N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2022

Ordinanza del 18 luglio 2022 del Tribunale di Roma  nel  procedimento
penale a carico di P.T. e S.M.. 
 
Reati e pene - Reato di  estorsione  -  Trattamento  sanzionatorio  -
  Mancata previsione di una  diminuente  quando  per  la  natura,  la
  specie, i mezzi, le modalita' o le circostanze dell'azione,  ovvero
  per la particolare tenuita' del danno  o  del  pericolo,  il  fatto
  risulti di lieve entita'. 
- Codice penale, art. 629, commi primo e secondo. 
(GU n.44 del 2-11-2022 )
 
                        IL TRIBUNALE DI ROMA 
                         VIII sezione penale 
                             1° collegio 
 
    Il Tribunale in composizione collegiale, Sezione  VIII,  composto
da: 
        - dott.ssa Paola Roja - Presidente; 
        - dott.ssa Paola Della Vecchia - Giudice; 
        - dott.ssa Maria Teresa Cialoni - Giudice; 
    letti gli atti del processo pendente nei confronti di P. T.  nato
a   in data   e S. M., nato a    il   , imputati del delitto  di  cui
agli artt. 110, 629, commi 1 e 2, in relazione all'art. 628, comma 3,
n. 1, c.p., commesso in   in data   , «perche', in concorso tra loro,
dopo  aver  illecitamente  sottratto  le  chiavi  del  motociclo   di
proprieta' di G. C.  mediante  violenza  e  minaccia  consistita  nel
pretendere dalla vittima la  dazione  di  euro  100,00  per  ottenere
indietro il maltolto,  costringevano  G.  C.  a  consegnare  loro  il
danaro, cosi' procurandosi un ingiusto profitto  con  altrui  danno»,
con la recidiva reiterata e specifica per S., recidiva  reiterata  ed
infraquinquennale per P., ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Il tribunale dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.
629 1° e 2° comma c.p., nella parte in cui non prevede una diminuente
quando per  la  natura,  la  specie,  i  mezzi,  le  modalita'  o  le
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. Si ritiene che  la
questione sia rilevante e non manifestamente infondata. 
  1. Svolgimento del processo. 
    Tratti a giudizio per rispondere della rubricata  imputazione,  a
seguito di arresto  operato  dai  Carabinieri  della  Compagnia    in
data   , P. T. ; e S. M.  ,  in  atti  generalizzati,  sono  comparsi
all'udienza del giorno seguente ove e' stato convalidato l'arresto ed
applicata la misura  cautelare  dell'obbligo  di  presentazione  alla
polizia giudiziaria. Successivamente alla convalida dell'arresto, gli
imputati  hanno  conferito  al  proprio  difensore  procura  speciale
finalizzata alla richiesta di definizione del  processo  nelle  forme
del rito abbreviato ovvero mediante applicazione della pena ai  sensi
degli artt. 444 ss. c.p.p. 
    Rinviato il processo all'odierna udienza, nella  quale  e'  stata
avanzata richiesta di giudizio abbreviato che e'  stato  ammesso,  le
parti sono state invitate  a  formulare  le  rispettive  conclusioni,
ossia la richiesta di anni 3 mesi 4 di reclusione ed euro 2.000,00 di
multa ciascuno per il pubblico  ministero,  concesse  le  circostanze
attenuanti generiche  equivalenti  alle  circostanze  aggravanti;  la
richiesta di una pena equa, concessa  altresi'  l'attenuante  di  cui
all'art. 62 n. 4 c.p. quanto al difensore, in subordine rispetto alla
richiesta di assoluzione del S. 
    Il Tribunale si e' quindi ritirato in camera di consiglio. 
    Prima di pronunciarsi sul  merito  dell'imputazione,  ritiene  il
Tribunale di dover sospendere il procedimento e  sollevare  d'ufficio
la questione di legittimita' costituzionale di seguito  esposta,  non
sussistendo - allo stato - i  presupposti  per  un'assoluzione  degli
imputati, neppure con riferimento al S , nei cui confronti  e'  stato
sequestrato parte del profitto del reato. 
  2. Il fatto storico. 
    Il presente procedimento trae origine dall'arresto  in  flagranza
di P. T. e S. M. In particolare, e' emerso  che  la  persona  offesa,
C.G., si era fermata  con  il  proprio  motoveicolo  davanti  ad  uno
sportello bancomat per effettuare un prelievo di denaro. Il  predetto
si era, poi,  accorto  che  nel  quadro  di  accensione  del  proprio
motociclo non vi erano piu' le chiavi; intuendo che le  stesse  erano
state sottratte dagli odierni imputati, che poco  prima  gli  avevano
chiesto in regalo la somma di 5,00 euro, ne aveva domandato a  questi
ultimi la restituzione, offrendo  loro  spontaneamente  la  somma  di
50,00 euro. Il P. gli aveva  risposto  che  la  restituzione  sarebbe
avvenuta in cambio della somma di 100,00 euro; il C. , quindi,  aveva
consegnato  una  banconota  da  50,00  euro,  subordinando  il  saldo
dell'intera somma alla consegna delle chiavi.  I  tre  si  erano  poi
spostati presso un distributore di benzina, poco distante, ove il  P.
aveva prelevato le  chiavi  da  vicino  un  cartello  espositore  dei
prezzi, restituendole alla persona  offesa  e  ricevendo  la  seconda
banconota da 50,00 euro. Richiamati sul posto, i Carabinieri  avevano
inizialmente fermato il S. , rinvenendo  nella  disponibilita'  dello
stesso, a seguito di perquisizione personale, una banconota da  50,00
euro; il P. , inizialmente allontanatosi,  era  stato  poi  anch'esso
fermato e perquisito, con esito negativo. 
