N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 2022

Ordinanza del  27  maggio  2022  della  Corte  dei  Conti  -  Sezione
giurisdizionale  regionale   per   la   Toscana   nel   giudizio   di
responsabilita' a carico di D. R.. 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile - Danno all'immagine della
  pubblica amministrazione  -  Ipotesi  di  estinzione  del  reato  -
  Previsione che il procuratore regionale presso la Corte  dei  conti
  possa promuovere entro trenta giorni  l'eventuale  procedimento  di
  responsabilita'  per  danno  erariale  solo   nei   confronti   del
  condannato - Conseguentemente mancata previsione  che  il  medesimo
  promuova entro trenta giorni  l'eventuale  procedimento  anche  nel
  caso di sentenza di estinzione del reato - In  via  conseguenziale,
  omessa previsione che la sentenza di estinzione  del  reato,  oltre
  alla sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata  nei  confronti
  dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui  all'art.  1,
  comma 2, del decreto legislativo n. 165  del  2001,  nonche'  degli
  organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti  commessi
  a danno delle stesse,  sia  comunicata  al  competente  procuratore
  regionale della Corte dei  conti,  affinche'  promuova  l'eventuale
  procedimento di responsabilita' per danno  erariale  nei  confronti
  del condannato. 
- Legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme  sul  rapporto  tra  procedimento
  penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato  penale
  nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), art.
  7, comma 1; in via conseguenziale, decreto  legislativo  26  agosto
  2016, n. 174 (Codice di  giustizia  contabile,  adottato  ai  sensi
  dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), art. 51, comma
  7. 
(GU n.41 del 12-10-2022 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
          sezione giurisdizionale regionale per la Toscana 
 
    Composta dai magistrati: 
      Andrea Luberti - Presidente (f.f.) Relatore; 
      Giuseppe Di Pietro - Consigliere; 
      Khelena Nikifarava - Referendario; 
    ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita', iscritto al numero 62377 del registro di  segreteria
promosso  dal  Procuratore  regionale  della  Corte  dei  conti   nei
confronti di D              ,  R                nato  a              
(    ) in data               , residente  in                (     ) -
localita'                                  ,                     alla
via                                     ; 
    Rappresentato  e  difeso   dagli   avvocati   Tiziana   Citernesi
(avvtizianaciternesi@cnfpec.it)      e       Alessandro       Formica
(alessandro.formica@avvocatiperugiapec.it),     ed      elettivamente
domiciliato presso lo studio della prima, sito in  Sansepolcro  (AR),
alla via dei Lorena, 27. 
    Visto il decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174  (codice  di
giustizia contabile); 
    Esaminato l'atto di citazione, i documenti allegati,  le  memorie
difensive e tutti gli atti e documenti della causa; 
    Udito, nell'udienza da remoto, svolta nella  data  del  10  marzo
2022, in base a quanta prevista  dall'art.  85,  commi  1  e  5,  del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24  aprile
2020,  n.  27  (i  cui  termini  sono  stati  ulteriormente  premiati
dall'art. 16, comma 7, del decreto-legge 30 dicembre  2021,  n.  228,
convertito dalla legge  25  febbraio  2022,  n.  15),  il  presidente
facente  funzioni  nonche'  relatore,  Andrea  Luberti,  il  pubblico
ministero,  in   persona   del   viceprocuratore   generale   Roberto
D'Alessandro e, per i convenuti, l'avvocato Alessandro Formica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con atto di citazione regolarmente  depositato  e  notificato  la
Procura regionale della Corte dei conti ha convenuto in  giudizio  il
soggetto in epigrafe al fine di sentirlo condannare  al  risarcimento
per euro 35.256,00  in  favore  dell'ANAS  societa'  per  azioni  (di
seguito anche: ANAS). 
    Il danno erariale ipotizzato discende  dalla  condotta  criminosa
ascritta all'interessato nella sua qualita' di dipendente  dell'ANAS,
ravvisatile essenzialmente nell'appropriazione di beni  della  stessa
ANAS ovvero nella loro illecita utilizzazione. In punto di fatto,  la
procura erariale  ha,  in  particolare,  esposto  quanto  di  seguito
riassunto: 
      - a seguito di indagini, era  emerso  che  il  convenuto  aveva
ripetutamente utilizzato veicoli di proprieta' pubblica, di cui aveva
la disponibilita' per ragioni di servizio, per  finalita'  personali,
nel periodo dal            al            ; 
      - con sentenza del 27 settembre 2016,  n.  243,  la  Corte  dei
conti,  Sezione  giurisdizionale  regionale  per  la  Toscana,  aveva
pertanto condannato il medesimo al risarcimento del danno, in  favore
dell'ANAS, per euro 19.785,49; 
      - il risarcimento erogato in tale sede  era  comprensivo  delle
poste  di  euro  1.557,49  (in  relazione  all'illecito  utilizzo  di
carburante): di euro 600,00 (a titolo di spese  di  manutenzione  dei
mezzi);  di   euro   17.628,00   (in   ragione   delle   retribuzioni
indebitamente percepite); 
      - parallelamente, era stato instaurato un procedimento  penale,
relativo all'imputazione per il reato di cui all'art. 310,  comma  2,
del codice penale (peculato d'uso); 
      - tale vicenda processuale era stata in prima battuta  definita
con la sentenza in data 18 maggio 2016, n.  61,  emessa  dal  giudice
dell'udienza preliminare presso il  Tribunale  penale  di  Arezzo,  a
seguito di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell'imputato: -
in seguito al ricorso in secondo grado, la Corte d'Appello di Firenze
- II sezione penale, con sentenza in data 9 settembre 2019. n.  4582,
aveva dichiarato di «non  doversi  procedere  per  i  reati  ascritti
perche' estinti per intervenuta prescrizione», essendo  maturati  nel
frattempo i relativi termini. 
    La   Procura   erariale,   in   base    all'accertamento    della
responsabilita' a suo dire contenuto nella sentenza di  primo  grado,
ha azionato il risarcimento del danno all'immagine, quantificando  il
relativo pregiudizio in capo all'ente di  appartenenza  (in  base  al
disposto dell'art.1 comma 1-sexies, della legge 14 gennaio  1994,  n.
20) in misura pari al doppio dell'utilita' patrimoniale percepita dal
convenuto  a  titolo  di  retribuzioni  indebitamente  erogate,  gia'
oggetto del precedente risarcimento. 
