N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 luglio 2022

Ordinanza del 7 luglio 2022 del Tribunale di Torino nel  procedimento
penale a carico di M.C.G.. 
 
Reati e pene - Rapina - Divieto di equivalenza o di prevalenza  della
  circostanza  attenuante  di  cui  all'art.  89  cod.   pen.   sulle
  circostanze aggravanti indicate dal  terzo  comma,  numero  3-bis),
  dell'art. 628 cod. pen. 
- Codice penale, art. 628, ultimo comma. 
(GU n.43 del 26-10-2022 )
 
                       IL TRIBUNALE DI TORINO 
                        prima sezione penale 
 
    Il Tribunale di Torino, in composizione  collegiale,  in  persona
dei seguenti magistrati: 
        dott.ssa Federica Bompieri, Presidente; 
        dott.ssa Alessandra Salvadori, giudice; 
        dott. Andrea Natale, giudice est. 
    Visti gli atti del procedimento penale in atto nei confronti di: 
        M. C. G., nata  a  ...  il  ...  sottoposta  alla  misura  di
sicurezza della liberta' vigilata  applicata  in  via  provvisoria  -
presente  gia'  presente,  difesa  di  fiducia  dall'avv.  Alessandro
Magarelli del Foro di Torino, imputata per il reato di cui agli: 
        artt. 56, 628, commi 1,3-bis,  codice  penale,  perche',  per
procurarsi un ingiusto profitto, usando minaccia nei confronti  della
persona offesa N.  M.,  consistita  nel  puntare  contro  di  lui  un
coltello, il tutto all'interno dell'appartamento del  N.,  poneva  in
essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad  impossessarsi  di
beni e denaro del N., non riuscendo nel suo intento per  la  reazione
della persona offesa ... 
        In ... il ... 
        Recidiva ex art. 99, codice penale. 
    All'esito dell'udienza  del  7  luglio  2022  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
1. Il procedimento a quo 
    Si procede - in presenza  dell'imputata  -  con  rito  ordinario.
L'imputata e' accusata del delitto di tentata rapina  pluriaggravata,
commessa con armi in danno del fidanzato N.  M.,  all'interno  di  un
luogo di privata dimora (l'abitazione dello stesso N., ove,  in  quel
periodo, dimorava anche M. C.) 
    L'istruzione dibattimentale  si  e'  tenuta  all'udienza  del  16
giugno 2022, esaminando la persona offesa  N.  M.  e  l'operatore  di
polizia giudiziaria E. A. (componente della pattuglia di  carabinieri
che ha tratto in arresto l'imputata). Alla stessa  udienza  e'  stato
esaminato il perito dott. D., incaricato di valutare la sussistenza -
o  meno  -  di  una  piena  capacita'  di  intendere  e   di   volere
dell'imputata (ritenuta grandemente scemata) e la  sua  pericolosita'
sociale (ritenuta sussistente). 
    All'udienza del 16 giugno 2022,  le  parti  hanno  rassegnato  le
rispettive conclusioni (il pubblico ministero chiedendo  la  condanna
dell'imputata e l'applicazione in via  provvisoria  della  misura  di
sicurezza   della   liberta'   vigilata;   la   difesa   sollecitando
l'assoluzione o, in subordine, la  riqualificazione  del  fatto  come
minaccia aggravata, con applicazione - in  ogni  caso  -  della  pena
minima edittale, con la diminuente di cui all'art. 89, codice  penale
e le attenuanti generiche). 
    Prima di dare conto delle emergenze processuali - per  quanto  di
interesse nel presente incidente di legittimita' costituzionale -  e'
utile rappresentare che la sig.ra M. e' stata tratta  in  arresto  in
flagranza di reato in data  ...,  e  quindi  sottoposta  alla  misura
cautelare della custodia in carcere sino alla data del  ...  in  tale
data, infatti, il Tribunale - con ordinanza del  ...  in  conformita'
alla richiesta del pubblico ministero, ha disposto l'applicazione  in
via provvisoria della misura di  sicurezza  della  liberta'  vigilata
(contestualmente revocando la  misura  cautelare  della  custodia  in
carcere, essendo le esigenze di prevenzione  meglio  garantite  -  in
equilibrio con il diritto alla salute -  dalla  misura  di  sicurezza
concretamente disposta). 
2. Rilevanza della questione nel giudizio a quo 
    Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la
questione non manifestamente  infondata,  e'  necessario  dare  conto
della rilevanza della questione. 
2.1. La ricostruzione del fatto 
    I fatti sono di semplice ricostruzione. 
    N. M. coltiva una relazione con l'imputata da circa  dieci  anni.
Nel corso di questo decennio, il sig. N. e la sig.ra M.  hanno  quasi
sempre convissuto in via continuativa, fatta eccezione per gli ultimi
due  anni,  durante  i  quali  -  a  causa  dei  problemi   personali
dell'imputata - la convivenza e' stata discontinua. 
    I problemi della sig.ra M. sono legati -  come  si  vedra'  -  ad
alcune problematiche di natura  psichiatrica  e  alla  dipendenza  da
sostanze. Nel periodo immediatamente antecedente ai fatti per cui  si
procede, la sig.ra M. era stata qualche tempo lontana  dal  domicilio
di N., essendosi recata in ... Da qualche giorno, pero', la sig.ra M.
aveva fatto ritorno a casa del sig. N. 