  3. La qualificazione giuridica del fatto. 
    Ritiene il Tribunale che la condotta, cosi come ricostruita,  sia
pienamente sussumibile nella fattispecie di cui all'art.  629,  comma
2, c.p., ipotizzata dall'Ufficio di Procura. 
    Il fatto di cui  gli  imputati  sono  chiamati  a  rispondere  e'
riconducibile al concetto noto, nel gergo giuridico, come "cavallo di
ritorno": esso ricorre ogniqualvolta, sottratto un bene al  legittimo
titolare, quest'ultimo riceva una  richiesta  di  denaro  finalizzata
alla restituzione del bene stesso. In relazione a tale  ipotesi,  sin
da epoca risalente la Suprema Corte ha chiarito che «Il profitto  dei
delitti di furto o di  rapina  e'  costituito  dal  bene  oggetto  di
sottrazione  -  al  momento  del  cui  impossessamento  il  reato  si
perfeziona - e non dalla diversa utilita' da esso ricavabile mediante
un'attivita' successiva, che non puo' dunque  considerarsi  assorbita
nella condotta precedente. Ne  consegue  che  quando  tale  attivita'
consiste  nella  richiesta  di  un  compenso  a  chi  lo   possedeva,
accompagnata dalla prospettazione della mancata restituzione del bene
sottratto, essa non puo' che considerarsi tesa  a  coartare  l'altrui
volonta'  a  scopo  di  profitto:  colui  che   sia   stato   privato
illecitamente  di  un  bene,  infatti,  conserva  il   diritto   alla
restituzione,  oltre  che  l'aspettativa  morale  di   riacquistarlo,
sicche'  la  richiesta   di   denaro   in   cambio   dell'adempimento
dell'obbligo  giuridico  di  restituire,  che  incombe   sull'agente,
influisce sulla liberta' di determinazione del  soggetto  passivo  ed
integra, di per se', minaccia rilevante ai sensi dell'art. 629 c.p. »
(Cass., Sez. II, 24 giugno 1998, n, 8309, Rv. 211184 - 01). 
    A tale principio di diritto si e'  uniformata  la  giurisprudenza
successiva la quale, sino  a  tempi  recentissimi,  ha  ribadito  che
«Integra il delitto di estorsione il fatto del ladro  che  chiede  ed
ottiene dal derubato  il  pagamento  di  una  somma  di  denaro  come
corrispettivo della restituzione della refurtiva, a  nulla  rilevando
che il pagamento sia successivo alla restituzione; e cio'  in  quanto
la vittima subisce gli  effetti  della  minaccia  originaria  che  ne
contiene una implicita, e cioe' quella della rappresaglia in mancanza
di adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta
di danaro rivoltale dal ladro» (Cass., Sez. II, 11 ottobre  2000,  n.
12326, Rv. 217425 - 01. Conf. Cass., Sez.  II,  23  maggio  2014,  n.
25675, Rv. 259565 - 01; Cass., Sez. II, 11 aprile 2019, n. 25213, Rv.
276572 - 01; Cass., Sez. VII, 7 dicembre 2021 - 18 gennaio  2022,  n.
1978, n. m.; Cass., Sez. II, 10 febbraio 2022 -  4  aprile  2022,  n.
12446, n. m.). 
    La condotta degli imputati  e'  dunque  sussumibile,  secondo  il
diritto vivente, nel paradigma dell'art. 629 c.p. 
    Sussiste,  inoltre,  la  circostanza  aggravante  non  comune  ad
effetto  speciale  di  cui  all'art.  629,  comma  2,  c.p.,   stante
l'avvenuta commissione del fatto ad opera di  entrambi  gli  imputati
compresenti alla richiesta (sulla nozione dell'aggravante delle  piu'
persone riunite cfr., da ultimo, Cass., Sez. II, 15 giugno  2021,  n.
33210, Rv. 281916 - 01). 
    Ad entrambi gli imputati e' stata,  altresi',  contestata,  sulla
base delle risultanze del Casellario  giudiziale,  la  recidiva  c.d.
reiterata di cui all'art. 99, comma 4, c.p.,  di  tipo  specifico  ex
art. 99, comma 2, n. 1, c.p. per il S. e di tipo infraquinquennale ex
art. 99, comma 2, n. 2, c.p. per il P. 
  4. La rilevanza della questione. 
    Ritiene il Tribunale che la prospettata questione di legittimita'
costituzionale sia rilevante poiche', in caso di  condanna,  la  pena
detentiva minima applicabile ad entrambi gli  imputati  sarebbe  pari
nel minimo ad anni 8, mesi 4 di reclusione, tenuto conto dell'aumento
di due terzi per la recidiva ai sensi dell'art.  99,  comma  4,  c.p,
(con la sola successiva diminuzione per il rito abbreviato ammesso). 
    La misura della pena e' frutto di un calcolo  che  parte  da  una
base che, quand'anche quantificata nel minimo edittale per  l'ipotesi
non aggravata, e' pari ad anni cinque di reclusione  (comma  1).  Nel
caso di specie il fatto e' aggravato ai sensi dell'art. 629, comma 2,
c.p.,  che  prevede  lo  speciale  inasprimento  della   sanzione   -
fissandone il minimo in anni sette di reclusione  -  laddove  ricorra
taluna delle circostanze aggravanti previste al comma 3 dell'art. 628
c.p. (sul punto, v. il chiarimento offerto, da ultimo, da Cass., Sez.
