N. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 luglio 2022
Ordinanza del 7 luglio 2022 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di M.C.G.. Reati e pene - Rapina - Divieto di equivalenza o di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 cod. pen. sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3-bis), dell'art. 628 cod. pen. - Codice penale, art. 628, ultimo comma.(GU n.43 del 26-10-2022 )
IL TRIBUNALE DI TORINO prima sezione penale Il Tribunale di Torino, in composizione collegiale, in persona dei seguenti magistrati: dott.ssa Federica Bompieri, Presidente; dott.ssa Alessandra Salvadori, giudice; dott. Andrea Natale, giudice est. Visti gli atti del procedimento penale in atto nei confronti di: M. C. G., nata a ... il ... sottoposta alla misura di sicurezza della liberta' vigilata applicata in via provvisoria - presente gia' presente, difesa di fiducia dall'avv. Alessandro Magarelli del Foro di Torino, imputata per il reato di cui agli: artt. 56, 628, commi 1,3-bis, codice penale, perche', per procurarsi un ingiusto profitto, usando minaccia nei confronti della persona offesa N. M., consistita nel puntare contro di lui un coltello, il tutto all'interno dell'appartamento del N., poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di beni e denaro del N., non riuscendo nel suo intento per la reazione della persona offesa ... In ... il ... Recidiva ex art. 99, codice penale. All'esito dell'udienza del 7 luglio 2022 ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. Il procedimento a quo Si procede - in presenza dell'imputata - con rito ordinario. L'imputata e' accusata del delitto di tentata rapina pluriaggravata, commessa con armi in danno del fidanzato N. M., all'interno di un luogo di privata dimora (l'abitazione dello stesso N., ove, in quel periodo, dimorava anche M. C.) L'istruzione dibattimentale si e' tenuta all'udienza del 16 giugno 2022, esaminando la persona offesa N. M. e l'operatore di polizia giudiziaria E. A. (componente della pattuglia di carabinieri che ha tratto in arresto l'imputata). Alla stessa udienza e' stato esaminato il perito dott. D., incaricato di valutare la sussistenza - o meno - di una piena capacita' di intendere e di volere dell'imputata (ritenuta grandemente scemata) e la sua pericolosita' sociale (ritenuta sussistente). All'udienza del 16 giugno 2022, le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni (il pubblico ministero chiedendo la condanna dell'imputata e l'applicazione in via provvisoria della misura di sicurezza della liberta' vigilata; la difesa sollecitando l'assoluzione o, in subordine, la riqualificazione del fatto come minaccia aggravata, con applicazione - in ogni caso - della pena minima edittale, con la diminuente di cui all'art. 89, codice penale e le attenuanti generiche). Prima di dare conto delle emergenze processuali - per quanto di interesse nel presente incidente di legittimita' costituzionale - e' utile rappresentare che la sig.ra M. e' stata tratta in arresto in flagranza di reato in data ..., e quindi sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere sino alla data del ... in tale data, infatti, il Tribunale - con ordinanza del ... in conformita' alla richiesta del pubblico ministero, ha disposto l'applicazione in via provvisoria della misura di sicurezza della liberta' vigilata (contestualmente revocando la misura cautelare della custodia in carcere, essendo le esigenze di prevenzione meglio garantite - in equilibrio con il diritto alla salute - dalla misura di sicurezza concretamente disposta). 2. Rilevanza della questione nel giudizio a quo Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la questione non manifestamente infondata, e' necessario dare conto della rilevanza della questione. 2.1. La ricostruzione del fatto I fatti sono di semplice ricostruzione. N. M. coltiva una relazione con l'imputata da circa dieci anni. Nel corso di questo decennio, il sig. N. e la sig.ra M. hanno quasi sempre convissuto in via continuativa, fatta eccezione per gli ultimi due anni, durante i quali - a causa dei problemi personali dell'imputata - la convivenza e' stata discontinua. I problemi della sig.ra M. sono legati - come si vedra' - ad alcune problematiche di natura psichiatrica e alla dipendenza da sostanze. Nel periodo immediatamente antecedente ai fatti per cui si procede, la sig.ra M. era stata qualche tempo lontana dal domicilio di N., essendosi recata in ... Da qualche giorno, pero', la sig.ra M. aveva fatto ritorno a casa del sig. N. Il ... - per usare le parole del sig. N. - «succede l'inevitabile»: «E' tornata a casa, era abbastanza cosi' aveva usato quindi era ... assume sostanze