N. 131 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 giugno 2022

Ordinanza del 5 giugno 2022 del Tribunale di  Roma  nel  procedimento
civile promosso da C. A. contro R. D. ed E. H.. 
 
Procreazione medicalmente assistita  (PMA)  -  Consenso  informato  -
  Termine per la revoca - Previsione che la revoca della volonta' dei
  soggetti,  relativa  all'accesso  alle  tecniche  di   procreazione
  medicalmente  assistita,  e'  possibile  fino  al   momento   della
  fecondazione dell'ovulo - Mancata previsione, successivamente  alla
  fecondazione dell'ovulo, di un termine per la revoca del consenso. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), art. 6, comma 3. 
(GU n.46 del 16-11-2022 )
 
                     TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA 
         Sezione diritti della persona e immigrazione civile 
 
    In persona del giudice designato  dott.ssa  Lilla  De  Nuccio  ha
emesso la seguente ordinanza  nel  procedimento  n.  R.G.  41091/2021
degli affari civili  contenziosi,  vertente  tra  C.  A.  (C.F.    ),
elett.te dom.ta presso lo studio dell'avv.to D'Agostini Tiziana,  che
la rappresenta e difende giusta procura in atti - ricorrente e R.  D.
(C.F.   ) elett.te  dom.to  presso  lo  studio  dell'avv.to  Fabrizio
Barberini, che lo rappresenta e  difende  giusta  procura  in  atti -
resistente e E. H. (C.F.:    e  P.I.:    ),  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  elett.te  dom.ta  presso   lo   studio
dell'avv.to Francesco Di Mauro che la rappresenta  e  difende  giusta
procura in atti - resistente. 
    Oggetto: istituti relativi allo stato della persona ed ai diritti
della personalita'. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. la ricorrente ha  convenuto
davanti al Tribunale adito i resistenti chiedendo di «ordinare all'E.
H. in persona del l.r.p.t., di concludere il ciclo di trattamento  di
procreazione medicalmente assistita cui e' stata sottoposta la sig.ra
A. C.  provvedendo  al  decongelamento  dell'embrione  (Emb.  2.3  in
tabella pag. 4 della relazione sul ciclo di  trattamento  e  diagnosi
genetica del   - all. 6 al presente atto) ed  al  transfer  in  utero
dello stesso, con esecuzione  di  ogni  attivita'  e  cura  inerente,
prodromica, contestuale e conseguente, raccomandata dalle Linee guida
1° luglio 2015, salvo altre sopravvenute, e dalla  scienza  medica  e
biologica» nonche' «nella denegata ipotesi in cui la E. H. non  desse
seguito all'ordine cosi' impartito, condannare la stessa E. H.  ,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, a  consegnare,  previa
osservanza delle migliori cautele dettate dalle Linee guida 1° luglio
2015, salvo altre sopravvenute, e dalla scienza medica  e  biologica,
l'embrione alla sig.ra C. presso altra struttura dalla stessa  sig.ra
C.  indicata,  autorizzata  ad  eseguire   l'impianto   e   al   fine
dell'esecuzione  dello  stesso».  La  ricorrente,  a  sostegno  della
propria domanda, ha esposto di  essersi  sposata  in  data    con  il
resistente  sig.  R.  e  dopo,   diversi   accertamenti   e   terapie
farmacologiche per risolvere i problemi di infertilita',  di  essersi
rivolta, a   , alla E. H. S.p.a. per  intraprendere  il  percorso  di
PMA. La ricorrente ha rilevato che sia lei che  il  coniuge  sig.  R.
