N. 124 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 maggio 2022

Ordinanza del 17 maggio 2022 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Rossi  Andrea  contro  Ministero
dell'interno e INPS - Istituto nazionale di previdenza sociale. 
 
Previdenza  -  Impiego  pubblico  -  Trattamenti  di  fine  servizio,
  comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal  servizio
  per raggiungimento dei limiti di  eta'  -  Prevista  corresponsione
  decorsi dodici mesi dalla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  -
  Riconoscimento   del   trattamento   secondo   un   meccanismo   di
  rateizzazione   annuale,   differentemente   articolato   in   base
  all'ammontare complessivo della prestazione. 
- Decreto-legge  28  marzo  1997,  n.  79  (Misure  urgenti  per   il
  riequilibrio   della    finanza    pubblica),    convertito,    con
  modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, art. 3, comma 2;
  decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 12, comma 7. 
(GU n.44 del 2-11-2022 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                       (Sezione Terza Quater) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10308  del  2021,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da Andrea  Rossi,  rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati
Claudia Zhara Buda, Massimo Zhara Buda, con domicilio  digitale  come
da PEC da Registri di giustizia; 
    Contro: 
        Ministero dell'interno, in persona del legale  rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, domiciliataria ex lege in Roma - via dei Portoghesi, 12; 
        INPS - Istituto nazionale di previdenza sociale,  in  persona
del  legale  rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e   difeso
dall'avv. Flavia Incletolli, con domicilio digitale come  da  PEC  da
Registri di giustizia; 
    Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
        per il riconoscimento del diritto del ricorrente a  percepire
il  TFS  senza  dilazioni  e  senza  rateizzazione  e  condanna   dei
resistenti a liquidare e a  corrispondere  senza  dilazione  l'intero
importo dovuto oltre interessi e rivalutazione; 
    Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Rossi  Andrea
il 22 dicembre 2021: 
        per l'annullamento del provvedimento denominato «Prospetto di
liquidazione» atto n. 25913 del 19 luglio 2021, nella  parte  in  cui
prevede un pagamento rateale, senza indicare i tempi di pagamento. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'interno e dell'INPS; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  15  marzo  2022  la
dott.ssa Claudia Lattanzi e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale. 
1. I fatti di causa. 
    Il ricorrente, gia' Dirigente della Polizia di Stato, cessato dal
servizio per raggiunti limiti di eta' il 1° aprile 2020,  ha  chiesto
che venisse accertato il suo diritto a percepire  il  trattamento  di
fine servizio senza dilazioni e senza rateizzazioni e ha  chiesto  la
condanna del Ministero resistente e dell'INPS, «il primo a  liquidare
e comunicare e il secondo a corrispondere  senza  dilazioni  e  senza
rateizzazioni il trattamento di fine servizio dovuto» e ha chiesto la
condanna dell'amministrazione resistente al risarcimento del danno da
ritardato pagamento. 
    In particolare, il ricorrente ha dedotto in fatto: 
        che,  dall'area  riservata  del  sito  dell'INPS,  ha  potuto
visualizzare,  alla  voce  «Servizi  Online  TFS»  un  importo  lordo
complessivo di euro 192.504,43 e netto di  euro  151.722,00,  con  la
specificazione che «il calcolo fornito e' puramente  indicativo,  non
ha pertanto alcun valore di  certificazione  e  non  costituisce  per
l'Istituto  alcun  impegno  ai   fini   dell'erogazione   ...»,   con
l'ulteriore specificazione  che  «in  caso  di  importo  lordo  della
prestazione superiore ad euro  50.000,00  il  pagamento  e'  rateale,
secondo quanto previsto dall'art. 1, comma  484,  legge  n.  147/2013
...»; 
        che ha ricevuto, solo il 27 luglio 2021, una prima tranche di
euro 43.252,29 (probabilmente euro 50.000,00 lordi) con  la  seguente
causale: «Pagamento TFS Rata 1», ma  che  nulla  e'  dato  sapere  in
ordine ai successivi pagamenti. 
    Il ricorrente, nel motivare in ordine  alla  propria  pretesa  di
vedersi riconosciuto il trattamento di  fine  servizio,  ha  rilevato
l'illegittimita' costituzionale delle norme  che  hanno  disposto  la
rateizzazione di quest'ultimo. 
    L'INPS ha eccepito il difetto di competenza di questo Tribunale e
l'inammissibilita' della domanda in quanto, cosi' come formulata,  si
risolve nella richiesta di annullamento di un provvedimento di  rango
formalmente legislativo, che esula  dalle  attribuzioni  del  giudice
amministrativo. 
    L'INPS ha, poi, dedotto l'infondatezza della domanda, perche'  le
modalita' di pagamento  adottate  sarebbero  pienamente  conformi  al
dettato normativo. 