    In punto di diritto, la Procura erariale ha argomentato  che  non
risulta formalmente agli atti una sentenza irrevocabile di condanna. 
    Tale presupposto, in astratto, sarebbe  richiesto  dal  complesso
coacervo normativa rappresentato dall'art. 17, comma 30-ter,  secondo
periodo. del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,  convertito  dalla
legge 3 agosto 2009, n. 102, come poco dopo modificato  dall'art.  1,
comma 1, lettera c), n. 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n.  103,
convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
    Tuttavia,  secondo  l'interpretazione   attorea,   in   un'ottica
sostanziale,   la   sentenza    dichiarativa    della    prescrizione
implicherebbe, comunque, l'avvenuta verifica dell'assenza di cause di
proscioglimento, ai sensi  dell'art.  129  del  codice  di  procedura
penale. Pertanto, non difetterebbe il  provvedimento  giurisdizionale
irrevocabile contenente una statuizione sulla sussistenza del reato e
sulla responsabilita' dell'imputato, richiesta dalla norma citata. 
    Il convenuto, dopo avere svolto attivita' pre-processuale, si  e'
costituito con note di memoria in data 17 febbraio  2022,  formulando
le seguenti eccezioni e difese: 
      i. Nullita' dell'atto di  citazione:  ai  sensi  dell'art.  51,
comma 6, del codice, di giustizia contabile. contrariamente a  quanto
argomentato. l'edictio actionis sarebbe invalida per il  difetto  dei
presupposti indefettibili di proponibilita' dell'azione per il  danno
all'immagine. Infatti, come gia' accennato, mancherebbe una  sentenza
di condanna del convenuto passata in giudicato: 
      ii. Eccezione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  51,
comma 7, del codice di giustizia contabile,  per  contrasto  con  gli
artt. 3 e 24 della Costituzione. Tale  difesa  e'  spiegata,  in  via
subordinata, laddove il collegio ritenesse  che  il  riferimento  ivi
contenuto alla «sentenza definitiva di condanna» in via estensiva. 
      Per l'esattezza, la difesa ha  ipotizzato  l'invalidita'  della
norma laddove, con  un'interpretazione  analogica,  tale  riferimento
fosse esteso anche alle  sentenze  dichiarative  dell'estinzione  del
reato  per  prescrizione,  strutturalmente  diverse  da   quelle   di
condanna; 
      iii. Nullita' dell'atto di citazione o, comunque,  infondatezza
nel  merito  della  domanda.  Anche  a  voler  considerare  il  danno
all'immagine in astratto risarcibile, mancherebbe  anche  l'ulteriore
presupposto del  clamor  fori  ai  fini  della  sua  configurabilita'
concreta. I fatti  addebitati,  infatti,  sarebbero  di  epoca  ormai
risalente e, per di piu', privi di particolare risonanza mediatica; 
      iv. Erronea quantificazione del danno. In ulteriore  subordine,
e'  stato  richiesto  di  rettificare  l'importo  del   risarcimento,
richiesto dalla Procura erariale nella  misura  sopra  descritta.  In
ogni caso, l'art. 1, comma 1-sexies,  della  legge  n.  20  del  1994
(siccome introdotto dall'art. 1, comma 62,  della  legge  9  novembre
2012, n. 190) sarebbe  inapplicabile  ratione  temporis  al  caso  di
specie. L'ammontare da' risarcimento dovrebbe essere  quindi  ridotto
anche in considerazione della  scarsa  gravita'  del  fatto  e  delle
modeste condizioni reddituali del convenuto 
      v. Esercizio del potere riduttivo.  In  estremo  subordine,  e'
stato richiesto di pervenire a  una  mitigazione  del  danno  tramite
l'esercizio del potere riduttivo previsto dall'art. 833, comma 1, del
regio decreto 18 novembre 1923, n. 2240, e  dall'art.  52  del  regio
decreto 12 luglio 1924, n. 1214. 
    All'udienza da remoto in data 10 marzo 2022  le  parti,  come  in
epigrafe dettagliate, hanno insistito nelle  rispettive  richieste  e
argomentazioni,  insistendo   altresi'   per   l'accoglimento   delle
richieste. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Pregiudizialmente, il collegio  ritiene  di  statuire  in  ordine
all'eccezione difensiva, proposta in relazione  all'inammissibilita',
nel  caso  di  specie,  della  richiesta   risarcitoria   del   danno
all'immagine. 
    Al riguardo, contrariamente a quanto  argomentato  dalla  Procura
erariale e richiesto nell'atto di citazione, il collegio ritiene  che
difettino,  alla   luce   di   un'interpretazione   letterale   della
disposizione,  nonche'  della  sua   esegesi   come   formulata   sia
all'interno della Sezione (Sezione giurisdizionale regionale  per  la
Toscana, 2 dicembre 2021, n. 443) che dalla prevalente, anche se  non
univoca, giurisprudenza della Corte dei  conti  in  sede  di  appello
(Corte dei conti, Sezione II centrale Appello,  12  luglio  2021,  n.
233; Corte dei conti, Sezione II centrale Appello, 15 dicembre  2020,
n. 298) i relativi elementi costitutivi. Pertanto, la Sezione, con il
presente atto, nei termini che saranno illustrati, solleva  questione
di legittimita' costituzionale della normativa applicabile, in quanto
ritenuta rilevante e non manifestamente infondata. 
    Sul  punto,  quanto  alla  sussistenza  dei  presupposti  per  lo
scrutinio  di  legittimita'  costituzionale,  deve  essere  osservato
quanto segue. 
    I.  Le   norme   applicabili   e   di   ritenuta   illegittimita'
costituzionale. 
    La posta azionata dalla procura erariale e' oggetto di una  serie
di norme di carattere specifico, che hanno disciplinato (in genere in
senso restrittivo) la possibilita', per le  procura  regionali  della
Corte dei conti, di procedere in giudizio ai  fini  del  ristoro  del
depauperamento non  patrimoniale.  Di  seguito  sono  illustrati  gli
elementi essenziali della disciplina,  protrattasi  nel  corso  degli
ultimi anni anche se introdotta per il tramite della decretazione  di
urgenza. 
