N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2022
Ordinanza del 14 giugno 2022 della Corte d'appello di Roma sull'istanza proposta da P. O.. Processo penale - Revisione - Inammissibilita' della richiesta - Impugnazione - Accoglimento - Annullamento senza rinvio per la celebrazione di un nuovo giudizio relativo alla fase rescindente - Esclusione, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione a seguito della sentenza n. 43121 del 2019, dell'applicabilita' della regola di cui all'art. 634, comma 2, cod. proc. pen. - Codice di procedura penale, art. 634, comma 2. Processo penale - Giudizio di rinvio - Obbligo per il giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per cio' che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. - Codice di procedura penale, art. 627, comma 3.(GU n.37 del 14-9-2022 )
CORTE D'APPELLO DI ROMA Sezione quarta penale La Corte, riunita in Camera di consiglio e composta dai signori magistrati: dott. Francesco Neri - Presidente; dott.ssa Franca Amadori - Consigliere; dott.ssa Gabriella Bonavolonta' - Consigliere; Letti gli atti relativi al procedimento di revisione n. 12/2021 R.G. revisioni, concernente l'istanza di revisione avanzata da P. O., nato a ..., il giorno ... attualmente ristretto in espiazione di pena presso la Casa di reclusione di Milano - Opera gia' residente in ..., alla via ... Visti i seguenti atti: a) la richiesta di revisione della sentenza di condanna alla pena dell'ergastolo emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Napoli in data 3 aprile 2014, confermata dalla Corte d'assise d'appello di Napoli con sentenza del 10 luglio 2015, irrevocabile il 20 ottobre 2016, depositata presso quest'Ufficio nell'interesse del suddetto P. O. in data 9 gennaio 2020 a ministero degli avvocati Giovanni Arico' e Claudio Sforza, del Foro di Roma; b) l'ordinanza n. 82/2020 di inammissibilita' emessa de plano da questa Corte di merito in diversa composizione in data 19 marzo 2020 (depositata il 23 marzo 2020); c) la sentenza di Cassazione pen. Sez. 5ª, Camera di consiglio 11 dicembre 2020, dep. 23 febbraio 2021, n. 6979 (1) con la quale e' stato pronunciato l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza dl cui al punto che precede, con trasmissione degli atti nuovamente a questa Corte territoriale; Osserva quanto di seguito. 1. La sentenza n. 6979 del 2021 della suprema Corte, menzionata sub c), si conclude al punto 6, dopo il «Considerato in diritto», con una sintetica motivazione sulla ragione per la quale nel caso in esame il collegio di legittimita' ha ritenuto di discostarsi dalla chiara lettera dell'art. 634, comma 2, codice di procedura penale che comporterebbe la trasmissione degli atti ad una Corte d'appello diversa da quella emittente, individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 comma p. p., di talche' nel caso della Corte d'appello di Roma condurrebbe ad individuare quale giudice del rinvio la Corte d'appello di Perugia. Infatti, la detta pronuncia ha cosi' motivato: «L'ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Roma per l'espletamento ex novo del giudizio relativo alla fase rescindente alla luce dei principi sopra indicati. Invero in tema di revisione, la regola di cui all'art. 634, comma 2, codice di procedura penale - per la quale la Corte di cassazione, se accoglie ii ricorso avverso l'ordinanza di inammissibilita' della richiesta, rinvia il giudizio ad una diversa corte d'appello - non si applica nel caso di annullamento senza rinvio e conseguente devoluzione al giudice di merito di un nuovo giudizio relativo alla fase rescindente, con riferimento alla preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta in rapporto all'astratta idoneita' del "novum" dedotto a demolire il giudicato (Se:. 3, n. 43121 del 17/07/2019, Rv. 277176)». 