N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2022
Ordinanza del 18 luglio 2022 del Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di P.T. e S.M.. Reati e pene - Reato di estorsione - Trattamento sanzionatorio - Mancata previsione di una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o le circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. - Codice penale, art. 629, commi primo e secondo.(GU n.44 del 2-11-2022 )
IL TRIBUNALE DI ROMA VIII sezione penale 1° collegio Il Tribunale in composizione collegiale, Sezione VIII, composto da: - dott.ssa Paola Roja - Presidente; - dott.ssa Paola Della Vecchia - Giudice; - dott.ssa Maria Teresa Cialoni - Giudice; letti gli atti del processo pendente nei confronti di P. T. nato a in data e S. M., nato a il , imputati del delitto di cui agli artt. 110, 629, commi 1 e 2, in relazione all'art. 628, comma 3, n. 1, c.p., commesso in in data , «perche', in concorso tra loro, dopo aver illecitamente sottratto le chiavi del motociclo di proprieta' di G. C. mediante violenza e minaccia consistita nel pretendere dalla vittima la dazione di euro 100,00 per ottenere indietro il maltolto, costringevano G. C. a consegnare loro il danaro, cosi' procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno», con la recidiva reiterata e specifica per S., recidiva reiterata ed infraquinquennale per P., ha pronunciato la seguente ordinanza. Il tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 629 1° e 2° comma c.p., nella parte in cui non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o le circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. Si ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata. 1. Svolgimento del processo. Tratti a giudizio per rispondere della rubricata imputazione, a seguito di arresto operato dai Carabinieri della Compagnia in data , P. T. ; e S. M. , in atti generalizzati, sono comparsi all'udienza del giorno seguente ove e' stato convalidato l'arresto ed applicata la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Successivamente alla convalida dell'arresto, gli imputati hanno conferito al proprio difensore procura speciale finalizzata alla richiesta di definizione del processo nelle forme del rito abbreviato ovvero mediante applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 ss. c.p.p. Rinviato il processo all'odierna udienza, nella quale e' stata avanzata richiesta di giudizio abbreviato che e' stato ammesso, le parti sono state invitate a formulare le rispettive conclusioni, ossia la richiesta di anni 3 mesi 4 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa ciascuno per il pubblico ministero, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostanze aggravanti; la richiesta di una pena equa, concessa altresi' l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. quanto al difensore, in subordine rispetto alla richiesta di assoluzione del S. Il Tribunale si e' quindi ritirato in camera di consiglio. Prima di pronunciarsi sul merito dell'imputazione, ritiene il Tribunale di dover sospendere il procedimento e sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale di seguito esposta, non sussistendo - allo stato - i presupposti per un'assoluzione degli imputati, neppure con riferimento al S , nei cui confronti e' stato sequestrato parte del profitto del reato. 2. Il fatto storico. Il presente procedimento trae origine dall'arresto in flagranza di P. T. e S. M. In particolare, e' emerso che la persona offesa, C.G., si era fermata con il proprio motoveicolo davanti ad uno sportello bancomat per effettuare un prelievo di denaro. Il predetto si era, poi, accorto che nel quadro di accensione del proprio motociclo non vi erano piu' le chiavi; intuendo che le stesse erano state sottratte dagli odierni imputati, che poco prima gli avevano chiesto in regalo la somma di 5,00 euro, ne aveva domandato a questi ultimi la restituzione, offrendo loro spontaneamente la somma di 50,00 euro. Il P. gli aveva risposto che la restituzione sarebbe avvenuta in cambio della somma di 100,00 euro; il C. , quindi, aveva consegnato una banconota da 50,00 euro, subordinando il saldo dell'intera somma alla consegna delle chiavi. I tre si erano poi spostati presso un distributore di benzina, poco distante, ove il P. aveva prelevato le chiavi da vicino un cartello espositore dei prezzi, restituendole alla persona offesa e ricevendo la seconda banconota da 50,00 euro. Richiamati sul posto, i Carabinieri avevano inizialmente fermato il S. , rinvenendo nella disponibilita' dello stesso, a seguito di perquisizione personale, una banconota da 50,00 euro; il P. , inizialmente allontanatosi, era stato poi anch'esso fermato e perquisito, con esito negativo. 