    La voce risarcitoria in esame,  ove  esigibile  dall'Erario,  era
stata elaborata dalla giurisprudenza contabile, quale figura in prima
battuta traslata in via giurisprudenziale  dal  sistema  civilistico.
Essa era fondata sull'art. 10 del codice civile che,  gia'  in  epoca
risalente e antecedente alla generale applicabilita'  dell'art.  2059
del codice civile, consentiva il ristoro di  un  danno  dall'indubbia
natura non patrimoniale, sia pure con marcati  risvolti  patrimoniali
astratti e indiretti. Tale circostanza  (similmente  alla  previsione
della risarcibilita' del danno da lesione da diritto al nome)  spiega
allora la previsione della risarcibilita', in un articolato normativa
per  altro  verso  estremamente  cauto  nella  tutela  dei  beni  non
marcatamente patrimoniali. In altri  termini  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite, ordinanza 2 aprile  2007,  n.  8098)  anche  sotto  il
versante pubblicistico «il danno  all'immagine  (...)  anche  se  non
comporta apparentemente una diminuzione  patrimoniale  alla  pubblica
amministrazione,  e'  suscettibile  di  una   valutazione   economica
finalizzata al ripristino del bene giuridico leso». 
    Successivamente, tale tipologia di danno pubblico ha ricevuto una
espressa disciplina normativa che l'ha delineata secondo un paradigma
autonomo dal modello civilistico, nello specifico da parte  dell'art.
17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge n. 78 del  2009.
In  base  a  tale  previsione  «Le  procure  della  Corte  dei  conti
esercitano l'azione per il risarcimento del  danno  all'immagine  nei
soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo  2001,
n. 97». Tale art. 7 disciplina(va) la trasmissione di ogni  «sentenza
irrevocabile  di  condanna»  per  i  delitti   contro   la   pubblica
amministrazione,  e  consequenzialmente  e'   tutt'oggi   presupposto
processuale dell'azione, pur se formalmente abrogato. 
    La legittimita' di tale limitazione  e'  stata  confermata  dalla
pronuncia della Corte costituzionale, 15 dicembre 2010,  n.  355,  in
considerazione del carattere proprio  del  danno  all'immagine  della
pubblica amministrazione,  che  sarebbe  in  realta'  strutturalmente
diverso da quello azionabile a vantaggio dei privati. La Consulta  ha
infatti avuto modo di affermare, in  tale  occasione,  che  il  danno
all'immagine della pubblica amministrazione presenta  caratteristiche
sostanzialmente  peculiari  rispetto   al   corrispondente   istituto
risarcitorio civilistico. Esso, infatti, non costituirebbe  (al  pari
di quanto accade per i privati) il mero  ristoro  di  un  pregiudizio
afferente a un bene della personalita' quale forma di  tutela  di  un
diritto fondamentale. Il  fondamento  del  danno  all'immagine  della
pubblica amministrazione sarebbe invece costituito dalla lesione  del
«prestigio» che si risolve, in buona sostanza, in un pregiudizio alla
concretezza  della  cura  degli  interessi  attribuiti   alla   sfera
pubblica. Poiche'  il  perseguimento  dell'interesse  curato  da  una
pubblica amministrazione presuppone un minimum  di  cooperazione  dei
consociati,  ogni  struttura  pubblica  risulta   affievolita   dalla
rappresentazione,  presso  la  collettivita',  di  amministratori   o
dipendenti operanti  in  difformita'  da  quanto  delineato  in  base
all'art. 97 della  Costituzione.  Correlativamente,  per  le  ragioni
illustrate, sarebbe leso il buon andamento tutelato dalla  menzionata
disposizione  costituzionale  piu'  che  un  bene  non   patrimoniale
dell'ente. 
    Successivamente, il legislatore e'  intervenuto  anche  sotto  il
profilo della quantificazione del danno in commento, e in particolare
con l'art. 1, comma 62, della legge n. 190 del 2012,  che  ha  inteso
fornire un criterio di natura normativa, azionato nel caso in esame. 
    Tale norma prevede che «(...) l'entita'  del  danno  all'immagine
(...), si presume, salva prova contraria, pari al doppio della  somma
di denaro o del valore patrimoniale di altra  utilita'  illecitamente
percepita dal dipendente». La predeterminazione, sia pure presuntiva,
del danno risarcibile, ha svincolato ancora  di  piu'  tale  voce  di
danno dall'omologa figura civilistica. 
    Il codice di giustizia contabile ha, da ultimo,  con  l'art.  51,
comma 6, applicabile alla fattispecie in esame in forza  dell'art.  2
del decreto legislativo n. 174 del  2016,  dettato  una  formulazione
apparentemente  differente  dei  presupposti  della  relativa  azione
erariale, disciplinando la trasmissione delle  sentenze  di  condanna
con il citato art. 51, comma 7  e  abrogando  il  primo  (ma  non  il
secondo) periodo del citato comma  30-ter,  nonche'  il  sempre  gia'
citato art. 7 della legge n. 97 del 2001. 
    La nuova norma si riferirebbe, secondo un  autorevole  indirizzo,
in modo piu' ampio, a tutti «i delitti commessi a danno delle stesse»
(pubbliche  amministrazioni),  indipendentemente   dalla   tassonomia
dell'interesse tutelato. Sulla portata innovativa della  disposizione
da ultimo citata si e' pronunciata incidenter tantum la stessa  Corte
costituzionale, con l'ordinanza 9 luglio 2019, n. 168 e con  sentenza
19 luglio 2019, n. 191. 
    Nel confermare la  pregressa  giurisprudenza  sulla  legittimita'
della limitazione al risarcimento del danno all'immagine, la Consulta
ha delineato in modo puntuale i  presupposti  della  relativa  azione
erariale. 
    Infatti, la Corte costituzionale,  con  la  prima  pronuncia,  ha
accennato  al   carattere   sostanzialmente   modificativo,   e   non
ricognitivo, della norma introdotta in sede  di  codificazione  della
procedura. 
    Dall'altro, la Consulta, con la seconda  pronuncia,  ha  rinviato
all'esegeta il compito di puntuale individuazione  delle  fattispecie
per cui, in ossequio a tale impostazione si rientri  nelle  tassative
ipotesi di  risarcibilita'  del  danno  all'immagine  della  pubblica
amministrazione. Tuttavia, condizione della risarcibilita' del  danno
all'immagine  resterebbe  pur  sempre  l'esistenza  di  una  sentenza
irrevocabile di condanna. 
