N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2022

Ordinanza del 24 marzo 2022 del Tribunale di sorveglianza di  Firenze
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di V. B.. 
 
Misure di sicurezza  -  Liberta'  vigilata  -  Condannato  alla  pena
  dell'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale - Applicazione
  obbligatoria della misura  della  liberta'  vigilata  -  Previsione
  della  durata  della  liberta'   vigilata   in   misura   fissa   e
  predeterminata  -  Mancata  previsione   della   possibilita'   del
  magistrato di sorveglianza di verificare  l'adeguatezza  della  sua
  permanente esecuzione e,  per  l'effetto,  di  disporre  la  revoca
  anticipata. 
- Codice penale, artt. 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero
  2. 
(GU n.28 del 13-7-2022 )
 
               IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE 
 
    Il Tribunale il giorno 15 febbraio 2022 in Firenze si e'  riunito
in Camera di consiglio nelle persone dei componenti: 
        dott. Bortolato Marcello, Presidente; 
        dott.ssa Marino Valeria, giudice; 
        dott. Russo Francesco, esperto; 
        dott.ssa Natali Karma, esperta; 
    Per deliberare sulla domanda di: 
        impugnazione contro provvedimento in  materia  di  misura  di
sicurezza presentata da V. B., nato a ....... il ..... domiciliato in
...,  condannato   alla   pena   dell'ergastolo   in   relazione   al
provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale presso la Corte
d'Appello di Reggio Calabria in data 17  dicembre  2009  che  assorbe
condanne per delitti di associazione ex art.  416-bis  c.p.,  duplice
omicidio di stampo mafioso e detenzione illegale di anni commessi nel
..... . 
    Esaminati gli atti, viste le conclusioni formulate in udienza dal
Procuratore generale nella  persona  del  Sost.  Proc.  dott.  Sergio
Affrante e dal difensore, nei termini di cui al relativo  verbale,  a
scioglimento della riserva assunta in udienza, ha emesso la  seguente
ordinanza. 
    Con  provvedimento  del  29  ottobre   2020   il   Tribunale   di
sorveglianza di Firenze disponeva  nei  confronti  di  Ventura  Bruno
l'applicazione della liberazione  condizionale  ex  art.  176  codice
penale in relazione  alla  pena  dell'ergastolo  che  gli  era  stata
inflitta con la  sentenza  emessa  dalla  Corte  d'Assise  di  Reggio
Calabria dell'8  giugno  1994  nella  quale  era  stato  riconosciuto
colpevole di aver fatto parte di un'organizzazione criminale operante
nella Provincia di Reggio Calabria, promossa e diretta da C.  P.,  S.
P. e R. D., e per i delitti di omicidio plurimo e detenzione illegale
di armi ai danni di  M.  A.  e  M.  A.  in  cui  si  inserisce  anche
l'omicidio F. , eseguiti per motivi di mafia e consumati il .... . 
    Il provvedimento di concessione veniva emesso  dal  Tribunale  di
sorveglianza sul presupposto che lo svolgimento della carcerazione di
V.  fosse  stato  contrassegnato  da  effettiva  partecipazione  alle
attivita'  trattamentali,  da   particolare   impegno   negli   studi
universitari e dall'esistenza di un adeguato  percorso  di  revisione
critica - che lo aveva portato a riconoscere l'origine della  propria
condotta omicida nell'inesperienza, ignoranza ed  impulsivita'  della
giovane eta' -  oltre  che  dalla  fruizione  di  diversi  giorni  di
liberazione anticipata, dalla ammissione al  beneficio  dei  permessi
premio e della semiliberta'. 
    Secondo il Tribunale,  il  giudizio  favorevole  si  fondava  sul
riconoscimento del  sicuro  ravvedimento  del  soggetto,  considerata
l'irreprensibile condotta, l'ampia revisione  critica,  l'assenza  di
altri precedenti o pendenze e di problemi  di  tossicodipendenza,  il
conseguimento della  laurea  in  Architettura,  come  motivazione  al
proprio riscatto personale e sociale, riconoscendo l'importanza dello
studio nel suo processo di riabilitazione, il buon esito dei permessi
premio, usufruiti per lungo tempo anche nei luoghi di  origine  e  di
commissione dei reati, la disponibilita' di una valida  attivita'  di
lavoro, prorogabile  nel  tempo  e  svolta  da  sempre  con  notevole
impegno, come anche l'attivita' di volontariato. Infine, la fruizione
della semiliberta', eseguita senza rilievi di sorta. 
    Nel provvedimento  si  faceva  inoltre  riferimento  all'avvenuto
adempimento delle  obbligazioni  civili  ed  alla  indicazione  delle
circostanze  dalle  quali  evincere  l'impossibilita'  di   risarcire
integralmente il danno. 
    ll  Tribunale  pertanto,  accolta   l'istanza.   di   liberazione
condizionale, disponeva la trasmissione degli atti al  Magistrato  di
sorveglianza di Firenze per gli adempimenti di  cui  agli  arti.  190
disposizioni di attuazione del codice di  procedura  penale  ai  fini
dell'applicazione della liberta' vigilata, sicche' a  partire  dal  5
novembre 2020  l'interessato  veniva  sottoposto  alla  misura  della
liberta' vigilata che ha avuto inizio regolare con la prescrizione di
una serie di obblighi che, a tutt'oggi, non risultano mai violati. La
misura avra' termine il 5  novembre  2025,  salva  concessione  della
liberazione anticipata. 
    Con richiesta  depositata  in  atti  la  difesa  dell'interessato
presentava al Magistrato di  sorveglianza  istanza  di  revoca  della
misura di  sicurezza  della  liberta'  vigilata  gia'  deducendo  una
probabile incompatibilita' costituzionale della norma  che  determina
in misura fissa la durata della misura senza possibilita' di una  sua
revoca anticipata. La  richiesta  veniva  respinta  con  la  seguente
succinta motivazione: «ritenuta la piena legittimita'  costituzionale
della norma». 
    Avverso tale rigetto la difesa proponeva quindi appello  ex  art.
680, comma 1 codice di procedura penale deducendo: 
        che il condannato era sottoposto obbligatoriamente  ai  sensi
degli articoli 230 comma 1, n. 2 e 177, comma 2, codice  penale  alla
misura della liberta'  vigilata  per  la  durata  di  anni  5,  quale
conseguenza  della  concessione  della  liberazione  condizionale  in
relazione alla condanna all'ergastolo; 
        che la misura della liberta' vigilata per espressa previsione
di legge costituisce misura di sicurezza e come tutte  le  misure  di
sicurezza e' sottoposta al principio di legalita' ex  art.  25  cost.
comma 3 che deve leggersi in accordo, e non in contrasto, con  l'art.