II, 23 marzo 2016, n. 13239, Rv. 266662 - 01, secondo cui «Il  rinvio
operato dal secondo comma dell'art.  629  c.p.  all'ultimo  capoverso
dell'art. 628 c.p., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al
delitto di estorsione, deve intendersi riferito,  dopo  le  modifiche
apportate dalla legge n. 94 del 15  luglio  2009,  all'attuale  terzo
comma del predetto art. 628, e non al  comma  quarto  concernente  il
concorso  fra  circostanze  attenuanti  ed  aggravanti»).   Ulteriore
circostanza  aggravante,  anch'essa  ad  effetto   speciale   poiche'
comporta un aumento di due terzi della pena, e'  rappresentata  dalla
recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.,  contestata  ad  entrambi
gli imputati. 
    Nel caso di specie, in ossequio alla regola di cui  all'art.  63,
comma 4, c.p. - a mente del quale,  se  concorrono  piu'  circostanze
aggravanti cd. indipendenti oppure ad effetto  speciale,  si  applica
solo la pena stabilita per la circostanza piu' grave, ma  il  giudice
puo' aumentarla - deve applicarsi  l'aumento  di  due  terzi  per  la
recidiva, che costituisce inasprimento piu' grave rispetto  a  quello
di cui al comma 2  dell'art.  629  c.p.:  la  pena  detentiva  minima
applicabile sia al P. che al S. e', quindi, pari ad anni 8, mesi 4 di
reclusione (pena base anni 5 di reclusione, aumentata di due terzi ai
sensi dell'art. 99, comma 4, c.p.), anche prescindendo dall'ulteriore
aumento  consentito  dall'art.  63,  comma  4,   c.p.,   sulla   base
dell'interpretazione data del trattamento sanzionatorio in ipotesi di
concorso di piu' circostanze aggravanti ad  effetto  speciale  (cfr.,
sul punto, Cass., Sez. un., 24 febbraio 2011, n. 20798, Rv. 249664  -
01). 
    Quand'anche si volesse escludere la contestata  aggravante  della
recidiva, la pena edittale minima sulla quale misurare il trattamento
sanzionatorio e' pari  ad  anni  7  di  reclusione,  in  ragione  del
combinato del comma 2 dell'art.  629  c.p.  con  il  comma  3,  n.  1
dell'art. 628 c.p. 
    Relativamente alla rilevanza dell'utilizzo di strumenti  volti  a
mitigare la severita' del trattamento  sanzionatorio,  codesta  Corte
gia' ha avuto modo di specificare che la  funzione  "naturale"  delle
circostanze attenuanti generiche «e' quella  di  adeguare  la  misura
della pena alla  sussistenza  di  speciali  indicatori  (oggettivi  o
soggettivi» di un minor disvalore del fatto  concreto  all'esame  del
giudice rispetto alla gravita' ordinaria dei fatti riconducibili alla
fattispecie  base  di  reato;  e  non  gia'  quella   di   correggere
l'eventuale  sproporzione   dei   minimi   edittali   stabiliti   dal
legislatore rispetto a un fatto  il  cui  disvalore  sia  conforme  a
quello che  ordinariamente  caratterizza  la  fattispecie  criminosa»
(cosi' Corte cost., 10 marzo 2022, n. 63). 
    Non puo' quindi prendersi in considerazione, rispetto  al  dubbio
di costituzionalita', la concedibilita' delle circostanze  attenuanti
generiche ex art. 62-bis c.p., ovvero l'attenuante  di  cui  all'art.
62, n. 4, c.p., per  la  speciale  tenuita'  del  danno  patrimoniale
arrecato alla persona offesa:  il  giudizio  di  meritevolezza  delle
attenuanti  verrebbe  infatti  condizionato  da   parametri   diversi
rispetto a quelli posti  dall'art.  133  c.p.  e,  in  qualche  modo,
necessitato   dall'esigenza   di    adeguamento    del    trattamento
sanzionatorio al reale disvalore offensivo del fatto, cosi'  piegando
dette  circostanze  ad  una  funzione  impropria  e,  in  ogni  caso,
indifferente rispetto ai minimi della fattispecie che qui si reputano
in se' del tutto irragionevoli. 
    Per di piu', in ogni caso, la pena detentiva  minima  applicabile
agli  imputati,  pur  ammessa  la   concessione   delle   circostanze
attenuanti generiche e di quelle  comuni  nella  massima  estensione,
sarebbe pari ad armi cinque  di  reclusione,  stante  il  divieto  di
prevalenza di dette circostanze sulla recidiva di  cui  all'art.  99,
comma 4, c.p., ove riconosciuta, posto dall'art. 69, comma 4, c.p. 
    Ritiene  il  Tribunale  che  la  misura  della   pena   detentiva
applicabile agli imputati nel caso di specie sia incompatibile con  i
parametri costituzionali che saranno di seguito evocati,  anche  alla
luce della piu' recente giurisprudenza di codesta Corte  in  tema  di
sindacato giurisdizionale sulla manifesta  sproporzione  delle  pene,
valida anche in relazione alla vicenda  che  ci  occupa,  in  cui  si
lamenta  l'omessa  previsione,  nell'art.  629  c,p.,  di  un'ipotesi
attenuata che riceva una risposta sanzionatoria adeguata e  non  gia'
sproporzionata rispetto alla condotta concretamente posta in  essere,
laddove la stessa sia di speciale tenuita'. 