    Deve essere precisato che quanto sopra esposto sotto  il  profilo
sostanziale non rileva,  in  se'  e  per  se',  quale  oggetto  della
remissione  (che  riguarda,   in   realta',   l'interpretazione   dei
presupposti di carattere processuale). Piuttosto, la definizione  dei
caratteri essenziali del danno all'immagine «pubblico» rileva al piu'
limitato fine di comprendere se il quantutn di divaricazione rispetto
alla disciplina  civilistica  permanga,  o  meno,  nei  limiti  della
ragionevolezza piu' volte scrutinata dalla Consulta nel  giudizio  di
propria pertinenza. 
    Secondo    l'opinione    del    collegio,     come     accennato,
l'interpretazione di tale presupposto, sia alla  luce  dell'ermeneusi
letterale, che di quella emergente dalla  giurisprudenza  di  appello
sul punto, non consente di ritenere superabile  la  limitazione  alla
sussistenza di un fatto criminoso accertato con  definitiva  sentenza
di condanna. Per contro, in relazione alle vicende assimilabili  alla
presente, l'impossibilita' di disporre il risarcimento  ove  l'azione
penale sia definitivamente estinta determina il conseguente  sospetto
di  illegittimita'  costituzionale,  in  base  a  quanto  di  seguito
evidenziato. 
    Infatti, in ordine alle  valutazioni  afferenti  alla  remissione
della  questione  di   legittimita'   costituzionale,   puo'   essere
argomentato quanto di seguito. 
    II. La sussistenza della giurisdizione contabile. 
    Risultando indiscussa la legittimazione del collegio  a  proporre
la questione (cosi' come per il complesso delle sezioni  della  Corte
dei conti in tutte  le  sue  articolazioni,  ove  l'attivita'  svolta
presenti  carattere   sostanzialmente   giurisdizionale:   v.   Corte
costituzionale, 14 febbraio 2019,  n.  18)  occorre  in  primo  luogo
riferire  sulla  sussistenza  della  giurisdizione  contabile.   Tale
scrutinio,  ancorche'  preliminare  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale, in quanto incidente sulla rilevanza delle limitazioni
de quibus nel giudizio  in  corso,  e'  comunque  compiuto  nei  piu'
sommari, ma doverosi, limiti della strumentalita' al riscontro  sopra
descritto (nei termini v. Corte costituzionale,  2  luglio  2008,  n.
241). 
    Al riguardo, il collegio  ritiene  che  il  soggetto  danneggiato
(l'ANAS), pur presentando le caratteristiche formali di societa'  per
azioni, sia in realta' un ente pubblico e che pertanto, in  relazione
ai  danni  cagionati  al  patrimonio  dello  stesso  siano  in   toto
applicabili le norme  che  disciplinano  il  risarcimento  del  danno
all'immagine  alla  pubblica  amministrazione  e  comunque,  piu'  in
generale, risulti radicata la giurisdizione contabile. 
    Tali   considerazioni   risultano   pienamente   conformi    alla
giurisprudenza espressa, tra l'altro, della  Corte  di  cassazione  a
sezioni unite, proprio  in  punto  di  decisione  sul  riparto  della
giurisdizione. 
    Secondo tale orientamento, pressoche' univoco, infatti, la natura
giuridica dell'ANAS (quella, cioe', di  ente  pubblico)  risulterebbe
non modificata pur a seguito dell'art. 7, comma 1, del  decreto-legge
8 luglio 2002, n. 138, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n.  138,
che lo ha configurato come societa' per azioni. 
    Infatti,  detta  privatizzazione  presenterebbe  carattere   solo
formale, mentre sotto il versante sostanziale non avrebbe alterato  i
caratteri pubblicistici dell'ente. In particolare, tale  affermazione
e' argomentata appunto in modo perentorio con riguardo al periodo  in
cui si collocano i fatti oggetto di contestazione. Infatti, sul tema,
la Corte di cassazione a sezioni unite, con ordinanza 9 luglio  2014,
n. 15594, nell'aderire all'orientamento illustrato, ha  riferito  che
«Depone in  questo  senso,  anzitutto,  la  genesi  stessa  dell'Anas
s.p.a., direttamente derivante da un atto normativo e  non,  come  e'
naturale in societa'  di  diritto  privato,  da  un  atto  negoziale,
ancorche' posto in essere dalla  pubblica  amministrazione  in  forza
della capacita' di agire iure privatorum che ad essa  compete.  Sotto
questo profilo appare quindi lecito adoperare, a  tal  proposito,  la
definizione di «societa' legale»: societa' che,  percio'  stesso,  si
pone  su  un  piano  diverso  dal  fenomeno  negoziale   previsto   e
disciplinato  dal  codice  civile,  ancorche'  possa  mutuarne,   per
espressa previsione di legge, una o piu'  caratteristiche.  Non  meno
indicativa - ed  evidentemente  correlata  al  suaccennato  carattere
legale della societa' - e'  la  circostanza  che  suo  statuto  e  le
eventuali successive modificazioni di esso debbano  essere  approvati
con decreto ministeriale, e che sempre con decreto  ministeriale  sia
determinato il capitale sociale, al quale i residui passivi spettanti
all'Anas  sono  conferiti  mediante  un   atto   amministrativo   del
competente ministero (art. 7, cit., commi 4 e 5). Ma il permanere dei
connotati pubblicistici dell'Anas e' testimoniato anche da  ulteriori
significative  disposizioni.  Viene  qui  in  evidenza  il  comma   6
dell'articolo citato,  che  espressamente  attribuisce  al  Ministero
dell'economia e delle finanze le azioni sociali e  stabilisce  che  i
relativi diritti debbano essere esercitati di concerto col  Ministero
delle infrastrutture e  dei  trasporti,  per  cio'  stesso  non  solo
escludendo radicalmente ex lege la possibilita' della coesistenza  di
un  azionariato  privato,  ma  improntando  l'esercizio  dei  diritti
sociali ad un  paradigma  quello  del  concerto  interministeriale  -
palesemente «ispirato al modello dell'agire amministrativo, ben  piu'
che negoziale. E viene in evidenza  altresi'  la  disposizione  (art.
cit., comma 1-quinquies) che attribuisce all'Anas medesima le entrate
derivanti dall'utilizzazione dei  beni  demaniali,  relativamente  ai
quali essa esercita i diritti ed i poteri dell'ente  proprietario  in
virtu' della concessione attribuitale  dalla  legge;  quella  che  le
conferisce una serie di funzioni di  natura  pubblica  inerenti  alle
strade statali (i compiti di cui al decreto legislativo  26  febbraio
1994, n. 143, art. 2, comma 1, lett. da a) a  g),  nonche'  l),  alle
quali e' connesso anche l'esercizio  di  potesta'  autoritativa  (ivi
compreso l'accertamento delle violazioni in materia  di  circolazione
stradale  ed  il  potere  di  approvare  i  progetti  dei  lavori  di
costruzione e di emanare gli atti  dei  procedimenti  espropriativi);
quella che espressamente sottopone l'Anas s.p.a. al  controllo  della
Corte dei conti con le modalita' previste dalla L. 21 marzo 1958,  n.