202, comma 1 del codice penale che ne prevede l'applicazione solo per
le  persone  «socialmente  pericolose».   Al   riguardo,   la   Corte
costituzionale ha stabilito che per tutte le misure di sicurezza vige
nell'ordinamento la presunzione  solo  relativa  di  pericolosita'  a
seguito di un vaglio da effettuarsi sia nel momento  di  applicazione
della misura sia nel momento della sua  esecuzione,  come  si  ricava
dall'abrogazione della disposizione dell'art. 204  codice  penale  ad
opera della legge n. 663/86; 
        che di conseguenza, anche nel caso della misura di  sicurezza
della  liberta'  vigilata,  che  importa   notevoli   restrizioni   a
fondamentali diritti del condannato,  s'impone  un  giudizio  fondato
sull'effettiva condizione di pericolosita'  del  soggetto  e  non  su
irragionevoli automatismi di legge. Tale interpretazione  deriverebbe
da una lettura costituzionalmente orientata delle norme di  cui  agli
articoli 177, comma 2 e 230, comma 1, n. 2 c.p., in forza delle quali
anche la  liberta'  vigilata  che  consegue  alla  concessione  della
liberazione  condizionale  dovrebbe  essere   fondata   su   di   una
valutazione  «attuale»  della  pericolosita'  tale  da   giustificare
l'ulteriore  restrizione  della   liberta'   personale   anche   dopo
l'avvenuta  scarcerazione.   In   questa   situazione   (assenza   di
pericolosita'), l'esecuzione della misura dovrebbe essere  evitata  o
quantomeno  interrotta  allorquando   si   dovesse   riscontrare   la
cessazione della condizione di pericolosita'; 
        che in caso  di  diversa  interpretazione  ci  si  troverebbe
innanzi al paradosso per  cui  per  l'ergastolano  ed  «ostativo»  e'
venuta meno la presunzione assoluta di  pericolosita'  dettata  dalla
mancata collaborazione  (cfr.  sentenza  Corte  cost.  n. 253/2019  e
ordinanza  n.  97/2021)  e  permarrebbe  viceversa  una   presunzione
assoluta di pericolosita' che inerisce alla pena  perpetua  tanto  da
dar obbligatoriamente luogo ad una misura di sicurezza anche  laddove
il condannato, certamente ravveduto (essendo  questo  presupposto  di
merito della misura in esame), abbia ottenuto la  piu'  ampia  misura
extramuraria prevista per l'ergastolano; 
        che  un'interpretazione  della  norma  in  conformita'   alla
Costituzione, come sopra prospettata, comporterebbe  la  possibilita'
di revoca della liberta'  vigilata  e  non  sarebbe  inficiata  dalle
considerazioni espresse dalla Corte di  cassazione  con  la  sentenza
Sez. I n. 343 del 28 gennaio 1991  (Rv.  18671  Negri)  sulla  natura
della liberta' vigilata ex art 177 cit.  (secondo  cui  «la  liberta'
vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale si  differenzia
sotto l'aspetto funzionale dalla misura di sicurezza  della  liberta'
vigilata in quanto non ha lo scopo di fronteggiare una  pericolosita'
sociale del condannato (anzi, in tanto  e'  ordinata  in  quanto  sia
stato accertato che questi non e' piu'  socialmente  pericoloso),  ma
quello di consentire un controllo dello stesso al fine di  verificare
se il giudizio di ravvedimento trovi corrispondenza nella realta' dei
fatti»), dal momento che essa costituisce intanto  ['unica  pronuncia
sul punto ed inoltre contiene  una  motivazione  apodittica  che  non
tiene conto del fatto che le leggi cambiano e la loro interpretazione
evolve e che le loro potenzialita' sono aperte a implicazioni  sempre
nuove: «la legge un corpo vivente, essa  preserva  la  sua  identita'
anche se la singola cellula e' soggetta ad un incessante processo  di
cambiamento, di decadenza e di rinnovamento» (Corte Cost. n. 135/2003
e n. 286/2016). 
    Pertanto, avendo l'interessato raggiunto un grado di rieducazione
tale da non  giustificare  piu'  il  mantenimento  delle  restrizioni
impostegli dalla liberta' vigilata, chiedeva la revoca  della  misura
in atto. 
    In via subordinata, la difesa sottoponeva al Giudice la questione
di legittimita' costituzionale degli articoli  230,  comma  2  e  177
comma 2, codice penale nella parte in cui impongono al Magistrato  di
sorveglianza l'applicazione della misura di sicurezza, nonostante  il
sicuro ravvedimento del soggetto, per la  durata  non  derogabile  di
anni cinque, misura dalla quale deriva una limitazione della liberta'
personale  che  non  trova  alcuna   giustificazione   alla   stregua
dell'assenza di  pericolosita'  in  capo  al  soggetto  ammesso  alla
liberazione condizionale. 
    Tale assetto normativo sarebbe  comunque  in  contrasto  con  gli
articoli 3, 25 e 27 Cost.  dovendosi  riconoscere  l'esigenza  di  un
puntuale accertamento del requisito della pericolosita'  a  tutte  le
misu  di  sicurezza,  ivi  compresa  quella  in  esame  che,  per  le
caratteristiche di essere una 'pena' a tutti gli effetti (dato il suo
carattere indebitamente afflittivo), dovrebbe trovare rispondenza nei
principi di proporzionalita' e di individualizzazione.  Il  difensore
richiama in proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale in
materia di pene accessorie (sent. n. 222 del 2018) che ha  stabilito:
«se  la  regola  e'   rappresentata   dalla   discrezionalita'   ogni
fattispecie sanzionata con pena fissa e' per cio' solo  indiziata  di
illegittimita'». Non mancano inoltre anche i richiami  alla  dottrina
che a proposito del problema della  fissita'  della  sanzione  si  e'
espressa  nel  senso  che  automatismo   ed   indefettibilita'   sono
prospettive che  danno  vita  ad  un  meccanismo  ingiustificatamente
rigido che non appare compatibile con il volto  costituzionale  della
sanzione penate. 
    Pertanto,  anche   nel   caso   dell'appellante,   ammesso   alla
liberazione condizionale  ma  sottoposto  alla  misura  di  sicurezza
fissata inderogabilmente per la durata di cinque anni, si prospettano
gli stessi profili di illegittimita' costituzionale rassegnati  nella
pronuncia della Corte costituzionale  n.  222  del  2018  sulle  pene
accessorie fisse. 
