N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 2022
Ordinanza del 27 maggio 2022 della Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana nel giudizio di responsabilita' a carico di D. R.. Responsabilita' amministrativa e contabile - Danno all'immagine della pubblica amministrazione - Ipotesi di estinzione del reato - Previsione che il procuratore regionale presso la Corte dei conti possa promuovere entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale solo nei confronti del condannato - Conseguentemente mancata previsione che il medesimo promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento anche nel caso di sentenza di estinzione del reato - In via conseguenziale, omessa previsione che la sentenza di estinzione del reato, oltre alla sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonche' degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, sia comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti, affinche' promuova l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato. - Legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), art. 7, comma 1; in via conseguenziale, decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), art. 51, comma 7.(GU n.41 del 12-10-2022 )
LA CORTE DEI CONTI sezione giurisdizionale regionale per la Toscana Composta dai magistrati: Andrea Luberti - Presidente (f.f.) Relatore; Giuseppe Di Pietro - Consigliere; Khelena Nikifarava - Referendario; ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita', iscritto al numero 62377 del registro di segreteria promosso dal Procuratore regionale della Corte dei conti nei confronti di D , R nato a ( ) in data , residente in ( ) - localita' , alla via ; Rappresentato e difeso dagli avvocati Tiziana Citernesi (avvtizianaciternesi@cnfpec.it) e Alessandro Formica (alessandro.formica@avvocatiperugiapec.it), ed elettivamente domiciliato presso lo studio della prima, sito in Sansepolcro (AR), alla via dei Lorena, 27. Visto il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (codice di giustizia contabile); Esaminato l'atto di citazione, i documenti allegati, le memorie difensive e tutti gli atti e documenti della causa; Udito, nell'udienza da remoto, svolta nella data del 10 marzo 2022, in base a quanta prevista dall'art. 85, commi 1 e 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 (i cui termini sono stati ulteriormente premiati dall'art. 16, comma 7, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15), il presidente facente funzioni nonche' relatore, Andrea Luberti, il pubblico ministero, in persona del viceprocuratore generale Roberto D'Alessandro e, per i convenuti, l'avvocato Alessandro Formica. Ritenuto in fatto Con atto di citazione regolarmente depositato e notificato la Procura regionale della Corte dei conti ha convenuto in giudizio il soggetto in epigrafe al fine di sentirlo condannare al risarcimento per euro 35.256,00 in favore dell'ANAS societa' per azioni (di seguito anche: ANAS). Il danno erariale ipotizzato discende dalla condotta criminosa ascritta all'interessato nella sua qualita' di dipendente dell'ANAS, ravvisatile essenzialmente nell'appropriazione di beni della stessa ANAS ovvero nella loro illecita utilizzazione. In punto di fatto, la procura erariale ha, in particolare, esposto quanto di seguito riassunto: - a seguito di indagini, era emerso che il convenuto aveva ripetutamente utilizzato veicoli di proprieta' pubblica, di cui aveva la disponibilita' per ragioni di servizio, per finalita' personali, nel periodo dal al ; - con sentenza del 27 settembre 2016, n. 243, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, aveva pertanto condannato il medesimo al risarcimento del danno, in favore dell'ANAS, per euro 19.785,49; - il risarcimento erogato in tale sede era comprensivo delle poste di euro 1.557,49 (in relazione all'illecito utilizzo di carburante): di euro 600,00 (a titolo di spese di manutenzione dei mezzi); di euro 17.628,00 (in ragione delle retribuzioni indebitamente percepite); - parallelamente, era stato instaurato un procedimento penale, relativo all'imputazione per il reato di cui all'art. 310, comma 2, del codice penale (peculato d'uso); - tale vicenda processuale era stata in prima battuta definita con la sentenza in data 18 maggio 2016, n. 61, emessa dal giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale penale di Arezzo, a seguito di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell'imputato: - in seguito al ricorso in secondo grado, la Corte d'Appello di Firenze - II sezione penale, con sentenza in data 9 settembre 2019. n. 4582, aveva dichiarato di «non doversi procedere per i reati ascritti perche' estinti per intervenuta prescrizione», essendo maturati nel frattempo i relativi termini. La Procura erariale, in base all'accertamento della responsabilita' a suo dire contenuto nella sentenza di primo grado, ha azionato il risarcimento del danno all'immagine, quantificando il relativo pregiudizio in capo all'ente di appartenenza (in base al disposto dell'art.1 comma 1-sexies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20) in misura pari al doppio dell'utilita' patrimoniale percepita dal convenuto a titolo di retribuzioni indebitamente erogate, gia' oggetto del precedente risarcimento. In punto di diritto, la Procura erariale ha argomentato che non risulta formalmente agli atti una sentenza