    In data 11 novembre 2021, il ricorrente ha inviato  all'INPS  una
formale diffida e messa in mora, ai sensi dell'art.  25  del  decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n.  3,  al  fine  di
rendere disponibile e a corrispondere immediatamente e  integralmente
al ricorrente il trattamento di fine servizio. 
    L'INPS, il 12 novembre  2021,  ha  notificato  il  «prospetto  di
liquidazione» dal quale si evince che il pagamento  avverra'  in  tre
rate delle quali la prima corrisponde all'importo pagatogli a  luglio
2021, mentre per le altre non vi e' alcuna indicazione. 
    Avverso questo provvedimento, il ricorrente, ha  proposto  motivi
aggiunti riproponendo le  stesse  censure  avanzate  con  il  ricorso
originario. 
    Alla pubblica udienza del 15  marzo  2022  il  ricorso  e'  stato
trattenuto in decisione. 
1. - Sul dedotto difetto di competenza. 
    E' anzitutto infondata l'eccezione di incompetenza per territorio
di questo Tribunale, in  quanto  la  regola  del  foro  del  pubblico
impiego deve essere letta in ragione dello scopo  che,  per  opinione
comune, e' quello di  render  piu'  agevole  ai  dipendenti  pubblici
l'accesso alla tutela giurisdizionale. 
    In particolare, la sentenza dell'Adunanza plenaria del  Consiglio
di Stato n. 4/1980, ha ritenuto  che  «nel  sistema  delineato  dalla
legge n. 1034  del  1971,  istitutiva  del  Tribunale  amministrativo
regionale (artt. 2 e 3) la competenza di cui al comma 3  dell'art.  3
(identica alla regula juris di cui  al  secondo  comma  dell'art.  13
c.p.a.)  ha  natura  generale,  ma  residuale,  nel  senso  che  essa
ricomprende tutti i casi di impugnativa  di  atti  emessi  da  organi
centrali dello Stato (o di enti pubblici a carattere  ultraregionale)
che non ricadano nel foro dell'efficacia territoriale  dell'atto,  o,
rispettivamente, in quello della sede di ufficio; ne consegue che  la
competenza a decidere dell'impugnativa di un atto  -  attributivo  di
pretese patrimoniali in capo al ricorrente  -  emesso  da  un  organo
centrale dello  Stato  in  relazione  ad  un  pregresso  rapporto  di
pubblico impiego alle dipendenze dello Stato stesso si determina  non
gia' con riferimento al cit. comma 3, sibbene con riferimento al foro
dell'efficacia territoriale dell'atto, individuato dal comma 2  dello
stesso  art.  3,  cio'  in  quanto  gli  effetti  dell'atto,  essendo
necessariamente riferiti ad un determinato soggetto,  acquistano  per
effetto  della   soggettivizzazione   una   ben   chiara   dimensione
territoriale: pertanto la competenza  non  spetta  ne'  al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio,  ne'  della  sede  del  pregresso
rapporto  di  servizio,  bensi'   alla   competenza   del   Tribunale
amministrativo regionale del luogo di residenza dell'ex impiegato». 
    Poste  queste  considerazioni,  deve  ritenersi   la   competenza
territoriale  di  questo  Tribunale,   in   quanto   entro   la   sua
circoscrizione ricade tanto il luogo di residenza del ricorrente. 
3. - Sull'eccezione di inammissibilita' del ricorso. 
    Parimenti  infondata  e'  l'eccezione  di  inammissibilita'   per
impugnazione diretta delle norme ritenute incostituzionali. 
    In realta', il ricorrente ha chiesto l'accertamento  del  proprio
diritto a ottenere il pagamento immediato e integrale del trattamento
di fine servizio,  impugnando,  tra  l'altro,  l'atto  relativo  alla
liquidazione del proprio TFS, e, al fine  di  dimostrare  le  proprie
pretese,  ha  dedotto  in   ordine   alla   ritenuta   illegittimita'
costituzionale delle norme che ne disciplinano la corresponsione. 
4. - La rilevanza della questione. 
    Le disposizioni della cui compatibilita' con la  Costituzione  si
dubita  stabiliscono  che  «1.  Il  trattamento   pensionistico   dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art.  1,  comma
2, del decreto legislativo  3  febbraio  1993,  n.  29  e  successive
modificazioni, compresi quelli di cui ai commi  4  e  5  dell'art.  2
dello stesso decreto legislativo, e' corrisposto  in  via  definitiva
entro il mese successivo alla cessazione dal servizio. In  ogni  caso
l'ente erogatore, entro la predetta data, provvede a corrispondere in
via provvisoria un trattamento non  inferiore  al  90  per  cento  di
quello previsto,  fatte  salve  le  disposizioni  eventualmente  piu'
favorevoli. 