3. La qualificazione giuridica del fatto. Ritiene il Tribunale che la condotta, cosi come ricostruita, sia pienamente sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 629, comma 2, c.p., ipotizzata dall'Ufficio di Procura. Il fatto di cui gli imputati sono chiamati a rispondere e' riconducibile al concetto noto, nel gergo giuridico, come "cavallo di ritorno": esso ricorre ogniqualvolta, sottratto un bene al legittimo titolare, quest'ultimo riceva una richiesta di denaro finalizzata alla restituzione del bene stesso. In relazione a tale ipotesi, sin da epoca risalente la Suprema Corte ha chiarito che «Il profitto dei delitti di furto o di rapina e' costituito dal bene oggetto di sottrazione - al momento del cui impossessamento il reato si perfeziona - e non dalla diversa utilita' da esso ricavabile mediante un'attivita' successiva, che non puo' dunque considerarsi assorbita nella condotta precedente. Ne consegue che quando tale attivita' consiste nella richiesta di un compenso a chi lo possedeva, accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene sottratto, essa non puo' che considerarsi tesa a coartare l'altrui volonta' a scopo di profitto: colui che sia stato privato illecitamente di un bene, infatti, conserva il diritto alla restituzione, oltre che l'aspettativa morale di riacquistarlo, sicche' la richiesta di denaro in cambio dell'adempimento dell'obbligo giuridico di restituire, che incombe sull'agente, influisce sulla liberta' di determinazione del soggetto passivo ed integra, di per se', minaccia rilevante ai sensi dell'art. 629 c.p. » (Cass., Sez. II, 24 giugno 1998, n, 8309, Rv. 211184 - 01). A tale principio di diritto si e' uniformata la giurisprudenza successiva la quale, sino a tempi recentissimi, ha ribadito che «Integra il delitto di estorsione il fatto del ladro che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione della refurtiva, a nulla rilevando che il pagamento sia successivo alla restituzione; e cio' in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia originaria che ne contiene una implicita, e cioe' quella della rappresaglia in mancanza di adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta di danaro rivoltale dal ladro» (Cass., Sez. II, 11 ottobre 2000, n. 12326, Rv. 217425 - 01. Conf. Cass., Sez. II, 23 maggio 2014, n. 25675, Rv. 259565 - 01; Cass., Sez. II, 11 aprile 2019, n. 25213, Rv. 276572 - 01; Cass., Sez. VII, 7 dicembre 2021 - 18 gennaio 2022, n. 1978, n. m.; Cass., Sez. II, 10 febbraio 2022 - 4 aprile 2022, n. 12446, n. m.). La condotta degli imputati e' dunque sussumibile, secondo il diritto vivente, nel paradigma dell'art. 629 c.p. Sussiste, inoltre, la circostanza aggravante non comune ad effetto speciale di cui all'art. 629, comma 2, c.p., stante l'avvenuta commissione del fatto ad opera di entrambi gli imputati compresenti alla richiesta (sulla nozione dell'aggravante delle piu' persone riunite cfr., da ultimo, Cass., Sez. II, 15 giugno 2021, n. 33210, Rv. 281916 - 01). Ad entrambi gli imputati e' stata, altresi', contestata, sulla base delle risultanze del Casellario giudiziale, la recidiva c.d. reiterata di cui all'art. 99, comma 4, c.p., di tipo specifico ex art. 99, comma 2, n. 1, c.p. per il S. e di tipo infraquinquennale ex art. 99, comma 2, n. 2, c.p. per il P. 4. La rilevanza della questione. Ritiene il Tribunale che la prospettata questione di legittimita' costituzionale sia rilevante poiche', in caso di condanna, la pena detentiva minima applicabile ad entrambi gli imputati sarebbe pari nel minimo ad anni 8, mesi 4 di reclusione, tenuto conto dell'aumento di due terzi per la recidiva ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p, (con la sola successiva diminuzione per il rito abbreviato ammesso). La misura della pena e' frutto di un calcolo che parte da una base che, quand'anche quantificata nel minimo edittale per l'ipotesi non aggravata, e' pari ad anni cinque di reclusione (comma 1). Nel caso di specie il fatto e' aggravato ai sensi dell'art. 629, comma 2, c.p., che prevede lo speciale inasprimento della sanzione - fissandone il minimo in anni sette di reclusione - laddove ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste al comma 3 dell'art. 628 c.p. (sul punto, v. il chiarimento offerto, da ultimo, da Cass., Sez. II, 23 marzo 2016, n. 13239, Rv. 266662 - 01, secondo cui «Il rinvio operato dal secondo comma dell'art. 629 c.p. all'ultimo capoverso dell'art. 628 c.p., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione, deve intendersi riferito, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009, all'attuale