    Il  ...  -  per  usare  le  parole  del  sig.   N.   -   «succede
l'inevitabile»: 
        «E' tornata a casa, era abbastanza cosi' aveva  usato  quindi
era ... assume sostanze che fanno  ...  Dopodiche'  ha  cominciato  a
cucinare, c'era una bottiglia di vino, avevo tolto tutti gli alcolici
da casa pero' c'era rimasta una bottiglia di vino; ha bevuto  qualche
bicchiere credo, non piu' di mezza bottiglia ed e'  stata  quella  la
cosa che l'ha fatta saltare in qualche modo,  complice  probabilmente
anche io che mi sono arrabbiato, ho preso la bottiglia, l'ho  portata
via. Lei nulla, ha cambiato espressione,  ha  cominciato  a  lanciare
oggetti fuori  dalla  finestra;  io  ho  cercato  di  fermarla,  l'ho
fermata, gli ho dato uno schiaffo, l'ho scossa e poi mi sono fermato,
sono tornato a sedermi. Lei e' tornata con un coltello, non si capiva
bene cosa volesse fare, sicuramente non voleva  colpirmi,  sventolava
questo coltello, io tra l'altro ho agitato la mia mano e mi ha ferito
leggermente alla mano.  Poi  mi  ha  detto  lei:  «Adesso  chiamo  la
polizia», urlava: «Chiama la polizia ... chiama la polizia». 
        [deposizione N., ud. 16 giugno 2022, p. 6]. 
    La  «discussione»  tra  la  sig.ra  M.  e  il  sig.  N.  prosegue
inasprendosi e, nell'immediato seguito, si verificano i fatti oggetto
del presente giudizio: 
        «poi e' venuta la faccenda dei  soldi,  come  ripeto  non  e'
stata un tentativo di rapina e  niente  del  genere,  perche'  mi  ha
chiesto: «Dove hai i soldi?»; io gli ho detto: «Sono  nella  giacca».
Lei ha preso il portafoglio in mano, ha preso tra  l'altro  anche  le
chiavi di casa e le chiavi della macchina che non sono mai  piu'  ...
che sono sparite; non ha preso i soldi, ha preso questo  portafoglio,
me l'ha dato, mi ha detto: «Dammi i  soldi»;  io  comincio  a  tirare
fuori un pezzettino per volta e restava li', li  prendeva  e  davvero
non  stava  scappando,  perche'  se  voleva  scappare  dalla  polizia
prendeva i soldi e se ne andava. Ha aspettato. Quando e' arrivata  la
polizia ha preso questo coltello, l'ha messo nella borsa ed e' scesa;
io sono andato alla finestra e ho visto che c'era la  polizia,  erano
carabinieri. Ho visto che c'erano  i  carabinieri  e  gli  ho  detto:
«Guardate che e' li'». Lei era ferma  li'  sul  portone  impalata,  i
carabinieri l'hanno presa e da li' ha cominciato un  po'  il  tira  e
molla coi carabinieri». 
        [deposizione N., ud. 16 giugno 2022, p. 7]. 
    Sebbene  il  sig.  N.  -  evidentemente  influenzato  dal  legame
affettivo che tuttora coltiva con l'imputata - abbia affermato di non
avere percepito questo segmento della vicenda come una  rapina  e  di
non sentirsi minimamente «parte lesa» [deposizione N., ud. 16  giugno
2022,  p.  7],  e'  indubbio  che  la  condotta   dell'imputata   sia
sussumibile nel perimetro della fattispecie in contestazione. 
    Il fatto che N. M. abbia «consegnato» il denaro a M. C.  non  per
sua libera scelta, ma perche' coartato dalla minaccia del coltello e'
conclusione agevolmente ricavabile dalla ricostruzione sopra operata:
M. C. aveva gia' colpito, ferendolo, N. in  un  impeto  d'ira  [forse
volontariamente, forse no (come sostiene N.;); in ogni caso, il fatto
non e' oggetto di contestazione]; poco dopo tale aggressione,  M.  C.
domanda il denaro a N. M., continuando  a  tenere  ostentatamente  il
coltello lungo il fianco: 
        «Si', un taglietto. Mi ha detto:  «Adesso  dammi  dei  soldi,
dove hai messo il portafoglio?»: io le ho detto: «Non lo  so»;  «Dove
l'hai messo?»; ho detto: «Nella giacca». Lei e' andata nella  giacca,
ha preso questo, ha preso le due chiavi di casa  e  le  chiavi  della
macchina; le chiavi le ha messe tutte in borsa e il portafoglio me lo
ha dato (...) [il coltello; n.d.e.] Probabilmente lo teneva lungo  il
fianco, ma ...(...) C'e' stata questa pantomima di una banconota  per
volta, dopodiche' quando gli ho detto: "Guarda che  sono  arrivati  i
carabinieri", lei non ha preso tutti i soldi e non ha  preso  neanche
la roba dal portafoglio». 
        [deposizione N. ud. 16 giugno 2022, p. 11]. 
    Dopo  aver  ottenuto  il  denaro  da  N.,  la  sig.ra   M.   esce
dall'alloggio e - sempre monitorata dalla persona offesa  -  discende
le scale, trovando, pero', ad attenderla,  proprio  all'uscita  dello
stabile, i carabinieri (che N. aveva gia' allertato nella prima  fase
della vicenda). 
    I carabinieri sopraggiunti procedono al  controllo  della  sig.ra
M., sorprendendola in possesso della somma di  400  euro  (il  denaro
appena sottratto a N.) e di un coltello [deposizione Carabiniere  E.,
ud. 16 giugno 2022]. 