    2. Alla liquidazione dei trattamenti di fine  servizio,  comunque
denominati, per i dipendenti di cui al comma  1,  loro  superstiti  o
aventi causa, che ne hanno titolo, l'ente erogatore provvede  decorsi
ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi
di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di eta' o di
servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento
a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianita' massima
di  servizio  prevista  dalle  norme  di  legge  o   di   regolamento
applicabili   nell'amministrazione,   decorsi   dodici   mesi   dalla
cessazione del rapporto di lavoro. Alla  corresponsione  agli  aventi
diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i  quali
sono dovuti gli interessi» (art. 3, decreto-legge n. 79/1997). 
    «7. A titolo di concorso al  consolidamento  dei  conti  pubblici
attraverso il contenimento della dinamica della  spesa  corrente  nel
rispetto   degli   obiettivi    di    finanza    pubblica    previsti
dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita, dalla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, con  riferimento  ai
dipendenti   delle   amministrazioni   pubbliche   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3
dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n.  196  il  riconoscimento
dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita'  premio  di  servizio,
del  trattamento  di  fine  rapporto  e  di  ogni  altra   indennita'
equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata  spettante  a
seguito  di  cessazione  a  vario  titolo»   (art.   12,   comma   7,
decreto-legge n. 78/2010). 
    Le norme in questione, per la loro  chiarezza  testuale,  non  si
prestano a interpretazioni adeguatrici, comportando  il  rigetto  del
ricorso con conseguente dilazione del  termine  del  pagamento  delle
somme spettanti al pubblico dipendente per effetto  della  cessazione
del rapporto di servizio. 
    E'  opinione  del  Tribunale  amministrativo  regionale  che  sia
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 2,  del  decreto-legge  28  marzo
1997, n. 79, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  28  maggio
1997, n. 140 e dell'art. 12, comma 7,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, per contrasto con l'art. 36 della Costituzione. 
5. - La non manifesta infondatezza della questione. 
    Il dubbio di incompatibilita' tra  gli  artt.  3,  comma  2,  del
decreto-legge n. 79/1997 e 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010,
e  l'art.  36  della  Costituzione  e'  alimentato  dall'esame  della
giurisprudenza della Corte costituzionale, con  particolare  riguardo
alla sentenza n. 159 del  25  giugno  2019,  che,  nel  ritenere  non
fondate le eccezioni  di  incostituzionalita'  degli  articoli  sopra
detti con particolare riguardo ai lavoratori che non hanno  raggiunto
i limiti  di  eta'  o  di  servizio  previsti  dagli  ordinamenti  di
appartenenza, ha ritenuto che «La disciplina che ha  progressivamente
dilatato  i  tempi  di  erogazione  delle  prestazioni  dovute   alla
cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte  temporale
definito e la iniziale connessione con il  consolidamento  dei  conti
pubblici che l'aveva giustificata.  Con  particolare  riferimento  ai
casi in cui sono raggiunti i limiti di eta' e di servizio, la duplice
funzione  retributiva  e  previdenziale  delle  indennita'  di   fine
rapporto,  conquistate  "attraverso  la  prestazione   dell'attivita'
lavorativa e come frutto di essa" (sentenza n. 106  del  1996,  punto
2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere  compromessa,  in
contrasto con i principi costituzionali che, nel garantire la  giusta
retribuzione, anche differita, tutelano  la  dignita'  della  persona
umana». 
    Secondo la giurisprudenza  della  Corte  le  indennita'  di  fine
rapporto «costituiscono parte  del  compenso  dovuto  per  il  lavoro
prestato, la cui corresponsione viene differita - appunto in funzione
previdenziale -  onde  agevolare  il  superamento  delle  difficolta'
economiche che possono insorgere nel momento in  cui  viene  meno  la
retribuzione»  (sentenza  n.  458/2005),  ritenendosi,  in  sostanza,
l'essenziale  natura  di  retribuzione  differita  collegata  a   una
concorrente funzione previdenziale (cfr. sentenza n. 438/2005). 
    L'art. 36 della  Costituzione  statuisce  che  il  lavoratore  ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualita'  e  quantita'
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare e  a  se'  ed
alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. 
    La retribuzione, pertanto, da una parte, non deve mai perdere  il
suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e,  dall'altro,
deve essere adeguata  e  sufficiente  ai  sensi  dell'art.  36  della
Costituzione,  avendo  a  riguardo  non  solo  alla   entita'   della
retribuzione, ma anche alla tempestivita' della sua corresponsione. 
    E' infatti evidente che una retribuzione  corrisposta  con  ampio
ritardo  ha  per  il  lavoratore  una  utilita'  inferiore  a  quella
corrisposta tempestivamente. 
    Proprio il carattere di retribuzione differita riconosciuta  alle
indennita' di fine rapporto, comporta la necessita' che anche  queste
ultime debbano  essere  corrisposte  tempestivamente  e  non  possano
essere diluite strutturalmente oltre la  fuoriuscita  dal  mondo  del
lavoro. 
