N. 125 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 settembre 2022
Ordinanza del 19 settembre 2022 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da DIRER Campania contro Regione Campania. Regioni - Giunta regionale - Norme della Regione Campania - Previsione che la Giunta regionale e' autorizzata a disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, in attuazione dei principi dell'attivita' amministrativa e di organizzazione posti dallo Statuto regionale e in osservanza dei criteri generali elencati dall'art. 2, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2010. - Legge della Regione Campania 6 agosto 2020 (recte: 2010), n. 8 (Norme per garantire l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale), art. 2, comma 1.(GU n.44 del 2-11-2022 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione quinta) Ha pronunciato la presente Ordinanza sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4412 del 2015, proposto da Direr Campania, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Carmine Medici, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazzale Clodio n. 18; Contro Regione Campania, in persona del Presidente della Regione in carica rappresentata e difesa dagli avvocati Almerina Bove, Maria D'Elia e Tiziana Monti, con domicilio eletto presso l'ufficio di rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli n. 29; Per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione prima) n. 05407/2014, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; F a t t o 1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania Direr Campania, associazione sindacale che rappresenta gli interessi dei quadri direttivi e dei dirigenti regionali, impugnava il regolamento avente ad oggetto «Ordinamento amministrativo della Giunta regionale» approvato dalla Giunta regionale con delibera del 29 ottobre 2011, n. 612 ed emanato dal Presidente della Giunta regionale con atto del 15 dicembre 2011, n. 12 (entrambi pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania del 16 dicembre 2011, n. 77) e gli atti allo stesso presupposti (precisamente: la delibera della Giunta regionale del 9 agosto 2011, n. 432, il parere dell'Ufficio legislativo del 29 ottobre 2011, prot. n. 14760/UDCP7GAB7UL, la nota del medesimo ufficio del 15 dicembre 2011, prot. n. 17242/UDCP7GAB7UL, nonche' le osservazioni formulate dalla commissione consiliare permanente competente per materia). 1.1. Con motivi aggiunti la ricorrente estendeva la sua impugnazione alle delibere della Giunta regionale del 10 settembre 2012, nn. 475, 478 e 479, con le quali erano, rispettivamente, apportate integrazioni e modifiche al regolamento impugnato con il ricorso principale, definite le strutture ordinamentali della Giunta regionale in attuazione delle disposizioni regolamentari, ed infine, approvato il disciplinare per il conferimento degli incarichi dirigenziali, poi sostituito da un nuovo disciplinare approvato con delibera giuntale del 13 novembre 2012, n. 661, anch'essa impugnata con motivi aggiunti. 1.2. Il ricorso era articolato in sei motivi; in due di essi erano sollevate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, legge regionale 6 agosto 2010, n. 8, (Norme per garantire l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione della Giunta regionale e delle nomine di competenza del Consiglio regionale), di autorizzazione della Giunta regionale a disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo. 1.3. Due i profili di illegittimita' costituzionale rilevati dalla ricorrente. Per un primo profilo, la norma era detta in contrasto con gli articoli 121, comma 4 e 123, comma 1 della Costituzione per violazione dell'interposto art. 56, comma 2, dello statuto regionale, avendo previsto un procedimento per l'approvazione del regolamento divergente da quello disciplinato in sede statutaria: l'art. 56, comma 2, dello statuto regionale imponeva l'approvazione dei regolamenti da parte dal consiglio regionale e l'emanazione del Presidente della Giunta, previa deliberazione di quest'ultima («1. I regolamenti sono emanati dal Presidente della Giunta regionale, previa deliberazione della Giunta. 2. I regolamenti sono sottoposti all'approvazione del Consiglio che deve provvedere entro sessanta giorni dalla loro trasmissione al Presidente del Consiglio. Se, decorso tale termine, il Consiglio non si e' pronunciato, i regolamenti sono emanati e pubblicati.»), la legge regionale contestata aveva previsto che fosse acquisito il parere obbligatorio ma non vincolante della commissione consiliare permanente, senza approvazione da parte del Consiglio («1. La Giunta regionale e' autorizzata a disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, in attuazione dei principi dell'attivita' amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali (...)»). 