    Nel corso dell'esame dibattimentale  -  emotivamente  sofferto  -
l'imputata  ha  sostanzialmente  ammesso   l'addebito,   manifestando
rincrescimento e l'intenzione di sottoporsi ad un percorso di cure  e
di affrancamento dalla dipendenza. 
2.2. La qualificazione giuridica del fatto 
    Va detto che il Tribunale ritiene che la ricostruzione del  fatto
promanante dalla persona offesa e dal carabiniere E. sia  affidabile.
Nessuno dei due testimoni ha  motivi  per  calunniare  l'imputata  e,
anzi, il sig. N. ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilita' per
attenuare   la   posizione   processuale   della   persona   cui   e'
affettivamente legato. 
    La condotta sopra descritta  e'  correttamente  qualificata  come
tentativo di rapina: si e' detto che la condotta della sig.ra  M.  e'
da  considerarsi  univocamente  minatoria  e  che  la  minaccia   era
univocamente diretta ad  ottenere  la  consegna  di  danaro:  non  e'
ragionevolmente possibile interpretare altrimenti la condotta di chi,
nel corso di una lite, colpisce un compagno con un coltello  e,  poi,
continuando a tenere ostentatamente  il  coltello  lungo  il  fianco,
pretende la corresponsione di danaro. 
    Il delitto non e' giunto a consumazione solo perche' il  sig.  N.
aveva preventivamente allertato i carabinieri e perche'  questi  sono
sopraggiunti nell'arco di trenta secondi al massimo  (deposizione  E.
ud. 16 giugno 2022); sicche', la persona offesa non ha mai  perso  di
vista il  bene  appena  sottratto  e  la  sig.ra  M.  non  ha  potuto
consolidare l'impossessamento della refurtiva. 
    Il   Tribunale   ritiene   altresi'   correttamente    contestata
l'aggravante di avere commesso il  fatto  utilizzando  un'arma  (art.
628, comma 3, n. 1, codice penale): la minaccia  e'  stata  posta  in
essere brandendo un coltello all'indirizzo della persona offesa. 
    Il   Tribunale   ritiene   altresi'   correttamente    contestata
l'aggravante di avere commesso il fatto in luogo  di  privata  dimora
(art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale). Il fatto e' sicuramente
avvenuto all'interno dell'alloggio di N. M., chiaramente  sussumibile
nel concetto di luogo di privata dimora. 
    La sussistenza dell'aggravante non e' esclusa dal  fatto  che  la
sig.ra M. - a sua volta - dimorasse in quell'abitazione. Cio' perche'
l'art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale, prevede  l'aggravio  di
pena  evocando  il  luogo  ove  e'  avvenuta  la  rapina  (tentata  o
consumata) e non le modalita' clandestine o  le  ragioni  illegittime
per cui il rapinatore si trovava all'interno di un luogo  di  privata
dimora. Ad analoghe conclusioni e' pervenuta di recente (in  un  caso
in cui la rapina avvenne addirittura nella dimora  del  rapinatore  e
non  della  vittima)   la   giurisprudenza   di   legittimita',   con
un'interpretazione che il Tribunale ritiene di condividere: 
        «la circostanza aggravante della rapina commessa in luogo  di
privata dimora, di cui all'art. 628, comma terzo,  n.  3-bis,  codice
penale, trova applicazione  anche  quando  il  fatto  si  sia  svolto
all'interno dell'abitazione di uno degli agenti, in cui  la  vittima,
anche spontaneamente, si sia introdotta. (In motivazione, la Corte ha
aggiunto  che,  in  tal  caso,  ricorre  altresi'   l'ipotesi   della
commissione del fatto in «luoghi tali da  ostacolare  la  pubblica  o
privata difesa», ai sensi della seconda  parte  del  n.  3-bis  cit.,
essendo  la  vittima  privata  della  possibilita'  di  una  efficace
reazione o comunque della possibilita' di richiedere aiuto)» [sez.  2
- , sentenza n. 32781 del 13 luglio 2021 Ud. (dep. 2 settembre  2021)
Rv. 281914 - 01]. 
    E' solo il caso di aggiungere che il Tribunale ritiene anche  che
la natura della relazione tra imputata e persona offesa -  convivenza
more uxorio, peraltro caratterizzata da significativa  discontinuita'
nell'ultimo periodo - non consenta di dare applicazione alla causa di
non punibilita' codificata dall'art. 649,  codice  penale  [in  senso
conforme, tra le altre, cfr. sez. 5 - ,  sentenza  n.  37873  del  23
maggio 2019 Ud. (dep. 12 settembre 2019 ) Rv. 277757 - 0]. 
2.3. La capacita' di intendere e di volere dell'imputata 
    Essendo emersi elementi indicativi di una sofferenza psichiatrica
dell'imputata,  il  Tribunale  ha  disposto  perizia   medico-legale,
nominando perito il dott. D. 
    Il dott. D e' medico chirurgo specializzato in psichiatria;  egli
- da anni - svolge attivita' di consulente o perito  per  gli  uffici
giudiziari torinesi. 
    La  competenza  del  dott.  D.  -  oltre  ad   essere   attestata
dall'esercizio pluri-decennale della professione  e  dalla  frequente
attivita' di consulenza medico-legale espletata in sede giudiziaria -
non e' posta in discussione nemmeno dalla difesa. 
    Le  valutazioni  del  dott.  D.  muovono   dalla   considerazione
dell'abbondante  dato   anamnestico   (le   relazioni   dei   diversi
professionisti che, negli ultimi anni hanno seguito M. C. sia per  le
sue problematiche di dipendenza che per quelle psichiatriche; la  CTU
svolta in sede civile nell'ambito del procedimento volto alla  nomina
di un amministratore di sostegno in  favore  dell'imputata)  e  delle
risultanze del colloquio clinico effettuato dal perito. 