1.1. Trattasi di giurisprudenza innovativa, che ha avuto inizio dopo l'emissione (e la massimazione) della sentenza n. 43121 del 2019 (2) richiamata nel passo appena trascritto. In precedenza, invece, anche in caso di annullamento senza rinvio veniva disposta - come previsto dall'art. 634 codice di procedura penale sopra menzionato - la trasmissione degli atti alla Corte viciniore (per un esempio in tal senso si veda Cassazione pen. Sez. 4§, n. 31992 del 2013, ricorrenti ..., (3) in cui e' stato disposto l'annullamento senza rinvio di un'ordinanza di inammissibilita' dell'istanza di revisione emessa de plano dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, con trasmissione degli atti alla Corte d'appello di Catanzaro). La ratio di tale disciplina e' intuitiva: l'annullamento viene disposto quando la Corte di cassazione ritenga non condivisibile la delibazione ictu oculi sulla manifesta infondatezza dell'istanza di revisione (o sulle altre ragioni di inammissibilita' de plano, come la non ricorrenza delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 del codice di procedura penale, oppure la mancata osservanza delle disposizioni contenute negli articoli 631, 632, 633 e 641 del codice di procedura penale). Di conseguenza, il legislatore ha inteso garantire l'imparzialita' della decisione rinviando alla Corte viciniore. Ed infatti l'attuale formulazione dell'art. 634, comma 2, codice di procedura penale si deve all'esplicita novella legislativa introdotta con la legge n. 405/1998 (c.d. «legge Sofri»), intervenuta sull'originaria disposizione del comma 2 il cui testo era il seguente: «In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra sezione della corte di appello che ha pronunciato l'ordinanza prevista dal comma 1 o alla corte di appello piu' vicina». Appare all'evidenza, da un mero confronto del dato letterale, come la modifica legislativa della precedente formulazione appena trascritta avesse di mira appunto l'obiettivo di far venir meno la discrezionalita' che la previgente norma riconosceva alla suprema Corte in fase di rinvio successivo all'accoglimento del ricorso, e cio' al fine di rendere certa e prevedibile da parte di chiunque l'individuazione del Giudice naturale precostituito per legge, senza ancorarla all'incerto e scarsamente prevedibile dato della valutazione, da parte del giudice di legittimita', sull'anticipazione o meno del giudizio nel merito da parte della Corte distrettuale. Effetto che ora non e' piu' garantito dal portato del consolidato orientamento giurisprudenziale qui criticato, che di fatto ha fatto «rivivere» la norma originaria nonostante il dichiarato intento del legislatore di rimodellarla e superarla appunto per l'incertezza che generava (e che ora e' tornata a generare). Giova sottolineare, inoltre, che con la medesima novella il legislatore, coerentemente, interveniva altresi' sull'art. 633 codice di procedura penale, per cui, ancora oggi, l'istanza di revisione deve essere presentata alla Corte d'appello individuata ex art. 11 codice di procedura penale, laddove invece nella precedente formulazione la domanda di revisione doveva essere presentata alla Corte d'appello nel cui distretto si trovava il giudice che aveva pronunciato la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna. Non vi sono dubbi, pertanto, sul fatto che l'obiettivo sistematico perseguito dal legislatore fosse quello di assicurare l'imparzialita' del Giudice della revisione tanto nella fase introduttiva rescindente, quanto nella fase di rinvio a seguito di accoglimento del ricorso per cassazione. Un tentativo, dunque, di ristabilire un meccanismo volto a preservare il Giudice da qualsivoglia condizionamento, differente nella forma, ma di medesima ratio a quello in vigore prima dell'adozione dei codice di procedura penale del 1998, cristallizzato nel vecchio art. 557 che attribuiva la competenza sulle istanze di revisione direttamente alla Corte di cassazione, appunto per garantire l'imparzialita' del giudice della revisione (almeno) nella fase rescindente. In aggiunta, l'intenzione del legislatore emerge in modo cristallino dalla lettura dei lavori preparatori alla citata legge n. 405/1998. Infatti nella relazione di accompagnamento al disegno di legge AS 3168, XIII legislatura (presentato il 24 marzo 1998) viene chiarito come la novella si rendesse necessaria proprio per scongiurare i rischi di condizionamento del giudice. Esaminando gli atti relativi all'esame del menzionato disegno di legge in Commissione referente alla Camera dei deputati (AC 5261, Commissione giustizia, 3/5 novembre 1998), e' dato leggere come con «[...] la proposta in esame si toglie qualsiasi ambito di discrezionalita' alla Corte [di