hanno acconsentito, con la sottoscrizione del consenso  informato  in
data   , alla crioconservazione dell'embrione al fine  di  permettere
l'esecuzione della biopsia embrionale,  in  vista  dell'impianto.  La
ricorrente  ha,  quindi,  rappresentato  che  la  procedura  per   il
trasferimento in utero dell'embrione veniva rinviata  a  causa  della
scarsa qualita' endometriale, di essersi  sottoposta  nei  successivi
mesi di   e   alla terapia  farmacologica,  alle  ulteriori  analisi,
allo scratch endometriale e alla terapia della preparazione a graffio
prodromico all'impianto,  poi  non  effettuato  per  l'allontanamento
dalla casa coniugale del sig. R. nel   .  Ha,  poi,  esposto  che  e'
stata formalizzata in data   la separazione consensuale  e  che  solo
nel   il sig. R. ha chiesto  il  divorzio.  Ha  evidenziato  di  aver
chiesto e diffidato l'E. H. di procedere  all'impianto  dell'embrione
crioconservato, stante il proprio desiderio di  maternita',  ma  tale
istanza e' rimasta senza esito. La ricorrente ha rappresentato che la
domanda cautelare avanzata ante  causam  non  e'  stata  accolta  con
l'ordinanza  dell'11  novembre  2020  e  in  sede  di   reclamo   con
l'ordinanza del 5 marzo 2021 per assenza del requisito del  periculum
in mora. Ha, quindi, rilevato che il consenso prestato dal resistente
sig.  R.  non  e'  revocabile  essendo  intervenuta  la  fecondazione
dell'ovulo e sul punto ha richiamato  l'ordinanza  del  Tribunale  di
Santa Maria Capua Vetere dell'11 ottobre  2020,  quella  in  sede  di
reclamo del 27 gennaio 2021,  e  altra  giurisprudenza,  tra  cui  la
sentenza della Cassazione n.  30294/2017,  rilevando  che  l'art.  6,
comma 3, e' norma di ordine pubblico e che il resistente sig.  R.  ha
revocato il consenso solo in  data    .  La  ricorrente  ha,  quindi,
evidenziato  che  al  momento   dell'accesso   alla   tecnica   della
fecondazione assistita sussistevano le condizioni di cui  all'art.  5
della legge n. 40/2004; sul punto, ha rilevato che in base alle linee
guida «La donna ha sempre il diritto  ad  ottenere  il  trasferimento
degli embrioni crioconservati» e, quindi, risulta  essere  confermato
che «la convivenza e il coniugio non siano dalla legge  richiesti  al
momento dell'impianto». La  ricorrente  ha,  poi,  osservato  che  il
diritto «di essere madre e' un diritto assoluto,  fondamentale  della
persona, garantito dalla Costituzione agli artt. 2, 31,  comma  2,  e
32»  e  che  il  sig.  R.  intende  solo  sottrarsi  all'obbligo   di
mantenimento;  ha,  quindi,   richiamato   anche   l'art.   3   della
Costituzione e l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    2. Si e' costituito in giudizio il resistente  D.  R.  il  quale,
dopo aver contestato quanto dedotto da controparte, ha  formulato  le
seguenti conclusioni: «in via preliminare e pregiudiziale  si  chiede
di sottoporre a scrutinio di costituzionalita'  l'art.  6,  comma  3,
legge n. 40/2004 per tutte le motivazioni  contenute  nella  presente
comparsa di costituzione e  riposta;  -  sempre  in  via  preliminare
accertato che le difese svolte dal resistente richiedono un'attivita'
istruttoria non sommaria, fissare, ai sensi dell'art. 702-ter,  terzo
comma  c.p.c.,  con  ordinanza  non  impugnabile,  l'udienza  di  cui
all'art. 183 c.p.c., per le ragioni di cui in  narrativa.  -  in  via
principale e nel  merito  rigettare  la  domanda  poiche'  infondata,
inammissibile e comunque non provata per tutte le motivazioni di  cui
alla presente comparsa di costituzione e risposta». Il resistente,  a
sostegno della propria domanda, ha evidenziato che l'art. 6, comma 3,
della legge n. 40/2004, e' in contrasto con i principi  che  regolano
il rapporto tra medico e  paziente  nella  prestazione  del  consenso
informato e che l'acquisizione del consenso si colloca in un  momento
iniziale del trattamento medico-sanitario. Sul punto, ha rilevato che
il citato art. 6, comma 3, viola gli artt. 2, 3, 13,  31,  32  e  33,
primo comma, della Costituzione e ha richiamato le ordinanze rese  in
sede cautelare  in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale, segnalando che il Tribunale
di Firenze aveva sollevato la medesima  questione  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 3, della legge n. 40/2004, dichiara
inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.  84/2016
per il carattere  meramente  ipotetico,  e  non  attuale,  della  sua
rilevanza. Il resistente ha, poi, dedotto che la norma  in  questione
viola,   inoltre,   il   diritto   all'autodeterminazione   e    alla
bigenitorialita' anche in relazione all'art. 8 CEDU. 