    L'attivita' valutativa e' svolta in modo aderente  agli  elementi
conoscitivi disponibili per il perito ed e' sviluppata in modo chiara
e  lineare,  con  riferimenti  ad  accreditati  dati  di  letteratura
scientifica. 
    Le  valutazioni  del  dott.  D.  si  pongono  in  linea  con   le
valutazioni dei professionisti che hanno precedentemente  seguito  la
sig.ra M.; esse hanno poi incontrato la sostanziale condivisione  del
consulente tecnico incaricato dalla difesa, che ha  concordato  tanto
sulla diagnosi formulata dal dott. D, quanto sulle conseguenze che il
quadro psico-patologico determina  sull'imputabilita'  (capacita'  di
intendere e  di  volere  grandemente  scemata)  e  sulle  conseguenti
valutazioni sulla pericolosita' sociale. 
    Venendo allora alla sintesi delle conclusioni raggiunte dal dott.
D. - che il Tribunale ritiene chiare e convincenti e dalle quali  non
ha ragione di discostarsi - occorre dare conto di quanto segue. 
    La sig.ra M. presenta un  disturbo  schizoaffettivo  con  sintomi
psicotici  di  tipo  delirante  (persecutorio  e  di   trasformazione
corporea)  e  di  alterazione  dell'umore  di  tipo   prevalentemente
disforico. Le alterazioni  dell'umore  sono  «certamente  gravi,  sia
perche' sono costanti, sia perche' rappresentano la modalita' con cui
ella si rapporta con la realta'». 
    Oltre al disturbo  schizoaffettivo,  la  sig.ra  M.  presenta  un
disturbo correlato all'uso  di  sostanze,  che  ha  anche  comportato
l'insorgenza di danni organici. 
    Il dott. D.  osserva  che  «l'effetto  combinato  di  queste  due
patologie fa si' che la sig.ra M. non possa  mai  prendere  coscienza
della sua malattia» e - con specifico riferimento al periodo  in  cui
e' stata tenuta la condotta oggetto di imputazione - il perito rileva
che «in quel periodo, la sig.ra viveva una condizione di «confusione»
per l'effetto combinato dell'uso di sostanze e dei disturbi del  tono
dell'umore e dell'ideazione». 
    Tale condizione - «che non e' possibile far risalire  all'uso  di
sostanze piuttosto che al disturbo  psichiatrico»  -  ha  determinato
«sia un'alterazione del rapporto con la realta', che soprattutto  una
compromissione delle sue capacita' di  controllare  adeguatamente  la
propria volonta'». 
    Di qui - e valorizzato il fatto che residuava  una  capacita'  di
comprendere la  gravita'  dei  propri  agiti  -  il  perito  conclude
ritenendo che la capacita' di intendere e volere dell'imputata fosse,
al momento del fatto, grandemente scemata, sebbene non esclusa  [cfr.
relazione peritale, in particolare, pp. 14-17]. 
    E' solo il caso di aggiungere -  in  punto  di  fatto  -  che  il
Tribunale ritiene che le caratteristiche concrete del vizio  parziale
di mente rilevato dal perito abbiano giocato un ruolo concreto  nella
commissione del delitto per cui si procede. Si e' detto che il  vizio
di mente che  affligge  l'imputata  si  connota  per  una  patologica
alterazione  dell'umore  di  tipo  prevalentemente   disforico,   con
alterazioni  dell'umore  «certamente  gravi»  e  tali   da   influire
concretamente sulle modalita' con  cui  M.  C.  si  rapporta  con  la
realta'. Nel caso in  esame,  si  e'  effettivamente  verificata  una
violenta e abnorme reazione - con passaggio all'atto - innescatasi su
un banale litigio domestico. A cio' si  aggiunga  che  la  dipendenza
patologica da sostanze (che si innesta sul  disturbo  schizoaffettivo
di cui si e' detto) costituisce un consistente  impulso  ad  ottenere
denaro per supportare il fabbisogno  di  stupefacenti.  Nel  caso  in
esame -  con  l'abnorme  (e  patologicamente  condizionata)  condotta
minatoria - l'imputata ha preteso l'elargizione di danaro proprio per
soddisfare questo bisogno. 
3. La questione e la sua rilevanza nel giudizio a quo 
    Compiendo dunque  la  valutazione  di  fatto  che  rientra  nella
responsabilita' del giudice comune (e, dunque, di questo  Tribunale),
si ritiene che -  allo  stato  dell'istruttoria  sinora  espletata  -
l'ipotesi d'accusa non sia affatto smentita e si  ponga  pertanto  la
concreta eventualita' che l'imputata, all'esito del  giudizio,  possa
essere condannata per il delitto a lei contestato. 
    Parimenti, il Tribunale ritiene che - allo  stato  degli  atti  -
trovi  conferma  anche  la  contestazione  relativa   agli   elementi
circostanziali del reato [art. 628, comma 3, n. 1 e n. 3-bis,  codice
penale]. 
    Come visto, pero', la  sig.ra  M.  si  trova  in  una  condizione
psico-patologica che giustifica il  riconoscimento  della  diminuente
codificata dall'art. 89, codice penale. 
    Al tempo stesso,  il  comportamento  processuale,  la  complicata
situazione sociale dell'imputata e la necessita' di giungere  ad  una
commisurazione   della   pena   coerente   con   le    esigenze    di
risocializzazione costituzionalmente connesse  all'irrogazione  della
sanzione penale portano  il  Tribunale  a  pronosticare  la  concreta
eventualita'  che,  all'imputata,  possano  essere  riconosciute   le
circostanze attenuanti generiche. 