cassazione] medesima, adeguando cosi' il codice al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge». Non si dimentichi, infine, che la richiamata legge del 1998 (di modifica dell'originaria formulazione del comma 2 dell'art. 634 codice di procedura penale) interveniva in un particolare contesto nel quale il contenuto di tale disposizione era balzato all'attenzione dell'opinione pubblica in riferimento a fatti di particolare importanza sociale e mediatica, in quanto tale norma non appariva assicurare l'imparzialita' del giudice della revisione in coerenza con le disposizioni costituzionali (non foss'altro perche' l'istanza di revisione veniva presentata nel medesimo distretto nei quale erano state raccolte le prove durante le indagini preliminari e successivamente era stato celebrato il dibattimento in pubblica udienza). Cio' detto, l'innovazione introdotta dalla sentenza n. 43121 del 2019, alla quale si sono uniformate le sentenze successive, crea - esattamente come accadeva con l'originaria formulazione della disposizione - grave incertezza negli operatori del diritto e rende di fatto imprevedibile una norma, come l'art. 634, comma 2, codice di procedura penale, che invece - a seguito della ricordata novella del '98 - in se' e' munita di quei requisiti di «chiarezza, precisione e completezza» richiesti dall'art. 2 del Prot. n. 4 CEDU, ed altresi' idonea a garantire il rispetto dell'art. 25, primo comma, della Costituzione secondo cui «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Invero, talvolta puo' accadere, in via del tutto eccezionale, che la giurisprudenza di legittimita' finisca per debordare dalla pura opera ermeneutica che le e' propria, al fine di colmare vuoti normativi che provocano un complessivo malfunzionamento dell'istituto esaminato (stalli processuali, prassi contrastanti, complessiva incertezza sulla corretta procedura da seguire), ma trattasi pur sempre di uno «sconfinamento» nella sfera riservata ad un altro potere dello Stato, quello legislativo, per cui dubbia resta - anche in tali casi - la sua liceita', pur potendosi profilare una qualche sua opportunita' (si ponga mente, a mero titolo d'esempio, all'introduzione, ad opera della sentenza di Sezioni Unite penali n. 46898 del 2019, dell'appello avverso i decreti di diniego delle istanze di controllo giudiziario cosiddetto «volontario» ex art. 34-bis, comma 6 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per il quale il legislatore non ha previsto impugnazione alcuna). Per contro, e' pacifico, perche' cosi' dispone l'art. 12 delle preleggi, che le scelte normative non sono manipolabili a livello ermeneutico quando le stesse (condivise o meno che siano dal supremo consesso) sono incontrovertibili e non presentino alcun tipo di difficolta' sul piano dell'applicazione pratica. Nel presente caso l'interpretazione «manipolativa» non solo non apporta alcun beneficio, ma addirittura - come s'e' detto - comporta l'impossibilita' per gli operatori del diritto e peri cittadini di conoscere in anticipo il giudice naturale precostituito per legge in caso di annullamento dell'ordinanza di inammissibilita' pronunciata de plano. 1.2. Si ritiene a questo punto non inutile analizzare la vicenda che ha originato la pronuncia che ha introdotto l'interpretazione innovativa qui criticata, perche' si vedra' che la stessa nasce da un semplice errore materiale, che non si e' voluto emendare. La vicenda prende le mosse da un'istanza di revisione presentata da tale F. G. davanti alla Corte d'appello di Catanzaro avverso una sentenza di condanna emessa in un procedimento svoltosi a suo carico in un ufficio giudiziario del distretto di Reggio Calabria. Detta Corte territoriale, con ordinanza emessa all'esito di procedura camerale non partecipata in data 7 febbraio 2018, dichiarava l'inammissibilita' di tale istanza per manifesta infondatezza. L'interessato impugnava il detto provvedimento davanti alla Corte di cassazione che, con sentenza n. 40465 del 2018 (4) , in accoglimento del ricorso, annullava senza rinvio l'ordinanza impugnata e disponeva la trasmissione degli atti alla medesima Corte d'appello di Catanzaro. Trasmissione disposta pero' senza che fosse chiarita la ragione del discostamento sia dalla chiara lettera dell'art. 