irrevocabile di condanna. Tale presupposto, in astratto, sarebbe richiesto dal complesso coacervo normativa rappresentato dall'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo. del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come poco dopo modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), n. 1), del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141. Tuttavia, secondo l'interpretazione attorea, in un'ottica sostanziale, la sentenza dichiarativa della prescrizione implicherebbe, comunque, l'avvenuta verifica dell'assenza di cause di proscioglimento, ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale. Pertanto, non difetterebbe il provvedimento giurisdizionale irrevocabile contenente una statuizione sulla sussistenza del reato e sulla responsabilita' dell'imputato, richiesta dalla norma citata. Il convenuto, dopo avere svolto attivita' pre-processuale, si e' costituito con note di memoria in data 17 febbraio 2022, formulando le seguenti eccezioni e difese: i. Nullita' dell'atto di citazione: ai sensi dell'art. 51, comma 6, del codice, di giustizia contabile. contrariamente a quanto argomentato. l'edictio actionis sarebbe invalida per il difetto dei presupposti indefettibili di proponibilita' dell'azione per il danno all'immagine. Infatti, come gia' accennato, mancherebbe una sentenza di condanna del convenuto passata in giudicato: ii. Eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 7, del codice di giustizia contabile, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Tale difesa e' spiegata, in via subordinata, laddove il collegio ritenesse che il riferimento ivi contenuto alla «sentenza definitiva di condanna» in via estensiva. Per l'esattezza, la difesa ha ipotizzato l'invalidita' della norma laddove, con un'interpretazione analogica, tale riferimento fosse esteso anche alle sentenze dichiarative dell'estinzione del reato per prescrizione, strutturalmente diverse da quelle di condanna; iii. Nullita' dell'atto di citazione o, comunque, infondatezza nel merito della domanda. Anche a voler considerare il danno all'immagine in astratto risarcibile, mancherebbe anche l'ulteriore presupposto del clamor fori ai fini della sua configurabilita' concreta. I fatti addebitati, infatti, sarebbero di epoca ormai risalente e, per di piu', privi di particolare risonanza mediatica; iv. Erronea quantificazione del danno. In ulteriore subordine, e' stato richiesto di rettificare l'importo del risarcimento, richiesto dalla Procura erariale nella misura sopra descritta. In ogni caso, l'art. 1, comma 1-sexies, della legge n. 20 del 1994 (siccome introdotto dall'art. 1, comma 62, della legge 9 novembre 2012, n. 190) sarebbe inapplicabile ratione temporis al caso di specie. L'ammontare da' risarcimento dovrebbe essere quindi ridotto anche in considerazione della scarsa gravita' del fatto e delle modeste condizioni reddituali del convenuto v. Esercizio del potere riduttivo. In estremo subordine, e' stato richiesto di pervenire a una mitigazione del danno tramite l'esercizio del potere riduttivo previsto dall'art. 833, comma 1, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2240, e dall'art. 52 del regio decreto 12 luglio 1924, n. 1214. All'udienza da remoto in data 10 marzo 2022 le parti, come in epigrafe dettagliate, hanno insistito nelle rispettive richieste e argomentazioni, insistendo altresi' per l'accoglimento delle richieste. Considerato in diritto Pregiudizialmente, il collegio ritiene di statuire in ordine all'eccezione difensiva, proposta in relazione all'inammissibilita', nel caso di specie, della richiesta risarcitoria del danno all'immagine. Al riguardo, contrariamente a quanto argomentato dalla Procura erariale e richiesto nell'atto di citazione, il collegio ritiene che difettino, alla luce di un'interpretazione letterale della disposizione, nonche' della sua esegesi come formulata sia all'interno della Sezione (Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, 2 dicembre 2021, n. 443) che dalla prevalente, anche se non univoca, giurisprudenza della Corte dei conti in sede di appello (Corte dei conti, Sezione II centrale Appello, 12 luglio 2021, n. 233; Corte dei conti, Sezione II centrale Appello, 15 dicembre 2020, n. 298) i relativi elementi costitutivi. Pertanto, la Sezione, con il presente atto, nei termini che saranno illustrati, solleva questione di legittimita' costituzionale della normativa applicabile, in quanto ritenuta rilevante e non manifestamente infondata. Sul punto, quanto alla sussistenza dei presupposti per lo scrutinio di legittimita' costituzionale, deve essere osservato quanto segue. I. Le norme applicabili e di ritenuta illegittimita' costituzionale. La posta azionata dalla procura erariale e' oggetto di una serie di norme di carattere specifico, che hanno disciplinato (in genere in senso restrittivo) la possibilita', per le procura regionali della Corte dei conti, di procedere in giudizio ai fini del ristoro del depauperamento non patrimoniale. Di seguito sono illustrati gli elementi essenziali della disciplina, protrattasi nel corso degli ultimi anni anche se introdotta per il tramite della decretazione di urgenza. La voce risarcitoria in esame, ove esigibile dall'Erario, era stata elaborata dalla giurisprudenza contabile, quale figura in prima battuta traslata in via giurisprudenziale dal sistema