    Secondo  la  difesa  sarebbe  dunque  possibile  in  primo  luogo
procedere alla revoca della liberta' vigilata attraverso una  lettura
costituzionalmente orientata  degli  articoli  177  e  230  c.p.,  in
ragione della piena equiparazione della liberta' vigilata de qua alle
misure di sicurezza per le quali e' sempre previsto il  potere/dovere
del giudice di procedere  all'accertamento  o  al  riesame  periodico
della  pericolosita'.  Laddove  non  si  decida  di   adottare   tale
interpretazione,    il    difensore     denuncia     l'illegittimita'
costituzionale delle due norme per contrasto con gli articoli 3,  25,
comma 3, 27 comma 3 della Costituzione dovendosi garantire  anche  al
libero vigilato in questione la possibilita' di ottenere la revisione
della misura (riesame della pericolosita'  e/o  revoca),  proprio  in
funzione del comportamento tenuto  e  del  sicuro  ravvedimento  gia'
posto a base delle concessione della liberazione condizionale. 
    Il Procuratore generale presente in udienza concludeva con parere
contrario  all'accoglimento  dell'eccezione   di   costituzionalita',
assumendo che l'applicazione della liberta' vigilata conseguente alla
liberazione condizionale costituisce espressione di  una  ragionevole
volonta' legislativa che trova rispondenza in altri istituti analoghi
come la sospensione condizionale della pena o la riabilitazione della
condanna, istituti nei quali  sono  previsti  inderogabili  scansioni
temporali per ottenere gli effetti costitutivi e/o  risolutivi  sulla
pena principale e sugli altri effetti penati. Allo  stesso  modo,  la
misura  della   liberta'   vigilata,   quale   sanzione   aggiuntivi,
rientrerebbe nell'ambito delle scelte insindacabili  del  legislatore
che, in considerazione della gravita' della  pena  applicata,  impone
limiti di accesso  all'ammissione  dei  condannato  alla  liberazione
condizionale sia attraverso  la  previsione  di  una  quota  di  pena
espiata di almeno ventisei anni, sia attraverso gli ulteriori vincoli
alla liberta' derivanti appunto dalle prescrizioni  di  cui  all'art.
228 e ss. c.p., solo  all'esito  dei  quali  la  pena  puo'  rimanere
estinta. Cosi esposti i punti salienti della questione prospettata in
atti, va osservato preliminarmente che il provvedimento che si chiede
di rivalutare e' stato  impugnato  ai  sensi  dell'art.  680  c.p.p.,
procedura  questa  che   sebbene   riguardi   l'appello   avverso   i
provvedimenti concernenti le misure di sicurezza,  sotto  il  profilo
processuale e tuttavia un procedimento con caratteri di «atipicita'»,
in quanto previsto per garantire una generale tutela ai provvedimenti
limitativi delle liberta' personali, senza il necessario collegamento
con i presupposti  che  contraddistinguono  le  misure  di  sicurezza
(pericolosita' sociale in primo  luogo).  Pertanto,  nessuna  stretta
connessione puo' essere rappresentata come  ipotizzato  invece  dalla
difesa - tra l'impugnativa  del  provvedimento  in  esame  e  la  sua
vincolante inclusione tra le misure di sicurezza. 
    Cio' detto, prima di affrontare il tema della rilevanza  e  della
non  manifesta  infondatezza   della   questione   di'   legittimita'
costituzionale come sopra illustrata, occorre innanzitutto  esaminare
la possibilita' per il Giudice di revocare la misura  della  liberta'
vigilata, sul presupposto dell'assenza di pericolosita' sociale di V.
B., attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata  delle
norme in oggetto. 
    In pratica, partendo dal presupposto  che  la  liberta'  vigilata
conseguente alla liberazione condizionale debba considerarsi a  tutti
gli effetti una misura di sicurezza, in quanto come tale  definita  e
disciplinata dalla legge,  e  che,  come  tutte  le  misure,  sarebbe
soggetta alla possibilita' per il giudice di verificare la permanenza
o meno delle condizioni di pericolosita' sociale,  che  ne  sorto  il
presupposto,  onde  disporne  il  mantenimento  o  la  revoca,   ogni
interpretazione contraria dovrebbe ritenersi  in  evidente  contrasto
con l'intervenuta abrogazione della pericolosita' sociale  «presunta»
ex art. 204 codice penale  ad  opera  dell'art.  31  della  legge  n.
663/1986. 
    In proposito, osserva il Collegio che, a prescindere dalla natura
che si voglia attribuire alla misura in esame, la  dizione  letterale
contenuta nelle norme con cui  si  impone  di  ordinare  la  liberta'
vigilata quando il  condannato  e'  stato  ammesso  alla  liberazione
condizionale per tutto il tempo della paa residua da scontare, ovvero
per cinque anni nel caso di condannato all'ergastolo, non consente in
alcun modo al giudice di apprezzare come ben avviato o gia'  definito
il  percorso  di  reinserimento  sociale  del  soggetto  e  procedere
conseguentemente alla revoca della liberta' vigilata prima della  sua
scadenza, se cio' appaia confacente alio scopo. Si tratta,  nel  caso
di specie, di  una  precisa  scelta  del  legislatore  dell'epoca  di
perseguire «ex post» la risocializzazione del condannato ammesso alla
liberazione   condizionale,   ancorche'   compiutamente   realizzata,
mediante l'obbligatoria applicazione  di  una  misura  afflittiva  in
aggiunta, quale appunto la liberta' vigilata, avente una durata fissa
e senza possibilita'  di  essere  eliminata  nel  caso  di  emergenze
concrete assolutamente favorevoli al soggetto. E cio' diversamente da
quanto stabilito per il verificarsi di fatti negativi durante la  sua
esecuzione,  come  la  commissione   di   un   delitto   o   di   una
contravvenzione della stessa indole,  oppure  la  trasgressione  agli
obblighi  inerenti  alla  misura,  in  conseguenza  dei  quali  viene
viceversa   disposta   la   revoca   immediata   della    liberazione
condizionale.  Ne  discende  quindi  che,   in   linea   con   quanto
inequivocabilmente si ricava dalle disposizioni  testuali  in  esame,
nessuna  interpretazione   «adeguatrice»   e'   consentita,   essendo
sottratta all'ordinaria. discrezionalita' del giudice ogni  possibile
decisione sull'applicazione, nell'an  e  nel  quantum,  della  misura
della liberta' vigilata  e  sull'eventuale  successiva  revoca  della
stessa per sopravvenienze favorevoli. Si  consideri  inoltre  che  la
liberta' vigilata che segue la liberazione  condizionale  sembrerebbe
collegata   ad   un   presupposto   radicalmente   antitetico    alla
pericolosita', costituito proprio da quel completo  ravvedimento  che
fonda la meritevolezza del beneficio maggiore, tanto che sia la Corte
costituzionale che la Corte di cassazione  hanno  attribuito  a  tale
misura,  pur  riconoscendone  l'indubbio  carattere  afflittivo,  una
funzione diversa dalle misure di sicurezza vere e  proprie,  e  cioe'
quella di sostegno e controllo dei comportamento  dei  condannato  in
liberta' «al fine di verificare se il giudizio sul ravvedimento trovi
rispondenza nella realta' dei fatti' (Corte Cost. sentenza 9 novembre
1988, n. 282/1989 e Cassazione Sez. I n. 343 del  28  gennaio  1991).