    3. Si e' costituita in giudizio, altresi', la  resistente  E.  H.
chiedendo   al   giudice   di   «dichiarare,   eventualmente   previa
sottoposizione a scrutinio di costituzionalita' dell'art. 6, comma 3,
legge n. 40/2004, infondate in fatto e  in  diritto,  oltre  che  non
provate, le domande svolte dalla parte  ricorrente  e  per  l'effetto
rigettarle;  nell'ipotesi  di  accoglimento   delle   ragioni   della
ricorrente, ordinare al  piu'  all'E.  H.  di  consegnare  l'embrione
adottando ogni cura e cautela necessaria, ad altra struttura idonea a
far luogo  al  chiesto  transfer  che  verra'  indicata  dalla  parte
ricorrente». 
    4. All'udienza del 25 marzo 2022 le parti hanno  chiesto  termine
per note ed e' stata fissata l'udienza del 29 aprile 2022.  Le  parti
hanno depositato le note e  all'udienza  del  29  aprile  2022  hanno
ribadito le reciproche posizioni. 
 
                             In diritto 
 
    1. La ricorrente sig.ra C. ha chiesto di ordinare  all'E.  H.  di
concludere il  ciclo  di  trattamento  di  procreazione  medicalmente
assistita, provvedendo al decongelamento dell'embrione e al  transfer
in utero. I resistenti E. H. e sig. R. hanno chiesto di sollevare  la
questione di costituzionalita' dell'art. 6, comma 3, della  legge  19
febbraio  2004,  n.  40.  Sul  punto,  ai  fini  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  occorre  verificare  se  sussistano   i
requisiti della rilevanza e della non  manifesta  infondatezza  della
questione, ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 11  marzo  1953,  n.
87. 
    2. Con riferimento al requisito della rilevanza, si  osserva  che
il suddetto  art.  6,  comma  3,  della  legge  n.  40/2004,  prevede
l'irrevocabilita' del consenso dopo la  fecondazione  dell'ovulo.  La
norma citata, rubricata «consenso informato», cosi' dispone:  «3.  La
volonta'  di  entrambi  i  soggetti  di  accedere  alle  tecniche  di
procreazione  medicalmente  assistita  e'   espressa   per   iscritto
congiuntamente  al  medico  responsabile  della  struttura,   secondo
modalita' definite con decreto dei Ministri della giustizia  e  della
salute, adottato ai sensi dell'art.  17,  comma  3,  della  legge  23
agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata  in  vigore
della  presente  legge.  Tra  la  manifestazione  della  volonta'   e
l'applicazione  della  tecnica  deve  intercorrere  un  termine   non
inferiore a  sette  giorni.  La  volonta'  puo'  essere  revocata  da
ciascuno dei soggetti indicati dal presente  comma  fino  al  momento
della fecondazione dell'ovulo». 
    Nel caso in esame,  si  e'  gia'  avverata  la  condizione  della
fecondazione dell'ovulo, in quanto  la  ricorrente  ha  chiesto  alla
clinica in data   , dopo la separazione consensuale con il resistente
sig.  R.  ,  di  attivarsi   per   il   trasferimento   dell'embrione
crioconservato circa tre anni prima nel   , sulla base  del  consenso
rilasciato ai sensi dell'art. 6, comma  3,  legge  n.  40/2004  dalla
ricorrente e dal resistente sig. R. in  costanza  di  matrimonio.  Il
resistente sig. R. ha revocato formalmente il consenso  in  data    .
Alla luce di quanto precede, si ritiene  che  il  presente  giudizio,
attinente alla validita' ed efficacia della revoca del consenso,  non
possa  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 3,  legge
n. 40/2004. 