civilistico. Essa era fondata sull'art. 10 del codice civile che, gia' in epoca risalente e antecedente alla generale applicabilita' dell'art. 2059 del codice civile, consentiva il ristoro di un danno dall'indubbia natura non patrimoniale, sia pure con marcati risvolti patrimoniali astratti e indiretti. Tale circostanza (similmente alla previsione della risarcibilita' del danno da lesione da diritto al nome) spiega allora la previsione della risarcibilita', in un articolato normativa per altro verso estremamente cauto nella tutela dei beni non marcatamente patrimoniali. In altri termini (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 2 aprile 2007, n. 8098) anche sotto il versante pubblicistico «il danno all'immagine (...) anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, e' suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso». Successivamente, tale tipologia di danno pubblico ha ricevuto una espressa disciplina normativa che l'ha delineata secondo un paradigma autonomo dal modello civilistico, nello specifico da parte dell'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge n. 78 del 2009. In base a tale previsione «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97». Tale art. 7 disciplina(va) la trasmissione di ogni «sentenza irrevocabile di condanna» per i delitti contro la pubblica amministrazione, e consequenzialmente e' tutt'oggi presupposto processuale dell'azione, pur se formalmente abrogato. La legittimita' di tale limitazione e' stata confermata dalla pronuncia della Corte costituzionale, 15 dicembre 2010, n. 355, in considerazione del carattere proprio del danno all'immagine della pubblica amministrazione, che sarebbe in realta' strutturalmente diverso da quello azionabile a vantaggio dei privati. La Consulta ha infatti avuto modo di affermare, in tale occasione, che il danno all'immagine della pubblica amministrazione presenta caratteristiche sostanzialmente peculiari rispetto al corrispondente istituto risarcitorio civilistico. Esso, infatti, non costituirebbe (al pari di quanto accade per i privati) il mero ristoro di un pregiudizio afferente a un bene della personalita' quale forma di tutela di un diritto fondamentale. Il fondamento del danno all'immagine della pubblica amministrazione sarebbe invece costituito dalla lesione del «prestigio» che si risolve, in buona sostanza, in un pregiudizio alla concretezza della cura degli interessi attribuiti alla sfera pubblica. Poiche' il perseguimento dell'interesse curato da una pubblica amministrazione presuppone un minimum di cooperazione dei consociati, ogni struttura pubblica risulta affievolita dalla rappresentazione, presso la collettivita', di amministratori o dipendenti operanti in difformita' da quanto delineato in base all'art. 97 della Costituzione. Correlativamente, per le ragioni illustrate, sarebbe leso il buon andamento tutelato dalla menzionata disposizione costituzionale piu' che un bene non patrimoniale dell'ente. Successivamente, il legislatore e' intervenuto anche sotto il profilo della quantificazione del danno in commento, e in particolare con l'art. 1, comma 62, della legge n. 190 del 2012, che ha inteso fornire un criterio di natura normativa, azionato nel caso in esame. Tale norma prevede che «(...) l'entita' del danno all'immagine (...), si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilita' illecitamente percepita dal dipendente». La predeterminazione, sia pure presuntiva, del danno risarcibile, ha svincolato ancora di piu' tale voce di danno dall'omologa figura civilistica. Il codice di giustizia contabile ha, da ultimo, con l'art. 51, comma 6, applicabile alla fattispecie in esame in forza dell'art. 2 del decreto legislativo n. 174 del 2016, dettato una formulazione apparentemente differente dei presupposti della relativa azione erariale, disciplinando la trasmissione delle sentenze di condanna con il citato art. 51, comma 7 e abrogando il primo (ma non il secondo) periodo del citato comma 30-ter, nonche' il sempre gia' citato art. 7 della legge n. 97 del 2001. La nuova norma si riferirebbe, secondo un autorevole indirizzo, in modo piu' ampio, a tutti «i delitti commessi a danno delle stesse» (pubbliche amministrazioni), indipendentemente dalla tassonomia dell'interesse tutelato. Sulla portata innovativa della disposizione da ultimo citata si e' pronunciata incidenter tantum la stessa Corte costituzionale, con l'ordinanza 9 luglio 2019, n. 168 e con sentenza 19 luglio 2019, n. 191. Nel confermare la pregressa giurisprudenza sulla legittimita' della limitazione al risarcimento del danno all'immagine, la Consulta ha delineato in modo puntuale i presupposti della relativa azione erariale. Infatti, la Corte costituzionale, con la prima pronuncia, ha accennato al carattere sostanzialmente modificativo, e non ricognitivo, della norma introdotta in sede di codificazione della procedura. Dall'altro, la Consulta, con la seconda pronuncia, ha rinviato all'esegeta il compito di puntuale individuazione delle fattispecie per cui, in ossequio a tale impostazione si rientri nelle tassative ipotesi di risarcibilita' del danno all'immagine della pubblica amministrazione. Tuttavia, condizione della risarcibilita' del danno all'immagine resterebbe pur sempre l'esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna. Deve essere precisato che quanto sopra esposto sotto il profilo