Esclusa una possibile interpretazione in linea con  la  Costituzione,
che consenta al giudice di superare l'obbligatorieta'  nell'an  e  la
fissita' nel quantum, non resta che esaminare  la  compatibilita'  di
dette disposizioni con i precetti costituzionali in materia. 
    Ai fini che interessano in questa sede  e'  sufficiente  prendere
atto che la liberta' vigilata di cui all'art. 230, comma 1, n. 2 c.p,
prevista allo  scopo  di  favorire  la  completa  risocializzare  del
condannato che abbia ottenuto la  liberazione  condizionale,  e'  una
sanzione a  tutti  gli  effetti,  che  in  ogni  caso  consegue  alla
commissione di un reato (quello che ha  dato  origine  alla  condanna
oggetto  di  liberazione  condizionale)  e  come  tale  comporta  una
significativa restrizione della liberta' personale.  Sarebbe  perfino
superfluo in questa sede stabilire se la predetta  liberta'  vigilata
vada configurata come sanzione penale (autonoma)  o  come  misura  di
sicurezza, tanto piu' che da tempo la migliore dottrina ha ricondotto
anche le misure di sicurezza al  «genere»  sanzione  penale:  qui  e'
sufficiente sottolineare che la limitazione del diritto  di  liberta'
connessa alla liberta' vigilata di cui all'art.  230,  n.  2,  codice
penale non puo' esser posta nel nulla se non al termine  del  periodo
prefissato obbligatoriamente dalla legge ma, come tutte  le  sanzioni
lato sensu  «penali»  (tanto  piu'  se  non  basate  sul  presupposto
mutevole di una pericolosita' sociale da accertare di volta in  volta
come invece nelle altre misure di sicurezza), deve  confrontarsi  con
il principio della proporzionalita', della  finalita'  rieducativa  e
dell'individualizzazione   del    trattamento    sanzionatorio.    In
giurisprudenza si e'  infatti  ritenuto  che  «l'afflittivita'  della
liberta' vigilata ex art. 230, n. 2 c.p., minima oppur no,  e'  fuori
discussione»  (Corte  cost.  n.  282/1989  cit.).   Ed   e'   proprio
quest'ultima pronuncia della  Corte  delle  leggi  -  nel  dichiarare
incostituzionale l'art. 177, comma 1 codice  penale  nella  parte  in
cui, in caso di revoca della liberazione condizionale,  non  consente
di determinare la pena detentiva residua tenendo  conto  del  periodo
trascorso in liberta' vigilata e delle conseguenti limitazioni  della
-  liberta'  subite  dai  condannato  -   a   ribadire   l'intrinseca
afflittivita' della misura, la  cui  incidenza  e'  stata  del  tutto
svalutata nel raffronto con la detenzione, («per quanto  si  tenti  a
volte, in dottrina, di ridurre al minimo tale incidenza, certo e' che
l'istituto della liberta' vigilata, che accompagna necessariamente lo
stato  di  liberta'  condizionale,  importa  notevoli  restrizioni  a
fondamentali   diritti   del   condannato»;   Corte    costituzionale
n. 282/1989 cit.). 
    A quest'ultima linea interpretativa, nel senso che si tratta  una
misura che si risolve in una condizione  restrittiva  della  liberta'
personale, si rifa' anche la pronuncia della Corte di cassazione  con
cui e' stata riconosciuta la possibilita' di concedere la liberazione
anticipata con  riferimento  «ai  periodi  trascorsi  in  liberazione
condizionale al  condannato  all'ergastolo  con  sottoposizione  alla
liberta' vigilata» (cfr. Cassazione Sez. 29 novembre 2016, n. 13934 e
Cassazione Sez. I, 7 aprile 2009, n. 17343). E si tratta nel caso  di
specie di un beneficio (quello ex art. 54 o.p.) che si pone in  netta
contraddittorieta' logica con le  misure  di  sicurezza  propriamente
dette che infatti non possono essere «ridotte» nella loro  durata  se
non in sede di riesame della pericolosita' o di revoca anticipata  ma
giammai per riconosciuta partecipazione all'opera di rieducazione. 
    Procedendo quindi all'esame delle norme che  regolano  l'istituto
della liberazione condizionale, da esse si ricava che  l'applicazione
della  misura  della  liberta'  vigilata  compete  al  Magistrato  di
sorveglianza  che  la  deve  disporre  «ex  lege»  in  un  ambito  di
predeterrninazione legislativa non  solo  riguardo  all'an  ma  anche
riguardo al quantum (anni cinque nel caso dell'ergastolo).  In  altre
parole, al  Magistrato  di  sorveglianza  non  e'  consentita  alcuna
possibilita' di valutare la pregressa espiazione della pena,  sia  al
momento di applicazione della misura che durante la  sua  esecuzione,
ne' e' consentito attribuire la  giusta  importanza  al  processo  di
rieducazione del condannato (presumibilmente  gia'  compiutosi  posto
che a fondamento dell'ampia  misura  in  oggetto  vi  e'  il  «sicuro
ravvedimento»  e  cioe'   proprio   quell'emenda   che,   nell'ottica
prettamente retributiva che permeava la  normativa  codicistica  ante
Costituzione, costituiva il fine ultimo o prevalente  della  pena)  e
cio' allo scopo di non subire l'ulteriore controllo  sociale  imposto
dall'applicazione della liberta' vigilata.  Detta  misura  del  resto
«non ha lo  scopo  di  fronteggiare  una  pericolosita'  sociale  del
condannato (anzi intanto e' ordinata in quanto  sia  stato  accertato
che questi non  e'  piu'  socialmente  pericoloso)»  (Cass.  cit.)  e
pertanto si pone legittimamente il dubbio di una  sua  compatibilita'
sia con le  esigenze  di  prevenzione  speciale  (insussistenti  data
l'assenza di pericolosita') sia con il finalismo  rieducativo  (posto
che l'obiettivo della rieducazione e' gia' di per  se'  raggiunto  in
quanto insito in quel sicuro ravvedimento che sta a fondamento  della
liberazione  condizionale).  Anche  le   esigenze   retributive   non
troverebbero del resto piu' alcuna giustificazione posto che la  pena
irrogata in sentenza, durante l'esecuzione della  liberta'  vigilata,
e' gia' estinta con l'esaurimento del rapporto di  esecuzione  penale
in corso, come si desume dall'espressione testuale di cui al comma  2
dell'art. 177 codice penale (la pena «rimane estinta»). Le formalita'
di scarcerazione  dell'ammesso  alla  liberazione  condizionale  sono
identiche a quelle del definitivamente scarcerato: il  gia'  detenuto
e' svincolato come dalla misura privativa  della  liberta'  personale
(detenzione) cosi da ogni sottoposizione alle  autorita'  carcerarie,
anche se tale liberazione e' sottoposta all'eventualita' della revoca
ex art. 177 codice penale e viene, nello stesso  momento,  sottoposto
alla misura limitativa dalla liberta' vigilata assumendo un  nuovo  e
diverso  status  (di   vigilato   in   liberta')   che   implica   la
sottoposizione al controllo di altri  organi  statali.  Non  si  puo'
mancare di  rilevare  del  resto  che  proprio  l'applicazione  della
liberta' vigilata al condizionalmente liberato riveli come l'istituto
della  liberazione  condizionale  rimanga  sospeso  in  un  instabile
equilibrio fra la prospettiva  afflittivo  repressiva  e  le  ragioni
special-preventive: alla liberazione  fondata  sul  ravvedimento  del
condannato, infatti, segue l'applicazione di una misura di  sicurezza
vacata  al  controllo  poliziesco   ed   altrimenti   fondata   sulla
pericolosita' sociale. Giova ricordare in questa sede come invece sia
ben noto che la liberazione condizionale impedisce che  la  finalita'
special-preventiva della pena  vada  oltre  il  suo  scopo:  diviene,
infatti, inutile la prosecuzione dell'esecuzione della pena detentiva
quando il  condannato  si  dimostri  sicuramente  ravveduto.  Con  la
liberazione condizionale la funzione rieducativa della pena  prevale,
dunque, ai sensi - oggi - dell'art. 27, comma 3 Cost.,  sull'esigenza
retribuzionistica di cui la sopravvivenza della liberta' vigilata  e'
ancora il simbolico retaggio. 