    3.  Per  quanto  attiene  al  requisito   della   non   manifesta
infondatezza della questione di costituzionalita',  si  osserva  che,
gia' in sede cautelare, il  giudice  della  cautela  ha  ritenuto  la
questione non manifestamente infondata. In  particolare,  l'ordinanza
dell'11 novembre 2020,  resa  nel  procedimento  cautelare  ai  sensi
dell'art. 700 c.p.c. iscritto al  n. R.G.  38157/2020,  si  e'  cosi'
espressa: «L'art. 6 della legge n. 40/2004, che prevede il divieto di
revoca del consenso dopo la formazione dell'embrione  da  impiantare,
era stato introdotto quando era ancora vigente il sostanziale divieto
di   congelamento   degli   embrioni,   successivamente    dichiarato
illegittimo dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  151  del
2009. Sicche' il divieto di revoca del consenso una  volta  formatosi
l'embrione svolgeva i suoi effetti  in  una  situazione  nella  quale
l'impianto   avveniva   sostanzialmente    nell'immediatezza    della
formazione dell'embrione, non poteva considerare  situazioni  in  cui
l'impianto  sarebbe  potuto  avvenire  a  distanza  di  anni  in  una
situazione che poteva  essere  concretamente  radicalmente  cambiata,
potendo venire meno anche i presupposti e i requisiti previsti  dalla
stessa legge n. 40/2004 per procedere alla  PMA.  Il  caso  esaminato
dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 30294/2017  citata  dalla
ricorrente per sostenere la prevalenza della tutela dell'embrione era
molto diverso da quello oggetto del presente giudizio. Si trattava di
un impianto avvenuto nell'immediatezza della formazione dell'embrione
attraverso la fecondazione eterologa,  di  una  revoca  del  consenso
avvenuta  quando  si  stava  materialmente  procedendo   all'impianto
nell'utero della donna, nell'ambito di un giudizio di disconoscimento
di paternita' in un  caso  di  fecondazione  eterologa.  Venivano  in
considerazione, in primo luogo, l'interesse prevalente del minore  ad
avere  due  genitori  (quindi  la  tutela  di  un   bambino   e   non
dell'embrione), in quanto trattandosi di fecondazione  eterologa  era
esposto al possibile accoglimento dell'azione di  disconoscimento  di
paternita',  e  il  diritto  alla  salute  della  donna,  che   aveva
completato tutti i trattamenti necessari al transfer e alla  riuscita
dell'impianto che stava materialmente avvenendo. Nel caso  di  specie
nel tempo trascorso dalla crioconservazione dell'embrione sono venuti
meno i requisiti previsti dalla  legge  per  procedere  alla  PMA  in
quanto non si e' piu' in presenza di una coppia  convivente,  inoltre
viene in considerazione il diritto all'autodeterminazione  in  ordine
alla  scelta  di  diventare  genitore,  tutelato  dall'art.  8  CEDU.
Infatti,  la  nozione  di   «vita   privata»   include   il   diritto
all'autonomia  e  allo  sviluppo  della  persona,   il   diritto   di
intrecciare e coltivare relazioni con altri e il diritto al  rispetto
per la decisione di avere o non avere figli (v. tra  le  altre  Corte
europea dei diritti dell'uomo, 10 aprile 2007, Evans c.  Regno  Unito
[GC], ric. n. 6339/05, § 71; E. B. c. Francia,  cit.,  §  43,  22;  8
novembre 2011, V. C. c. Slovacchia, ric. n. 18968/07)». 
    Le suddette argomentazioni sono condivise da questo giudice. 
    L'art. 1, comma 1, della legge n. 40/2004, dispone: «1.  Al  fine
di favorire la soluzione dei problemi  riproduttivi  derivanti  dalla
sterilita' o dalla infertilita' umana e' consentito il  ricorso  alla
procreazione medicalmente assistita, alle  condizioni  e  secondo  le
modalita' previste dalla presente legge, che assicura  i  diritti  di
tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». 
    L'impianto  normativo  della  legge  n.  40  del  2004   consente
l'accesso alla PMA nel rispetto delle modalita' contenute nella legge
medesima e volte alla salvaguardia di  tutti  i  soggetti  coinvolti,
compreso il concepito, al fine di favorire la soluzione  di  problemi
riproduttivi derivanti da infertilita' sempre che non vi siano  altri
rimedi terapeutici efficaci e prevede una  serie  di  limitazioni  di
ordine soggettivo per garantire che il nucleo familiare riproduca  il
modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una  madre  e
di un padre stabilendo all'art. 5,  che  possano  accedere  alla  PMA
esclusivamente le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o
conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi. 