sostanziale non rileva, in se' e per se', quale oggetto della remissione (che riguarda, in realta', l'interpretazione dei presupposti di carattere processuale). Piuttosto, la definizione dei caratteri essenziali del danno all'immagine «pubblico» rileva al piu' limitato fine di comprendere se il quantutn di divaricazione rispetto alla disciplina civilistica permanga, o meno, nei limiti della ragionevolezza piu' volte scrutinata dalla Consulta nel giudizio di propria pertinenza. Secondo l'opinione del collegio, come accennato, l'interpretazione di tale presupposto, sia alla luce dell'ermeneusi letterale, che di quella emergente dalla giurisprudenza di appello sul punto, non consente di ritenere superabile la limitazione alla sussistenza di un fatto criminoso accertato con definitiva sentenza di condanna. Per contro, in relazione alle vicende assimilabili alla presente, l'impossibilita' di disporre il risarcimento ove l'azione penale sia definitivamente estinta determina il conseguente sospetto di illegittimita' costituzionale, in base a quanto di seguito evidenziato. Infatti, in ordine alle valutazioni afferenti alla remissione della questione di legittimita' costituzionale, puo' essere argomentato quanto di seguito. II. La sussistenza della giurisdizione contabile. Risultando indiscussa la legittimazione del collegio a proporre la questione (cosi' come per il complesso delle sezioni della Corte dei conti in tutte le sue articolazioni, ove l'attivita' svolta presenti carattere sostanzialmente giurisdizionale: v. Corte costituzionale, 14 febbraio 2019, n. 18) occorre in primo luogo riferire sulla sussistenza della giurisdizione contabile. Tale scrutinio, ancorche' preliminare alla questione di legittimita' costituzionale, in quanto incidente sulla rilevanza delle limitazioni de quibus nel giudizio in corso, e' comunque compiuto nei piu' sommari, ma doverosi, limiti della strumentalita' al riscontro sopra descritto (nei termini v. Corte costituzionale, 2 luglio 2008, n. 241). Al riguardo, il collegio ritiene che il soggetto danneggiato (l'ANAS), pur presentando le caratteristiche formali di societa' per azioni, sia in realta' un ente pubblico e che pertanto, in relazione ai danni cagionati al patrimonio dello stesso siano in toto applicabili le norme che disciplinano il risarcimento del danno all'immagine alla pubblica amministrazione e comunque, piu' in generale, risulti radicata la giurisdizione contabile. Tali considerazioni risultano pienamente conformi alla giurisprudenza espressa, tra l'altro, della Corte di cassazione a sezioni unite, proprio in punto di decisione sul riparto della giurisdizione. Secondo tale orientamento, pressoche' univoco, infatti, la natura giuridica dell'ANAS (quella, cioe', di ente pubblico) risulterebbe non modificata pur a seguito dell'art. 7, comma 1, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 138, che lo ha configurato come societa' per azioni. Infatti, detta privatizzazione presenterebbe carattere solo formale, mentre sotto il versante sostanziale non avrebbe alterato i caratteri pubblicistici dell'ente. In particolare, tale affermazione e' argomentata appunto in modo perentorio con riguardo al periodo in cui si collocano i fatti oggetto di contestazione. Infatti, sul tema, la Corte di cassazione a sezioni unite, con ordinanza 9 luglio 2014, n. 15594, nell'aderire all'orientamento illustrato, ha riferito che «Depone in questo senso, anzitutto, la genesi stessa dell'Anas s.p.a., direttamente derivante da un atto normativo e non, come e' naturale in societa' di diritto privato, da un atto negoziale, ancorche' posto in essere dalla pubblica amministrazione in forza della capacita' di agire iure privatorum che ad essa compete. Sotto questo profilo appare quindi lecito adoperare, a tal proposito, la definizione di «societa' legale»: societa' che, percio' stesso, si pone su un piano diverso dal fenomeno negoziale previsto e disciplinato dal codice civile, ancorche' possa mutuarne, per espressa previsione di legge, una o piu' caratteristiche. Non meno indicativa - ed evidentemente correlata al suaccennato carattere legale della societa' - e' la circostanza che suo statuto e le eventuali successive modificazioni di esso debbano essere approvati con decreto ministeriale, e che sempre con decreto ministeriale sia determinato il capitale sociale, al quale i residui passivi spettanti all'Anas sono conferiti mediante un atto amministrativo del competente ministero (art. 7, cit., commi 4 e 5). Ma il permanere dei connotati pubblicistici dell'Anas e' testimoniato anche da ulteriori significative disposizioni. Viene qui in evidenza il comma 6 dell'articolo citato, che espressamente attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze le azioni sociali e stabilisce che i relativi diritti debbano essere esercitati di concerto col Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per cio' stesso non solo escludendo radicalmente ex lege la possibilita' della coesistenza di un azionariato privato, ma improntando l'esercizio dei diritti sociali ad un paradigma quello del concerto interministeriale - palesemente «ispirato al modello dell'agire amministrativo, ben piu' che negoziale. E viene in evidenza altresi' la disposizione (art. cit., comma 1-quinquies) che attribuisce all'Anas medesima le entrate derivanti dall'utilizzazione dei beni