    Sennonche' - e qui si viene all'illustrazione della questione  di
legittimita'  costituzionale  -  nel  caso  in  esame  si  presentano
circostanze di segno eterogeneo, da porre in bilanciamento tra loro. 
    Tuttavia, una delle circostanze aggravanti che dovrebbero entrare
nel giudizio di valenza [art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice  penale]
e', come noto, un'aggravante cd. privilegiata, in quanto sottratta al
bilanciamento, in forza di  quanto  previsto  dall'art.  628,  ultimo
comma, codice penale: 
        «Le  circostanze  attenuanti,  diverse  da  quella   prevista
dall'art. 98, concorrenti con le aggravanti di cui  al  terzo  comma,
numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non  possono  essere  ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni  di  pena
si operano  sulla  quantita'  della  stessa  risultante  dall'aumento
conseguente alle predette aggravanti». 
    Il che implica che l'effetto delle circostanze attenuanti  (artt.
89 e 62-bis, codice penale) potenzialmente in gioco  nel  giudizio  a
quo potrebbe avere  concreta  incidenza  sulla  determinazione  della
sanzione solo dopo che la pena base e' stata  inasprita  per  effetto
dell'aggravante codice penale privilegiata. 
    Il senso  letterale  della  disposizione  dell'art.  628,  ultimo
comma, codice penale  e'  estremamente  chiaro  e  non  si  delineano
interpretazioni alternative del dettato normativa rispetto  a  quella
sopra delineata. 
    Il  Tribunale  dubita  della  legittimita'   costituzionale   (in
relazione agli articoli 3, 27, commi 1 e 3,  della  Costituzione)  di
tale  meccanismo  di  rilievo  privilegiato  di  talune   circostanze
aggravanti, quando -  nel  giudizio  di  bilanciamento  -concorra  la
circostanza attenuante (inerente la persona del colpevole) codificata
dall'art. 89, codice penale. 
4. Non manifesta infondatezza della questione 
    La questione qui  sollevata  riecheggia,  evidentemente,  recenti
arresti della giurisprudenza costituzionale. 
    Come e' noto, la Corte costituzionale ha recentemente  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69,  ultimo  comma,  codice
penale, «nella parte in cui prevede il divieto  di  prevalenza  della
circostanza attenuante di  cui  all'art.  89,  codice  penale,  sulla
circostanza aggravante della recidiva  di  cui  all'art.  99,  quarto
comma, codice penale». [sentenza n. 73 del 2020,  nel  cui  solco  si
colloca poi - con riferimento alla attenuante prevista dall'art. 116,
comma 2, codice penale - la sentenza n. 55 del 2021]. 
    Nelle citate  decisioni,  la  Corte  costituzionale  ha  adottato
argomenti che rilevano anche nel caso in esame. 
    Fermo il richiamo  alla  propria  giurisprudenza  in  materia  di
sindacato sulle scelte discrezionali  del  legislatore  [«sindacabili
soltanto  ove   trasmodino   nella   manifesta   irragionevolezza   o
nell'arbitrio»;  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  73  del  2020,
considerato in diritto 4.1.], la Corte costituzionale ha  evidenziato
che, 
        «il principio di proporzionalita' della  pena  rispetto  alla
gravita' del reato, da tempo affermato da questa Corte sulla base  di
una lettura congiunta degli articoli  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione (a partire almeno dalla sentenza n.  343  del  1993;  in
senso conforme, ex multis, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 del  2018,
n. 236 del 2016), esige in via generale che la pena sia adeguatamente
calibrata non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di
reato per gli interessi protetti, ma anche  al  disvalore  soggettivo
espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il  quantum
di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo  dal
contenuto della volonta' criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del
dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori  che
hanno influito sul  processo  motivazionale  dell'autore,  rendendolo
piu' o meno rimproverabile». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020,  considerato
in diritto 4.2.] 
    Sennonche', il ragionamento  svolto  dalla  Corte  costituzionale
nella   decisione   appena   citata   introduce   nel   giudizio   di
proporzionalita' della risposta  sanzionatoria  un  parametro  -  per
cosi' dire - «ulteriore» rispetto a quelli tradizionalmente implicati
in tale valutazione. Se la tradizionale giurisprudenza costituzionale
valuta la proporzionalita' della risposta  sanzionatoria  «al  metro»
dei parametri costituzionali dettati dagli articoli  3  e  27,  terzo
comma, della Costituzione, nella sentenza n. 73 del 2020 si evidenzia
come - nel giudizio di proporzionalita' - debba entrare in  gioco  un
ulteriore  parametro  costituzionale,  dettato  dall'art.  27,  primo
comma,  della  Costituzione  (principio  della   personalita'   della
responsabilita' penale). 
    Analoghi schemi argomentativi - e analogo rilievo al principio di
personalita' della  responsabilita'  penale  scolpito  dall'art.  27,
primo comma,  della  Costituzione  -  sono  valorizzati  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 55 del 2021 [considerato in  diritto
n. 8]. 