259,  art.   12   e   l'autorizza   ad   avvalersi   dei   patrocinio
dell'Avvocatura dello Stato (art. 7, cit, comma 11); e quella per cui
il rapporto di lavoro del personale dipendente in essere  al  momento
della trasformazione resta disciplinato  dalle  disposizioni  proprie
dei rapporti di lavoro instaurati con enti pubblici  economici  (art.
cit., comma 9).» 
    Pertanto, la giurisdizione contabile sui danni a  tale  ente  non
sarebbe fondata sull'art. 12 del decreto legislativo 19 agosto  2016,
n. 175, relativo alle societa' a partecipazione pubblica. 
    Essa, piuttosto, poggerebbe sul complesso delle norme attributive
della giurisdizione sul danno erariale (art. 52 del regio decreto  12
luglio 1934, n. 1214 e attualmente art. 1  del  codice  di  giustizia
contabile). 
    La  sostanziale  assimilazione  dell'ANAS  a  un  ente  pubblico,
fondato sulla propria antologica essenza, spiega effetti anche  sotto
un diverso versante. Esso, che sara'  precisato  ultra,  riguarda  la
stessa  rilevanza  nel  giudizio  in  corso.  Infatti,   proprio   in
considerazione di tale natura, risultano applicatili ai dipendenti di
tale ente pubblico in forma societaria le  disposizioni  relative  ai
reati contro la pubblica amministrazione,  ivi  comprese  quelle  che
consentono,  in  tali  fattispecie,   il   risarcimento   del   danno
all'immagine. 
    III. L'impossibilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente
conforme anche alla luce del «diritto vivente». 
    Come gia' argomentato, secondo il collegio tra i presupposti  per
l'azione erariale in esame non rientra la sentenza di assoluzione per
estinzione del reato, ivi compreso il caso di prescrizione. 
    Nel caso di specie, come si e' accennato nelle premesse in  punto
di fatto del presente arresto, la Procura regionale della  Corte  dei
conti ha infatti azionato il  risarcimento  del  danno  all'immagine,
ritenendo di poter applicare una nozione sostanziale dell'espressione
«sentenza irrevocabile di condanna» contenuta nel citato art. 7 della
legge n. 97 del 2001. 
    In base  a  tale  considerazione  sostanziale  del  valore  della
pronuncia, la sentenza di assoluzione in appello per  estinzione  del
reato presupposto per prescrizione, ave  preceduta  da  una  condanna
penale di  primo  grado  intervenuta  nei  termini,  potrebbe  essere
equiparata a una sentenza di condanna. 
    L'avviso del collegio (e da qui deriva la sospetta illegittimita'
delle relative previsioni) e' che a  tale  assimilazione  ostino  una
serie di ragioni. 
    Innanzitutto,  la  lettera  della  norma  e'  chiara  nonche'  di
meridiano fondamento  logico-giuridico  e  pertanto  (art.  12  delle
disposizioni sulla legge in generale) essa non puo' essere oggetto di
un'attivita'  ermeneutica,  diretta  a   sopperire   a   una   lacuna
inesistente. 
    In secondo luogo, difetta in radice anche lo  stesso  presupposto
dell'analogia. Infatti, non e'  corretto  affermare,  come  sostenuto
nell'atto di citazione, che  la  sentenza  estintiva  del  reato  per
prescrizione   contenga    l'accertamento    della    responsabilita'
dell'imputato. Al riguardo,  l'art.  129,  comma  2,  del  codice  di
procedura penale, prevede solo  che  qualora  ricorra  una  causa  di
estinzione del reato il giudice pronunci una sentenza di  assoluzione
ove «dagli atti risulta evidente che il  fatto  non  sussiste  o  che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato  o
non  e'  previsto  dalla  legge  come  reato»,  con  una  valutazione
ufficiosa della sola evidenza. 
    Invece, nelle sentenze  di  condanna  (art.  533  del  codice  di
procedura penale)  la  responsabilita'  penale  deve  essere  provata
«oltre ogni ragionevole dubbio». 
    In caso di ricorrenza di cause estinti ve  del  reato,  pertanto,
sussiste una radicale modificazione delle regole  di  valutazione  ai
fini dell'assoluzione, il che risulta giustificato dalla  sostanziale
pregiudizialita' di tale evenienza. 
    Infatti, l'assenza di responsabilita' deve essere dichiarata solo
laddove  emerga  ex  actis,  sia  cioe'  evidente  e  imponga  quindi
l'adozione di una pronuncia oggettivamente piu' favorevole, nel  caso
di specie, all'imputato. 
    Peraltro, a conferma di  tale  assunto,  tale  pronuncia  difetta
dell'efficacia di giudicato ai sensi  dell'art.  651  del  codice  di
procedura penale, ed esorbita dagli atti che integrano la fattispecie
del danno all'immagine. 
    La giurisprudenza contabile che ha affrontato detta  problematica
non ha raggiunto approdi  ermeneutici  univoci,  risultando  tuttavia
prevalente l'opinione qui  illustrata  come  piu'  aderente  al  dato
normativo. 
    In senso favorevole all'assimilazione,  e  valorizzando  il  dato
sostanziale  dell'intervento  di  un  giudicato   di   condanna   non
riformato, si e' per vero  espressa  parte  della  giurisprudenza  di
primo (Corte dei conti,  Sezione  giurisdizionale  regionale  per  la
Liguria,  3  dicembre  2021,  n.  208  e,  in   precedenza,   Sezione
giurisdizionale regionale per  la  Lombardia,  sentenza  27  novembre
2018, n.  284):  quest'ultima  riconosce  peraltro  espressamente  la
propria posizione come minoritaria) e di  secondo  grado  (Corte  dei
conti, Sezione III centrale Appello, 21 dicembre 2018, n. 476). 