634, comma 2, codice di procedura penale, come innovata dalla legge n. 405 del 1998, sia dalla precedente pacifica giurisprudenza, sopra citata. La Corte d'appello di Catanzaro (5) dichiarava nuovamente inammissibile l'istanza di revisione dei suddetto condannato e quindi quest'ultimo, dopo aver impugnato tale provvedimento con un motivo unico di ricorso, in via subordinata chiedeva alla Corte di cassazione di voler provvedere, ai sensi dell'art. 625-bis codice di procedura penale, anche d'ufficio, alla correzione dell'errore materiale contenuto nella (gia' citata) sentenza n. 40465 del 2018, «[...] laddove ha erroneamente disposto la trasmissione degli atti alla medesima Corte d'appello di Catanzaro, anziche' a quella individuata ai sensi dell'art. 11 codice di procedura penale, come espressamente previsto dall'art. 634, comma 2, codice di procedura penale» (nel caso di specie, trattavasi della Corte d'appello di Salerno). Quindi, come si vede, l'interessato ha ritenuto che si trattasse di mero errore materiale vuoi perche', come s'e' detto, la precedente giurisprudenza, in applicazione della chiara e non controversa formula dell'art. 634, comma 2 codice di procedura penale, non aveva mai dubitato che all'annullamento del provvedimento di inammissibilita' emesso de plano seguisse la trasmissione degli atti alla Corte d'appello viciniore, vuoi perche', si ribadisce, la pronuncia di annullamento senza rinvio non aveva chiarito le ragioni del discostamento. Del resto, anche questa Corte di merito ha in qualche caso segnalato alla suprema Corte l'errore materiale in caso di nuova trasmissione degli atti a quest'ufficio in casi analoghi e, con la procedura di correzione ai sensi dell'art. 625-bis del codice di procedura penale, effettivamente gli atti sono stati poi trasmessi alla Corte d'appello di Perugia, in applicazione della pacifica regola di cui al comma 2 dell'art. 634 del codice di procedura penale. Invece di procedere, come richiesto dal F. , alla correzione dell'errore materiale, la sentenza n. 43121 del 2019 (che ha avviato l'innovativo filone interpretativo qui criticato) ha disatteso tale richiesta affermando che il ricorrente aveva torto nel ritenere che l'art. 634, comma 2 del codice di procedura penale fosse applicabile a tutti i casi in cui l'annullamento aveva colpito un'ordinanza di inammissibilita' emessa de plano per manifesta infondatezza, perche' tra i detti casi occorreva piuttosto effettuare una distinzione che non era legata al mero fatto che il provvedimento colpito fosse stato emesso senza contraddittorio, ma al fatto che, trattandosi di annullamento senza rinvio, l'analisi demandata al medesimo Ufficio distrettuale era riferita alla fase rescindente, dovendosi disporre il rinvio alla Corte d'appello viciniore solo se questa avesse dovuto decidere sulla fase rescissoria: «3. Orbene, va anzitutto chiarito che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la Corte territoriale, definitivamente cassata la precedente ordinanza, correttamente era stata investita di una rinnovata valutazione preliminare di ammissibilita' dell'istanza, da compiersi alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di cassazione, ossia di esaminare nel merito le dichiarazioni prodotte dall'istante per verificare se esse, "unitamente a quelle gia' valutate nel giudizio di cognizione", fossero "inidonee a smentire il quadro probatorio su cui si fonda la sentenza di condanna". Di conseguenza, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non e' applicabile l'art. 634, comma 2, codice di procedura penale , che rileva nel caso di annullamento con rinvio per la trattazione del giudizio rescissorio, mentre, nel caso in esame, invece, gli atti sono stati rimessi alla medesima Corte territoriale per un rinnovato giudizio relativamente alla fase rescindente, avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacita' demolitoria del giudicato, rilevabile ictu oculi, da parte del novum dedotto» (cosi', testualmente, la sentenza n. 43121 del 2019). Quindi, in sintesi, mentre prima di tale innovativa interpretazione l'interessato era in grado di sapere in anticipo che, in caso di accoglimento del proprio ricorso, il Giudice naturale precostituito per legge sarebbe stato individuato