    Non si ritiene, dunque, inconferente  il  richiamo  al  principio
secondo cui «Ai sensi del combinato disposto  degli  artt.  3  e  27,
terzo  comma,  Cost.  l'ampia  discrezionalita'  di  cui  dispone  il
legislatore nella quantificazione  delle  pene  incontra  il  proprio
limite   nella   manifesta   sproporzione   della   singola    scelta
sanzionatoria, sia in relazione alle pene previste per  altre  figure
di reato,  sia  rispetto  alla  intrinseca  gravita'  delle  condotte
abbracciate da una singola figura  di  reato.  Il  limite  in  parola
esclude, piu' in particolare, che la severita' della  pena  comminata
dal  legislatore  possa   risultare   manifestamente   sproporzionata
rispetto alla gravita' oggettiva  e  soggettiva  del  reato:  il  che
accade, in particolare, ove il legislatore fissi  una  misura  minima
della pena troppo elevata, vincolando cosi' il giudice all'inflizione
di pene che potrebbero  risultare,  nel  caso  concreto,  chiaramente
eccessive rispetto alla sua gravita'» (Corte cost., 10 marzo 2022, n.
63, cit. Conf. Corte cost., l' febbraio 2022, n. 28). 
    In questo contesto, preme evidenziare quanto  lo  stesso  Giudice
delle leggi  ha  rilevato  in  piu'  occasioni,  affermando  che  «la
giurisprudenza costituzionale piu' recente ha gradatamente affrancato
il sindacato di conformita' al principio di  proporzione  della  pena
edittale dalle strettoie segnate dalla necessita' di  individuare  un
preciso tertium comparationis da cui mutuare la cornice sanzionatoria
destinata a sostituirsi a quella dichiarata  incostituzionale;  e  ha
spesso privilegiato (almeno a partire dalla sentenza n. 343 del 1993)
un modello di sindacato  sulla  proporzionalita'  "intrinseca"  della
pena, che  -  ferma  restando  l'ampia  discrezionalita'  di  cui  il
legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali [...]  -
valuta  direttamente  se  la  pena   comminata   debba   considerarsi
manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi
nel sistema punti di riferimento gia' esistenti  per  ricostruire  in
via interinale un nuovo  quadro  sanzionatorio  in  luogo  di  quello
colpito dalla declaratoria di' incostituzionalita', nelle more di  un
sempre possibile intervento  legislativo  volto  a  rideterminare  la
misura della pena, nel  rispetto  dei  principi  costituzionali»  (ex
multis Corte cost., 14 dicembre 2019, n. 284, Corte cost., 10  maggio
2019, n. 112; Corte cost., 5 dicembre 2018, n. 222; Corte  cost.,  23
marzo 2012, n. 68). 
    E' utile rammentare, altresi', il monito recentemente rivolto  al
legislatore   da   codesta   Corte   allorquando,   nel    dichiarare
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 628, comma 2, c.p., sollevata in riferimento agli artt.  3,
25, comma 2, e 27, comma 3, Cost. laddove la  citata  norma  prevede,
per il reato di rapina cosiddetta impropria, la stessa pena stabilita
dal comma 1 della medesima norma per la rapina cosiddetta propria, e'
stato osservato come «la pressione  punitiva  attualmente  esercitata
riguardo  ai  delitti  contro  il  patrimonio  sia   divenuta   assai
rilevante, tanto da richiedere  che  il  legislatore  ne  riconsideri
l'assetto,  anche  alla  luce  della  protezione  penale  attualmente
assicurata a beni diversi» (Corte cost.,  27  maggio  2021,  n.  111;
nello stesso senso Corte cost., 31 luglio 2020, n. 190). 
    Tale richiamo  appare  assai  significativo  nell'economia  della
presente questione, atteso che il delitto di rapina e' punito,  nella
forma semplice, con la medesima pena prevista per l'ipotesi base  del
delitto di estorsione. 
  5. La non manifesta infondatezza della questione. 
    1. Tanto premesso in punto di rilevanza della questione,  ritiene
il Tribunale che la disposizione censurata violi gli artt.  3  e  27,
commi 1 e 3, Cost. per i motivi di seguito esposti. 
    Occorre preliminarmente rammentare la pronuncia con  cui  codesta
Corte ha dichiarato la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 629, comma 1, c.p., nella parte
in cui prevede come pena minima edittale quella  di  cinque  anni  di
reclusione, sollevata in riferimento agli artt.  3  e  27,  comma  3,
Cost. In tale occasione e' stato affermato  che,  come  emerge  dalla
Relazione accompagnatrice del disegno di  legge  di  conversione  del
d.l. n. 419/1991, il cui art. 8 ha aumentato la pena minima  edittale
da tre a cinque  anni,  tale  aumento  appare  comunque  giustificato
dall'esigenza di evitare che possano essere irrogate pene che, con il
concorso delle circostanze attenuanti, si mantengano nei  limiti  per
la concessione del beneficio  della  sospensione  condizionale  della
pena,  a   causa   della   difficile   individuazione   in   concreto
dell'aggravante di far parte di  un'associazione  di  stampo  mafioso
(Corte cost., 24 luglio 1995, n. 368).  L'inasprimento  sanzionatorio
in parola  e'  stato,  dunque,  ritenuto  ragionevole  a  fronte  del
dilagare del racket  delle  estorsioni  cui,  come  e'  noto,  si  e'
assistito negli anni Novanta. 
    Preme evidenziare,  tuttavia,  che  il  reato  di  estorsione  e'
attualmente  riconducibile  ai  contesti  piu'   eterogenei   e   non
necessariamente  legati  alla  criminalita'  mafiosa,  come  dimostra
proprio il caso di specie, in cui si procede a carico di soggetti del
tutto slegati dal  mondo  associativo  od  organizzato  i  quali,  in
maniera evidente, hanno agito  in  forma  estemporanea  ed  istintiva
(avendo notato le chiavi  appese  al  blocchetto  di  accensione  del
motociclo parcheggiato lungo  la  pubblica  via),  con  modi  affatto
violenti, sulla spinta di bisogni personali  contingenti,  dimostrati
proprio dall'assoluta modestia del profitto perseguito  (50,00  euro,
atteso che la restante somma gia' era stata "donata" dalla vittima). 