demaniali, relativamente ai quali essa esercita i diritti ed i poteri dell'ente proprietario in virtu' della concessione attribuitale dalla legge; quella che le conferisce una serie di funzioni di natura pubblica inerenti alle strade statali (i compiti di cui al decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2, comma 1, lett. da a) a g), nonche' l), alle quali e' connesso anche l'esercizio di potesta' autoritativa (ivi compreso l'accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale ed il potere di approvare i progetti dei lavori di costruzione e di emanare gli atti dei procedimenti espropriativi); quella che espressamente sottopone l'Anas s.p.a. al controllo della Corte dei conti con le modalita' previste dalla L. 21 marzo 1958, n. 259, art. 12 e l'autorizza ad avvalersi dei patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (art. 7, cit, comma 11); e quella per cui il rapporto di lavoro del personale dipendente in essere al momento della trasformazione resta disciplinato dalle disposizioni proprie dei rapporti di lavoro instaurati con enti pubblici economici (art. cit., comma 9).» Pertanto, la giurisdizione contabile sui danni a tale ente non sarebbe fondata sull'art. 12 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, relativo alle societa' a partecipazione pubblica. Essa, piuttosto, poggerebbe sul complesso delle norme attributive della giurisdizione sul danno erariale (art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e attualmente art. 1 del codice di giustizia contabile). La sostanziale assimilazione dell'ANAS a un ente pubblico, fondato sulla propria antologica essenza, spiega effetti anche sotto un diverso versante. Esso, che sara' precisato ultra, riguarda la stessa rilevanza nel giudizio in corso. Infatti, proprio in considerazione di tale natura, risultano applicatili ai dipendenti di tale ente pubblico in forma societaria le disposizioni relative ai reati contro la pubblica amministrazione, ivi comprese quelle che consentono, in tali fattispecie, il risarcimento del danno all'immagine. III. L'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente conforme anche alla luce del «diritto vivente». Come gia' argomentato, secondo il collegio tra i presupposti per l'azione erariale in esame non rientra la sentenza di assoluzione per estinzione del reato, ivi compreso il caso di prescrizione. Nel caso di specie, come si e' accennato nelle premesse in punto di fatto del presente arresto, la Procura regionale della Corte dei conti ha infatti azionato il risarcimento del danno all'immagine, ritenendo di poter applicare una nozione sostanziale dell'espressione «sentenza irrevocabile di condanna» contenuta nel citato art. 7 della legge n. 97 del 2001. In base a tale considerazione sostanziale del valore della pronuncia, la sentenza di assoluzione in appello per estinzione del reato presupposto per prescrizione, ave preceduta da una condanna penale di primo grado intervenuta nei termini, potrebbe essere equiparata a una sentenza di condanna. L'avviso del collegio (e da qui deriva la sospetta illegittimita' delle relative previsioni) e' che a tale assimilazione ostino una serie di ragioni. Innanzitutto, la lettera della norma e' chiara nonche' di meridiano fondamento logico-giuridico e pertanto (art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale) essa non puo' essere oggetto di un'attivita' ermeneutica, diretta a sopperire a una lacuna inesistente. In secondo luogo, difetta in radice anche lo stesso presupposto dell'analogia. Infatti, non e' corretto affermare, come sostenuto nell'atto di citazione, che la sentenza estintiva del reato per prescrizione contenga l'accertamento della responsabilita' dell'imputato. Al riguardo, l'art. 129, comma 2, del codice di procedura penale, prevede solo che qualora ricorra una causa di estinzione del reato il giudice pronunci una sentenza di assoluzione ove «dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge come reato», con una valutazione ufficiosa della sola evidenza. Invece, nelle sentenze di condanna (art. 533 del codice di procedura penale) la responsabilita' penale deve essere provata «oltre ogni ragionevole dubbio». In caso di ricorrenza di cause estinti ve del reato, pertanto, sussiste una radicale modificazione delle regole di valutazione ai fini dell'assoluzione, il che risulta giustificato dalla sostanziale pregiudizialita' di tale evenienza. Infatti, l'assenza di responsabilita' deve essere dichiarata solo laddove emerga ex actis, sia cioe' evidente e imponga quindi l'adozione di una pronuncia oggettivamente piu' favorevole, nel caso di specie, all'imputato. Peraltro, a conferma di tale assunto, tale pronuncia difetta dell'efficacia di giudicato ai sensi dell'art. 651 del codice di procedura penale, ed esorbita dagli atti che integrano la fattispecie del danno all'immagine. La giurisprudenza contabile che ha affrontato detta problematica non ha raggiunto approdi ermeneutici univoci, risultando tuttavia prevalente l'opinione qui illustrata come piu' aderente al dato normativo. In senso favorevole all'assimilazione, e valorizzando il dato sostanziale dell'intervento di un giudicato di condanna non riformato, si e' per vero espressa parte della giurisprudenza di primo (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, 3 dicembre 2021, n. 208 e, in precedenza, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, sentenza 