sicuramente nella Corte d'appello viciniore, adesso, a seguito della sentenza n. 43121 del 2019, sulla quale si sono pedissequamente appiattite le sentenze di legittimita' successive, l'interessato di fatto ignora a quale Corte d'appello saranno trasmessi gli atti in caso di annullamento, perche' cio' dipendera' dal non prevedibile tipo di valutazione che sara' svolto, di volta in volta, dal Giudice di legittimita' sul provvedimento di inammissibilita' emesso de plano. Si badi che l'art. 634, comma 2, codice di procedura penale impone alla Corte di cassazione di trasmettere gli atti alla Corte d'appello piu' vicina senza fare alcuna distinzione tra l'annullamento con rinvio e l'annullamento senza rinvio, come si desume dall'utilizzo del tempo indicativo presente: «In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11», ne' vi si trova alcuna distinzione legata alle ragioni dell'accoglimento. Dunque, la norma chiaramente stabilisce quale unico presupposto per il rinvio ad altra Corte di merito il mero accoglimento del ricorso, senza alcuna ulteriore distinzione, e cio' proprio per superare la previgente formulazione che invece lasciava espressamente un margine di discrezionalita' alla suprema Corte di cassazione tra il rinvio ad altra Sezione della stessa Corte di merito ed il rinvio alla Corte viciniore. 3. Per le suddette ragioni, ritiene questa Corte d'appello di dover sollevare d'ufficio, ai sensi del terzo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, questione di legittimita' costituzionale delle seguenti due norme: a. dell'art. 634, comma 2, codice di procedura penale, cosi' come risultante dall'interpretazione innovativa adottata dalla suprema Corte di cassazione a seguito della sentenza n. 43121 del 2019, per contrasto: 1. con l'art. 25 della Costituzione, in quanto incide sull'individuazione del giudice naturale, non piu' precostituito, posto che - in caso di accoglimento del ricorso avverso l'ordinanza di inammissibilita' emessa de plano - di fatto esso muta all'esito di valutazioni svolte di volta in volta dal Giudice di legittimita', non conoscibili in anticipo; 2. con l'art. 3 della Costituzione, perche', restituendo gli atti - e con essi la decisione - in alcuni casi al medesimo Giudice che gia' ha espresso il proprio giudizio entrando nel merito (diversamente non si potrebbe giustificare l'annullamento senza rinvio) e in altri casi ad un Giudice diverso, che non essendosi gia' pronunciato, e' imparziale, viola il principio di uguaglianza ed altresi' di ragionevolezza; 3. con l'art. 111, secondo comma della Costituzione perche', restituendo gli atti al medesimo Giudice che ha gia' espresso valutazioni di merito, incide sulla sua imparzialita'; b. dell'art. 627, comma 3 del codice di procedura penale, che obbliga il giudice di rinvio ad uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per cio' che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, per contrasto con l'art. 70 della Costituzione, che attribuisce la funzione legislativa alle due Camere e non al potere giudiziario, poiche' il comma 3 dell'art. 627 del codice di procedura penale impone l'obbligo anzidetto senza distinguere tra i casi nei quali la sentenza di legittimita' si sia limitata ad un'opera di carattere ermeneutico e quelli in cui, in luogo di interpretare la norma, il Collegio di legittimita' l'abbia riscritta creando una norma nuova, con cio' «sconfinando» dalla funzione nomofilattica propria del Giudice di legittimita', per pervenire a svolgere, di fatto, una funzione normativa. Tale ultima notazione, infine, comporta altresi' il contrasto dell'indicata disposizione con l'art. 101 Cost. che stabilisce che i giudici sono soggetti soltanto alla legge, vale a dire alla regola creata dal Parlamento ex art. 70 Cost., nella quale pertanto non sono ricomprese le immutazioni o, ancor peggio, le innovazioni create per via giurisprudenziale, soprattutto quando le stesse siano in contrasto con la chiarissima contraria volonta' del legislatore. 