    La  norma  censurata  si  presta,  dunque,  a  colpire   fenomeni
criminosi radicalmente dissimili tra  loro  e  finanche  le  condotte
estorsive avulse dalla criminalita' mafiosa e  minimamente  offensive
per i connotati dell'azione e per la  tenuita'  del  danno  arrecato,
quale quella ascritta agli odierni imputati. 
    La vicenda oggetto del presente giudizio, infatti,  trae  origine
da un'iniziativa del tutto  occasionale  degli  imputati,  che  hanno
rinvenuto le chiavi poco prima smarrite dalla persona offesa: cio' ha
costituito occasione di una richiesta estorsiva avente ad oggetto una
contenuta somma di denaro (50,00 euro),  avanzata  con  mere  minacce
verbali, neppure particolarmente insistite, e  senza  predisposizione
di mezzi offensivi di sorta o l'uso di armi. 
    Sulla scorta  di  quanto  premesso,  il  Tribunale  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 629 c.p., nella  parte  in  cui
non  prevede  un'ipotesi  attenuata  per  le   condotte   minimamente
offensive, costringendo il giudice  ad  applicare  una  pena  il  cui
minimo edittale risulta, in tali casi, manifestamente  sproporzionato
per eccesso (nel caso di specie, prima della diminuente per il  rito,
anni 8 mesi 4 di reclusione ritenuta la recidiva reiterata; anni 7 di
reclusione  esclusa  la  recidiva;  anni  5  di  reclusione,  volendo
concedere le circostanze attenuanti ovvero quella  del  conseguimento
di un lucro di speciale tenuita', in necessario regime di equivalenza
con le aggravanti ad effetto speciale). In questi termini,  la  norma
censurata si pone in contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 27,  commi
1 e 3, Cost., per la violazione dei  principi  di  uguaglianza  e  di
ragionevolezza, di personalita' della responsabilita' penale e  della
funzione rieducativa della pena. 
    2. In particolare, la violazione  del  principio  di  uguaglianza
discende dalla  disparita'  di  trattamento  rispetto  a  fattispecie
simili  -  necessariamente  non  identiche,  stante,  la  fisiologica
diversita'  delle  ipotesi  contemplate  dalla  legge  penale  -   o,
comunque, piu' gravi, segnatamente alcune fattispecie penali poste  a
protezione di beni giuridici analoghi a quelli tutelati dall'art. 629
c.p.,  da  un  lato,  e  fattispecie  evidentemente  piu'  gravi   di
quest'ultima, stante il relativo trattamento sanzionatorio,  rispetto
alle quali  il  legislatore  ha  comunque  previsto  una  circostanza
attenuante speciale per i fatti di lieve entita', 
    In questo contesto, e' utile rammentare l'affermazione di codesta
Corte secondo cui «fermo restando che le valutazioni discrezionali di
dosimetria  della  pena  spettano  anzitutto  al   legislatore,   non
sussistono ostacoli all'intervento della Corte costituzionale  quando
le scelte sanzionatorie si siano rivelate manifestamente arbitrarie o
irragionevoli. Al fine di consentire tale intervento  correttivo  non
e'  necessario  che  esista  un'unica  soluzione   costituzionalmente
vincolata,  come  quella  prevista  per  una  norma  avente  identica
struttura  e  ratio,   idonea   a   essere   assunta   come   tertium
comparationis, essendo sufficiente che il sistema nel  suo  complesso
offra "precisi punti di riferimento" e  soluzioni  "gia'  esistenti",
ancorche' non "costituzionalmente obbligate", che possano sostituirsi
alla  previsione  sanzionatoria  dichiarata  illegittima,  garantendo
coerenza alla logica perseguita dal legislatore. Nel  rispetto  delle
scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad  esso
riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento presenti  zone
franche immuni dal sindacato di legittimita'  costituzionale  proprio
in ambiti in cui e' maggiormente impellente l'esigenza di  assicurare
una tutela effettiva dei diritti fondamentali, tra  cui  massimamente
la liberta' personale» (Corte cost., 8 marzo 2019, n. 40). 
    3. La fattispecie di cui all'art. 629 c.p. e' posta a tutela  del
patrimonio, come suggerisce la collocazione sistematica  della  norma
all'interno  del  codice  penale.  Attraverso  tale   previsione   il
legislatore ha  inteso,  inoltre,  tutelare  la  liberta'  personale,
stanti gli elementi costitutivi della violenza  o  minaccia  e  della
costrizione. In questo senso, la Suprema Corte ha chiarito  che  «Nel
reato di estorsione l'oggetto della tutela  giuridica  e'  costituito
dal duplice interesse pubblico della inviolabilita' del patrimonio  e
della liberta' personale [...]  (Cass., Sez, III, 11 maggio 2007,  n.
27257, Rv. 237211 - 01). 
    I beni giuridici poc'anzi evocati costituiscono oggetto di tutela
di ulteriori  fattispecie  penali,  rispetto  alle  quali  e'  invece
prevista un'ipotesi attenuata che rende il trattamento  sanzionatorio
meno rigoroso per i casi di lieve entita', si' da dar  luogo  ad  una
irragionevole disparita' di trattamento nel  senso  sopra  illustrato
rispetto alle previsioni dell'art. 629 commi I e 2 c.p. 