    In questa cornice,  l'eccezione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata appare allora non manifestamente infondata in  quanto  pone
in  evidenza  l'illegittimita'  di   un   automatismo   sanzionatorio
(ispirato    a    prevalenti    esigenze    retribuzionistiche    e/o
specilapreventive) che permea sia il momento  genetico  della  misura
(an) sia la sua durata (quantum),  con  cio'  precludendo  all'organo
decidente ogni tipo  d'intervento  pur  nel  caso  di  un  definitivo
superamento delle condizioni che ne dovrebbero  rendere  «necessaria»
sia la previsione che la durata. Anche laddove la  liberta'  vigilata
prevista in questi casi trovi la sua ragione d'essere soltanto  nella
finalita' di verificare in concreto, attraverso il  congruo  utilizzo
degli spazi di liberta' concessi al  liberato,  se  il  giudizio  sul
ravvedimento trovi rispondenza 'nella realta'  dei  fatti  (v.  Corte
costituzionale n. n. 282/1989), l'impossibilita'  di  abbreviarne  il
corso nel caso in cui tale verifica abbia fin da  subito  dato  esiti
positivi, si pone in contrasto  con  i  principi  costituzionali  che
impongono, per ogni misura afflittiva che consegua  alla  commissione
di un reato, la proporzionalita' della sanzione  e  la  sua  concreta
individualizzazione nonche' l'adeguatezza della stessa alle  esigenze
di  rieducazione  ed  alle  concrete  prospettive  di   reinserimento
sociale.  Del  resto  e'  ormai  patrimonio  acquisito  nella  stessa
giurisprudenza  della   Corte   costituzionale   che   la   finalita'
rieducativa prevalga su ogni  altra  finalita'  nell'ipotesi  in  cui
l'esame della personalita' del condannato ed il conseguente  giudizio
prognostico sulla sua futura vita nella societa' impongano,  prima  o
durante   l'esecuzione,   di   sospendere   o   ridurre,   sia    pur
condizionatamente, l'esecuzione stessa. 
    A ben vedere, la forte limitazione al potere  del  giudice  nello
stabilire limiti e durata della liberta' vigilata e' bensi' frutto di
una coerente scelta di politica criminale che tuttavia  e'  risalente
nel tempo (anni '30)  ma  oggi,  alla  prova  di  resistenza  con  il
precetto  costituzionale  dell'art.   27,   mostra   tutta   la   sua
irragionevolezza e, soprattutto, non e' compatibile  con  il  diritto
del soggetto a veder applicata una limitazione della propria liberta'
quanto piu' adeguata alla sua condizione ed  agli  sviluppi  del  suo
processo di reinserimento. In altre  parole,  tale  eccessivo  rigore
trovava un suo fondamento in un'epoca in cui non esistevano ancora le
norme dell'ordinamento penitenziario del 1975 che, in attuazione  del
finalismo rieducativo, hanno previsto  il  sistema  articolato  delle
misure alternative alla detenzione e dei  benefici,  istituti  questi
non esistenti all'epoca dell'introduzione della disciplina degli arti
177 e 230 c.p. 
    Ed invero, prima di questo momento, la liberazione condizionale -
unica misura  che  consentiva  (in  particolare  all'ergastolano)  la
riacquisizione degli  spazi  di  liberta'  -  svolgeva  una  funzione
fondamentale nel progetto di recupero sociale  del  soggetto  (allora
orientato  quasi  esclusivamente  all'emenda  del  reo),  in   quanto
costituiva l'unico strumento di attuazione del fine della pena seppur
inserito, come noto, tra le cause di  estinzione  della  pena  stessa
(arti. 171 e ss. c.p.). L'istituto, anche a seguito  delle  modifiche
introdotte  con  la  legge  25  novembre  1962,   n.   1634,   veniva
rappresentato come  misura  estintiva  della  pena  avente  finalita'
special-preventive  in  quanto   impediva   la   prosecuzione   della
detenzione  al  condannato   che   avesse   dimostrato   di   essersi
completamente ravveduto,  dovendosi  in  tal  caso  ritenere  che  la
funzione  della  carcerazione  ininterrottamente  protrattasi  avesse
ormai raggiunto il suo scopo primario. In un simile assetto,  e'  ben
comprensibile  che  in  mancanza  di  una  base  normativa  di  rango
superiore, come quella  che  ha  ispirato  le  norme  in  materia  di
ordinamento penitenziario, il contenuto sostanziale del  ravvedimento
previsto   dall'art.   176   c.p.,   non   potendosi   ricavare    da
un'osservazione dettagliata del soggetto (come invece  prevista  oggi
dagli articoli 13 e segg.  o.p.),  trovasse  risposte  adeguate  alle
esigenze di  certezza  dell'avvenuto  percorso  di  cambiamento  solo
attraverso  un  controllo  'successivo'  del  soggetto  ammesso  alla
misura, fuori dell'istituto  penitenziario,  che  rivelasse  in  modo
sintomatico - anche  dopo.  la  scarcerazione  -  la  sua  definitiva
consapevolezza e certa adesione al rispetto dei  valori  fondamentali
della vita sociale'. In tal modo la liberta'  vigilata,  applicata  a
chi mai  era  uscito  dal  carcere  prima  di  allora,  assurgeva  ad
indispensabile strumento  di'  verifica  ex  post  della  bonta'  del
giudizio di meritevolezza, fondato su un sicuro ravvedimento  che  un
tempo veniva  desunto  quasi  esclusivamente  dalle  condotte  tenute
all'interno del carcere ma che oggi puo' e deve essere desunto  anche
dai comportamenti in ambito extramurario.  Con  l'entrata  in  vigore
delle disposizioni dell'ordinamento del 1975 e dei successivi  sempre
piu' ampi innesti, a venire in rilievo nel giudizio sul  ravvedimento
e' oggi soprattutto l'excursus trattamentale del condannato  come  si
ricava dalla applicazione di plurimi istituti: il permesso premio  ex
art. 30-ter o.p., che e' concedibile allorquando il magistrato  abbia
accertato che e' stata tenuta condotta  regolare  e  la  persona  non
risulti  di  particolare  pericolosita'   sociale;   la   liberazione
anticipata ex  art.  54'  o.p.,  che  subordina  la  concessione  del
beneficio alla prova di  partecipazione  all'opera  di  rieducazione;
l'ammissione al lavoro esterno, prevista dopo l'osservazione ex  art.