terzo comma del predetto art. 628, e non al comma quarto concernente il concorso fra circostanze attenuanti ed aggravanti»). Ulteriore circostanza aggravante, anch'essa ad effetto speciale poiche' comporta un aumento di due terzi della pena, e' rappresentata dalla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., contestata ad entrambi gli imputati. Nel caso di specie, in ossequio alla regola di cui all'art. 63, comma 4, c.p. - a mente del quale, se concorrono piu' circostanze aggravanti cd. indipendenti oppure ad effetto speciale, si applica solo la pena stabilita per la circostanza piu' grave, ma il giudice puo' aumentarla - deve applicarsi l'aumento di due terzi per la recidiva, che costituisce inasprimento piu' grave rispetto a quello di cui al comma 2 dell'art. 629 c.p.: la pena detentiva minima applicabile sia al P. che al S. e', quindi, pari ad anni 8, mesi 4 di reclusione (pena base anni 5 di reclusione, aumentata di due terzi ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p.), anche prescindendo dall'ulteriore aumento consentito dall'art. 63, comma 4, c.p., sulla base dell'interpretazione data del trattamento sanzionatorio in ipotesi di concorso di piu' circostanze aggravanti ad effetto speciale (cfr., sul punto, Cass., Sez. un., 24 febbraio 2011, n. 20798, Rv. 249664 - 01). Quand'anche si volesse escludere la contestata aggravante della recidiva, la pena edittale minima sulla quale misurare il trattamento sanzionatorio e' pari ad anni 7 di reclusione, in ragione del combinato del comma 2 dell'art. 629 c.p. con il comma 3, n. 1 dell'art. 628 c.p. Relativamente alla rilevanza dell'utilizzo di strumenti volti a mitigare la severita' del trattamento sanzionatorio, codesta Corte gia' ha avuto modo di specificare che la funzione "naturale" delle circostanze attenuanti generiche «e' quella di adeguare la misura della pena alla sussistenza di speciali indicatori (oggettivi o soggettivi» di un minor disvalore del fatto concreto all'esame del giudice rispetto alla gravita' ordinaria dei fatti riconducibili alla fattispecie base di reato; e non gia' quella di correggere l'eventuale sproporzione dei minimi edittali stabiliti dal legislatore rispetto a un fatto il cui disvalore sia conforme a quello che ordinariamente caratterizza la fattispecie criminosa» (cosi' Corte cost., 10 marzo 2022, n. 63). Non puo' quindi prendersi in considerazione, rispetto al dubbio di costituzionalita', la concedibilita' delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p., ovvero l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p., per la speciale tenuita' del danno patrimoniale arrecato alla persona offesa: il giudizio di meritevolezza delle attenuanti verrebbe infatti condizionato da parametri diversi rispetto a quelli posti dall'art. 133 c.p. e, in qualche modo, necessitato dall'esigenza di adeguamento del trattamento sanzionatorio al reale disvalore offensivo del fatto, cosi' piegando dette circostanze ad una funzione impropria e, in ogni caso, indifferente rispetto ai minimi della fattispecie che qui si reputano in se' del tutto irragionevoli. Per di piu', in ogni caso, la pena detentiva minima applicabile agli imputati, pur ammessa la concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quelle comuni nella massima estensione, sarebbe pari ad armi cinque di reclusione, stante il divieto di prevalenza di dette circostanze sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., ove riconosciuta, posto dall'art. 69, comma 4, c.p. Ritiene il Tribunale che la misura della pena detentiva applicabile agli imputati nel caso di specie sia incompatibile con i parametri costituzionali che saranno di seguito evocati, anche alla luce della piu' recente giurisprudenza di codesta Corte in tema di sindacato giurisdizionale sulla manifesta sproporzione delle pene, valida anche in relazione alla vicenda che ci occupa, in cui si lamenta l'omessa previsione, nell'art. 629 c,p., di un'ipotesi attenuata che riceva una risposta sanzionatoria adeguata e non gia' sproporzionata rispetto alla condotta concretamente posta in essere, laddove la stessa sia di speciale tenuita'. Non si ritiene, dunque, inconferente il richiamo al principio secondo cui «Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. l'ampia discrezionalita' di cui dispone il legislatore nella quantificazione delle pene incontra il proprio limite nella manifesta sproporzione della singola scelta sanzionatoria, sia in relazione alle pene previste per altre figure di reato, sia rispetto alla intrinseca gravita' delle condotte abbracciate da una singola figura di