    Di   qui   -   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale   -
l'incostituzionalita' del  divieto  assoluto  imposto  dall'art.  69,
ultimo  comma,  codice  penale,  di  prevalenza   della   circostanza
attenuante  prevista  dall'art.  89, codice  penale,  rispetto   alla
recidiva reiterata: 
        «il divieto in esame  d'altra  parte  comporta  una  indebita
parificazione sotto il profilo sanzionatorio di  fatti  di  disvalore
essenzialmente   diverso,   in   ragione   del   diverso   grado   di
rimproverabilita' soggettiva che li connota: con un risultato che  la
giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  da   tempi   ormai   risalenti
considerato di  per  se'  contrario  all'art.  3  della  Costituzione
(sentenza  n.  26  del  1979),  prima  ancora  che   alla   finalita'
rieducativa e all'esigenza di «personalizzazione» della pena». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020,  considerato
in diritto 4.3] 
    Come anticipato, in questo giudizio, l'incidenza  dell'attenuante
di cui all'art. 89, codice penale, e' condizionata  dalla  ricorrenza
dell'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale
(ai sensi dell'art. 628, ultimo comma, codice penale). 
    Si pone dunque  -  in  termini  analoghi  -  la  questione  della
legittimita' costituzionale di vincoli al giudizio di bilanciamento. 
    Il Tribunale  non  ignora  la  diversita'  intercorrente  tra  il
meccanismo  derogatorio  che  qui   viene   in   rilievo   e   quello
originariamente codificato dall'art. 69, ultimo comma, codice  penale
[e censurato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 73 del 2020
e n. 55 del  2021].  Nell'art.  69,  codice  penale,  la  circostanza
attenuante - a fronte della recidiva reiterata - non poteva esplicare
effetto (se non  in  termini  di  «neutralizzazione»  della  recidiva
qualificata); nell'art. 628, ultimo  comma,  codice  penale,  invece,
l'attenuante di cui all'art. 89, codice  penale,  puo'  concretamente
esplicare effetto, sebbene partendo da una  dimensione  sanzionatoria
che e'  aggravata  «a  monte»  dalla  concorrenza  delle  circostanze
privilegiate. 
    Il Tribunale nemmeno ignora che la  Corte  costituzionale  -  con
riferimento ad un analogo meccanismo di privilegio dell'incidenza  di
determinate aggravanti (art. 624-bis, quarto comma, codice penale)  -
ha dichiarato infondata la questione di legittimita'  costituzionale,
rilevando (in sintesi): (a) la non  irragionevolezza  di  una  scelta
discrezionale del legislatore  che  accordi  tutela  privilegiata  ai
luoghi di privata  dimora  (con  conseguente  ragionevolezza  di  una
risposta sanzionatoria piu' severa); (b) la diversita' del divieto di
bilanciamento sancito dall'art. 624-bis, codice penale,  rispetto  al
meccanismo derogatorio previsto dall'art. 69,  ultimo  comma,  codice
penale [«Il  divieto  di  bilanciamento  sancito  dall'art.  624-bis,
quarto comma, codice penale, opera tuttavia  in  base  a  un  modello
differente rispetto a quello della recidiva reiterata, in quanto,  se
da un lato e' precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che  di
prevalenza, cosi' rafforzandosi  il  «privilegio»  delle  aggravanti,
dall'altro e' pero' stabilito che  le  diminuzioni  di  pena  per  le
attenuanti siano comunque apportate, a valere «sulla quantita'  della
stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette  circostanze
aggravanti»;  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  117   del   2021,
considerato in diritto 9.3]. 
    Tuttavia, il Tribunale ritiene  che  gli  argomenti  spesi  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 73 del 2020 conservino la loro
valenza anche nel  caso  qui  in  esame  (pur  nella  diversita'  del
meccanismo derogatorio previsto dall'art. 69,  ultimo  comma,  codice
penale, rispetto a quello sancito dall'art. 628, quarto comma, codice
penale). 
    Nella piu'  volte  citata  sentenza  n.  73  del  2020  la  Corte
costituzionale  si   e'   soffermata   sulla   ratio   che   presiede
all'introduzione dell'attenuante di cui all'art. 89,  codice  penale,
ricollegandola  direttamente  al  principio  di  personalita'   della
responsabilita'  penale;  in  presenza  di   patologie   o   disturbi
significativi  della  personalita',  come  quelli  che   la   scienza
medico-forense  stima  idonei  a  diminuire,  pur  senza   escluderla
totalmente, la capacita' di intendere e di volere, 
        «l'autore puo' si' essere punito per aver commesso  un  reato
che  avrebbe   pur   sempre   potuto   -   secondo   la   valutazione
dell'ordinamento -  evitare,  attraverso  un  maggiore  sforzo  della
volonta'; ma  al  tempo  stesso  merita  una  punizione  meno  severa
rispetto a quella applicabile nei confronti di chi si sia determinato
a  compiere  una  condotta  identica,  in  condizioni  di  normalita'
psichica». 
    La   valorizzazione    di    questa    condizione    di    «minor
rimproverabilita'» per la persona con vizio di mente tale da  scemare
grandemente la capacita' di intendere e di  volere  si  salda  poi  -
nella  lettura  della  Corte  costituzionale  -   al   principio   di
proporzione (art. 3 e  27,  comma  3,  della  Costituzione)  e,  come
anticipato, al principio di personalita' della responsabilita' penale
(art. 27, comma 1, della Costituzione). 
        «Il principio di proporzionalita' della pena desumibile dagli
articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione  esige  insomma,  in
via generale, che al  minor  grado  di  rimproverabilita'  soggettiva
corrisponda  una  pena  inferiore  rispetto  a  quella  che   sarebbe
applicabile a parita' di disvalore oggettivo del fatto, «in  modo  da
assicurare altresi' che la pena appaia una risposta - oltre  che  non
sproporzionata -  il  piu'  possibile  "individualizzata",  e  dunque
calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione  del
mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale
di cui all'art. 27, primo comma, della Costituzione" (sentenza n. 222
del 2018)». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020,  considerato
in diritto 4.2.] 