13 o.p.; l'ammissione' al regime della semiliberta' ex art. 50  o.p.,
disposta  in  relazione  ai  progressi   compiuti   nel   corso   del
trattamento,  quando  vi  siano  le  condizioni   per   un   graduale
reinserimento del soggetto nella societa'.  Tutte  misure,  si  noti,
applicabili anche all'ergastolano. Da ultimo degna di nota  e'  anche
la disposizione dell'art. 52 o.p. che prevede, durante  la  fruizione
delle  licenze  concesse  a  titolo  di  premio   nell'ambito   della
semiliberta', che il condannato sia sottoposto al regime di  liberta'
vigilata,   proprio   quella   misura   che   dovra'    poi    essere
obbligatoriamente applicata in caso di concessione della  liberazione
condizionale.  Tutte  queste  misure  (inesistenti  all'epoca   della
creazione   codicistica   della   liberazione   condizionale)    sono
finalizzate   al    raggiungimento    di    quegli    obiettivi    di
risocializzazione oggi previsti come finalita' principale della  pena
e costituiscono un aspetto decisivo nel  percorso  trattamentale  del
detenuto che, proprio attraverso essi, si misura con gli - spazi - di
liberta' via via guadagnati anche allo scopo della  verifica,  questa
volta «ex ante», proprio di quel ravvedimento che potrebbe un  domani
portare, raggiunto il limite temporale  previsto  dalla  legge,  alla
misura piu' ampia. Cio' tanto piu' vale per chi, sottoposto alla pena
dell'ergastolo, non potra' mai ottenere le altre misure destinate  ai
condannati a pene «a termine» (detenzione domiciliare  e  affidamento
in prova). E' del resto nozione di comune esperienza  che  la  misura
della liberazione condizionale  sia  proprio  quella  tipica  cui  e'
orientato tutto il percorso dell'ergastolano,  laddove  per  le  pene
temporanee soccorrono invece altre misure  a  quello  non  consentite
(soprattutto l'affidamento in prova). 
    Se  questo  e'  vero,  riguardo  alla   verifica   del   completo
ravvedimento, si determina una  situazione  di  irragionevolezza  nel
sistema quanto all'applicazione obbligatoria, nel se e nella  durata,
della liberta' vigilata conseguente  alla  liberazione  condizionale,
tanto piu', come nel caso a  giudizio  di  questo  Tribunale,  di  un
condannato all'ergastolo che abbia gia' sperimentato, e per un  tempo
apprezzabile, sia i permessi premio  (per  oltre nove  anni)  sia  la
semiliberta' per tre anni (con la connessa libera' vigilata applicata
ex lege durante la fruizione delle licenze trattamentali ex art.  52,
comma 2 o.p.), istituti che hanno gia' permesso di apprezzarne sia la
tenuta all'esterna, senza censure di sorta, sia la conferma  di  quel
ravvedimento che poi e' stato posto a base  della  misura  da  ultimo
concessa. 
    In questa cornice viene da se' che  sottrarre  al  giudice  della
rieducazione (Tribunale e Magistrato di sorveglianza)  il  potere  di
decidere se, nel caso concreto, applicare la liberta' vigilata  anche
a fronte dell'assenza di rischi di  tenuta  della  misura  ovvero  il
potere di fame  venire  meno  gli  effetti  una  volta  raggiunta  la
completa verifica della bonta' della valutazione gia'  effettuata  al
tempo della concessione della  liberazione  condizionale,  appare  in
contrasto sia con il finalismo rieducativo che  deve  assistere  ogni
sanzione  penale  (art.  27  Cost.)   sia   con   il   principio   di
ragionevolezza che discende dal divieto di trattare allo stesso  modo
situazioni che invece presentano caratteristiche differenti  (art.  3
Cost.). Orbene, prima ancora di esporre i profili  concreti  relativi
alla  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'  di  cui  si
discute, va detto anche che non sembrano accoglibili  i  rilievi  del
Procuratore generale, dal momento che gli istituti della  sospensione
condizionale della pena (art. 163 c.p.) e della riabilitazione  (art.
178 c.p.), come situazioni analoghe  alla  liberazione  condizionale,
presentano  in  realta'  caratteristiche  molto  differenti.  Proprio
riguardo a tali  aspetti  e'  stato  infatti  affermato  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza gia' sopra  richiamata  (n.  282/1989)
«che e' ben vero  che,  come  in  sede  di  sospensione  condizionale
l'estinzione del reato e' condizionata dalla non  commissione  di  un
delitto  ovvero  di  una  contravvenzione  della  stessa   indole   e
dall'adempimento  degli  obblighi  imposti   al   condannato,   cosi'
l'estinzione ex art. 177, secondo cometa, c.p.,  e'  condizionata  al
decorso del tempo indicato nello stesso articolo senza intervento  di
cause di revoca... ....ma la distinzione tra sospensione condizionale
della pena e liberazione  condizionale  consiste  nel  fatto  che  la
prima, anche se eventualmente subordinata, nella stessa  sentenza  di
condanna, all'adempimento di obblighi da parte  del  condannato,  non
comporta, dal momento in cui  viene  ordinata  fino  a  quello  della
revoca vincoli alla liberta' del condannato, mentre  la  seconda,  la
liberazione condizionale, dal momento dell 'ammissione del condannato
alla medesima fino a quello  della  sua  revoca  ex  art.  177  c.p.,
comporta  l'adempimento,  da  parte  del  condannato  di  particolari
prescrizioni  imposte  successivamente  alla  sentenza  di   condanna
inerenti alla liberta' vigilata  di  cui  all'art.  230  n.  2  c.p.,
limitative certamente della liberta' del condannato." 