1.4. Da altro punto di vista, la ricorrente sosteneva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, legge regionale n. 8 del 2010 per contrasto con l'art. 123 della Costituzione in ragione della violazione dell'interposto art. 56, comma 4, dello statuto regionale: a fronte dell'obbligo imposto dalla disposizione statutaria - in caso di adozione di legge regionale di autorizzazione della Giunta ad emanare regolamenti in materie gia' disciplinate con legge, rientranti nella competenza esclusiva della regione - di determinare le «norme generali regolatrici della materia», con conseguente abrogazione delle norme legislative vigenti a far data dall'entrata in vigore delle norme regolamentari, il legislatore regionale s'era limitato a richiamare i principi generali dell'azione amministrativa, senza dare indicazioni in merito al modello organizzativo prescelto cui la Giunta avrebbe dovuto dare attuazione con le disposizioni regolamentari. 1.5. Entrambi i profili di illegittimita' costituzionale erano giudicati infondati dal Tar adito nella sentenza della prima sezione del 22 ottobre 2014, n. 5407. Quanto al primo, perche' l'art. 56 dello statuto regionale, dopo aver disciplinato nei primi tre commi il procedimento per l'adozione dei regolamenti regionali, nel quarto comma aveva previsto un procedimento specifico per l'adozione dei regolamenti delegati, da emanarsi da parte della Giunta regionale senza preventiva approvazione del Consiglio regionale («4. Nelle materie di competenza esclusiva della regione la legge regionale puo' autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie gia' disciplinate con legge. In tal caso la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l'abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data dell'entrata in vigore delle norme regolamentari.»), giustificato dal punto di vista logico - sistematico poiche' non avrebbe avuto alcun senso sottoporre all'approvazione del Consiglio un testo regolamentare afferente materia rispetto alla quale lo stesso Consiglio, mediante la legge di autorizzazione, s'era spogliato della sua potesta' normativa delegandola interamente alla Giunta. In definitiva, la legge regionale, avendo autorizzato la Giunta ad adottare il regolamento, non poteva ritenersi in contrasto con l'art. 56 dello statuto regionale. D'altra parte, neppure s'era sottratto il legislatore regionale all'obbligo imposto dalla statuto di indicare al legislatore delegato «le norme regolatrici della materia», in quanto i riferimenti normativi contenuti nell'art. 2, comma 1, letti nel complesso ed in connessione tra loro, non erano solo dei meri principi, ma norme generali sufficientemente indicative delle direttrici cui era tenuto ad ispirarsi nella definizione del nuovo ordinamento amministrativo della Giunta. 1.6. Il Tar respingeva integralmente il ricorso e i motivi aggiunti poiche' riteneva infondati anche tutti gli altri motivi di ricorso proposti dalla Direr Campania. 2. Direr Campania ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado contestando nei primi due motivi la reiezione delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate nel ricorso. 2.1. In particolare, replica agli argomenti utilizzati dal Tar per dire infondata la violazione dell'art. 56, comma 2, dello statuto con l'unicita' del procedimento statutario per l'approvazione dei regolamenti regionali valido per qualsiasi tipologia di regolamento, compresi quelli delegati; dice non convincente l'argomento logico - sistematico poiche' il legislatore regionale (id est, il Consiglio regionale) non poteva affatto spogliarsi della sua potesta' legislativa e dovendo l'esercizio del potere normativo secondario trovare sempre la sua fonte nella legge di autorizzazione, la quale, pero', non puo' derogare alle disposizioni sulle norme statutarie di produzione dei regolamenti. Da questo punto di vista, l'appellante rammenta che, come si legge nelle sentenze della Corte costituzionale 21 ottobre 2003, n. 313 e 29 ottobre 2003, n. 32, l'art. 121 della Costituzione va interpretato nel senso che spetta alla regione stabilire l'allocazione della potesta' normativa secondaria nell'esercizio della propria autonomia statutaria e la scelta compiuta dalla Regione Campania e' stata nel senso che i regolamenti, di qualunque tipologia, siano deliberati dalla Giunta regionale e, poi, approvati dal Consiglio, e solo a seguito dell'approvazione, anche in forma tacita, emanati dal Presidente della Giunta. L'approvazione del Consiglio costituisce una forma di controllo delle scelte operate dalla Giunta nella deliberazione del regolamento, che non puo' mancare specialmente nel caso di regolamento delegato. 