        «la circostanza attenuante in  parola  mira  ad  adeguare  il
quantum del trattamento sanzionatorio  alla  significativa  riduzione
della  rimproverabilita'  soggettiva  dell'agente,  ed  e'   pertanto
riconducibile  a  un  connotato  di  sistema  di  un  diritto  penale
«costituzionalmente  orientato»,   cosi'   come   ricostruito   dalla
giurisprudenza di questa Corte: giurisprudenza che -  dalla  sentenza
n. 364 del 1988 in poi - individua nella rimproverabilita' soggettiva
un presupposto essenziale dell'an dell'imputazione del fatto  al  suo
autore, e conseguentemente  dell'applicazione  della  pena  nei  suoi
confronti». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020,  considerato
in diritto 4.3.] 
    Ne discende che la presenza di vincoli rispetto  al  giudizio  di
bilanciamento con la circostanza attenuante codificata dall'art.  89,
codice penale, rischia di comportare: 
        «una indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di
fatti di disvalore essenzialmente diverso,  in  ragione  del  diverso
grado  di  rimproverabilita'  soggettiva  che  li  connota:  con   un
risultato che la giurisprudenza di questa Corte  ha  da  tempi  ormai
risalenti  considerato  di  per  se'  contrario  all'art.   3   della
Costituzione (sentenza  n.  26  del  1979),  prima  ancora  che  alla
finalita' rieducativa e  all'esigenza  di  "personalizzazione"  della
pena». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020.  considerato
in diritto 4.3.] 
    Il punto che la Consulta  valorizza  per  «segnare»  la  indebita
parificazione  tra  situazioni  diverse  e'  chiarito  nei   seguenti
termini: 
        «Tale divieto, infatti, non consente al giudice di stabilire,
nei confronti del semi-infermo di mente, una pena inferiore a  quella
che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravita' oggettiva,
ma  commesso  da  una  persona  che  abbia  agito  in  condizioni  di
normalita' psichica, e pertanto pienamente capace -  al  momento  del
fatto -  di  rispondere  all'ammonimento  lanciato  dall'ordinamento,
rinunciando alla commissione del  reato.  E  cio'  anche  laddove  il
giudice - come nel caso del giudizio a quo - ritenga che le patologie
o i disturbi riscontrati nel reo abbiano inciso a tal punto sulla sua
personalita', da rendergli  assai  piu'  difficile  la  decisione  di
astenersi dalla commissione di nuovi reati, nonostante  l'ammonimento
lanciatogli con le precedenti condanne». 
        [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del  2020,  considerato
in diritto 4.3.]. 
    Un analogo vulnus si determina - secondo il Tribunale  -  con  il
privilegio  attribuito  a  determinate  circostanze  aggravanti   del
delitto di  rapina  rispetto  alla  circostanza  attenuante  prevista
dall'art. 89, codice penale. 
    Si verrebbero a parificare situazioni diverse (l'autore di  reato
che abbia agito in condizioni di normalita' psichica vs. l'autore  di
reato affetto da vizio parziale di mente), con  potenziale  contrasto
con il dettato dell'art. 3 della Costituzione. 
    Si  verrebbe   a   determinare   un   inasprimento   del   regime
sanzionatorio, tale  da  potere  comportare  l'applicazione  di  pene
potenzialmente  sproporzionate  rispetto  al  grado  di  colpevolezza
dell'imputato (con  potenziale  contrasto  dell'art.  628,  comma  4,
codice  penale,  rispetto  al  principio  di  proporzionalita'  della
risposta sanzionatoria discendente dagli articoli 3 e  27,  comma  3,
della Costituzione). 
    Si  verrebbe   a   misconoscere   -   o   quantomeno   fortemente
sottovalutare  -  la  valenza   della   diminuita   rimproverabilita'
soggettiva dell'autore di reato semi-imputabile, con  sacrificio  del
principio di personalita' della  responsabilita'  penale  discendente
dall'art. 27, comma 1, della Costituzione. 
    Del resto, vi e' un ulteriore argomento che segnala  l'intrinseca
irragionevolezza  del  meccanismo  di   privilegio   di   determinate
aggravanti cosi' come e' oggi  codificato  dall'art.  628,  comma  4,
codice penale. 
    Come emerge dal dato testuale,  il  meccanismo  derogatorio  alle
ordinarie regole di bilanciamento non e'  destinato  ad  operare  nel
caso  in  cui  -  con  le  aggravanti  privilegiate  -  concorra   la
circostanza attenuante prevista dall'art. 98, codice penale. () 
    Il  mantenimento  della  piena  operativita'  del   giudizio   di
bilanciamento in  presenza  dell'attenuante  prevista  dall'art.  98,
codice penale, e' frutto di  un  emendamento  (AC  2180,  emendamento
16.1)  proposto  dai  relatori  in  sede  di  esame  in   Commissione
referente, alla Camera dei deputati, alla seduta del 28 aprile  2009;
dalla verbalizzazione sintetica di quella seduta (reperibile sul sito
istituzionale  della  Camera   dei   deputati)   non   emerge   pero'
l'esplicitazione  delle  ragioni  di  tale  proposta  di  emendamento
(successivamente recepita nel cd. maxi - emendamento poi proposto dal
Governo). Analoga assenza di esplicitazione della ratio emerge  dalla
lettura della relazione svolta in assemblea alla seduta del 30 aprile
2009 (pag. 62 del verbale di seduta). 