    Allo stesso modo, l'istituto  della  riabilitazione  non  prevede
alcun vincolo afflittivo a carico del soggetto che abbia ottenuto  il
beneficio. 
    Deve poi osservarsi che in  questa  sede  non  si  discute  della
scelta del  legislatore  di  prevedere  una  misura  aggiuntiva  alla
liberazione condizionale, ma della sussistenza di un divieto assoluto
all'esercizio del potere discrezionale del giudice in ordine alla sua
applicazione e/o alla  sua  riduzione  o  revoca  allorche'  essa  si
dimostri, nel caso concreto, non piu' necessaria o non piu'  adeguata
alle esigenze di reinserimento sociale del liberato,  a  causa  delle
forti limitazioni della liberta' personale che essa comporta. 
    Quanto poi all'ulteriore aspetto dei limiti  di  accesso  imposti
dal legislatore per la concessione della misura  (ad  es.  i ventisei
anni di  pena  espiata  per  il  condannato  all'ergastolo)  tali  da
giustificare, proprio in relazione alla gravita'  dei  fatti  a  base
della condanna, anche  la  successiva  sottoposizione  ad  un  regime
restrittivo, si tratta ad avviso del Collegio di due aspetti  che  si
pongono su piani tra loro diversi. Mentre il dedotto  limite  dei  26
anni deve essere rapportato alla gravita' del reato e di  conseguenza
per esso opera il principio di  proporzionalita'  che  inerisce  alla
pena  comminata  dal  giudice  della  condanna  e  potrebbe   financo
risultare adeguato alla finalita' di rieducazione (che prevede  varie
progressive tappe  di  graduale  avvicinamento  alla  liberta'),  per
converso il problema  della  liberta'  vigilata  attiene  al  diverso
rapporto giuridico inerente all'esecuzione della pena sulla scorta di
un ormai raggiunto  progresso  risocializzante  fondato  sul  'sicuro
ravvedimento' e che si pone in antitesi  al  rigore  di  un'ulteriore
sanzione  fissata   in   maniera   determinata   dalla   legge,   con
irragionevole automatismo, per meri scopi  di  controllo  sociale  in
ambito extramurario. 
    In tema di rilevanza della questione nella vicenda  all'esame  di
questo  Tribunale,  si  osserva  che  ad  esso  viene  richiesto   di
'revocare' la misura della liberta' vi gilata,  applicata  a  seguito
della concessione della  liberazione  condizionale,  ad  un  soggetto
ormai pacificamente reintegrato nel consesso sociale, non gravato  da
altri procedimenti penali, che ha mantenuto  sempre  buona  condotta,
che ha tenuto una condotta irreprensibile durante questi due anni  di
liberta' vigilata, che non e' piu' contiguo alla criminalita' locale,
che svolge  regolare  attivita'  lavorativa,  che  e'  stato  ammesso
durante la detenzione per diverso tempo ai permessi premio, senza mai
incorrere in rilievi, e poi alla semiliberta' raggiungendo  un  grado
di  affidabilita'  elevato  anche  sotto  l'aspetto  della   convinta
revisione critica delle scelte criminali della sua  vita  precedente,
tosi da fondare il convincimento  del  Tribunale  circa  un  serio  e
ragionevole  giudizio  prognostico  di  conformazione  della   futura
condotta di vita ai valori dell'ordinamento sociale, tanto da  essere
ammesso  -  alla  conclusione  del  suo  ottimo  percorso  intra   ed
extramurario - alla liberazione condizionale. 
    Tuttavia, in ragione delle tassative  disposizioni  di  cui  agli
articoli  176  e  230  c.p.,  non  suscettibili  di   interpretazione
adeguatrice, nessun riesame  circa  la  necessita'  della  permanenza
della  liberta'  vigilata   fino   alla   conclusione   del   periodo
quinquennale (seppur  con  la  riduzione  operata  dalla  presumibile
concessione di tutta la liberazione anticipata  per  il  periodo)  e'
consentito a questo Tribunale in accoglimento del  reclamo  proposto,
con la conseguenza che l'appello dovrebbe essere rigettato. 
    E' del  tutto  evidente  viceversa  che,  in  caso  di  eventuale
accoglimento  della  questione'  di  legittimita',  la  misura  della
liberta' vigilata potrebbe essere ridotta nella durata o revocata  al
pari di qualunque altra misura di  sicurezza,  ben  prima  della  sua
naturale scadenza fissata, a tutt'oggi, al 5 noVembre  del  2025.  In
definitiva, ad avviso del  Collegio  appare  dunque  lecito  dubitare
della legittimita' costituzionale delle norme di  cui  all'art.  177,
comma 1 codice penale e 230 comma 1 n. 2 c.p., per  violazione  degli
articoli 3 e 27 Cost., nella parte in cui: 
        1) stabiliscono un automatismo ex lege  circa  l'applicazione
della  misura  della  liberta'  vigilata  al  condannato  alla   pena
dell'ergastolo ammesso alla misura  della  liberazione  condizionale,
applicata non gia' sulla base della situazione del singolo soggetto e
sugli elementi concreti attinenti ad  eventuali  esigenze  di  difesa
sociale, bensi' solo sulla scorta del dato meramente  formale  legato
alla concessione della misura della liberazione condizionale; 
        2) stabiliscono la durata  della  liberta'  vigilata  per  un
tempo prefissato ex lege sottraendo al giudice la facolta' di una sua
determinazione in concreto,  pur  con  il  limite  minimo  di  durata
previsto dall'art. 228, comma 5 c.p., in contrasto con i principi  di
individualizzazione  e  proporzionalita'  della   sanzione.'   penale
secondo cui ogni fattispecie sanzionata con pena fissa  e'  per  cio'
solo indiziata di illegittimita'; 
        3) non prevedono che durante l'esecuzione  della  misura  sia
consentito  al  giudice  di  verificare  in  concreto  la  permanente
adeguatezza della restrizione della liberta' personale alle  esigenze
di pieno reinserimento sociale e di raggiunta conformazione ai valori
sociali di convivenza, tanto da non consentirne la revoca anticipata. 
    Innanzitutto,  le  norme  suddette  sono  in  contrasto  con   il
principio costituzionale fissato nell'art.  27  Cost.  posto  che  il
«sacrificio» imposto dalla misura della  liberta'  vigilata  potrebbe
risultare non piu' necessario alla stregua  dei  progressi  compiuti,
dal liberato condizionalmente. 
    Ma altresi' dette norme si, pongono in contrasto con il principio
di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. in quanto non vi e' dubbio che
siffatto  automatismo  finisce  altresi'  per  accomunare  situazioni
soggettive differenti che, pur  nel  presupposto  comune  del  sicuro
ravvedimento, sono  invece  caratterizzate  da  percorsi  rieducativi
eterogenei. 