2.2. Relativamente alla seconda questione di legittimita' costituzionale l'appellante esprime il proprio dissenso rispetto al ragionamento svolto dal giudice di primo grado in questi termini: la legge di autorizzazione all'emanazione di un regolamento delegato in materia di ordinamento amministrativo della Giunta regionale, per dar compimento alla prescrizione statutaria di determinazione delle «norme generali della materia», avrebbe dovuto esprimere la preferenza del legislatore per uno dei due modelli organizzativi astrattamente possibili, quello di tipo verticale, tipico degli apparati ministeriali, e quello di tipo orizzontale, costituito dalle aree generali di coordinamento, suddivise al loro interno in settori e servizi, proprio della generalita' degli enti territoriali; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, i principi richiamati nella norma di autorizzazione non esprimevano affatto una scelta per l'uno o per l'altro, trattandosi di principi generali dell'azione amministrativa validi in ogni caso, ne' elementi decisivi potevano trarsi dal rinvio ai «principi dell'attivita' amministrativa e di organizzazione di cui al titolo IX dello statuto regionale» (quali: 1) la sottoposizione dell'attivita' amministrativa al controllo di gestione ed agli strumenti di valutazione del rendimento (art. 64); 2) la separazione tra politica ed amministrazione, con attribuzione agli organi di direzione politica delle funzioni di indirizzo politico - amministrativo ed ai dirigenti dell'attivita' gestionale e di quella provvedimentale non rientrante nelle suddette funzioni (art. 65); 3) l'accesso agli uffici regionali per pubblico concorso, salvi i casi previsti dalla legge (art. 67); 4) l'appartenenza dei dirigenti della Giunta regionale ad un ruolo unico (art. 67); 5) l'attribuzione ai dirigenti, in relazione agli incarichi affidati, di differenti competenze e responsabilita' (art. 67)), poiche' si tratta di principi cui deve conformarsi in generale l'organizzazione dei pubblici uffici a prescindere da quale sia il modello organizzativo prescelto, onde il richiamo ad essi non e' certamente espressivo di una scelta capace di indirizzare la potesta' regolamentare; il modello organizzativo, pertanto, si puo' dire sia rimasto del tutto indefinito e sostanzialmente rimesso ad una libera scelta della Giunta regionale. 2.3. Negli altri motivi di appello e' esposta la critica alle ragioni poste a fondamento della reiezione degli altri motivi del ricorso introduttivo del giudizio. 2.4. Si e' costituita la Regione Campania che ha concluso per la reiezione dell'appello. All'udienza pubblica del 9 giugno 2022 la causa e' stata trattenuta in decisione. Diritto 3. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 2, legge regionale Campania 6 agosto 2010, n. 8 per contrasto con l'art. 123 della Costituzione per violazione dell'interposto art. 56, comma 4, dello statuto regionale, nonche' per contrasto con gli articoli 121 e 97 della Costituzione. I. Sull'ammissibilita' del ricorso proposto dalla Dider Campania. 3.1. Preliminarmente, va esaminata la legittimazione a ricorrere dell'odierna appellante; l'eccezione era stata sollevata dalla Regione Campania in primo grado, rimasta assorbita dal rigetto del ricorso, non e' stata riproposta, ma la questione puo' essere, comunque, esaminata d'ufficio in sede d'appello (cfr. Cons. Stato, sez. II, 14 marzo 2022, n. 1791). 3.2. L'associazione sindacale ricorrente lamenta la lesione di prerogative tipiche della categoria dei dipendenti pubblici suoi iscritti, i dirigenti della regione, poiche' prospetta l'avvenuta determinazione per via regolamentare di un assetto ordinamentale della Giunta che riconduce l'esercizio di ogni potere di amministrazione attiva alle dirette dipendenze degli organi politici e, segnatamente, del Presidente della regione. E, ai fini che qui interessano, deduce che cio' sia avvenuto, in primo luogo, per i vizi di legittimita' costituzionale da cui era affetto l'art. 2, legge regionale Campania 6 agosto 2010, n. 8. 