    Nonostante l'articolato  e  apprezzabile  sforzo  ermeneutico  in
senso opposto e negativo si e' comunque schierata  (oltre  che,  come
ricordato,   questa   Sezione)   altra   giurisprudenza    contabile,
soprattutto in grado di  appello  (Sezione  II  centrale  Appello,  3
aprile 2012, n. 212 e n. 213;  Sezione  di  appello  per  la  Regione
Siciliana, 19 marzo 2013, n. 87; le sopra  citate  Corte  dei  conti,
Sezione II centrale Appello, n. 298 del 2020 e n. 233 del 2021). 
    Particolarmente rilevanti al riguardo appaiono le  considerazioni
profuse dalla piu' recente tra dette pronunce. Tale arresto e'  stato
reso in relazione a una fattispecie di reato estinto per  messa  alla
prova (articoli 168-bis e 168-ter del codice penale; articoli 464-bis
/ 464-novies del codice di procedura penale). 
    Comunque,  dopo  aver  ribadito  la  permanenza   dei   requisiti
sostanziali  piu'  volti  esaminati,  il  plesso  giurisdizionale  di
appello,  con  una  serie  di  argomentazioni  di  assoluto   rilievo
sistematico, che non  possono  che  essere  recepite  nella  presente
ordinanza, ha ribadito di ritenere che «al quesito se una sentenza di
proscioglimento per estinzione del reato possa ritenersi assimilabile
alla sentenza  irrevocabile  di  condanna  occorra  fornire  risposta
negativa. La giurisprudenza  della  Suprema  Corte  ha  costantemente
rimarcato l'antologica differenza  che  esiste  tra  la  sentenza  di
condanna e la pronuncia di proscioglimento per  una  causa  estintiva
del reato, sia essa dovuta a prescrizione - fattispecie che occupa il
maggiore  spazio  nella  casistica  giurisprudenziale  -   sia   essa
derivante dell'esito favorevole della messa alla prova». 
    Tale  ipotesi  e'  assimilabile  a  quella  di   estinzione   per
prescrizione atteso che, anche in dette fattispecie  e'  prevista  la
possibilita' di assoluzione ai sensi  dell'art.  129  del  codice  di
procedura penale. Del pari, in entrambi i casi (come in tutti  quelli
di estinzione) e' ravvisabile la rinuncia  all'opzione  punitiva  per
ragioni  di  opportunita',  il  che  non  dovrebbe  pero'  ledere  il
danneggiato. 
    Il  collegio  pertanto  ritiene  che,  pur  condividendo   quanto
significato dalla citata pronuncia di secondo grado n. 476 del  2018,
secondo cui si deve ritenere  che  «il  "fatto  dannoso"  sottostante
all'azione erariale non venga  antologicamente  meno  a  causa  della
prescrizione del reato» sia proprio il contrasto  di  tale,  fondata,
argomentazione con il dato  letterale  a  impedire  l'interpretazione
proposta, nella  generalita'  delle  fattispecie  di  estinzione  del
reato, oltre che nel caso specifico della prescrizione. 
    IV. La rilevanza nel giudizio in corso. 
    La rilevanza delle norme denunciate come incostituzionali  emerge
per tabulas. Infatti,  il  reato  contestato  al  convenuto  in  sede
penale, per  cui  in  primo  grado  e'  stata  disposta  sentenza  di
condanna, poi caducata per prescrizione,  e'  indubbiamente  compreso
tra i reati contro la pubblica amministrazione. 
    Per contro, in considerazione della  natura  della  pronuncia  di
secondo grado, la condizione dell'intervenuta condanna  per  reati  a
danno della pubblica amministrazione non  risulta  sussistente  e  la
relativa azione sarebbe  di  conseguenza  inammissibile  per  difetto
della possibilita' giuridica di azionare il relativo diritto. 
    Poiche' l'ente che ha subito il pregiudizio e'  (in  forza  delle
considerazioni dipanate) un ente pubblico, ne consegue  che  seguendo
l'iter  logico  della  condicio  sine  qua  non  in   carenza   della
preclusione normativa descritta il risarcimento  in  favore  di  tale
amministrazione ben potrebbe trovare accoglimento. 
    Proprio  le  conseguenze   dell'applicazione   della   conferente
normativa  si  pongono  allora  in  contrasto  con  i  parametri   di
legittimita' che saranno di seguito specificati. Nemmeno si pone, nel
caso in esame, un problema di irrilevanza della questione per effetto
dell'astratta inconfigurabilita' del dolo  o  della  colpa  grave  da
parte dell'agente, nel caso di modifica  della  norma  seguente  alla
condotta. 
    Infatti, l'eventuale illegittimita' costituzionale non avrebbe  a
oggetto norme sostanziali che  disciplinano  l'agere  della  pubblica
funzione,  ma  previsioni  che   disciplinano   quoad   effectum   le
conseguenze di dette violazioni. 
    Il rapporto tra genere e specie giustifica l'estensione a tutti i
casi  di  estinzione  del  reato  della  questione  di   legittimita'
costituzionale, pur se scaturita in punto di fatto da  un'ipotesi  di
prescrizione. 
    V. La non manifesta infondatezza  e  i  parametri  costituzionali
violati. Deve essere precisato che il collegio non ignora la  portata
dei precedenti della Corte costituzionale, rappresentati  dalle  gia'
citate pronunce, che  hanno  scrutinato  la  legittimita'  di  taluni
aspetti della disciplina risarcitoria sin qui ricostruita. 