che fanno ... Dopodiche' ha cominciato a cucinare, c'era una bottiglia di vino, avevo tolto tutti gli alcolici da casa pero' c'era rimasta una bottiglia di vino; ha bevuto qualche bicchiere credo, non piu' di mezza bottiglia ed e' stata quella la cosa che l'ha fatta saltare in qualche modo, complice probabilmente anche io che mi sono arrabbiato, ho preso la bottiglia, l'ho portata via. Lei nulla, ha cambiato espressione, ha cominciato a lanciare oggetti fuori dalla finestra; io ho cercato di fermarla, l'ho fermata, gli ho dato uno schiaffo, l'ho scossa e poi mi sono fermato, sono tornato a sedermi. Lei e' tornata con un coltello, non si capiva bene cosa volesse fare, sicuramente non voleva colpirmi, sventolava questo coltello, io tra l'altro ho agitato la mia mano e mi ha ferito leggermente alla mano. Poi mi ha detto lei: «Adesso chiamo la polizia», urlava: «Chiama la polizia ... chiama la polizia». [deposizione N., ud. 16 giugno 2022, p. 6]. La «discussione» tra la sig.ra M. e il sig. N. prosegue inasprendosi e, nell'immediato seguito, si verificano i fatti oggetto del presente giudizio: «poi e' venuta la faccenda dei soldi, come ripeto non e' stata un tentativo di rapina e niente del genere, perche' mi ha chiesto: «Dove hai i soldi?»; io gli ho detto: «Sono nella giacca». Lei ha preso il portafoglio in mano, ha preso tra l'altro anche le chiavi di casa e le chiavi della macchina che non sono mai piu' ... che sono sparite; non ha preso i soldi, ha preso questo portafoglio, me l'ha dato, mi ha detto: «Dammi i soldi»; io comincio a tirare fuori un pezzettino per volta e restava li', li prendeva e davvero non stava scappando, perche' se voleva scappare dalla polizia prendeva i soldi e se ne andava. Ha aspettato. Quando e' arrivata la polizia ha preso questo coltello, l'ha messo nella borsa ed e' scesa; io sono andato alla finestra e ho visto che c'era la polizia, erano carabinieri. Ho visto che c'erano i carabinieri e gli ho detto: «Guardate che e' li'». Lei era ferma li' sul portone impalata, i carabinieri l'hanno presa e da li' ha cominciato un po' il tira e molla coi carabinieri». [deposizione N., ud. 16 giugno 2022, p. 7]. Sebbene il sig. N. - evidentemente influenzato dal legame affettivo che tuttora coltiva con l'imputata - abbia affermato di non avere percepito questo segmento della vicenda come una rapina e di non sentirsi minimamente «parte lesa» [deposizione N., ud. 16 giugno 2022, p. 7], e' indubbio che la condotta dell'imputata sia sussumibile nel perimetro della fattispecie in contestazione. Il fatto che N. M. abbia «consegnato» il denaro a M. C. non per sua libera scelta, ma perche' coartato dalla minaccia del coltello e' conclusione agevolmente ricavabile dalla ricostruzione sopra operata: M. C. aveva gia' colpito, ferendolo, N. in un impeto d'ira [forse volontariamente, forse no (come sostiene N.;); in ogni caso, il fatto non e' oggetto di contestazione]; poco dopo tale aggressione, M. C. domanda il denaro a N. M., continuando a tenere ostentatamente il coltello lungo il fianco: «Si', un taglietto. Mi ha detto: «Adesso dammi dei soldi, dove hai messo il portafoglio?»: io le ho detto: «Non lo so»; «Dove l'hai messo?»; ho detto: «Nella giacca». Lei e' andata nella giacca, ha preso questo, ha preso le due chiavi di casa e le chiavi della macchina; le chiavi le ha messe tutte in borsa e il portafoglio me lo ha dato (...) [il coltello; n.d.e.] Probabilmente lo teneva lungo il fianco, ma ...(...) C'e' stata questa pantomima di una banconota per volta, dopodiche' quando gli ho detto: "Guarda che sono arrivati i carabinieri", lei non ha preso tutti i soldi e non ha preso neanche la roba dal portafoglio». [deposizione N. ud. 16 giugno 2022, p. 11]. Dopo aver ottenuto il denaro da N., la sig.ra M. esce dall'alloggio e - sempre monitorata dalla persona offesa - discende le scale, trovando, pero', ad attenderla, proprio all'uscita dello stabile, i carabinieri (che N. aveva gia' allertato nella prima fase della vicenda). I carabinieri sopraggiunti procedono al controllo della sig.ra M., sorprendendola in possesso della somma di 400 euro (il denaro appena sottratto a N.) e di un coltello [deposizione Carabiniere E., ud. 16 giugno 2022]. Nel corso dell'esame dibattimentale - emotivamente sofferto - l'imputata ha sostanzialmente ammesso l'addebito, manifestando rincrescimento e l'intenzione di sottoporsi ad un percorso di cure e di affrancamento dalla dipendenza. 2.2. La qualificazione giuridica del fatto Va detto che il Tribunale ritiene che la ricostruzione del fatto promanante dalla persona offesa e dal carabiniere E. sia affidabile. Nessuno dei due testimoni ha motivi per calunniare l'imputata e, anzi, il sig. N. ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilita' per attenuare la posizione processuale della persona cui e' affettivamente legato. La condotta sopra descritta e' correttamente qualificata come tentativo di rapina: si e' detto che la condotta della sig.ra M. e' da considerarsi univocamente minatoria e che la minaccia era univocamente diretta ad ottenere la consegna di danaro: non e' ragionevolmente possibile interpretare altrimenti la condotta di chi, nel corso di una lite, colpisce un compagno con un coltello e, poi, continuando a tenere ostentatamente il coltello lungo il fianco, pretende la corresponsione di danaro. Il delitto non e' giunto a consumazione solo perche' il sig. N. aveva preventivamente allertato i carabinieri e perche' questi sono sopraggiunti nell'arco di trenta secondi al massimo (deposizione E. ud. 16 giugno 2022); sicche', la persona offesa non ha mai perso di vista il bene appena sottratto e la sig.ra M. non ha potuto consolidare l'impossessamento della refurtiva. Il Tribunale ritiene altresi' correttamente contestata l'aggravante di avere commesso il fatto utilizzando un'arma (art. 628, comma 3, n. 1, codice penale): la minaccia e' stata posta in essere brandendo un coltello all'indirizzo della persona offesa. Il Tribunale ritiene altresi' correttamente contestata l'aggravante di avere commesso il fatto in luogo di privata dimora (art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale). Il fatto e' sicuramente avvenuto all'interno dell'alloggio di N. M., chiaramente sussumibile nel concetto di luogo di privata dimora. La sussistenza dell'aggravante non e' esclusa dal fatto che la sig.ra M. - a sua volta - dimorasse in quell'abitazione. Cio' perche' l'art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale, prevede l'aggravio di pena evocando il luogo ove e' avvenuta la rapina (tentata o consumata) e non le modalita' clandestine o le ragioni illegittime per cui il rapinatore si trovava all'interno di un luogo di privata dimora. Ad analoghe conclusioni e' pervenuta di recente (in un caso in cui la rapina avvenne addirittura nella dimora del rapinatore e non della vittima) la giurisprudenza di legittimita', con un'interpretazione che il Tribunale ritiene di condividere: «la circostanza aggravante della rapina commessa in luogo di privata dimora, di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3-bis, codice penale, trova applicazione anche quando il fatto si sia svolto all'interno dell'abitazione di uno degli agenti, in cui la vittima, anche spontaneamente, si sia introdotta. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, in tal caso, ricorre altresi' l'ipotesi della commissione del fatto in «luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa», ai sensi della seconda parte del n. 3-bis cit., essendo la vittima privata della possibilita' di una efficace reazione o comunque della possibilita' di richiedere aiuto)» [sez. 2 - , sentenza n. 32781 del 13 luglio 2021 Ud. (dep. 2 settembre 2021) Rv. 281914 - 01]. E' solo il caso di aggiungere che il Tribunale ritiene anche che la natura della relazione tra imputata e persona offesa - convivenza more uxorio, peraltro caratterizzata da significativa discontinuita' nell'ultimo periodo - non consenta di dare applicazione alla causa di non punibilita' codificata dall'art. 649, codice penale [in senso conforme, tra le altre, cfr. sez. 5 - , sentenza n. 37873 del 23 maggio 2019 Ud. (dep. 12 settembre 2019 ) Rv. 277757 - 0]. 2.3. La capacita' di intendere e di volere dell'imputata Essendo emersi elementi indicativi di una sofferenza psichiatrica dell'imputata, il Tribunale ha disposto perizia medico-legale, nominando perito il dott. D. Il dott. D e' medico chirurgo specializzato in psichiatria; egli - da anni - svolge attivita' di consulente o perito per gli uffici giudiziari torinesi. La competenza del dott. D. - oltre ad essere attestata dall'esercizio pluri-decennale della professione e dalla frequente attivita' di consulenza medico-legale espletata in sede giudiziaria - non e' posta in discussione nemmeno dalla difesa. Le valutazioni del dott. D. muovono dalla considerazione dell'abbondante dato anamnestico (le relazioni dei diversi professionisti che, negli ultimi anni hanno seguito M. C. sia per le sue problematiche di dipendenza che per quelle psichiatriche; la CTU svolta in sede civile nell'ambito del procedimento volto alla nomina di un amministratore di sostegno in favore dell'imputata) e delle risultanze del colloquio clinico effettuato dal perito. L'attivita' valutativa e' svolta in modo aderente agli elementi conoscitivi disponibili per il perito ed e' sviluppata in modo chiara