3.3. Cio' vale a fondare la legittimazione a ricorrere dell'associazione sindacale, quale ente esponenziale della categoria dei dirigenti regionali. L'associazione agisce in giudizio a tutela dell'interesse collettivo del quale ha assunto la titolarita' per coincidenza tra la tutela delle prerogative dirigenziali e lo scopo statutario, in disparte ogni profilo relativo alla concreta rappresentativita' della specifica associazione sindacale. Poiche' la lesione prospettata e' avvertita contestualmente e in maniera omogenea dall'intera categoria dei dirigenti, senza che sia possibile identificare posizioni diversificate tra gli iscritti che diano luogo a conflitti interni, sussiste la legittimazione a ricorrere per rimuovere il pregiudizio subito dall'interesse collettivo (la giurisprudenza amministrativa si e' pronunciata in piu' occasioni in questi termini: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2021, n. 1616; III, 25 marzo 2013, n. 1654; VI, 6 dicembre 2012, n. 6261). II. Sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'. 4. La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante per la decisione del presente giudizio; il suo accoglimento avrebbe l'effetto di eliminare il presupposto normativo sulla base del quale e' stato adottato il regolamento impugnato (cosi' come avvenuto a seguito di Corte costituzionale 23 novembre 2021, n. 218). 5. Di seguito le ragioni di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata dall'appellante. 5.1. L'art. 56 (Potesta' regolamentare), comma 4, dello statuto regionale della Campania (adottato con legge regionale 28 maggio 2009, n. 6), prevede che: «Nelle materie di competenza esclusiva della regione la legge regionale puo' autorizzare la Giunta ad emanare regolamenti in materie gia' disciplinate con legge. In tal caso la legge regionale di autorizzazione determina le norme generali regolatrici della materia e dispone l'abrogazione delle norme legislative vigenti, con effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari». E' cosi' disciplinato in ambito regionale il fenomeno della delegificazione, vale a dire il trasferimento della disciplina di una determinata materia dal livello normativo primario a quello secondario; attuato il quale una materia gia' legificata sara', per il futuro e salvo ripensamento del legislatore, disciplinata da norme regolamentari (cfr. Corte costituzionale 6 giugno 2016, n. 130). 5.2. Il meccanismo predisposto dallo statuto regionale per attuare il trasferimento di livello normativo e' quello consueto e che trova nell'art. 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, n. 400 il corrispettivo per le materie di competenza legislativa dello Stato: e' adottata una legge di autorizzazione che rimette all'organo esecutivo, nel caso di specie la Giunta regionale, l'esercizio della potesta' regolamentare con abrogazione delle norme primarie vigenti in quella materia a far data dall'entrata in vigore delle norme regolamentari. 5.3. Identico a quello previsto dall'art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988 e' anche il contenuto imposto alla legge di autorizzazione, la quale deve determinare le «norme generali regolatrici della materia». Imporre alla legge di autorizzazione siffatto contenuto serve a conciliare la delegificazione (della cui legittimita' costituzionale in passato non si e' mancato di dubitare) con i principi costituzionali e, in special modo, con la supremazia della legge tra le fonti del diritto subcostituzionali, corollario della preminenza del Parlamento sul Governo nell'esercizio della funzione legislativa (a sua volta precipitato del principio democratico che ispira la nostra Costituzione) e rende possibile attuare la delegificazione (naturalmente esclusa in materia coperta da riserva assoluta di legge) anche in materia coperta da riserva relativa di legge poiche' porta alla determinazione di una disciplina della materia composta dalla combinazione di due regolamentazioni: quella di principio che si rinviene nella normativa primaria e quella di dettaglio (procedurale o di funzionamento) che e' nelle disposizioni regolamentari (cfr. Corte costituzionale, n. 303 del 2005). 5.4. Per questa ragione della legittimita' costituzionale di una legge statale che autorizzi alla delegificazione senza determinazione delle norme generali regolatrici della materia al cui rispetto debba conformarsi l'esercizio della successiva potesta' regolamentare si potrebbe dubitare per contrasto con i principi costituzionali richiamati, pur avendo rango primario la legge n. 400 del 1988 che tale contenuto impone alla legge di autorizzazione. 