27 novembre 2018, n. 284): quest'ultima riconosce peraltro espressamente la propria posizione come minoritaria) e di secondo grado (Corte dei conti, Sezione III centrale Appello, 21 dicembre 2018, n. 476). Nonostante l'articolato e apprezzabile sforzo ermeneutico in senso opposto e negativo si e' comunque schierata (oltre che, come ricordato, questa Sezione) altra giurisprudenza contabile, soprattutto in grado di appello (Sezione II centrale Appello, 3 aprile 2012, n. 212 e n. 213; Sezione di appello per la Regione Siciliana, 19 marzo 2013, n. 87; le sopra citate Corte dei conti, Sezione II centrale Appello, n. 298 del 2020 e n. 233 del 2021). Particolarmente rilevanti al riguardo appaiono le considerazioni profuse dalla piu' recente tra dette pronunce. Tale arresto e' stato reso in relazione a una fattispecie di reato estinto per messa alla prova (articoli 168-bis e 168-ter del codice penale; articoli 464-bis / 464-novies del codice di procedura penale). Comunque, dopo aver ribadito la permanenza dei requisiti sostanziali piu' volti esaminati, il plesso giurisdizionale di appello, con una serie di argomentazioni di assoluto rilievo sistematico, che non possono che essere recepite nella presente ordinanza, ha ribadito di ritenere che «al quesito se una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato possa ritenersi assimilabile alla sentenza irrevocabile di condanna occorra fornire risposta negativa. La giurisprudenza della Suprema Corte ha costantemente rimarcato l'antologica differenza che esiste tra la sentenza di condanna e la pronuncia di proscioglimento per una causa estintiva del reato, sia essa dovuta a prescrizione - fattispecie che occupa il maggiore spazio nella casistica giurisprudenziale - sia essa derivante dell'esito favorevole della messa alla prova». Tale ipotesi e' assimilabile a quella di estinzione per prescrizione atteso che, anche in dette fattispecie e' prevista la possibilita' di assoluzione ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale. Del pari, in entrambi i casi (come in tutti quelli di estinzione) e' ravvisabile la rinuncia all'opzione punitiva per ragioni di opportunita', il che non dovrebbe pero' ledere il danneggiato. Il collegio pertanto ritiene che, pur condividendo quanto significato dalla citata pronuncia di secondo grado n. 476 del 2018, secondo cui si deve ritenere che «il "fatto dannoso" sottostante all'azione erariale non venga antologicamente meno a causa della prescrizione del reato» sia proprio il contrasto di tale, fondata, argomentazione con il dato letterale a impedire l'interpretazione proposta, nella generalita' delle fattispecie di estinzione del reato, oltre che nel caso specifico della prescrizione. IV. La rilevanza nel giudizio in corso. La rilevanza delle norme denunciate come incostituzionali emerge per tabulas. Infatti, il reato contestato al convenuto in sede penale, per cui in primo grado e' stata disposta sentenza di condanna, poi caducata per prescrizione, e' indubbiamente compreso tra i reati contro la pubblica amministrazione. Per contro, in considerazione della natura della pronuncia di secondo grado, la condizione dell'intervenuta condanna per reati a danno della pubblica amministrazione non risulta sussistente e la relativa azione sarebbe di conseguenza inammissibile per difetto della possibilita' giuridica di azionare il relativo diritto. Poiche' l'ente che ha subito il pregiudizio e' (in forza delle considerazioni dipanate) un ente pubblico, ne consegue che seguendo l'iter logico della condicio sine qua non in carenza della preclusione normativa descritta il risarcimento in favore di tale amministrazione ben potrebbe trovare accoglimento. Proprio le conseguenze dell'applicazione della conferente normativa si pongono allora in contrasto con i parametri di legittimita' che saranno di seguito specificati. Nemmeno si pone, nel caso in esame, un problema di irrilevanza della questione per effetto dell'astratta inconfigurabilita' del dolo o della colpa grave da parte dell'agente, nel caso di modifica della norma seguente alla condotta. Infatti, l'eventuale illegittimita' costituzionale non avrebbe a oggetto norme sostanziali che disciplinano l'agere della pubblica funzione, ma previsioni che disciplinano quoad effectum le conseguenze di dette violazioni. Il rapporto tra genere e specie giustifica l'estensione a tutti i casi di estinzione del reato della questione di legittimita' costituzionale, pur se scaturita in punto di fatto da un'ipotesi di prescrizione. V. La non manifesta infondatezza e i parametri costituzionali violati. Deve essere precisato che il collegio non ignora la portata dei precedenti della Corte costituzionale, rappresentati dalle gia' citate pronunce, che hanno scrutinato la legittimita' di taluni aspetti della disciplina risarcitoria sin qui ricostruita. In particolare: - la sentenza 15 dicembre 2010, n. 355 (i cui argomenti sono stati poi confermati in via incidentale dall'ordinanza 9 luglio 2019, n. 168) ha escluso la violazione degli articoli 3, 24, 54 e 97 della Costituzione, nella parte in cui, consentendo alla procura contabile di agire in giudizio soltanto in presenza del preventivo esercizio dell'azione penale, introdurrebbe un'irrazionale differenziazione di tutela tra le fattispecie di danno all'immagine e le altre tipologie di danno