    Preme rammentare,  in  questo  contesto,  che  la  disparita'  di
trattamento rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost. ricorre a fronte del
diverso trattamento di situazioni - per cio'  che  rileva  in  questa
sede - non solo di analoga gravita', ma anche di gravita' differente,
laddove ad una fattispecie meno grave venga riservato un  trattamento
in concreto  assai  piu'  rigoroso  rispetto  a  quanto  avviene  con
riferimento ad ipotesi ben piu' gravi (cfr., ad es., Corte cost.,  17
marzo 1988, n. 304, in tema di condizioni per la non  menzione  della
condanna a pena pecuniaria nel certificato del casellario  giudiziale
rispetto alle ipotesi di condanna a pena detentiva, solo o  congiunta
a pena pecuniaria; Corte cost., 14 aprile 2022, n.  95,  in  tema  di
sanzioni amministrative). 
    Tale ragionamento si ritiene valido  anche  argomentando  non  in
termini di limiti edittali di pena, ma di mancata previsione  di  una
fattispecie attenuata, assumendo rilievo la sanzione  applicabile  in
concreto. 
    Venendo ai delitti rispetto ai quali si  pone  una  irragionevole
disparita' di trattamento  rileva,  innanzitutto.  l'art.  630  c.p.,
fattispecie ben piu' grave di quella di cui  all'art.  629  c.p.  dal
punto  di  vista  sanzionatorio  per  l'ipotesi  base   e   anch'essa
ricornpresa tra i delitti contro il patrimonio e posta,  altresi',  a
tutela della liberta' personale (v, Cass., Sez. I, 15 novembre 1977 -
dep. 1978, n, 2189, Rv. 138095 - 01), che in tale ipotesi subisce  la
massima limitazione. E' evidente l'analogia rispetto  al  delitto  di
estorsione, che nell'ipotesi di cui all'art. 630 c.p. rappresenta  il
fine  perseguito  dall'agente   attraverso   la   totale   privazione
dell'altrui liberta' personale. Proprio  in  relazione  al  sequestro
estorsivo, codesta Corte e' intervenuta dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 630 c.p. «nella parte in cui non prevede che
la pena da esso comminata e'  diminuita  quando  per  la  natura,  la
specie, i mezzi, le modalita' o circostanze dell'azione,  ovvero  per
la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di
lieve entita'» (Corte cost., 23 marzo 2012, n. 68). 
    Ulteriore fattispecie rispetto alla quale si pone  la  denunciata
disparita' di trattamento e' quella di  cui  all'art.  609-bis  c.p.,
norma posta a  tutela  dell'autodeterminazione  della  persona  nella
sfera sessuale, i cui profili di  analogia  rispetto  al  delitto  di
estorsione risiedono nella coartazione della volonta', realizzata  in
maniera assai similare nelle  due  ipotesi,  stante  il  richiamo  in
entrambi i casi agli elementi della violenza o  minaccia.  Stando  ai
limiti edittali di pena, il reato di violenza  sessuale  risulta  ben
piu' grave  rispetto  a  quello  di  estorsione  e  cio'  in  seguito
all'aumento della pena base operato  dalla  1.  n.  69/2019.  Ebbene,
l'ultimo comma dell'art. 609-bis c.p. prevede una diminuente fino  ai
due terzi della pena nei casi  di  minore  gravita':  il  difetto  di
analoga previsione rispetto ad una  fattispecie  similare  quanto  ai
beni oggetto di  tutela  e  meno  grave  sul  piano  del  trattamento
sanzionatorio  da'  luogo,  ad   avviso   del   Tribunale,   ad   una
irragionevole disparita' di trattamento. 
    Venendo alle fattispecie poste a tutela di beni giuridici diversi
rispetto  al  delitto  di  estorsione,  ma  comunque  piu'  gravi  di
quest'ultimo, viene in rilievo l'art. 609-quater c.p., posto a tutela
dell'integrita' psicofisica del minore, il cui  comma  6  prevede  la
diminuzione della pena fino ai due terzi nei casi di minore gravita'.
Il trattamento sanzionatorio previsto per il predetto delitto  -  per
il quale il legislatore ha operato un rinvio alla pena stabilita  per
il delitto di violenza sessuale -  suggerisce  trattarsi  di  ipotesi
piu' grave rispetto  al  delitto  di  estorsione;  da  cio'  consegue
l'irragionevole disparita' di trattamento nel senso sopra  descritto,
laddove nel  solo  caso  di  tale  piu'  grave  delitto  e'  prevista
un'ipotesi attenuata. 
    Ulteriore   fattispecie   che   merita   di   essere   presa   in
considerazione e' quella di cui all'art. 289-ter c.p., posta a tutela
della personalita' dello Stato. Si tratta di un  delitto  assai  piu'
grave  di  quello  di  estorsione,  come   emerge   dal   trattamento
sanzionatorio previsto, compreso tra i venticinque e i trenta anni di
reclusione. Tuttavia, il piu' grave delitto di sequestro di persona a
scopo di coazione gode di un trattamento sanzionatorio attenuato  per
i casi di lieve entita' (art. 289-ter, ult. comma,  c.p.),  cio'  che
da' luogo ad una non giustificata disparita' di trattamento  rispetto
al meno grave delitto di estorsione, nel senso sopra argomentato. 