5.5. Se, poi, e' lo statuto regionale a stabilire che la legge di autorizzazione alla delegificazione determini le «norme regolatrici della materia», la legge regionale che ne sia priva contrasta senz'altro con l'art. 123 della Costituzione. Lo statuto regionale si colloca nel sistema delle fonti ad un livello piu' elevato della legge regionale e in una posizione di preminenza (in virtu' del particolare procedimento di formazione e del suo contenuto che trovano la loro disciplina nel primo e nel secondo comma dell'art. 123 della Costituzione); la sua violazione comporta illegittimita' costituzionale della norma di legge regionale per violazione dell'art. 123 della Costituzione, secondo il noto fenomeno dell'interposizione che amplia il parametro di legittimita' costituzionale della norma primaria sottoposta al sindacato della Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale 25 giugno 2015, n. 118; 2011, n. 188 e 2010, n. 4). 5.6. L'art. 2, legge regionale Campania 6 agosto 2010, n. 8 attua la delegificazione della materia dell'ordinamento amministrativo della Giunta regionale poiche' autorizza la Giunta a disciplinare la materia con proprio regolamento, sentita la commissione consiliare permanente competente per materia, e dispone l'abrogazione delle previgenti disposizioni (contenute nella legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 Ordinamento amministrativo della Giunta regionale, con le eccezioni costituite dagli articoli 13, 14, 18, 19, 20, 22, 23 e 25). Il legislatore regionale ha imposto alla Giunta di esercitare la potesta' regolamentare «in attuazione dei principi dell'attivita' amministrativa e di organizzazione posti dal titolo IX dello statuto regionale e in osservanza dei seguenti criteri generali: a) imparzialita', buon andamento dell'amministrazione regionale e trasparenza dell'azione amministrativa; b) razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti; c) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita' nell'esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate; d) realizzazione della piu' ampia flessibilita' nell'organizzazione degli uffici regionali; e) rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa e della gestione degli indirizzi politico - amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l'istituzione di apposite strutture organizzative». 5.7. Il legislatore regionale ha rispettato l'obbligo della determinazione delle «norme generali regolatrici della materia» solo formalmente: si e' limitato ad indicare dei meri obiettivi o finalita', nulla dicendo circa il modo in cui conseguirli. Il rispetto solo formale del contenuto imposto alla legge di autorizzazione alla delegificazione dovrebbe comportare la violazione del dettato statutario e anche, per quanto precedentemente esposto, dei principi costituzionali, al pari della totale assenza di ogni riferimento alle norme regolatrici della materia nella legge di autorizzazione. Tanto piu' che gli obiettivi e le finalita' qui enunciati non derivano da una valutazione discrezionale del legislatore all'atto di concessione dell'autorizzazione all'esercizio della potesta' regolamentare, ma riproducono principi fondamentali di rilevanza sovraordinata alla legge, cui, pertanto, anche le norme primarie non potrebbero derogare. 5.8. Quanto detto vale per i criteri generali di cui alla lettera a) dell'art. 2, legge regionale n. 8 del 2010, «imparzialita', buon andamento dell'amministrazione regionale e trasparenza dell'azione amministrativa», riproduttivo in buona parte dell'art. 97 della Costituzione, ma anche per quelli di cui alla lettere b) e c), «razionalizzazione organizzativa, contenimento e controllo della spesa, anche mediante accorpamento e soppressione delle strutture esistenti», e «perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita' nell'esercizio dei compiti e delle funzioni assegnate alle strutture organizzative individuate», che altro non sono se non una specificazione del principio costituzionale di buon andamento dell'organizzazione degli uffici amministrativi, nonche', infine, per quello della lettere e), «rispondenza dei risultati dell'attivita' amministrativa e della gestione degli indirizzi politico - amministrativi impartiti dagli organi di governo mediante l'istituzione di apposite strutture organizzative», che