reato. Il limite in parola esclude, piu' in particolare, che la severita' della pena comminata dal legislatore possa risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita' oggettiva e soggettiva del reato: il che accade, in particolare, ove il legislatore fissi una misura minima della pena troppo elevata, vincolando cosi' il giudice all'inflizione di pene che potrebbero risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua gravita'» (Corte cost., 10 marzo 2022, n. 63, cit. Conf. Corte cost., l' febbraio 2022, n. 28). In questo contesto, preme evidenziare quanto lo stesso Giudice delle leggi ha rilevato in piu' occasioni, affermando che «la giurisprudenza costituzionale piu' recente ha gradatamente affrancato il sindacato di conformita' al principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie segnate dalla necessita' di individuare un preciso tertium comparationis da cui mutuare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella dichiarata incostituzionale; e ha spesso privilegiato (almeno a partire dalla sentenza n. 343 del 1993) un modello di sindacato sulla proporzionalita' "intrinseca" della pena, che - ferma restando l'ampia discrezionalita' di cui il legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali [...] - valuta direttamente se la pena comminata debba considerarsi manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi nel sistema punti di riferimento gia' esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di' incostituzionalita', nelle more di un sempre possibile intervento legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel rispetto dei principi costituzionali» (ex multis Corte cost., 14 dicembre 2019, n. 284, Corte cost., 10 maggio 2019, n. 112; Corte cost., 5 dicembre 2018, n. 222; Corte cost., 23 marzo 2012, n. 68). E' utile rammentare, altresi', il monito recentemente rivolto al legislatore da codesta Corte allorquando, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 628, comma 2, c.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost. laddove la citata norma prevede, per il reato di rapina cosiddetta impropria, la stessa pena stabilita dal comma 1 della medesima norma per la rapina cosiddetta propria, e' stato osservato come «la pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio sia divenuta assai rilevante, tanto da richiedere che il legislatore ne riconsideri l'assetto, anche alla luce della protezione penale attualmente assicurata a beni diversi» (Corte cost., 27 maggio 2021, n. 111; nello stesso senso Corte cost., 31 luglio 2020, n. 190). Tale richiamo appare assai significativo nell'economia della presente questione, atteso che il delitto di rapina e' punito, nella forma semplice, con la medesima pena prevista per l'ipotesi base del delitto di estorsione. 5. La non manifesta infondatezza della questione. 1. Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene il Tribunale che la disposizione censurata violi gli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. per i motivi di seguito esposti. Occorre preliminarmente rammentare la pronuncia con cui codesta Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 629, comma 1, c.p., nella parte in cui prevede come pena minima edittale quella di cinque anni di reclusione, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. In tale occasione e' stato affermato che, come emerge dalla Relazione accompagnatrice del disegno di legge di conversione del d.l. n. 419/1991, il cui art. 8 ha aumentato la pena minima edittale da tre a cinque anni, tale aumento appare comunque giustificato dall'esigenza di evitare che possano essere irrogate pene che, con il concorso delle circostanze attenuanti, si mantengano nei limiti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, a causa della difficile individuazione in concreto dell'aggravante di far parte di un'associazione di stampo mafioso (Corte cost., 24 luglio 1995, n. 368). L'inasprimento sanzionatorio in parola e' stato, dunque, ritenuto ragionevole a fronte del dilagare del racket delle estorsioni cui, come e' noto, si e' assistito negli anni Novanta. Preme evidenziare, tuttavia, che il reato di estorsione e' attualmente riconducibile ai contesti piu' eterogenei e non necessariamente legati alla criminalita' mafiosa, come dimostra proprio il caso di specie, in cui si procede a carico di soggetti del tutto slegati dal mondo associativo od organizzato i quali, in maniera evidente, hanno agito in forma estemporanea ed istintiva (avendo notato le chiavi appese al blocchetto di accensione del motociclo parcheggiato lungo la pubblica via), con modi affatto violenti, sulla spinta di