subito dalla pubblica amministrazione aventi anch'esse rilievo patrimoniale, precludendo la piena tutela in tutte le ipotesi in cui soggetti ad essa collegati da un rapporto di servizio le abbiano causato il danno all'immagine; - la sentenza 19 luglio 2019, n. 191, ha escluso la violazione degli 3, 76, 97 e 103 della Costituzione, nella parte in cui, per la generalita' delle fattispecie criminose, esclude l'esercizio dell'azione del pubblico ministero contabile per il risarcimento del danno all'immagine conseguente a reati dolosi commessi da pubblici dipendenti a danno delle pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato accertativa della responsabilita'. Pertanto, non viene messa in discussione in detta sede l'opzione legislativa di restringere l'azionabilita' del danno all'immagine, ma le modalita' con cui, in concreto, tale opzione e' stata disciplinata. Difatti, ai fini dell'azione erariale, puo' essere giustificata la previsione che impone l'esercizio dell'azione penale per uno dei reati sopra indicati, e di conseguenza ragionevole che il legislatore abbia richiesto una sentenza contraddistinta dall'irrevocabilita'. Tuttavia, detta conclusione non puo' essere trasposta alle fattispecie in cui, per il diverso assetto normativo ovvero per situazioni oggettivamente non dominabili, la durata del processo determini l'estinzione del medesimo. Ad avviso del collegio, la norma de qua viola, in primo luogo, il combinato disposto dei precetti costituzionali rappresentati dall'art. 3 (interpretato sia alla luce del canone di eguaglianza che di quello di ragionevolezza della limitazione) e dall'art. 54 della Costituzione. Infatti, detta regolamentazione, pure a fronte di condotte ugualmente disdicevoli, tenute da soggetti titolari di funzioni pubbliche, determina una serie di conseguenze diverse per il solo decorrere del tempo afferente a un diverso (ma connesso) procedimento. La disciplina risulta violativa anche l'art. 24 della Costituzione, in quanto lede, per le medesime ragioni, la possibilita' per la Procura erariale di agire in giudizio per far valere una posta risarcitoria, con conseguente venir meno della stessa. La violazione di detto principio costituzionale risulta rafforzata anche dalle pregresse valutazioni compiute in relazione all'art. 3 della Costituzione, sempre sotto il versante della ragionevolezza. In linea di principio, infatti l'estinzione del reato (non solo nel caso di prescrizione, ma nella generalita' dei casi) presuppone, la lesione del bene protetto dalla norma penalistica, lasciando la condotta non punita per mere ragioni di politica eliminale. Di conseguenza, costituisce principio ordinamentale quello secondo cui (art. 106, comma 1, del codice penale) il reato estinto continua a produrre effetti giuridici. Anche sotto il versante risarcitorio la stessa Consulta (sentenza 30 luglio 2021, n. 182) ha di recente ricordato che «Nella giurisprudenza di questa Corte si e' piu' volte rilevato (ex plurimis, sentenze n. 176 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 217 del 2009) che, a differenza del sistema delineato nel codice del 1930 (ove l'assetto delle relazioni tra processo civile e processo penale era improntato ai principi di unitarieta' della funzione giurisdizionale e di preminenza della giurisdizione penale), quello risultante dal codice in vigore e', al contrario, informato ai diversi principi dell'autonomia e della separazione. Infatti, nell'ipotesi in cui l'azione civile per le restituzioni o il risarcimento venga esercitata nella sua sede propria (quella del giudizio civile) in pendenza di un processo penale per lo stesso fatto, non trova piu' applicazione - nel nuovo codice di rito - la regola della cosiddetta pregiudizialita' penale (che imponeva la sospensione del giudizio civile sino al passaggio in giudicato della sentenza penale: art. 3 cod. proc. pen. del 1930, ma il processo civile prosegue, di norma, autonomamente (art. 75, commma 2 cod. proc. pen.), salve le ipotesi eccezionali in cui il danneggiato abbia proposto la domanda in sede civile dopo essersi costituito parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado (art. 75, comma 3, cod. proc. pen.). Del pari, diversamente dal codice abrogato al quale prevedeva che la sentenza penale assumesse efficacia vincolante nel giudizio civile di danno: art. 23 cod. proc. pen. del 1930), il codice attuale stabilisce la diversa regola per cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo civile se il danneggiato ha esercitato l'azione in sede civile a norma dell'art. 75, comma 2, cod. proc. pen. (art. 652, comma 1, cod. proc. pen.). Corollario di detta impostazione e', da un lato l'irrilevanza delle cause estintive del reato sugli effetti civili: dall'altro, la possibilita', per il giudice dell'impugnazione penale, di pronunciarsi anche sulle consequenziali statuizioni civilistiche. Tali possibilita' non risultano esercitabili nel caso di danno pubblico all'immagine. Ne consegue che il sistema sospettato di illegittimita' risulta riproduttivo non solo del principio della pregiudizialita' penale «forte», propria del previgente codice di procedura penale, ma di una pregiudizialita' «fortissima», valevole sinanco nei casi in cui l'azione penale risulti caducata per il decorso del tempo successivamente alla sentenza di condanna in primo grado. Inoltre, la violazione