    Analoga disparita' di trattamento si pone, inoltre, in  relazione
a tutti i delitti contro la personalita' dello Stato che, in base  al
trattamento  sanzionatorio,  risultano  piu'  gravi  del  delitto  di
estorsione  -  che  si  fa  a  meno  di  richiamare  attesa  la  loro
molteplicita' - stante la diminuente prevista dall'art. 311 c.p.  per
tutti i delitti contemplati nel Titolo  I  del  Libro II  del  codice
penale, «quando per la natura, la specie, i  messi,  le  modalita'  o
circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno
o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'», 
    Ulteriore gradazione della pena  e'  prevista  dall'art.  323-bis
c.p., laddove il fatto sia di particolare tenuita', in  relazione  ad
una serie di delitti contro la Pubblica  Amministrazione  alcuni  dei
quali, sulla base del trattamento sanzionatorio, risultano piu' gravi
del delitto di estorsione. Si tratta, in particolare, dei delitti  di
cui agli artt. 314 (il cui massimo edittale  supera  quello  previsto
per l'ipotesi base dall'art. 629  c.p.),  317,  319  (il  cui  minimo
edittale supera quello previsto  per  l'ipotesi  base  dall'art.  629
c.p.) e 319-quater c.p. Anche rispetto a tali fattispecie si ravvisa,
dunque,  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento,  stante  la
previsione di un'ipotesi attenuata con  riferimento  a  tali  delitti
piu' gravi rispetto a quello di estorsione, cui  non  accede  analoga
diminuente. 
    Rileva, ancora, l'art. 518-septiesdecies c.p., il  quale  prevede
la diminuzione di un  terzo  della  pena  per  i  delitti  contro  il
patrimonio culturale, previsti dal Titolo VIII-bis del codice penale,
quando il danno cagionato sia di speciale tenuita'  ovvero  il  reato
abbia comportato un lucro di speciale tenuita', quando anche l'evento
dannoso o pericoloso sia di speciale  tenuita'.  Tale  diminuente  e'
prevista in relazione ad una serie di delitti alcuni dei quali, sulla
base del trattamento sanzionatorio, risultano piu' gravi del  delitto
di estorsione. Si tratta, in particolare, dei  delitti  di  cui  agli
artt. 518-quater (la cui pena edittale massima, pari a dieci  anni  e
dunque analoga alla pena  massima  prevista  per  l'ipotesi  base  di
estorsione, e' aumentata, ai sensi del comma 2 della richiamata norma
incriminatrice, quando il fatto riguardi beni  culturali  provenienti
dai delitti di rapina aggravata ai sensi dell'art. 628, comma 3, e di
estorsione  aggravata  ai  sensi  dell'art.  629,  comma  2,   c.p.),
518-quinquies e 514-sexies (i cui massimi  edittali  superano  quello
previsto per l'ipotesi base dall'art. 629 c.p.) e 518-terdecies  c.p.
Anche rispetto a tali ipotesi si ravvisa una irragionevole disparita'
di trattamento, per le ragioni sopra  esposte  con  riferimento  alle
altre fattispecie evocate. Viene in rilievo, infine, la previsione di
cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, che prevede  un'ipotesi
di lieve entita', accessoria ad un delitto ben piu' grave rispetto  a
quello  di  estorsione,  stanti  i  limiti  edittali  di  pena  della
fattispecie base (reclusione da 6 a 20 anni).  Si  evidenzia  dunque,
anche in relazione a tale  ipotesi,  un'irragionevole  disparita'  di
trattamento per non avere il  legislatore  previsto  analoga  ipotesi
attenuata in relazione al  meno  grave  delitto  di  estorsione.  Ne'
rileva, in senso contrario, la circostanza per cui l'ipotesi  di  cui
all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 rappresenta - com'e' noto  -
fattispecie autonoma rispetto a quella di cui al comma l della stessa
norma,  in  questo  senso   essendo   consolidata   l'interpretazione
giurisprudenziale sul punto. Si e' pur sempre in  presenza,  infatti,
di una valutazione legislativa che ammette l'astratta ipotizzabilita'
di una  connotazione  meno  grave  del  fatto  in  relazione  ad  una
fattispecie di elevato allarme sociale e ben piu' grave di quella  di
estorsione. 
    4. Ulteriore profilo di attrito della fattispecie denunciata  con
l'art. 3 Cost. si  ravvisa  nell'avere  il  legislatore  previsto,  a
monte,  una  soglia  di  gravita'  assai  marcata  e   punita   molto
severamente, stante il trattamento sanzionatorio decisamente  elevato
previsto per l'ipotesi base del delitto di estorsione. 
    Tale scelta si ritiene priva di ragionevole  fondamento  poiche',
in tal modo, il giudice non e' in grado di adattare  la  sanzione  al
caso  concreto,  mitigando  la  risposta  punitiva,  in  presenza  di
elementi oggettivi rivelatori di una limitata gravita' del fatto. 
    Ne discende, ad avviso del Tribunale  rimettente,  la  violazione
del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  essendo  la
pena  edittale  prevista  dall'art.  629  c.p.  non   ragionevolmente
proporzionata all'intera gamma dei  fatti  riconducibili  al  modello
legale. Sul punto, ci si richiama alla giurisprudenza citata sub  5.2
in tema di manifesta sproporzione della pena. 
    5. Ulteriore norma che in  questa  sede  si  ritiene  violata  e'
l'art. 27, comma 3,  Cost.,  in  combinazione  con  l'art.  3  Cost.,
disposizioni che fondano il principio di proporzionalita' della  pena
al fatto concretamente commesso, sul rilievo che una pena palesemente
sproporzionata - e quindi, in quanto tale, inevitabilmente  avvertita
come  ingiusta  dal  condannato  -  vanifica,  gia'  a   livello   di
comminatoria  legislativa  astratta,  la  finalita'  rieducativa  (in
proposito, tra le tante, Corte cost., 25 luglio 1994, n.  341;  Corte
cost., 15 novembre 2012, n. 251; Corte cost., 8 marzo 2019, n. 40). 