bisogni personali contingenti, dimostrati proprio dall'assoluta modestia del profitto perseguito (50,00 euro, atteso che la restante somma gia' era stata "donata" dalla vittima). La norma censurata si presta, dunque, a colpire fenomeni criminosi radicalmente dissimili tra loro e finanche le condotte estorsive avulse dalla criminalita' mafiosa e minimamente offensive per i connotati dell'azione e per la tenuita' del danno arrecato, quale quella ascritta agli odierni imputati. La vicenda oggetto del presente giudizio, infatti, trae origine da un'iniziativa del tutto occasionale degli imputati, che hanno rinvenuto le chiavi poco prima smarrite dalla persona offesa: cio' ha costituito occasione di una richiesta estorsiva avente ad oggetto una contenuta somma di denaro (50,00 euro), avanzata con mere minacce verbali, neppure particolarmente insistite, e senza predisposizione di mezzi offensivi di sorta o l'uso di armi. Sulla scorta di quanto premesso, il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 629 c.p., nella parte in cui non prevede un'ipotesi attenuata per le condotte minimamente offensive, costringendo il giudice ad applicare una pena il cui minimo edittale risulta, in tali casi, manifestamente sproporzionato per eccesso (nel caso di specie, prima della diminuente per il rito, anni 8 mesi 4 di reclusione ritenuta la recidiva reiterata; anni 7 di reclusione esclusa la recidiva; anni 5 di reclusione, volendo concedere le circostanze attenuanti ovvero quella del conseguimento di un lucro di speciale tenuita', in necessario regime di equivalenza con le aggravanti ad effetto speciale). In questi termini, la norma censurata si pone in contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 27, commi 1 e 3, Cost., per la violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, di personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena. 2. In particolare, la violazione del principio di uguaglianza discende dalla disparita' di trattamento rispetto a fattispecie simili - necessariamente non identiche, stante, la fisiologica diversita' delle ipotesi contemplate dalla legge penale - o, comunque, piu' gravi, segnatamente alcune fattispecie penali poste a protezione di beni giuridici analoghi a quelli tutelati dall'art. 629 c.p., da un lato, e fattispecie evidentemente piu' gravi di quest'ultima, stante il relativo trattamento sanzionatorio, rispetto alle quali il legislatore ha comunque previsto una circostanza attenuante speciale per i fatti di lieve entita', In questo contesto, e' utile rammentare l'affermazione di codesta Corte secondo cui «fermo restando che le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislatore, non sussistono ostacoli all'intervento della Corte costituzionale quando le scelte sanzionatorie si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli. Al fine di consentire tale intervento correttivo non e' necessario che esista un'unica soluzione costituzionalmente vincolata, come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis, essendo sufficiente che il sistema nel suo complesso offra "precisi punti di riferimento" e soluzioni "gia' esistenti", ancorche' non "costituzionalmente obbligate", che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima, garantendo coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel rispetto delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimita' costituzionale proprio in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, tra cui massimamente la liberta' personale» (Corte cost., 8 marzo 2019, n. 40). 3. La fattispecie di cui all'art. 629 c.p. e' posta a tutela del patrimonio, come suggerisce la collocazione sistematica della norma all'interno del codice penale. Attraverso tale previsione il legislatore ha inteso, inoltre, tutelare la liberta' personale, stanti gli elementi costitutivi della violenza o minaccia e della costrizione. In questo senso, la Suprema Corte ha chiarito che «Nel reato di estorsione l'oggetto della tutela giuridica e' costituito dal duplice interesse pubblico della inviolabilita' del patrimonio e della liberta' personale [...] (Cass., Sez, III, 11 maggio 2007, n. 27257, Rv. 237211 - 01). I beni giuridici poc'anzi evocati costituiscono oggetto di tutela di ulteriori fattispecie penali, rispetto alle quali e' invece prevista un'ipotesi attenuata che rende il trattamento sanzionatorio meno rigoroso per i casi di lieve entita', si' da dar luogo ad una irragionevole disparita' di trattamento nel senso sopra illustrato rispetto alle previsioni dell'art. 629 commi I e 2 c.p. Preme rammentare, in questo contesto, che la disparita' di trattamento rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost. ricorre a fronte del diverso trattamento di situazioni - per cio' che rileva in questa sede - non solo di analoga gravita', ma anche di gravita' differente, laddove ad una fattispecie meno grave venga riservato un trattamento in concreto assai piu' rigoroso rispetto a quanto avviene con riferimento ad ipotesi ben piu' gravi (cfr., ad es., Corte cost., 17 marzo 1988, n. 304, in tema di condizioni per la non menzione della condanna a pena pecuniaria nel certificato del casellario giudiziale rispetto alle ipotesi di condanna a pena detentiva, solo o congiunta a pena pecuniaria; Corte cost., 14 aprile 2022, n. 95, in tema di sanzioni amministrative). Tale ragionamento si ritiene valido anche argomentando non in termini di limiti edittali di pena, ma di mancata previsione di una fattispecie attenuata, assumendo rilievo la sanzione applicabile in concreto. Venendo ai delitti rispetto ai quali si pone una irragionevole disparita' di trattamento rileva, innanzitutto. l'art. 630 c.p., fattispecie ben piu' grave di quella di cui all'art. 629 c.p. dal punto di vista sanzionatorio per l'ipotesi base e anch'essa ricornpresa tra i delitti contro il patrimonio e posta, altresi', a tutela della liberta' personale (v, Cass., Sez. I, 15 novembre 1977 - dep. 1978, n, 2189, Rv. 138095 - 01), che in tale ipotesi subisce la massima limitazione. E' evidente l'analogia rispetto al delitto di estorsione, che nell'ipotesi di cui all'art. 630 c.p. rappresenta il fine perseguito dall'agente attraverso la totale privazione dell'altrui liberta' personale. Proprio in relazione al sequestro estorsivo, codesta Corte e' intervenuta dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 630 c.p. «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata e' diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'» (Corte cost., 23 marzo 2012, n. 68). Ulteriore fattispecie rispetto alla quale si pone la denunciata disparita' di trattamento e' quella di cui all'art. 609-bis c.p., norma posta a tutela dell'autodeterminazione della persona nella sfera sessuale, i cui profili di analogia rispetto al delitto di estorsione risiedono nella coartazione della volonta', realizzata in maniera assai similare nelle due ipotesi, stante il richiamo in entrambi i casi agli elementi della violenza o minaccia. Stando ai limiti edittali di pena, il reato di violenza sessuale risulta ben piu' grave rispetto a quello di estorsione e cio' in seguito all'aumento della pena base operato dalla 1. n. 69/2019. Ebbene, l'ultimo comma dell'art. 609-bis c.p. prevede una diminuente fino ai due terzi della pena nei casi di minore gravita': il difetto di analoga previsione rispetto ad una fattispecie similare quanto ai beni oggetto di tutela e meno grave sul piano del trattamento sanzionatorio da' luogo, ad avviso del Tribunale, ad una irragionevole disparita' di trattamento. Venendo alle fattispecie poste a tutela di beni giuridici diversi rispetto al delitto di estorsione, ma comunque piu' gravi di quest'ultimo, viene in rilievo l'art. 609-quater c.p., posto a tutela dell'integrita' psicofisica del minore, il cui comma 6 prevede la diminuzione della pena fino ai due terzi nei casi di minore gravita'. Il trattamento sanzionatorio previsto per il predetto delitto - per il quale il legislatore ha operato un rinvio alla pena stabilita per il delitto di violenza sessuale - suggerisce trattarsi di ipotesi piu' grave rispetto al delitto di estorsione; da cio' consegue l'irragionevole disparita' di trattamento nel senso sopra descritto, laddove nel solo caso di tale piu' grave delitto e' prevista un'ipotesi attenuata. Ulteriore fattispecie che merita di essere presa in considerazione e' quella di cui all'art. 289-ter c.p., posta a tutela della personalita' dello Stato. Si tratta di un delitto assai piu' grave di quello di estorsione, come emerge dal trattamento sanzionatorio previsto, compreso tra i venticinque e i trenta anni di reclusione. Tuttavia, il piu' grave delitto di sequestro di persona a scopo di coazione gode di un trattamento sanzionatorio attenuato per i casi di lieve entita' (art. 289-ter, ult. comma, c.p.), cio' che da' luogo ad una non giustificata disparita' di trattamento rispetto al meno grave delitto di estorsione, nel senso sopra argomentato. Analoga disparita' di trattamento si pone, inoltre, in relazione a tutti i delitti contro la personalita' dello Stato che, in base al trattamento sanzionatorio, risultano piu' gravi del delitto di estorsione - che si fa a meno di richiamare attesa la loro molteplicita' - stante la diminuente prevista dall'art. 311 