato. L'entita' della sanzione, anche in questo caso determinata nella misura fissa di euro 50.000, risulta di significativo rilievo, anche a volerla rapportare a capacita' economica non modesta (si pensi all'utile mensile medio di aziende di non minime dimensioni). Il ventaglio delle condotte sanzionate risulta assai vasto: la previsione punisce l'inadempimento «alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorita' pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta». In altri termini, qualunque scostamento a prescrizioni e obblighi impartiti da qualsiasi autorita' pubblica avente competenza viene punita con la medesima sanzione pecuniaria fissa di euro 50.000. Vastita' che nell'ipotesi qui al vaglio risulta emblematicamente suggellata dagli addebiti mossi, che vanno dall'omesso rilievo di una contestata irregolarita' formale che un'azienda verificata avrebbe commesso nel procedere all'annullamento della certificazione unitaria di conformita'; all'omesso rilievo della mancata registrazione, addebitata ad alcuni produttori di prosciutto, delle cosce di suino fresche introdotte per la lavorazione; a non avere, infine, l'ente di controllo proceduto a sottoscrivere per presa visione il registro del produttore. Come e' agevole percepire, nel primo caso si contesta il mancato rilievo di uno mero scostamento formale dal modello imposto alle aziende per l'annullamento della c.u.c.; nel secondo, il mancato rilievo dell'omesso rispetto, sempre da parte del produttore, dell'obbligo di registrazione e nell'ultimo, si addebita all'Istituto Nord Est Qualita' di essere venuto meno all'obbligo di sottoscrizione per presa visione di cui si e' detto. Ne deriva che, anche in questo caso, riprendendo le parole della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 185/2021 citata, «la fissita' del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della diversa gravita' concreta dei singoli illeciti» e «la reazione sanzionatoria [puo'] risultare manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma». Va, infine, soggiunto che il tenore della disposizione, che introduce la severa sanzione fissa, senza prevedere alcuno strumento individualizzante rispetto al concreto disvalore dell'illecito, ne' individua fattispecie capaci d'incidere sull'entita' di essa, non consente di superare il dubbio attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata. Una tale interpretazione, infatti, non puo' che operare attraverso estensione, anche analogica, di modelli che debbano poter essere rinvenuti all'interno del contesto normativo di riferimento, che qui non lascia alternativa praticabile. Deve, pertanto, rimettersi alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale, che si rileva d'ufficio, dell'art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. Il giudizio e' sospeso per legge (art. 23, comma 2, legge n. 1173/1953, n. 87).
P.Q.M. Rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 Protocollo addizionale CEDU; Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, giorno 27 gennaio 2022. Il Presidente: Manna