3.1. Osserva quest'Ufficio che la Corte costituzionale, con sentenza n. 305 del 2008 (6) si e' gia' pronunciata sulla questione d'incostituzionalita' dell'art. 627, comma 3 del codice di procedura penale, in una vicenda in cui il Giudice a quo era la suprema Corte di cassazione. In tale sentenza il Giudice delle leggi ebbe a dichiarare tale questione manifestamente infondata, per erroneita' del presupposto interpretativo, perche' la Corte costituzionale aveva costantemente affermato il principio per cui se in sede di rinvio la norma dichiarata applicabile dalla Corte di cassazione nella interpretazione da essa fornita fosse stata sospettata di illegittimita' costituzionale, il Giudice del rinvio avrebbe potuto chiedere il relativo scrutinio ad essa Corte costituzionale. Segue che l'odierna richiesta, da parte di questa Corte di merito, di verifica della conformita' ai principi costituzionali dell'interpretazione dell'art. 634, comma 2 del codice di procedura penale qui criticata, rispetta per l'appunto il principio sopra richiamato dal Giudice delle leggi sulla questione d'incostituzionalita' dell'art. 627, comma 3 del codice di procedura penale. Rilevanza della questione 1. Per quanto riguarda la rilevanza della questione sollevata, osserva questa Corte territoriale che non vi sono altre possibilita' per emendare l'innovativo - e, per quanto sopra detto, a giudizio di quest'Ufficio, incostituzionale - mutamento giurisprudenziale sopra illustrata, posto che - diversamente da quanto fatto in precedenza - nel presente procedimento non e' piu' possibile emendarlo chiedendo alla suprema Corte di voler provvedere alla correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza di annullamento n. 6979 del 2021, posto che tale pronuncia, diversamente da quella che ha generato la modifica interpretativa qui criticata, ha invece espressamente chiarito di volersi discostare dal chiaro disposto di cui al comma 2 dell'art. 634 del codice di procedura penale, in quanto, a suo modo di vedere, non applicabile alla fattispecie, per cui e' pacifico che si e' trattato di' una statuizione adottata non gia' per errore, ma deliberatamente. Nemmeno e' possibile la trasmissione, in via di fatto, degli atti alla Corte d'appello di Perugia, ex art. 11 codice di procedura penale, perche' cio' comporterebbe violazione della statuizione contenuta nella ridetta sentenza di annullamento n. 6979 del 2021, cui questo Collegio resta vincolato in forza dell'art. 627, comma 3 del codice di procedura penale. Discende pertanto la necessita' della richiesta d'intervento al Giudice delle leggi. (1) Presidente dott. Gerardo Sabeone, Consigliere estensore dott.ssa Rosa Pezzullo. (2) Presidente dott. Luca Ramacci, Consigliere estensore dott. Stefano Corbetta. (3) Presidente dott.ssa Luisa Bianchi, Consigliere estensore dott. Rocco Marco Blaiotta. (4) Presidente dott. Fausto Izzo, Consigliere estensore dott.ssa Daniela Dawan. (5) e non quella di Reggio Calabria, come erroneamente indicato nell'epigrafe della sentenza n. 43121 del 2019, poi emendata con la procedura della correzione dell'errore materiale, rimanendo pero' nel corpo motivazionale la corretta indicazione della Corte d'appello di Catanzaro. (6) Presidente dott. Franco Bile, Consigliere estensore dott. Francesco Amirante.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara d'ufficio rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 634, comma 2, codice di procedura penale, cosi' come risultante dall'interpretazione innovativa adottata dalla suprema Corte di cassazione a seguito della sentenza n. 43121 del 2019, per contrasto con gli articoli 3, 25 e 70 della Costituzione poiche' tale interpretazione non consente la previa individuazione del Giudice naturale precostituito per legge, nonche' dell'art. 627, comma 3 del codice di procedura penale, nella parte in cui obbliga il giudice di rinvio ad uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per cio' che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, anche quando tale pronuncia non e' meramente interpretativa, ma di fatto sovrascrive la norma creandone una nuova e diversa, talora di fatto abrogandola, per contrasto con l'art. 70 della Costituzione, e, per l'effetto, Sospende il giudizio di revisione; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; Ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al precedente disposto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 14 giugno 2022. Il Presidente: Neri I consiglieri: Amadori - Bonovolonta'