c.p. per tutti i delitti contemplati nel Titolo I del Libro II del codice penale, «quando per la natura, la specie, i messi, le modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'», Ulteriore gradazione della pena e' prevista dall'art. 323-bis c.p., laddove il fatto sia di particolare tenuita', in relazione ad una serie di delitti contro la Pubblica Amministrazione alcuni dei quali, sulla base del trattamento sanzionatorio, risultano piu' gravi del delitto di estorsione. Si tratta, in particolare, dei delitti di cui agli artt. 314 (il cui massimo edittale supera quello previsto per l'ipotesi base dall'art. 629 c.p.), 317, 319 (il cui minimo edittale supera quello previsto per l'ipotesi base dall'art. 629 c.p.) e 319-quater c.p. Anche rispetto a tali fattispecie si ravvisa, dunque, una irragionevole disparita' di trattamento, stante la previsione di un'ipotesi attenuata con riferimento a tali delitti piu' gravi rispetto a quello di estorsione, cui non accede analoga diminuente. Rileva, ancora, l'art. 518-septiesdecies c.p., il quale prevede la diminuzione di un terzo della pena per i delitti contro il patrimonio culturale, previsti dal Titolo VIII-bis del codice penale, quando il danno cagionato sia di speciale tenuita' ovvero il reato abbia comportato un lucro di speciale tenuita', quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuita'. Tale diminuente e' prevista in relazione ad una serie di delitti alcuni dei quali, sulla base del trattamento sanzionatorio, risultano piu' gravi del delitto di estorsione. Si tratta, in particolare, dei delitti di cui agli artt. 518-quater (la cui pena edittale massima, pari a dieci anni e dunque analoga alla pena massima prevista per l'ipotesi base di estorsione, e' aumentata, ai sensi del comma 2 della richiamata norma incriminatrice, quando il fatto riguardi beni culturali provenienti dai delitti di rapina aggravata ai sensi dell'art. 628, comma 3, e di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 629, comma 2, c.p.), 518-quinquies e 514-sexies (i cui massimi edittali superano quello previsto per l'ipotesi base dall'art. 629 c.p.) e 518-terdecies c.p. Anche rispetto a tali ipotesi si ravvisa una irragionevole disparita' di trattamento, per le ragioni sopra esposte con riferimento alle altre fattispecie evocate. Viene in rilievo, infine, la previsione di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, che prevede un'ipotesi di lieve entita', accessoria ad un delitto ben piu' grave rispetto a quello di estorsione, stanti i limiti edittali di pena della fattispecie base (reclusione da 6 a 20 anni). Si evidenzia dunque, anche in relazione a tale ipotesi, un'irragionevole disparita' di trattamento per non avere il legislatore previsto analoga ipotesi attenuata in relazione al meno grave delitto di estorsione. Ne' rileva, in senso contrario, la circostanza per cui l'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 rappresenta - com'e' noto - fattispecie autonoma rispetto a quella di cui al comma l della stessa norma, in questo senso essendo consolidata l'interpretazione giurisprudenziale sul punto. Si e' pur sempre in presenza, infatti, di una valutazione legislativa che ammette l'astratta ipotizzabilita' di una connotazione meno grave del fatto in relazione ad una fattispecie di elevato allarme sociale e ben piu' grave di quella di estorsione. 4. Ulteriore profilo di attrito della fattispecie denunciata con l'art. 3 Cost. si ravvisa nell'avere il legislatore previsto, a monte, una soglia di gravita' assai marcata e punita molto severamente, stante il trattamento sanzionatorio decisamente elevato previsto per l'ipotesi base del delitto di estorsione. Tale scelta si ritiene priva di ragionevole fondamento poiche', in tal modo, il giudice non e' in grado di adattare la sanzione al caso concreto, mitigando la risposta punitiva, in presenza di elementi oggettivi rivelatori di una limitata gravita' del fatto. Ne discende, ad avviso del Tribunale rimettente, la violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., essendo la pena edittale prevista dall'art. 629 c.p. non ragionevolmente proporzionata all'intera gamma dei fatti riconducibili al modello legale. Sul punto, ci si richiama alla giurisprudenza citata sub 5.2 in tema di manifesta sproporzione della pena. 5. Ulteriore norma che in questa sede si ritiene violata e' l'art. 27, comma 3, Cost., in combinazione con l'art. 3 Cost., disposizioni che fondano il principio di proporzionalita' della pena al fatto concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente sproporzionata - e quindi, in quanto tale, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato - vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalita' rieducativa (in proposito, tra le tante, Corte cost., 25 luglio 1994, n. 341; Corte cost., 15 novembre 2012, n. 251; Corte cost., 8 marzo 2019, n. 40). Come statuito da codesta Corte, «L 'art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. [...] In tale delicato settore dell'ordinamento, il principio di proporzionalita' esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l 'adeguamento della pena alle effettive responsabilita' personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potesta' punitiva statale, in armonia con il "volto costituzionale" del sistema penale. [...] L'eventuale palese sproporzione della risposta punitiva (e del sacrificio della liberta' personale) vanifica ab initio il processo rieducativo, al quale il reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione di subire una condanna ingiusta svincolata dalla gravita' e dal disvalore della propria condotta» (Corte cost., 10 novembre 2016, n. 236). E' stato affermato, inoltre, che «i principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. [...] esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (Corte cost., 13 luglio 2017, n. 179). Nel caso di specie, la pena che il Tribunale sarebbe costretto ad irrogare agli odierni imputati non verrebbe da questi ultimi compresa, in ragione della modestia del fatto commesso, cosi' vanificando la fondamentale funzione rieducativa della pena stessa ed assumendo i profili di una mera punizione fine a se stessa: cio' che stride con l'art. 27, comma 3, Cost, e che recherebbe ricadute assai negative sulla personalita' dei rei. 6. Connessa a tale profilo risulta la violazione del principio di colpevolezza di cui all'art. 27, comma 1, Cost. Affinche' la sanzione penale possa dirsi giusta ed assolvere, cosi', la finalita' rieducativa stabilita dalla Carta fondamentale, essa va adeguata all'effettiva responsabilita' penale. Il principio di personalita' della responsabilita' penale, di cui all'art. 27, comma 1, Cost., e' alla base dell'ulteriore canone della necessaria individualizzazione della pena, che «deve tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, quale naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, cosi da rendere quanto piu' possibile "personale" la responsabilita' penale e "finalizzata" la sanzione, nella prospettiva segnata rispettivamente dall'art. 27, primo e terzo comma, Cost.» (Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 7). Nel caso di specie, la sproporzione della pena concretamente irrogabile rispetto al fatto commesso mina la necessaria correlazione tra il carattere personale della responsabilita' penale e la risposta punitiva dello Stato, incidendo sulla liberta' personale del condannato ben oltre i limiti giustificati dall'individualizzato bisogno di punizione che risiede alla base di qualsiasi trattamento sanzionatorio. Il rilievo appare ancora piu' marcato ove si consideri che la fattispecie integra un reato complesso, frutto dell'unione dei delitti di minaccia (punita con la pena della multa fino ad euro 1.032,00 ovvero della reclusione fino ad un anno nell'ipotesi aggravata) e di violenza privata (punita con la pena della reclusione fino a quattro anni, con minimo fissato in giorni 15 di reclusione ai sensi dell'art. 23 c.p.), complessita' che ha generato una moltiplicazione non ragionevole del trattamento sanzionatorio nelle non infrequenti ipotesi di delitti di estorsione occasionale e, comunque, svincolate da qualsiasi contesto di criminalita' organizzata nonche' connotate da modalita' esecutive che esulano da quelle di entita' lieve (in quanto caratterizzate, ad esempio, dall'uso di armi o di altri strumenti offensivi). La questione di costituzionalita', dunque, che qui si sottopone d'ufficio alla Corte, appare rilevante al fine della definizione del giudizio e non manifestamente infondata avuto riguardo ai parametri indicati di cui agli artt. 3, 27 commi 1 e 3 Costituzione.
P. Q. M. Letto l'art. 23, legge 11.3.1953, n. 87 Dichiara d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 629, commi 1 e 2, c.p., nella parte in cui non prevedono una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o le circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. Ordina la sospensione del procedimento in corso e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza, letta alle parti all'esito del giudizio abbreviato, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati. Cosi' deciso in Roma e letto all'udienza del 18 luglio 2022. Il Presidente: Roja I Giudici: Della Vecchia - Cialoni