    E' vero che  la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  ha
rilevato  «la   diversita'   di   situazioni   che   intercorre   tra
seminfermita' mentale e minore eta'» [Corte costituzionale,  sentenza
n.  120  del  1977,  considerato  in  diritto  n.  2,  in   relazione
all'istituto del perdono giudiziale]. Nondimeno e' innegabile -  come
rilevato in dottrina - che la diminuzione di pena prevista  dall'art.
98, comma  1,  codice  penale,  si  ancora  ad  una  valutazione  del
legislatore che - in una piu' marcata prospettiva  rieducativa  e  di
personalizzazione della risposta  sanzionatoria  -  tiene  conto  del
minor grado di rimproverabilita'  riscontrabile  in  chi  (il  minore
imputabile)  non  ha  ancora  maturato  un   livello   di   capacita'
intellettive,  volitive  ed  affettive  tali  da   consentirgli   una
capacita' di autodeterminazione paragonabile alle  persone  adulte  e
pienamente capaci. 
    Tant'e'   che   -   in   giurisprudenza   -   si   e'    ritenuta
«l'obbligatorieta' della riduzione della pena»  codificata  dall'art.
98, codice penale [sez. 4, sentenza n. 10134 del 20 ottobre 2020  Ud.
(dep. 16 marzo 2021) Rv. 281132 - 01; sez. 3, sentenza n. 33004 del 7
aprile 2015 Ud. (dep. 28  luglio  2015)  Rv.  264193  -  0;  sez.  3,
sentenza n. 42105 dell'11 ottobre 2007 Ud. (dep.  15  novembre  2007)
Rv. 238261 - 0]. 
    E certo non casualmente,  la  circostanza  attenuante  codificata
dall'art. 98, codice penale,  trova  collocazione  sistematica  nello
stesso capo I del titolo IV del libro I del codice penale  ove  trova
sede l'art. 89, codice penale. 
    E altrettanto non casualmente, la diminuzione  di  pena  prevista
dall'art. 98 e dall'art. 89, codice penale, e' identica. 
    Tuttavia, l'art. 628, comma 4, codice penale «consente» la  piena
possibilita' di incidere nel giudizio di  bilanciamento  in  presenza
della  circostanza  attenuante  inerente  la  persona  del  colpevole
codificata dall'art. 98, codice penale (tra le cui ratio - come si e'
visto   -   e'    identificabile    la    valutazione    di    minore
rimproverabilita'). 
    Viceversa,  e'  previsto  che  una,  per  molti  versi   analoga,
circostanza attenuante inerente la persona dell'autore di reato (art.
89, codice penale) sia destinata a soccombere (ed operare  solo  dopo
l'inasprimento di pena determinato dalle aggravanti privilegiate). 
    In questa prospettiva, la scelta  del  legislatore  del  2009  di
differenziare, all'ultimo comma  dell'art.  628,  codice  penale,  il
trattamento dei casi riconducibili agli  articoli  89  e  98,  codice
penale, appare  irragionevole  e  in  frizione  con  l'art.  3  della
Costituzione. Di qui la non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale. 
5. La questione di legittimita' costituzionale 
    In  conclusione:   il   Tribunale   ritiene   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
relativa al contrasto tra gli articoli 3, 27,  commi  1  e  3,  della
Costituzione e la previsione dell'art. 628, comma 4,  codice  penale,
per cui - per il delitto di rapina aggravata ai sensi  dell'art.  628
comma 3, n. 3-bis, codice penale - la diminuzione  di  pena  prevista
dall'art. 89, codice penale, possa operare solo  sulla  quantita'  di
pena   risultante   dall'aumento    conseguente    alla    aggravante
privilegiata. 
    Non si danno interpretazioni del  testo  della  legge  capaci  di
risolvere sul piano ermeneutico il contrasto rilevato. 
    Alla luce delle ragioni che precedono,  il  Tribunale  -  dovendo
applicare una pena alla cui  determinazione  concorrono  l'aggravante
privilegiata  (art.  628,  comma  3,  n.  3-bis,  codice  penale)   e
l'attenuante del cd. vizio parziale di mente (art. 89, codice penale)
[ed essendo dunque la quesitone  rilevante  nel  giudizio  a  quo]  -
ritiene non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 628, ultimo comma, del codice penale, «nella
parte in cui prevede il divieto di  equivalenza  o  prevalenza  della
circostanza attenuante di  cui  all'art.  89,  codice  penale,  sulle
circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero  3-bis  della
medesima disposizione di legge». 
    Per tale ragione, il processo deve  essere  sospeso  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione,  23  e  ss.  legge  11
marzo 1953 n. 87 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in  relazione
agli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione - la  questione
di legittimita'  costituzionale  dell'art.  628,  ultimo  comma,  del
codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di equivalenza o
prevalenza della circostanza attenuante di cui  all'art.  89,  codice
penale, sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero
3-bis della medesima disposizione di legge. 
    Sospende il processo sino all'esito del giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata
ai sigg.ri Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera  dei
deputati. 
    Comunicato a  pubblico  ministero  e  difensore  in  udienza.  Si
notifichi all'imputato presso il domicilio eletto. 
    Dispone che la cancelleria trasmetta  alla  Corte  costituzionale
gli  atti  del  presente  giudizio,  con  la  prova  delle   avvenute
notificazioni e comunicazioni. 
        Torino, 7 luglio 2022 
 
                       Il Presidente: Bompieri 
 
 
                                              Il giudice est.: Natale