e lineare, con riferimenti ad accreditati dati di letteratura scientifica. Le valutazioni del dott. D. si pongono in linea con le valutazioni dei professionisti che hanno precedentemente seguito la sig.ra M.; esse hanno poi incontrato la sostanziale condivisione del consulente tecnico incaricato dalla difesa, che ha concordato tanto sulla diagnosi formulata dal dott. D, quanto sulle conseguenze che il quadro psico-patologico determina sull'imputabilita' (capacita' di intendere e di volere grandemente scemata) e sulle conseguenti valutazioni sulla pericolosita' sociale. Venendo allora alla sintesi delle conclusioni raggiunte dal dott. D. - che il Tribunale ritiene chiare e convincenti e dalle quali non ha ragione di discostarsi - occorre dare conto di quanto segue. La sig.ra M. presenta un disturbo schizoaffettivo con sintomi psicotici di tipo delirante (persecutorio e di trasformazione corporea) e di alterazione dell'umore di tipo prevalentemente disforico. Le alterazioni dell'umore sono «certamente gravi, sia perche' sono costanti, sia perche' rappresentano la modalita' con cui ella si rapporta con la realta'». Oltre al disturbo schizoaffettivo, la sig.ra M. presenta un disturbo correlato all'uso di sostanze, che ha anche comportato l'insorgenza di danni organici. Il dott. D. osserva che «l'effetto combinato di queste due patologie fa si' che la sig.ra M. non possa mai prendere coscienza della sua malattia» e - con specifico riferimento al periodo in cui e' stata tenuta la condotta oggetto di imputazione - il perito rileva che «in quel periodo, la sig.ra viveva una condizione di «confusione» per l'effetto combinato dell'uso di sostanze e dei disturbi del tono dell'umore e dell'ideazione». Tale condizione - «che non e' possibile far risalire all'uso di sostanze piuttosto che al disturbo psichiatrico» - ha determinato «sia un'alterazione del rapporto con la realta', che soprattutto una compromissione delle sue capacita' di controllare adeguatamente la propria volonta'». Di qui - e valorizzato il fatto che residuava una capacita' di comprendere la gravita' dei propri agiti - il perito conclude ritenendo che la capacita' di intendere e volere dell'imputata fosse, al momento del fatto, grandemente scemata, sebbene non esclusa [cfr. relazione peritale, in particolare, pp. 14-17]. E' solo il caso di aggiungere - in punto di fatto - che il Tribunale ritiene che le caratteristiche concrete del vizio parziale di mente rilevato dal perito abbiano giocato un ruolo concreto nella commissione del delitto per cui si procede. Si e' detto che il vizio di mente che affligge l'imputata si connota per una patologica alterazione dell'umore di tipo prevalentemente disforico, con alterazioni dell'umore «certamente gravi» e tali da influire concretamente sulle modalita' con cui M. C. si rapporta con la realta'. Nel caso in esame, si e' effettivamente verificata una violenta e abnorme reazione - con passaggio all'atto - innescatasi su un banale litigio domestico. A cio' si aggiunga che la dipendenza patologica da sostanze (che si innesta sul disturbo schizoaffettivo di cui si e' detto) costituisce un consistente impulso ad ottenere denaro per supportare il fabbisogno di stupefacenti. Nel caso in esame - con l'abnorme (e patologicamente condizionata) condotta minatoria - l'imputata ha preteso l'elargizione di danaro proprio per soddisfare questo bisogno. 3. La questione e la sua rilevanza nel giudizio a quo Compiendo dunque la valutazione di fatto che rientra nella responsabilita' del giudice comune (e, dunque, di questo Tribunale), si ritiene che - allo stato dell'istruttoria sinora espletata - l'ipotesi d'accusa non sia affatto smentita e si ponga pertanto la concreta eventualita' che l'imputata, all'esito del giudizio, possa essere condannata per il delitto a lei contestato. Parimenti, il Tribunale ritiene che - allo stato degli atti - trovi conferma anche la contestazione relativa agli elementi circostanziali del reato [art. 628, comma 3, n. 1 e n. 3-bis, codice penale]. Come visto, pero', la sig.ra M. si trova in una condizione psico-patologica che giustifica il riconoscimento della diminuente codificata dall'art. 89, codice penale. Al tempo stesso, il comportamento processuale, la complicata situazione sociale dell'imputata e la necessita' di giungere ad una commisurazione della pena coerente con le esigenze di risocializzazione costituzionalmente connesse all'irrogazione della sanzione penale portano il Tribunale a pronosticare la concreta eventualita' che, all'imputata, possano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche. Sennonche' - e qui si viene all'illustrazione della questione di legittimita' costituzionale - nel caso in esame si presentano circostanze di segno eterogeneo, da porre in bilanciamento tra loro. Tuttavia, una delle circostanze aggravanti che dovrebbero entrare nel giudizio di valenza [art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale] e', come noto, un'aggravante cd. privilegiata, in quanto sottratta al bilanciamento, in forza di quanto previsto dall'art. 628, ultimo comma, codice penale: «Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'art. 