del parametro dell'art. 24 e' ancora piu' manifesta ove detta norma sia letta in combinato disposto con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111, comma secondo, ultimo periodo della Costituzione). La previsione piu' volte indicata, a fronte di condotte reputate analogamente lesive dell'immagine della pubblica amministrazione, fa dipendere l'esito di un'azione erariale da un dato processuale estrinseco. Esso e' e fondamentalmente non governabile dalla parte pubblica, e attribuisce conseguenze poziori per l'imputato all'indebita protrazione del giudizio penale. La disciplina in esame risulta violativi anche dell'art. 97 della Costituzione. Tale norma, tra l'altro, tutela il buon andamento della pubblica amministrazione, anche sotto il versante finanziario, e rappresenta, come gia' ritenuto dalla Corte costituzionale nelle pronunce citate, l'ubi consistam della risarcibilita' del danno all'immagine «pubblico». Afferendo il giudizio de quo alla materia della contabilita' pubblica, risulta violato infine l'art. 103, comma 2, della Costituzione, da cui discende il principio di effettivita' della giurisdizione contabile (per la sua applicabilita' trasversale e, comunque, per il recepimento per via mediata dall'art. 2 del codice giustizia contabile). Detto principio preclude che, a fronte di una posta creditoria in astratto spettante, la medesima possa essere vanificata a seguito del decorso del tempo di altro procedimento giurisdizionale. Per tale ragione, il collegio assume le determinazioni gia' illustrate e meglio specificate nel dispositivo. Il fumus di illegittimita', come sopra accennato, riguarda la totalita' di fattispecie estintive, oltre al caso specificamente rilevante della prescrizione del reato in appello, dopo la sentenza di condanna in primo grado. Infatti, rappresentando la prescrizione un genus della species delle fattispecie di estinzione, esse presentano il medesimo modo di operare (consistendo in un ex post rispetto alla fattispecie criminosa). Deve essere specificato, quanto all'art. 7 della legge n. 97 del 2001, che tale disposizione risulta formalmente abrogata. Tuttavia, tale norma era applicabile all'epoca dei fatti, con conseguente possibilita' dello scrutinio di legittimita' costituzionale (ex plurimis Corte costituzionale, sentenza 24 aprile 2013, n. 78) e la sua incostituzionalita' presenta, in ogni caso, effetti sul presupposto normativo dell'azionabilita' del danno in questione. Infatti, come piu' volte accennato, il rinvio alla disposizione contenuta nell'art. 7 della legge n. 97 del 2001 presenta le caratteristiche di un rinvio «statico» o «fisso», siccome diretto a circoscrivere un fenomeno giuridico (l'azionabilita' del danno all'immagine) a rigidi e di agevole individuabilita'. La questione di costituzionalita' riverbera, inoltre sull'art. 51, comma 7, primo periodo, del codice di giustizia contabile, secondo quanto gia' precisato dalla stessa Corte costituzionale e in ossequio al principio secondo cui l'eventuale incostituzionalita', secondo i principi della stessa Consulta, e' estensibile alle disposizioni che presentino medesimo contenuto lessicale (ex plurimis Corte costituzionale, sentenza 11 giugno 2014, n. 170). La definizione delle spese e' rinviata, in considerazione della natura della pronuncia, all'esito definitivo del giudizio di merito.
P.Q.M. La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, impregiudicata ogni ulteriore questione afferente al merito della vicenda, ritenutala rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 24, 54, 97, 103, 111 della Costituzione, nei termini meglio descritti nella motivazione: 1) solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui dispone, anche nell'ipotesi di estinzione del reato, che il procuratore regionale della Corte dei conti possa promuovere entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale solo «nei confronti del condannato» e, consequenzialmente, nella parte in cui non prevede che il procuratore regionale della Corte dei conti «promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale» anche nel caso di «sentenza di estinzione del reato», oltre che nel caso di «sentenza irrevocabile di condanna»; - solleva altresi', sempre in via consequenziale, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 51, comma 7, primo periodo, del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, nella parte in cui non prevede che «la sentenza di estinzione del reato», oltre alla «sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1 comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse» sia «comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinche' promuova l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato»; 2) dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) ordina che, ai sensi dell'articolo 23, commi quarto e quinto, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia: - notificata alla Procura regionale della Corte dei conti, alla parte privata in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; - comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Nulla sulle spese. Manda alla segreteria per gli adempimenti di rito. Cosi' disposto nella camera di consiglio da remoto in data 10 marzo 2022. Il Presidente f.f. ed estensore: Luberti Depositata in segreteria il 27 maggio 2022 Il direttore di segreteria: Agostini