    Se e' certamente vero che il legislatore puo'  ben  diversificare
le condizioni  di  accesso  alle  misure  alternative,  e'  difficile
ritenere che una simile scelta  possa  spingersi  tino  al  punto  di
sancire un obbligo per il giudice di disporre l'applicazione  di  una
misura susseguente alla scarcerazione avente sicura natura afflittiva
senza  alc  un  presupposto  che  attenga  alla  permanenza  di   una
pericolosita' residua. Tale rigidita' applicativa  si  pone  pertanto
non  in  sintonia  con  il  principio   dell'indiviclualitzione   del
trattamento ri educativo. 
    In definitiva  si  tratta  di  un  sistema  di  norme  della  cui
conformita' a Costituzione si 'dubita, con specifico riferimento agli
arti.  3  e  27  Cost.,  in  quanto  esse  negano  ogni   spazio   di
discrezionalita'   del    giudice,    prevedendo    un    automatismo
sanzionatorio, nell'an e quaruum, irragionevole e discriminante e che
prescinde dalle diverse condizioni di risocializznzione raggiunta dal
singolo condannato, cosi determinando una situazione  che  la  stessa
Corte  costituzionale  ha  in  piu'  occasioni  dimostrato   di   non
apprezzare. («Esigenza  di  mobilita'  ed  individualizzazione  della
pena» sono infatti richiamate nelle sentenze n. 67/1963, n. 104/1968,
n. 50/1980, secondo cui ogni fattispecie con pena fissa, qualunque ne
sia la specie, e' per cio' solo indiziata di illegittimita';  infine,
anche per le pene accessorie sono stati  riconosciuti  tali  principi
con la sentenza n. 222 del 2018  e  per  le  sanzioni  amministrative
accessorie con la sentenza n. 88 del 2019 e' stato altresi' censurato
l'automatismo e valorizzata la valutazione individualizzante compiuta
dal giudice). 
    Le considerazioni sopra esposte riguardo alla natura di  sanzione
penale della liberta' vigilata, esimono il  Collegio  dall'affrontare
la pronuncia di rigetto emessa dalla  Corte  costituzionale  in  data
assai risalente (12 maggio 1977 n. 78), con la quale la stessa  aveva
dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 177, ultimo comma c.p., con riferimento agli arti.  3,  24,
25 e 27 Cost. prospettata nei termini di raffronto con le  misure  di
sicurezza. Nel caso di specie i giudici della Corte  avevano  infatti
seguito un'interpretazione della misura di cui  all'art.  230  codice
penale che valorizzava  soprattutto  la  funzione  di  controllo  sul
soggetto vigilato per il suo cauto  reinserimento  sociale,  e  cosi'
erano giunti alla conclusione di  escludere  gli  accertamenti  sulla
pericolosita'. 
    Per tutte le ragioni sopra esposte deve quindi essere  dichiarata
non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita'
costituzionale sollevata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione,  23  e  ss.  legge  11
marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente  infondata
la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 177  comma
1 e 230 comma 1 n. 2 c.p., per  violazione  degli  articoli  3  e  27
Cost.,  nella  parte   in   cui:   1)   stabiliscono   l'obbligatoria
applicazione della misura della liberta' vigilata al condannato  alla
pena  dell'ergastolo  ammesso  alla  liberazione   condizionale;   2)
stabiliscono la durata della liberta'  vigilata  in  misura  fissa  e
predeterminata; 3) non prevedono la possibilita' per il Magistrato di
sorveglianza di verificare in  concreto  durante  l'esecuzione  della
liberta' vigilata l'adeguatezza della sua permanente esecuzione  alle
esigenze di reinserimento sociale del liberato condizionalmente e non
ne consentono, per l'effetto, la revoca anticipata. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende il procedimento in corso sino all  'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  di
trasmissione degli atti sia notificata alle  parti  in  causa  ed  al
pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Firenze, 15 febbraio 2022 
 
                      Il Presidente: Bortolato 
 
 
                                      Il Magistrato estensore: Marino 
 
                                ____ 
 
 
                TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE 
 
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Il giorno 24 marzo 2022 in Firenze si e'  riunito  in  Camera  di
consiglio nelle persone dei componenti: 
        dott. Bortolato Marcello, presidente; 
        dott.ssa Marino Valeria, giudice; 
        dott. Ruaro Massimo, esperto; 
        dott.ssa Manfredi Rosa, esperta, 
per deliberare su: 
        correzione errore materiale ai sensi dell'art. 130 del codice
di procedura penale, 
relativa  alla  ordinanza  n.  791/2022  emessa  dal   Tribunale   di
sorveglianza di Firenze in data  15  febbraio  2022  ai  sensi  degli
articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti, legge 11 marzo  1953,
n. 87,  con  riferimento  all'impugnazione  contro  provvedimento  in
materia di misura  di  sicurezza  presentata  da  V.B.,  nato  a  ...
domiciliato in ..., condannato alla pena dell'ergastolo in  relazione
al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura  generale  presso  la
Corte d'appello di Reggio ... in data ... che  assorbe  condanne  per
delitti di associazione ex art. 416-bis del  codice  penale,  duplice
omicidio di stampo mafioso e detenzione illegale di armi commessi nel
...; 
    Esaminati gli atti, viste le conclusioni  conformi  formulate  in
udienza dal procuratore generale e dal difensore, nei termini di  cui
al verbale; 
    Rilevato che la  suddetta  ordinanza  e'  inficiata  da  evidente
errore  materiale  contenuto  nella  parte  motiva  (pag.  9)  e  nel
dispositivo (pag. 10) quanto all'indicazione, quale  norma  censurata
di illegittimita' costituzionale, dell'«art. 177 comma co.  1  c.p.»,
anziche' «art. 177, comma 2 c.p.», che deve  essere  conseguentemente
rettificato; 
    Rilevato pertanto che trattandosi di modificazione non essenziale
dell'ordinanza  la  correzione  puo'  essere  effettuata  secondo  la
procedura di cui all'art. 130 del codice di procedura penale; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 130 del codice di procedura penale. 
    Dispone la correzione dell'ordinanza n. 719/2022 pronunciata  dal
Tribunale di sorveglianza in data 15 febbraio 2022 nei  confronti  di
V.B. come segue: a pag. 9 ed a pag. 10 dell'ordinanza le parole «art.
177 comma co. 1 c.p.» sono sostituite dalle parole «art. 177 comma  2
c.p.». 
    Manda alla cancelleria per le annotazioni sull'originale e per le
comunicazioni di rito. 
      Cosi' deciso in Firenze, camera di Consiglio del 24 marzo 2022 
 
                      Il Presidente: Bortolato 
 
 
                                           Il Magistrato est.: Marino