e' conseguente alla posizione di organo esecutivo della Giunta regionale e, quindi, direttamente derivante dall'art. 121, comma 3, della Costituzione. Non diversamente nel titolo IX dello statuto regionale, espressamente richiamato dall'art. 2, comma 1, legge regionale n. 8 del 2010 non si rinvengono «norme generali regolatrici della materia» che possano orientare l'esercizio della potesta' regolamentare. Cio' che rende poco convincente il ragionamento che ha consentito al giudice di primo grado di superare il dubbio di costituzionalita'. Il titolo IX e' articolato in due Capi, il pruno che ha ad oggetto «Principi dell'attivita' amministrativa» e' composto di tre articoli: l'art. 64 che ha il seguente contenuto «1. Ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, la regione esercita le funzioni amministrative, nei casi in cui ne ritiene necessario l'esercizio unitario a livello regionale, nel rispetto dei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. 2. L'attivita' amministrativa si conforma ai principi di legalita', buon andamento e imparzialita'. La legge regionale attua la semplificazione dei procedimenti amministrativi. 3. L'attivita' amministrativa della regione e' soggetta al controllo di gestione. La legge regionale determina strumenti e procedure per la valutazione del rendimento e dei risultati dell'attivita' amministrativa regionale, consentendo ai destinatari della stessa di conoscere l'esito delle valutazioni.»; l'art. 65 che dispone: «1. La legge regionale disciplina il procedimento amministrativo nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento. 2. Gli atti dell'amministrazione regionale sono pubblici. I cittadini, singoli o associati, hanno diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti amministrativi e dei documenti della regione, secondo le modalita' previste dalla legge. 3. Gli atti e i provvedimenti amministrativi regionali devono essere motivati.», e infine l'art. 66 per il quale: «1. Agli organi di direzione politica dell'amministrazione regionale spettano le funzioni di indirizzo politico e amministrativo. 2. Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi non rientranti nell'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attivita' amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.». I primi due articoli si occupano dell'azione amministrativa, e non dell'organizzazione degli uffici il terzo tratta di profili della dirigenza non strettamente riferibili all'ordinamento burocratico degli uffici della Giunta. Il secondo Capo ha si' riguardo ai «Principi di organizzazione», ma anche in questo caso, l'art. 67 (Personale regionale) si limita a riprodurre il principio costituzionale di cui all'art. 97, comma 4, della Costituzione, prescrivendo che: «1. Agli uffici della regione si accede per pubblico concorso, salvi i casi previsti dalla legge.» e solo nel secondo comma fissa una norma generale di organizzazione, stabilendo che: «2. I dirigenti della Giunta regionale appartengono a un ruolo unico; ad essi sono attribuiti, in relazione agli incarichi affidati, differenti competenze e responsabilita'. 3. Il personale del Consiglio regionale e' inquadrato in un ruolo organico distinto.», cosi', pero', dando indicazioni in relazione ad una specifico e limitato profilo, quello della previsione di un ruolo unico per la dirigenza e di un ruolo distinto per il personale del consiglio regionale. L'art. 68 contiene esclusivamente «Norme transitorie e finali». Neppure si puo' dire, infine, che un quadro di principi di indirizzo del successivo esercizio del potere regolamentare si possa trarre, per cosi' di dire, di risulta, dall'ordito delle norme primarie (che sarebbero) rimaste in vigore in seguito all'abrogazione delle previgenti disposizioni; gli articoli della legge regionale 4 luglio 1991, n. 11 preservati dall'abrogazione hanno ad oggetto specifici profili della dirigenza (art. 13, norma di rinvio; art. 14, la mobilita'), disposizioni sull'organico (l'art. 18, che dispone sia rideterminato con «provvedimento di Giunta» «per livelli funzionali e dotazione organica delle strutture»), i rapporti con le organizzazioni sindacali (art. 19), l'inquadramento del personale (art. 20, da effettuare con deliberazione della Giunta sentito il parere delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale), il settore delle foreste (articoli 22 e 23), la facolta' di avvalersi di consulenza di esperti da parte del Presidente della regione (art. 25). Nessuno dispone in materia di organizzazione delle strutture amministrative della Giunta. 