    In particolare: 
      - la sentenza 15 dicembre 2010, n. 355 (i  cui  argomenti  sono
stati poi confermati in via incidentale dall'ordinanza 9 luglio 2019,
n. 168) ha escluso la violazione degli articoli 3, 24, 54 e 97  della
Costituzione, nella parte in cui, consentendo alla procura  contabile
di agire in giudizio soltanto in presenza  del  preventivo  esercizio
dell'azione penale, introdurrebbe un'irrazionale differenziazione  di
tutela tra le fattispecie di danno all'immagine e le altre  tipologie
di danno  subito  dalla  pubblica  amministrazione  aventi  anch'esse
rilievo patrimoniale, precludendo la piena tutela in tutte le ipotesi
in cui soggetti ad essa collegati  da  un  rapporto  di  servizio  le
abbiano causato il danno all'immagine; 
      - la sentenza 19 luglio 2019, n. 191, ha escluso la  violazione
degli 3, 76, 97 e 103 della Costituzione, nella parte in cui, per  la
generalita'  delle   fattispecie   criminose,   esclude   l'esercizio
dell'azione del pubblico ministero contabile per il risarcimento  del
danno all'immagine conseguente a reati dolosi  commessi  da  pubblici
dipendenti  a  danno  delle  pubbliche  amministrazioni,   dichiarati
prescritti  con  sentenza  passata  in  giudicato  accertativa  della
responsabilita'. 
    Pertanto, non viene messa in discussione in detta sede  l'opzione
legislativa di restringere l'azionabilita' del danno all'immagine, ma
le  modalita'  con  cui,  in  concreto,   tale   opzione   e'   stata
disciplinata. 
    Difatti, ai fini dell'azione erariale, puo'  essere  giustificata
la previsione che impone l'esercizio dell'azione penale per  uno  dei
reati sopra indicati, e di conseguenza ragionevole che il legislatore
abbia richiesto una  sentenza  contraddistinta  dall'irrevocabilita'.
Tuttavia,  detta  conclusione  non   puo'   essere   trasposta   alle
fattispecie in cui, per  il  diverso  assetto  normativo  ovvero  per
situazioni oggettivamente non  dominabili,  la  durata  del  processo
determini l'estinzione del medesimo. 
    Ad avviso del collegio, la norma de qua viola, in primo luogo, il
combinato  disposto   dei   precetti   costituzionali   rappresentati
dall'art. 3 (interpretato sia alla luce del canone di eguaglianza che
di quello di ragionevolezza della limitazione) e dall'art.  54  della
Costituzione. Infatti,  detta  regolamentazione,  pure  a  fronte  di
condotte ugualmente  disdicevoli,  tenute  da  soggetti  titolari  di
funzioni pubbliche, determina una serie di conseguenze diverse per il
solo decorrere  del  tempo  afferente  a  un  diverso  (ma  connesso)
procedimento. 
    La  disciplina  risulta   violativa   anche   l'art.   24   della
Costituzione,  in  quanto  lede,  per   le   medesime   ragioni,   la
possibilita' per la Procura erariale di agire  in  giudizio  per  far
valere una posta  risarcitoria,  con  conseguente  venir  meno  della
stessa. La  violazione  di  detto  principio  costituzionale  risulta
rafforzata anche dalle pregresse valutazioni  compiute  in  relazione
all'art.  3  della  Costituzione,  sempre  sotto  il  versante  della
ragionevolezza. 
    In linea di principio, infatti l'estinzione del reato  (non  solo
nel caso di prescrizione, ma nella generalita' dei casi)  presuppone,
la lesione del bene protetto dalla norma  penalistica,  lasciando  la
condotta non punita per mere ragioni di politica eliminale. 
    Di  conseguenza,  costituisce  principio   ordinamentale   quello
secondo cui (art. 106, comma 1, del codice penale) il  reato  estinto
continua a produrre effetti giuridici. 
    Anche sotto il versante risarcitorio la stessa Consulta (sentenza
30  luglio  2021,  n.  182)  ha  di  recente  ricordato  che   «Nella
giurisprudenza  di  questa  Corte  si  e'  piu'  volte  rilevato  (ex
plurimis, sentenze n. 176 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 217 del 2009)
che, a differenza del sistema delineato  nel  codice  del  1930  (ove
l'assetto delle relazioni tra processo civile e processo  penale  era
improntato ai principi di unitarieta' della funzione  giurisdizionale
e di preminenza della giurisdizione penale),  quello  risultante  dal
codice in vigore e', al  contrario,  informato  ai  diversi  principi
dell'autonomia e della  separazione.  Infatti,  nell'ipotesi  in  cui
l'azione  civile  per  le  restituzioni  o  il   risarcimento   venga
esercitata nella sua sede propria (quella  del  giudizio  civile)  in
pendenza di un processo penale per lo stesso fatto,  non  trova  piu'
applicazione - nel nuovo codice di rito - la regola della  cosiddetta
pregiudizialita' penale (che imponeva  la  sospensione  del  giudizio
civile sino al passaggio in giudicato della sentenza penale:  art.  3
cod. proc. pen. del 1930, ma il processo civile prosegue,  di  norma,
autonomamente (art. 75, commma 2 cod. proc. pen.), salve  le  ipotesi
eccezionali in cui il danneggiato abbia proposto la domanda  in  sede
civile dopo essersi costituito parte civile  nel  processo  penale  o
dopo la sentenza penale di primo grado (art. 75, comma 3, cod.  proc.
pen.). Del pari, diversamente dal codice abrogato al quale  prevedeva
che la sentenza penale assumesse efficacia  vincolante  nel  giudizio
civile di danno: art. 23 cod. proc. pen. del 1930), il codice attuale
stabilisce la diversa regola per cui la sentenza penale  irrevocabile
di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo  civile  se
il  danneggiato  ha  esercitato  l'azione  in  sede  civile  a  norma
dell'art. 75, comma 2, cod. proc. pen. (art. 652, comma 1, cod. proc.
pen.). 
    Corollario di detta impostazione e',  da  un  lato  l'irrilevanza
delle cause estintive del reato sugli effetti civili: dall'altro,  la
possibilita',   per   il   giudice   dell'impugnazione   penale,   di
pronunciarsi anche sulle consequenziali statuizioni civilistiche. 
    Tali possibilita' non risultano esercitabili nel  caso  di  danno
pubblico all'immagine. Ne  consegue  che  il  sistema  sospettato  di
illegittimita' risulta riproduttivo  non  solo  del  principio  della
pregiudizialita' penale «forte», propria  del  previgente  codice  di
procedura penale, ma di una pregiudizialita'  «fortissima»,  valevole
sinanco nei casi in cui  l'azione  penale  risulti  caducata  per  il
decorso del tempo successivamente alla sentenza di condanna in  primo
grado. 