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantita' della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti». Il che implica che l'effetto delle circostanze attenuanti (artt. 89 e 62-bis, codice penale) potenzialmente in gioco nel giudizio a quo potrebbe avere concreta incidenza sulla determinazione della sanzione solo dopo che la pena base e' stata inasprita per effetto dell'aggravante codice penale privilegiata. Il senso letterale della disposizione dell'art. 628, ultimo comma, codice penale e' estremamente chiaro e non si delineano interpretazioni alternative del dettato normativa rispetto a quella sopra delineata. Il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale (in relazione agli articoli 3, 27, commi 1 e 3, della Costituzione) di tale meccanismo di rilievo privilegiato di talune circostanze aggravanti, quando - nel giudizio di bilanciamento -concorra la circostanza attenuante (inerente la persona del colpevole) codificata dall'art. 89, codice penale. 4. Non manifesta infondatezza della questione La questione qui sollevata riecheggia, evidentemente, recenti arresti della giurisprudenza costituzionale. Come e' noto, la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, ultimo comma, codice penale, «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89, codice penale, sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, codice penale». [sentenza n. 73 del 2020, nel cui solco si colloca poi - con riferimento alla attenuante prevista dall'art. 116, comma 2, codice penale - la sentenza n. 55 del 2021]. Nelle citate decisioni, la Corte costituzionale ha adottato argomenti che rilevano anche nel caso in esame. Fermo il richiamo alla propria giurisprudenza in materia di sindacato sulle scelte discrezionali del legislatore [«sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio»; Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.1.], la Corte costituzionale ha evidenziato che, «il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del reato, da tempo affermato da questa Corte sulla base di una lettura congiunta degli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione (a partire almeno dalla sentenza n. 343 del 1993; in senso conforme, ex multis, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n. 236 del 2016), esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n. 222 del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo piu' o meno rimproverabile». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.2.] Sennonche', il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale nella decisione appena citata introduce nel giudizio di proporzionalita' della risposta sanzionatoria un parametro - per cosi' dire - «ulteriore» rispetto a quelli tradizionalmente implicati in tale valutazione. Se la tradizionale giurisprudenza costituzionale valuta la proporzionalita' della risposta sanzionatoria «al metro» dei parametri costituzionali dettati dagli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella sentenza n. 73 del 2020 si evidenzia come - nel giudizio di proporzionalita' - debba entrare in gioco un ulteriore parametro costituzionale, dettato dall'art. 27, primo comma, della Costituzione (principio della personalita' della responsabilita' penale). Analoghi schemi argomentativi - e analogo rilievo al principio di personalita' della responsabilita' penale scolpito dall'art. 27, primo comma, della Costituzione - sono valorizzati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 55 del 2021 [considerato in diritto n. 8]. Di qui - secondo la giurisprudenza costituzionale - l'incostituzionalita' del divieto assoluto imposto dall'art. 69, ultimo comma, codice penale, di prevalenza della circostanza attenuante prevista dall'art. 89, codice penale, rispetto alla recidiva reiterata: «il divieto in esame d'altra parte comporta una indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di fatti di disvalore essenzialmente diverso, in ragione del diverso grado di rimproverabilita' soggettiva che li connota: con un risultato che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempi ormai risalenti considerato di per se' contrario all'art. 3 della Costituzione (sentenza n. 26 del 1979), prima ancora che alla finalita' rieducativa e all'esigenza di «personalizzazione» della pena». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.3] Come anticipato, in questo giudizio, l'incidenza dell'attenuante di cui all'art. 89, codice penale, e' condizionata dalla ricorrenza dell'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale (ai sensi dell'art. 628, ultimo comma, codice penale). Si pone dunque - in termini analoghi - la questione della legittimita' costituzionale di vincoli al giudizio di bilanciamento. Il Tribunale non ignora la diversita' intercorrente tra il meccanismo derogatorio che qui viene in rilievo e quello originariamente codificato dall'art. 69, ultimo comma, codice penale [e censurato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 73 del 2020 e n. 55 del 2021]. Nell'art. 69, codice penale, la circostanza attenuante - a fronte della recidiva reiterata - non poteva esplicare effetto (se non in termini di «neutralizzazione» della recidiva qualificata); nell'art. 628, ultimo comma, codice penale, invece, l'attenuante di cui all'art. 89, codice penale, puo' concretamente esplicare effetto, sebbene partendo da una dimensione sanzionatoria che e' aggravata «a monte» dalla concorrenza delle circostanze privilegiate. Il Tribunale nemmeno ignora che la Corte costituzionale - con riferimento ad un analogo meccanismo di privilegio dell'incidenza di determinate aggravanti (art. 624-bis, quarto comma, codice penale) - ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale, rilevando (in sintesi): (a) la non irragionevolezza di una scelta discrezionale del legislatore che accordi tutela privilegiata ai luoghi di privata dimora (con conseguente ragionevolezza di una risposta sanzionatoria piu' severa); (b) la diversita' del divieto di bilanciamento sancito dall'art. 624-bis, codice penale, rispetto al meccanismo derogatorio previsto dall'art. 69, ultimo comma, codice penale [«Il divieto di bilanciamento sancito dall'art. 624-bis, quarto comma, codice penale, opera tuttavia in base a un modello differente rispetto a quello della recidiva reiterata, in quanto, se da un lato e' precluso anche il giudizio di equivalenza oltre che di prevalenza, cosi' rafforzandosi il «privilegio» delle aggravanti, dall'altro e' pero' stabilito che le diminuzioni di pena per le attenuanti siano comunque apportate, a valere «sulla quantita' della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti»; Corte costituzionale, sentenza n. 117 del 2021, considerato in diritto 9.3]. Tuttavia, il Tribunale ritiene che gli argomenti spesi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 73 del 2020 conservino la loro valenza anche nel caso qui in esame (pur nella diversita' del meccanismo derogatorio previsto dall'art. 69, ultimo comma, codice penale, rispetto a quello sancito dall'art. 628, quarto comma, codice penale). Nella piu' volte citata sentenza n. 73 del 2020 la Corte costituzionale si e' soffermata sulla ratio che presiede all'introduzione dell'attenuante di cui all'art. 89, codice penale, ricollegandola direttamente al principio di personalita' della responsabilita' penale; in presenza di patologie o disturbi significativi della personalita', come quelli che la scienza medico-forense stima idonei a diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacita' di intendere e di volere, «l'autore puo' si' essere punito per aver commesso un reato che avrebbe pur sempre potuto - secondo la valutazione dell'ordinamento - evitare, attraverso un maggiore sforzo della volonta'; ma al tempo stesso merita una punizione meno severa rispetto a quella applicabile nei confronti di chi si sia determinato a compiere una condotta identica, in condizioni di normalita' psichica». La valorizzazione di questa condizione di «minor rimproverabilita'» per la persona con vizio di mente tale da scemare grandemente la capacita' di intendere e di volere si salda poi - nella lettura della Corte costituzionale - al principio di proporzione (art. 3 e 27, comma 3, della Costituzione) e, come anticipato, al principio di personalita' della responsabilita' penale (art. 27, comma 1, della Costituzione). «Il principio di proporzionalita' della pena desumibile dagli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione esige insomma, in via generale, che al minor grado di rimproverabilita' soggettiva corrisponda una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parita' di disvalore oggettivo del fatto, «in modo da assicurare altresi' che la pena appaia una risposta - oltre che non sproporzionata - il piu' possibile "individualizzata", e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, della Costituzione" (sentenza n. 222 del 2018)». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.2.] «la circostanza attenuante in parola mira ad adeguare il quantum del trattamento sanzionatorio alla significativa riduzione della rimproverabilita' soggettiva dell'agente, ed e' pertanto riconducibile a un connotato di sistema di un diritto penale «costituzionalmente orientato», cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte: giurisprudenza che - dalla sentenza n. 364 del 1988 in poi - individua nella rimproverabilita' soggettiva un presupposto essenziale dell'an dell'imputazione del fatto al suo autore, e conseguentemente dell'applicazione della pena nei suoi confronti». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.3.] Ne discende che la presenza di vincoli rispetto al giudizio di bilanciamento con la circostanza attenuante codificata dall'art. 89, codice penale, rischia di comportare: «una indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di fatti di disvalore essenzialmente diverso, in ragione del diverso grado di rimproverabilita' soggettiva che li connota: con un risultato che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempi ormai risalenti considerato di per se' contrario all'art. 3 della Costituzione (sentenza n. 26 del 1979), prima ancora che alla finalita' rieducativa e all'esigenza di "personalizzazione" della pena». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020. considerato in diritto 4.3.] Il punto che la Consulta valorizza per «segnare» la indebita parificazione tra situazioni diverse e' chiarito nei seguenti termini: «Tale divieto, infatti, non consente al giudice di stabilire, nei confronti del semi-infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravita' oggettiva, ma commesso da una persona che abbia agito in condizioni di normalita' psichica, e pertanto pienamente capace - al momento del fatto - di rispondere all'ammonimento lanciato dall'ordinamento, rinunciando alla commissione del reato. E cio' anche laddove il giudice - come nel caso del giudizio a quo - ritenga che le patologie o i disturbi riscontrati nel reo abbiano inciso a tal punto sulla sua personalita', da rendergli assai piu' difficile la decisione di astenersi dalla commissione di nuovi reati, nonostante l'ammonimento lanciatogli con le precedenti condanne». [Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2020, considerato in diritto 4.3.]. Un analogo vulnus si determina - secondo il Tribunale - con il privilegio attribuito a determinate circostanze aggravanti del delitto di rapina rispetto alla circostanza attenuante prevista dall'art. 89, codice penale. Si verrebbero a parificare situazioni diverse (l'autore di reato che abbia agito in condizioni di normalita' psichica vs. l'autore di reato affetto da vizio parziale di mente), con potenziale contrasto con il dettato dell'art. 3 della Costituzione. Si verrebbe a determinare un inasprimento del regime sanzionatorio, tale da potere comportare l'applicazione di pene potenzialmente sproporzionate rispetto al grado di colpevolezza dell'imputato (con potenziale contrasto dell'art. 628, comma 4, codice penale, rispetto al principio di proporzionalita' della risposta sanzionatoria discendente dagli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione). Si verrebbe a misconoscere - o quantomeno fortemente sottovalutare - la valenza della diminuita rimproverabilita' soggettiva dell'autore di reato semi-imputabile, con sacrificio del principio di personalita' della responsabilita' penale discendente dall'art. 27, comma 1, della Costituzione. Del resto, vi e' un ulteriore argomento che segnala l'intrinseca irragionevolezza del meccanismo di privilegio di determinate aggravanti cosi' come e' oggi codificato dall'art. 628, comma 4, codice penale. Come emerge dal dato testuale, il meccanismo derogatorio alle ordinarie regole di bilanciamento non e' destinato ad operare nel caso in cui - con le aggravanti privilegiate - concorra la circostanza attenuante prevista dall'art. 98, codice penale. () Il mantenimento della piena operativita' del giudizio di bilanciamento in presenza dell'attenuante prevista dall'art. 98, codice penale, e' frutto di un emendamento (AC 2180, emendamento 16.1) proposto dai relatori in sede di esame in Commissione referente, alla Camera dei deputati, alla seduta del 28 aprile 2009; dalla verbalizzazione sintetica di quella seduta (reperibile sul sito istituzionale della Camera dei deputati) non emerge pero' l'esplicitazione delle ragioni di tale proposta di emendamento (successivamente recepita nel cd. maxi - emendamento poi proposto dal Governo). Analoga assenza di esplicitazione della ratio emerge dalla lettura della