5.9. In definitiva, mancano nella legge di autorizzazione «norme generali regolatrici della materia» che esprimano la scelta di principio del legislatore per un certo modello di organizzazione amministrativa cui, poi, la normativa secondaria di seguito nella successiva regolamentare. Molteplici sono i modelli organizzativi possibili; varie le modalita' con le quali puo' essere strutturato l'assetto degli uffici dirigenziali; la scelta per uno o per l'altro comporta un preciso ordinamento delle strutture amministrative. Nulla prevedere nella legge di autorizzazione alla delegificazione circa il modello di organizzazione amministrativa da attuare significa adottare una delega in bianco rimettendo alla Giunta il potere di organizzare i propri uffici senza vicolo predeterminato da principi legislativi. In questo modo, pero', oltre, all'art. 123 della Costituzione nei termini precedentemente esposti, e' violato anche l'art. 121 della Costituzione in quanto e' alterato il rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo a livello regionale, assegnati dalla Costituzione rispettivamente alla Giunta e al Consiglio regionale (che l'istituto della delegificazione riguardi la relazione tra consiglio regionale e Giunta regionale e' precisato nella sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2004, n. 378). E' altresi' violato l'art. 97 della Costituzione il quale, secondo la lettura concordemente accolta dalla giurisprudenza anche costituzionale, stabilisce la riserva di legge relativa in materia di organizzazione amministrativa, imponendo che le disposizioni regolamentari siano attuazione a norme di principio stabilite con legge. 5.10. In altra occasione la Corte costituzionale ha gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una legge regionale di delegificazione per mancanza della determinazione delle «norme generali regolatrici della materia» come richiesto dalle disposizioni dello statuto regionale (cfr. Corte costituzionale 16 luglio 2019, n. 178). 5.11. D'altronde, omettere la determinazione di norme generali regolatrici della materia nella legge di autorizzazione, in senso assoluto, oppure, come accaduto nel caso di specie, sostituendo le norme generali con generici obiettivi e finalita' della successiva regolamentazione, vale a trasformare il potere regolamentare da attivita' discrezionale orientata dal parametro legislativo in potere libero, e il regolamento da atto amministrativo ad atto politico, con conseguente violazione del principio di legalita' (che riserva tale connotato esclusivamente alla legge in quanto atto proveniente dall'organo legislativo). 6. In conclusione, alla stregua delle precedenti considerazioni e poiche' la presente controversia non puo' essere definita indipendentemente dalla risoluzione della delineata questioni di legittimita' costituzionale, il giudizio va sospeso e va rimessa alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, legge regionale Campania 6 agosto 2020, n. 8, per contrasto con l'art. 123 della Costituzione in riferimento all'art. 56, comma 4, statuto regionale della Campania (approvato con legge regionale 28 maggio 2009, n. 6), nonche' per contrasto con gli articoli 121 della Costituzione e 97 della Costituzione per omessa indicazione delle «norme generali regolatrici della materia» all'atto del conferimento alla Giunta regionale della potesta' di disciplinare con regolamento il proprio ordinamento amministrativo.
P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quinta), non definitivamente pronunciando sull'appello, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 123 della Costituzione in riferimento all'art. 56, comma 4, statuto regionale della Campania (approvato con legge regionale 28 maggio 2009, n. 6) e in relazione agli articoli 121 e 97 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell'art. 2, comma 1, legge regionale Campania 6 agosto 2020, n. 8. Sospende il giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente della Regione Campania e al Presidente del consiglio regionale della Regione Campania. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 9 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Luciano Barra Caracciolo, Presidente Valerio Perotti, Consigliere Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore Giovanni Grasso, Consigliere Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere Il Presidente: Caracciolo L'estensore: Di Matteo