    Inoltre, la violazione del parametro dell'art. 24 e' ancora  piu'
manifesta ove detta norma sia letta  in  combinato  disposto  con  il
principio  di  ragionevole  durata  del  processo  (art.  111,  comma
secondo, ultimo periodo della Costituzione). La previsione piu' volte
indicata,  a  fronte  di  condotte   reputate   analogamente   lesive
dell'immagine della pubblica amministrazione, fa dipendere l'esito di
un'azione erariale da un dato processuale estrinseco. 
    Esso e' e fondamentalmente non governabile dalla parte  pubblica,
e  attribuisce  conseguenze  poziori  per   l'imputato   all'indebita
protrazione del giudizio  penale.  La  disciplina  in  esame  risulta
violativi anche dell'art. 97 della Costituzione. 
    Tale norma, tra l'altro, tutela il buon andamento della  pubblica
amministrazione, anche sotto il versante finanziario, e  rappresenta,
come gia' ritenuto dalla Corte costituzionale nelle pronunce  citate,
l'ubi  consistam  della   risarcibilita'   del   danno   all'immagine
«pubblico». 
    Afferendo il giudizio de  quo  alla  materia  della  contabilita'
pubblica,  risulta  violato  infine  l'art.  103,  comma   2,   della
Costituzione, da cui discende  il  principio  di  effettivita'  della
giurisdizione contabile (per la  sua  applicabilita'  trasversale  e,
comunque, per il recepimento per via mediata dall'art. 2  del  codice
giustizia contabile). Detto principio preclude che, a fronte  di  una
posta creditoria in astratto  spettante,  la  medesima  possa  essere
vanificata a seguito del decorso  del  tempo  di  altro  procedimento
giurisdizionale. 
    Per tale ragione,  il  collegio  assume  le  determinazioni  gia'
illustrate  e  meglio  specificate  nel  dispositivo.  Il  fumus   di
illegittimita',  come  sopra  accennato,  riguarda  la  totalita'  di
fattispecie estintive, oltre al caso specificamente  rilevante  della
prescrizione del reato in appello, dopo la sentenza  di  condanna  in
primo grado. Infatti, rappresentando la prescrizione un  genus  della
species delle fattispecie di estinzione, esse presentano il  medesimo
modo di operare (consistendo in un ex post rispetto alla  fattispecie
criminosa). 
    Deve essere specificato, quanto all'art. 7 della legge n. 97  del
2001, che tale disposizione risulta formalmente abrogata. 
    Tuttavia, tale norma era applicabile  all'epoca  dei  fatti,  con
conseguente   possibilita'   dello    scrutinio    di    legittimita'
costituzionale (ex plurimis Corte costituzionale, sentenza 24  aprile
2013, n. 78) e la sua incostituzionalita'  presenta,  in  ogni  caso,
effetti sul presupposto normativo  dell'azionabilita'  del  danno  in
questione. 
    Infatti, come piu' volte accennato, il rinvio  alla  disposizione
contenuta nell'art.  7  della  legge  n.  97  del  2001  presenta  le
caratteristiche di un rinvio «statico» o «fisso», siccome  diretto  a
circoscrivere  un  fenomeno  giuridico  (l'azionabilita'  del   danno
all'immagine) a rigidi e di agevole individuabilita'. 
    La questione di costituzionalita'  riverbera,  inoltre  sull'art.
51, comma 7,  primo  periodo,  del  codice  di  giustizia  contabile,
secondo quanto gia' precisato dalla stessa Corte costituzionale e  in
ossequio al principio secondo  cui  l'eventuale  incostituzionalita',
secondo  i  principi  della  stessa  Consulta,  e'  estensibile  alle
disposizioni che presentino medesimo contenuto lessicale (ex plurimis
Corte costituzionale, sentenza 11 giugno 2014, n. 170). 
    La definizione delle spese e' rinviata, in  considerazione  della
natura della pronuncia, all'esito definitivo del giudizio di merito. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte dei conti - Sezione  giurisdizionale  regionale  per  la
Toscana, impregiudicata ogni ulteriore questione afferente al  merito
della vicenda, ritenutala rilevante e non  manifestamente  infondata,
per contrasto con  gli  articoli  3,  24,  54,  97,  103,  111  della
Costituzione, nei termini meglio descritti nella motivazione: 
      1)   solleva   questione   di    legittimita'    costituzionale
dell'articolo 7, comma 1, della legge 27 marzo  2001,  n.  97,  nella
parte in cui dispone, anche nell'ipotesi di estinzione del reato, che
il procuratore regionale della Corte dei conti possa promuovere entro
trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita'  per  danno
erariale solo «nei confronti del condannato»  e,  consequenzialmente,
nella parte in cui non prevede che  il  procuratore  regionale  della
Corte  dei  conti   «promuova   entro   trenta   giorni   l'eventuale
procedimento di responsabilita' per danno erariale» anche nel caso di
«sentenza di estinzione del reato», oltre che nel caso  di  «sentenza
irrevocabile di condanna»; 
      - solleva altresi', sempre in via consequenziale, questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 51, comma 7, primo periodo,
del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, nella  parte  in  cui
non prevede che «la sentenza di estinzione  del  reato»,  oltre  alla
«sentenza irrevocabile di condanna,  pronunciata  nei  confronti  dei
dipendenti delle pubbliche  amministrazioni  di  cui  all'articolo  1
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli
organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi  a
danno  delle  stesse»  sia  «comunicata  al  competente   procuratore
regionale  della  Corte  dei  conti  affinche'  promuova  l'eventuale
procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti  del
condannato»; 
      2) dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale; 
      3) ordina che,  ai  sensi  dell'articolo  23,  commi  quarto  e
quinto, della legge 11 marzo 1953, n. 87,  a  cura  della  Segreteria
della Sezione, la presente ordinanza sia: 
        - notificata alla Procura regionale della  Corte  dei  conti,
alla parte privata in causa nonche' al Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
        - comunicata al Presidente della Camera  dei  deputati  e  al
Presidente del Senato della Repubblica. 
    Nulla sulle spese. 
    Manda alla segreteria per gli adempimenti di rito. 
      Cosi' disposto nella camera di consiglio da remoto in  data  10
marzo 2022. 
 
              Il Presidente f.f. ed estensore: Luberti 
 
      Depositata in segreteria il 27 maggio 2022 
 
                                 Il direttore di segreteria: Agostini