    In tal contesto, va interpretata la disposizione di cui  all'art.
6, comma 3, della legge n. 40/2004, che  e'  stato  gia'  oggetto  di
esame da parte della Corte costituzionale, che  con  le  sentenze  n.
151/2009  e  n.  84/2016  ha,  pero',  dichiarato  inammissibile   la
questione  di  costituzionalita'  per  difetto  del  requisito  della
rilevanza. 
    La norma in esame non e' stata, quindi, oggetto d'intervento  ne'
del  legislatore   ne'   di   pronunce   nel   merito   della   Corte
costituzionale, nonostante il  radicale  cambiamento  dell'originaria
impostazione della legge n. 40/2004 in tema di ricorso alle  tecniche
di fecondazione assistita. 
    Sul punto, e' sufficiente  richiamare  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  151/2009,  che  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 2, limitatamente alle  parole  «ad
un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore  a  tre»  e
dell'art. 14, comma 3, della legge n. 40 del 2004 nella parte in  cui
non prevedeva che il trasferimento degli embrioni, da realizzare  non
appena possibile, come stabiliva tale norma, debba essere  effettuato
senza pregiudizio della salute della donna, e la sentenza n. 96/2015,
che ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,
commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40/2004, nella parte in cui
non  consentivano  il   ricorso   alle   tecniche   di   procreazione
medicalmente assistita alle coppie  fertili  portatrici  di  malattie
genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di  gravita'  di  cui
all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n.  194,
accertate da apposite strutture pubbliche. 
    Alla luce delle considerazioni che precedono, si ritiene  che  la
formulazione dell'art. 6, comma  3,  della  legge  n.  40/2004  possa
essere in contrasto con specifiche  disposizioni  costituzionali,  in
quanto non tutela il diritto di scelta dei soggetti  alla  paternita'
e/o maternita', ovvero all'assunzione del  ruolo  genitoriale,  quale
conseguenza del ricorso alla tecnica di  procreazione  assistita,  in
particolar modo  nell'ipotesi  in  esame  in  cui  venga  chiesto  il
trasferimento dell'impianto a distanza di tempo rispetto al  consenso
prestato da entrambi i soggetti, peraltro in una situazione giuridica
diversa, trattandosi, nel  caso  di  specie,  di  persone  che  hanno
manifestato il consenso alla procreazione assistita  in  costanza  di
matrimonio e  che  si  sono  separate  consensualmente  nel    e  non
permette  loro  di  revocare  il  consenso   dopo   la   fecondazione
dell'ovulo. 
    Per completezza poi non puo' non osservarsi come  sulla  base  di
quanto rappresentato dalla ricorrente la stessa avrebbe completato il
trattamento  alla  fine  del    (non  essendosi  piu'  sottoposta  ai
relativi trattamenti PMA: graffio - strach) decidendo  di  riattivare
la procedura solo nel   , rendendo in tal  modo  palese  che  la  non
revocabilita' del consenso ha  un  ambito  di  operativita'  limitato
all'uomo. 
    4. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'art. 6,  comma
3, della legge n. 40/2004 appare in contrasto con gli artt. 2, 3, 13,
comma 1, e 117, comma 1 della Costituzione con riferimento all'art. 8
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,  n.  848,
quanto meno nella parte in  cui  non  prevede,  successivamente  alla
fecondazione dell'ovulo, un termine per la revoca  del  consenso.  Al
riguardo, si osserva  che  l'art.  2  tutela  i  diritti  inviolabili
dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalita' - di  cui  il  diritto  al  rispetto  della  vita
privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU e' un precipitato e l'art.
6,  comma  3,   della   legge   n.   40/2004   incide   sul   diritto
all'autodeterminazione in ordine alla scelta di  diventare  genitore.