relazione svolta in assemblea alla seduta del 30 aprile 2009 (pag. 62 del verbale di seduta). E' vero che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha rilevato «la diversita' di situazioni che intercorre tra seminfermita' mentale e minore eta'» [Corte costituzionale, sentenza n. 120 del 1977, considerato in diritto n. 2, in relazione all'istituto del perdono giudiziale]. Nondimeno e' innegabile - come rilevato in dottrina - che la diminuzione di pena prevista dall'art. 98, comma 1, codice penale, si ancora ad una valutazione del legislatore che - in una piu' marcata prospettiva rieducativa e di personalizzazione della risposta sanzionatoria - tiene conto del minor grado di rimproverabilita' riscontrabile in chi (il minore imputabile) non ha ancora maturato un livello di capacita' intellettive, volitive ed affettive tali da consentirgli una capacita' di autodeterminazione paragonabile alle persone adulte e pienamente capaci. Tant'e' che - in giurisprudenza - si e' ritenuta «l'obbligatorieta' della riduzione della pena» codificata dall'art. 98, codice penale [sez. 4, sentenza n. 10134 del 20 ottobre 2020 Ud. (dep. 16 marzo 2021) Rv. 281132 - 01; sez. 3, sentenza n. 33004 del 7 aprile 2015 Ud. (dep. 28 luglio 2015) Rv. 264193 - 0; sez. 3, sentenza n. 42105 dell'11 ottobre 2007 Ud. (dep. 15 novembre 2007) Rv. 238261 - 0]. E certo non casualmente, la circostanza attenuante codificata dall'art. 98, codice penale, trova collocazione sistematica nello stesso capo I del titolo IV del libro I del codice penale ove trova sede l'art. 89, codice penale. E altrettanto non casualmente, la diminuzione di pena prevista dall'art. 98 e dall'art. 89, codice penale, e' identica. Tuttavia, l'art. 628, comma 4, codice penale «consente» la piena possibilita' di incidere nel giudizio di bilanciamento in presenza della circostanza attenuante inerente la persona del colpevole codificata dall'art. 98, codice penale (tra le cui ratio - come si e' visto - e' identificabile la valutazione di minore rimproverabilita'). Viceversa, e' previsto che una, per molti versi analoga, circostanza attenuante inerente la persona dell'autore di reato (art. 89, codice penale) sia destinata a soccombere (ed operare solo dopo l'inasprimento di pena determinato dalle aggravanti privilegiate). In questa prospettiva, la scelta del legislatore del 2009 di differenziare, all'ultimo comma dell'art. 628, codice penale, il trattamento dei casi riconducibili agli articoli 89 e 98, codice penale, appare irragionevole e in frizione con l'art. 3 della Costituzione. Di qui la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. 5. La questione di legittimita' costituzionale In conclusione: il Tribunale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa al contrasto tra gli articoli 3, 27, commi 1 e 3, della Costituzione e la previsione dell'art. 628, comma 4, codice penale, per cui - per il delitto di rapina aggravata ai sensi dell'art. 628 comma 3, n. 3-bis, codice penale - la diminuzione di pena prevista dall'art. 89, codice penale, possa operare solo sulla quantita' di pena risultante dall'aumento conseguente alla aggravante privilegiata. Non si danno interpretazioni del testo della legge capaci di risolvere sul piano ermeneutico il contrasto rilevato. Alla luce delle ragioni che precedono, il Tribunale - dovendo applicare una pena alla cui determinazione concorrono l'aggravante privilegiata (art. 628, comma 3, n. 3-bis, codice penale) e l'attenuante del cd. vizio parziale di mente (art. 89, codice penale) [ed essendo dunque la quesitone rilevante nel giudizio a quo] - ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 628, ultimo comma, del codice penale, «nella parte in cui prevede il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89, codice penale, sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3-bis della medesima disposizione di legge». Per tale ragione, il processo deve essere sospeso e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953 n. 87 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 628, ultimo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89, codice penale, sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3-bis della medesima disposizione di legge. Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai sigg.ri Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Comunicato a pubblico ministero e difensore in udienza. Si notifichi all'imputato presso il domicilio eletto. Dispone che la cancelleria trasmetta alla Corte costituzionale gli atti del presente giudizio, con la prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni. Torino, 7 luglio 2022 Il Presidente: Bompieri Il giudice est.: Natale