    Cio' a maggior ragione se  si  considera  che,  notoriamente,  il
lavoratore, sia pubblico che privato, specie se in eta' avanzata,  in
molti casi si propone - proprio attraverso  l'integrale  e  immediata
percezione di detto trattamento - di recuperare una somma gia'  spesa
o in via di erogazione per le principali necessita' di  vita,  ovvero
di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni  finanziari
gia' assunti, magari da tempo. 
    E' poi da ricordare che la  Corte  ha  piu'  volte  affermato  il
principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare
lo scrutinio  di  costituzionalita',  non  puo'  riguardare  un  arco
temporale indefinito,  ma  deve  essere  giustificato  da  una  crisi
contingente e deve atteggiarsi quale misura una tantum  (sentenze  n.
178 del 2015 e n. 173 del 2016). 
    La misura in questione, al contrario, pur legata a una situazione
di crisi contingente non ha una durata prestabilita, ma ha assunto un
carattere strutturale. 
    Infatti, l'art. 3 del decreto-legge n. 79 del  1997  ha  previsto
dapprima un termine minimo di sei  mesi  per  la  liquidazione  delle
indennita' di fine servizio. Termine che l'art. 1, comma 22,  lettera
a), del decreto-legge n. 138 del 2011 ha fissato in sei mesi  per  il
solo caso di pensionamento di vecchiaia e ha innalzato a ventiquattro
mesi per l'ipotesi di un pensionamento di anzianita'. 
    Il termine di sei mesi, sancito per i pensionamenti di vecchiaia,
e' stato innalzato a dodici mesi dall'art. 1, comma 484, lettera  b),
della legge n. 147 del 2013, mentre resta immutato il termine  minimo
di ventiquattro mesi per le indennita' di fine  servizio  corrisposte
per il caso di pensionamenti anticipati. Vige poi sempre un ulteriore
termine di tre mesi  per  l'effettiva  erogazione:  solo  quando  sia
decorso  infruttuosamente  tale  ultimo  termine,  sono  dovuti   gli
interessi. 
    L'art.  12,  comma  7,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010  ha
introdotto un meccanismo di rateizzazione, articolato secondo  soglie
piu' elevate rispetto a quelle oggi vigenti (una rata annuale per  le
indennita' di fine servizio fino a 90.000,00 euro; due  rate  annuali
per le indennita' oltre i 90.000,00 e fino ai  150.000,00;  tre  rate
annuali per le indennita' pari o superiori a 150.000,00 euro). 
    L'art. 1, comma 484, lettera a), della legge n. 147 del  2013  ha
previsto, per il meccanismo  della  rateizzazione,  reso  cosi'  piu'
capillare, soglie piu' contenute: una rata annuale per le  indennita'
fino a 50.000,00 euro; due rate annuali oltre i 50.000,00 e  fino  ai
100.000,00 euro; tre rate annuali per le indennita' di importo che e'
pari o superiore ai 100.000,00 euro. 
    Con la legge di stabilita' per il 2014, con l'art. 1, comma  484,
in  sostanza,  si  e'  aggravato  il  sacrificio   imposto   con   il
differimento gia' stabilito nel 1997,  ampliando  a  dodici  mesi  il
termine minimo per la liquidazione delle indennita' di fine  servizio
e prevedendo un meccanismo di rateizzazione che penalizza oltremodo i
beneficiari  dei  trattamenti  in  esame,  perche'  e'  piu'  gravoso
rispetto a quello stabilito dal decreto-legge n. 78  del  2010  nella
sua originaria versione. 
    Poste tali premesse, si puo' ritenere che  la  previsione  di  un
pagamento rateale comprima in maniera irragionevole e  sproporzionata
i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell'art.  36  della
Costituzione, non essendo sorretta dal carattere contingente,  ma  al
contrario avendo carattere strutturale. 
6. - Conclusioni. 
    Il giudizio presente va  quindi  sospeso,  con  trasmissione,  ai
sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, degli atti  alla
Corte   costituzionale,   affinche'   decida   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  che,   con   la   presente   ordinanza,
incidentalmente si pone. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza
Quater) sospende il giudizio e, ai sensi dell'art. 23 della legge  11
marzo 1953, n. 87, dispone la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  affinche'  si  pronunci   sulla   rilevante   e   non
manifestamente infondata  questione  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997 e 12,  comma  7,
del decreto-legge n. 78/2010,  per  contrasto  con  l'art.  36  della
Costituzione. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  15
marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: 
        Maria Cristina Quiligotti, Presidente; 
        Claudia Lattanzi, consigliere, estensore; 
        Francesca Ferrazzoli, referendario. 
 
                      Il Presidente: Quiligotti 
 
 
                                                L'estensore: Lattanzi