Con riferimento all'art. 3 e all'art. 13, comma 1 della Costituzione,
la scelta del legislatore di rendere irrevocabile il consenso dopo la
fecondazione dell'ovulo sembrerebbe essere irragionevole,  in  quanto
la donna potrebbe chiedere il  trasferimento  dell'embrione  anche  a
distanza  di  anni  dalla  fecondazione  dell'ovulo,  nonostante   il
successivo  dissenso  dell'uomo,  che  sarebbe  cosi'   costretto   a
diventare genitore contro la sua volonta'. Assume, altresi', rilievo,
la   violazione   del   principio   di   eguaglianza,    in    quanto
l'irrevocabilita' del consenso di cui l'art. 6, comma 3, della  legge
n. 40/2004, determina il sacrificio della liberta' individuale di una
sola delle parti, l'uomo, che non potrebbe mai revocare  il  consenso
dopo la fecondazione dell'ovulo anche in  caso  di  trasferimento  in
utero a distanza di molti anni, con conseguenti  ricadute  sia  sulla
genitorialita' sia sul versante  dei  diritti  successori.  Potrebbe,
infatti, verificarsi anche il caso di un trasferimento  dell'embrione
non solo dopo molti anni ma anche  dopo  il  decesso,  nonostante  la
manifestazione della volonta' di revoca  espressa  in  vita  dopo  la
fecondazione  dell'ovulo.  Cio'  contrasta  con   il   principio   di
autodeterminazione e di liberta' personale, particolarmente sensibile
nell'ambito  del  settore   della   famiglia.   Inoltre,   la   Corte
costituzionale  -  pur  riconoscendo  l'esistenza  di  una  «dignita'
dell'embrione» da tutelare - non ha configurato in capo  all'embrione
di diritto a nascere,  ovvero  un  diritto  che  preesisterebbe  alla
venuta ad esistenza del soggetto che ne sarebbe titolare. Sul  punto,
si rileva, invece, l'assoluta liberta' della donna,  che  pur  avendo
dato  il  consenso  irrevocabile  al  trattamento   di   procreazione
assistita,  puo'  rifiutare  di  essere  sottoposta  al   trattamento
terapeutico, che non puo' esserle imposto in quanto  potrebbe  andare
ad incidere sulla sua integrita' psicofisica. Occorre, poi,  rilevare
che la legge n. 40/2004 prevede  che  il  ricorso  alle  tecniche  di
procreazione assistita e' permesso solo a coppie  di  maggiorenni  di
sesso  diverso,  coniugate  o  conviventi,  in  eta'   potenzialmente
fertile, entrambi viventi e che, quindi, nell'ipotesi  in  cui  venga
meno il progetto di  coppia  prima  del  trasferimento  dell'impianto
dovrebbe ritenersi possibile la revoca del consenso. 
    5. L'art. 6, comma 3, della legge  n.  40/2004  appare,  inoltre,
essere in contrasto con l'art. 32 della Costituzione, in  particolare
con l'art. 32, comma 2, in quanto, non  permettendo  di  revocare  il
consenso dopo la fecondazione dell'ovulo,  obbliga  all'effettuazione
del trattamento sanitario. L'accesso  alla  tecnica  di  procreazione
assistita,  che  costituisce  un  trattamento  medico   richiede   il
consenso, ai sensi dell'art. 6, comma 3, della legge n. 40/2004,  che
-  presupposto  legittimante  dell'intervento  medico,  deve   essere
presente prima e durante tutto il trattamento. 