    Come statuito da codesta Corte, «L 'art. 3  Cost.  esige  che  la
pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito  commesso,  in
modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla  funzione
di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni  individuali.
[...] In tale delicato  settore  dell'ordinamento,  il  principio  di
proporzionalita'   esige   un'articolazione   legale   del    sistema
sanzionatorio che renda possibile  l  'adeguamento  della  pena  alle
effettive  responsabilita'  personali,  svolgendo  una  funzione   di
giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di  limite
della  potesta'  punitiva  statale,  in   armonia   con   il   "volto
costituzionale"  del  sistema  penale.   [...]   L'eventuale   palese
sproporzione della risposta punitiva (e del sacrificio della liberta'
personale) vanifica ab initio il processo rieducativo,  al  quale  il
reo tendera' a non prestare adesione, gia' solo per la percezione  di
subire  una  condanna  ingiusta  svincolata  dalla  gravita'  e   dal
disvalore della propria condotta» (Corte cost., 10 novembre 2016,  n.
236). E' stato affermato, inoltre, che «i principi di cui agli  artt.
3 e 27 Cost. [...] esigono di contenere la privazione della  liberta'
e la sofferenza inflitta  alla  persona  umana  nella  misura  minima
necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino  di  recupero,
riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale»  (Corte  cost.,
13 luglio 2017, n. 179). 
    Nel caso di specie, la pena che il Tribunale sarebbe costretto ad
irrogare  agli  odierni  imputati  non  verrebbe  da  questi   ultimi
compresa,  in  ragione  della  modestia  del  fatto  commesso,  cosi'
vanificando la fondamentale funzione rieducativa della pena stessa ed
assumendo i profili di una mera punizione fine a se stessa: cio'  che
stride con l'art. 27, comma 3, Cost, e che recherebbe ricadute  assai
negative sulla personalita' dei rei. 
    6. Connessa a tale profilo risulta la violazione del principio di
colpevolezza di cui all'art. 27, comma 1, Cost. Affinche' la sanzione
penale  possa  dirsi  giusta  ed  assolvere,  cosi',   la   finalita'
rieducativa stabilita dalla  Carta  fondamentale,  essa  va  adeguata
all'effettiva responsabilita' penale. Il  principio  di  personalita'
della responsabilita' penale, di cui all'art. 27, comma 1, Cost.,  e'
alla base dell'ulteriore canone della necessaria  individualizzazione
della pena, che «deve tenere conto  dell'effettiva  entita'  e  delle
specifiche esigenze dei singoli casi,  quale  naturale  attuazione  e
sviluppo di principi costituzionali,  cosi  da  rendere  quanto  piu'
possibile "personale" la responsabilita' penale  e  "finalizzata"  la
sanzione, nella prospettiva  segnata  rispettivamente  dall'art.  27,
primo e terzo comma, Cost.» (Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 7). 
    Nel caso di specie,  la  sproporzione  della  pena  concretamente
irrogabile rispetto al fatto commesso mina la necessaria correlazione
tra il carattere personale della responsabilita' penale e la risposta
punitiva  dello  Stato,  incidendo  sulla  liberta'   personale   del
condannato ben  oltre  i  limiti  giustificati  dall'individualizzato
bisogno di punizione che risiede alla base di  qualsiasi  trattamento
sanzionatorio. 
    Il rilievo appare ancora piu' marcato ove  si  consideri  che  la
fattispecie  integra  un  reato  complesso,  frutto  dell'unione  dei
delitti di minaccia (punita con la pena  della  multa  fino  ad  euro
1.032,00  ovvero  della  reclusione  fino  ad  un  anno  nell'ipotesi
aggravata) e di violenza privata (punita con la pena della reclusione
fino a quattro anni, con minimo fissato in giorni 15 di reclusione ai
sensi  dell'art.  23  c.p.),  complessita'  che   ha   generato   una
moltiplicazione non ragionevole del trattamento  sanzionatorio  nelle
non infrequenti ipotesi  di  delitti  di  estorsione  occasionale  e,
comunque,  svincolate   da   qualsiasi   contesto   di   criminalita'
organizzata nonche' connotate da modalita' esecutive che  esulano  da
quelle di  entita'  lieve  (in  quanto  caratterizzate,  ad  esempio,
dall'uso di armi o di altri strumenti offensivi). 
    La questione di costituzionalita', dunque, che qui  si  sottopone
d'ufficio alla Corte, appare rilevante al fine della definizione  del
giudizio e non manifestamente infondata avuto riguardo  ai  parametri
indicati di cui agli artt. 3, 27 commi 1 e 3 Costituzione.  
 
                               P. Q. M. 
 
    Letto l'art. 23, legge 11.3.1953, n. 87 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 629, commi 1 e  2,
c.p., nella parte in cui non prevedono una diminuente quando  per  la
natura,  la  specie,  i  mezzi,  le  modalita'   o   le   circostanze
dell'azione, ovvero per la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del
pericolo, il fatto risulti di lieve entita'. 
    Ordina la sospensione del procedimento  in  corso  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che la presente ordinanza, letta alle parti all'esito del
giudizio abbreviato, sia notificata al Presidente del  Consiglio  dei
Ministri e comunicata al Presidente del Senato e al Presidente  della
Camera dei Deputati. 
    Cosi' deciso in Roma e letto all'udienza del 18 luglio 2022. 
 
                         Il Presidente: Roja 
 
 
                                   I Giudici: Della Vecchia - Cialoni