    Al riguardo la Cassazione ha chiarito che «Il consenso  informato
attiene al diritto fondamentale della persona  all'espressione  della
consapevole adesione al trattamento  sanitario  proposto  dal  medico
(cfr. Corte costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 438), e quindi  alla
libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v.  Cassazione,
6 giugno 2014, n. 12830), atteso che nessuno puo' essere obbligato ad
un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge
(anche quest'ultima non potendo  peraltro  in  ogni  caso  violare  i
limiti imposti dal rispetto della persona umana:  art.  32,  comma  2
della Costituzione)». Ha, altresi', rappresentato  che  «Il  consenso
libero  e  informato,  che  e'  volto  a  garantire  la  liberta'  di
autodeterminazione    terapeutica    dell'individuo     (v.     Corte
costituzionale, 23 dicembre 2008, n. 438, e, da  ultimo,  Cassazione,
Sez. un., 11 novembre 2019, n. 28985, ove  si  pone  in  rilievo  che
l'obbligo informativo e' ora legislativamente previsto agli artt.  1,
commi 3-6, 3, commi 1-5, e 5, legge n. 219 del 2019,  recante  «Norme
in materia di consenso informato  e  di  disposizioni  anticipate  di
trattamento»), e costituisce un mezzo per il perseguimento  dei  suoi
migliori  interessi  consentendogli  di  scegliere  tra  le   diverse
possibilita' di trattamento medico (cfr., da ultimo,  Cassazione,  19
luglio 2018, n. 19199; Cassazione, 28 giugno 2018, n. 17022) o  anche
di rifiutare (in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale)
la  terapia  e  di  decidere  consapevolmente  di  interromperla  (v.
Cassazione, 16 ottobre 2007, n. 21748), salvo che ricorra  uno  stato
di necessita'... » (Cass. civ. sentenza n. 18283/2021). 
    Nell'ambito  della   procreazione   medicalmente   assistita   il
trattamento  medico  si  articola  in  una  serie  di  fasi  autonome
finalizzate alla procreazione, ma la previsione  dell'irrevocabilita'
del consenso al momento della fecondazione dell'ovulo non permette di
dare   rilievo   a   fattori   sopravvenuti,   idonei   a    incidere
sull'integrita' psicofisica delle parti, e in particolare  dell'uomo,
in quanto non tiene in considerazione che il consenso potrebbe essere
stato prestato anni prima rispetto alla  fase  del  trasferimento  in
utero dell'embrione, come nel caso di specie. 
    6. La chiarezza dell'art. 6, comma 3, della legge n. 40/2004  non
permette  di  addivenire,  ad  avviso  di  questo  giudice,   a   una
interpretazione costituzionalmente orientata. Sul punto,  si  rileva,
infatti, che in un caso analogo in sede  cautelare  il  Tribunale  di
Napoli sia in composizione monocratica che collegiale ha ordinato  di
procedere all'inserimento  in  utero  degli  embrioni  crioconservati
(ordinanza del 25 novembre 2020 e  ordinanza  del  27  gennaio  2021,
richiamando l'ordinanza  n.  30294/2017,  intervenuta,  pero',  sulla
fecondazione eterologa, ove si osserva che «consentire la revoca  del
consenso,  anche  in  un   momento   successivo   alla   fecondazione
dell'ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela  costituzionale
degli embrioni, piu' volte affermata dalla Consulta». Al riguardo, la
suddetta posizione giurisprudenziale, unitamente alla  chiarezza  del
disposto  normativo,  non  permette  una  lettura  costituzionalmente
orientata idonea a superare le argomentazioni prospettate a  supporto
della questione di legittimita' costituzionale. 
    L'eventuale accoglimento  della  questione  di  legittimita'  non
comporterebbe un vuoto normativo, in quanto opererebbero le norme  in
materia di revocabilita' del consenso. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale ordinario  di  Roma,  Sezione  XVIII  diritti  della
persona e immigrazione civile, in composizione monocratica, visti gli
artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  n.  87/1953,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma  3,  della  legge  n.  40/2004  per
contrasto con gli artt. 2, 3, 13, comma 1, 32 e dell'art. 117,  comma
1 della  Costituzione  in  relazione  all'art.  8  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU) quanto meno  nella  parte  in  cui  non  prevede,
successivamente alla  fecondazione  dell'ovulo,  un  termine  per  la
revoca del consenso. 
    Sospende il presente giudizio. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza alle parti costituite ed al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti dei due rami del
Parlamento. 
    Dispone l'immediata trasmissione, a cura della cancelleria, della
presente  ordinanza  e   degli   atti   del   giudizio   alla   Corte
costituzionale,  unitamente  alla   prova   delle   notificazioni   e
comunicazioni prescritte. 
    Dispone che in caso di diffusione siano oscurate  le  generalita'
delle parti. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. 
        Cosi' deciso in Roma, all'esito della Camera di consiglio del
29 aprile 2022. 
 
                        Il giudice: De Nuccio