N. 143 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 2022

Ordinanza  del  21  ottobre  2022  del  Tribunale  di   Palermo   nel
procedimento civile promosso da T. M. tutore  giudiziario  di  C.  B.
contro INPS - Istituto nazionale previdenza sociale. 
 
Assistenza e  solidarieta'  sociale  -  Prestazioni  previdenziali  o
  assistenziali - Revoca di prestazioni previdenziali o assistenziali
  (nel caso di specie: assegno sociale)  nei  confronti  di  soggetti
  condannati per reati di particolare  allarme  sociale,  individuati
  dal comma 58 dell'art. 2 della legge n. 92 del 2012 -  Applicazione
  della revoca, con effetto non retroattivo rispetto alle prestazioni
  gia' percepite, a soggetti gia' condannati con sentenza passata  in
  giudicato (nel caso di specie: condannato che sta espiando la  pena
  in regime di detenzione carceraria). 
- Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del
  mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), art.  2,  comma
  61. 
(GU n.49 del 7-12-2022 )
 
                        TRIBUNALE DI PALERMO 
                           Sezione lavoro 
 
    La Giudice Paola Marino  nella  causa  iscritta  al  n.  865/2019
R.G.L., promossa da T.  M.,  N.  Q.  tutore  giudiziario  di  C.  B.,
rappresentata e difesa dall'avv. Vaccaro Marina - ricorrente,  contro
Istituto  nazionale  previdenza  sociale,  in  persona   del   legale
rappresentante  pro-tempore,   rappresentato   e   difeso   dall'avv.
Sparacino Maria Grazia e dall'avv. Bernocchi Giuseppe - convenuto; 
    Pronunciando a seguito dell'udienza di trattazione scritta del 14
settembre 2022, fissata con le modalita' di trattazione ex art.  221,
legge n. 77 del 2020 e successive modifiche; 
 
                               Osserva 
 
    Con ricorso depositato  il  25  gennaio  2019,  parte  ricorrente
esponeva: 
      1) che il rappresentato C. B. era percettore di pensione cat.  
(assegno sociale) n.   sede   ,  con  decorrenza    ,  in  quanto  in
possesso  dei  prescritti  requisiti  previsti  dalla  disciplina  di
settore; 
      2) che, con provvedimento datato   , l'Istituto nazionale della
previdenza sociale, sede  di  Palermo  Sud,  comunicava  al  sig.  C.
l'avvenuta revoca,  a  decorrere  dal  mese  di    ,  della  predetta
prestazione  di  assegno  sociale,  in  esito   «alla   comunicazione
pervenuta dal Ministero della giustizia, in applicazione dell'art. 2,
della legge n. 92 del 28 giugno 2012»; 
      3) che, per effetto della revoca della prestazione sorgeva,  in
capo al C., un indebito pari ad euro   per il periodo   -   , come da
comunicazione INPS; 
      4)  che,  in  data    ,  parte  ricorrente  promuoveva  ricorso
amministrativo  al  Comitato  provinciale  di  Palermo,   il   quale,
nonostante sia decorso il termine di giorni novanta, non ha  adottato
alcuna decisione in merito. 
    Dedusse parte ricorrente che la norma «di cui all'art.  2,  comma
58, legge n. 92/2012, e' inapplicabile al sig. C. ed alla prestazione
di assegno sociale di cui il medesimo e' titolare, e cio' in  quanto,
l'articolo citato dispone inequivocabilmente che  il  Giudice  penale
debba disporre la sanzione accessoria della revoca della prestazione,
ricorrendone i presupposti, in seno alla sentenza di condanna. 
    Detto comma prescrive, infatti, che "Con la sentenza di  condanna
per i reati di cui agli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter
e 422 del codice penale, nonche' per i delitti  commessi  avvalendosi
delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di
agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo   stesso
articolo, il Giudice dispone  la  sanzione  accessoria  della  revoca
delle  seguenti  prestazioni,  comunque  denominate  in   base   alla
legislazione  vigente,  di  cui  il  condannato   sia   eventualmente
titolare: indennita' di  disoccupazione,  assegno  sociale,  pensione
sociale e pensione per gli invalidi civili". 
    Nel caso di specie, e' evidente, che il Giudice  non  possa  aver
disposto (e non ha disposto - vds. all. 5 copia per estratto sentenze
allegate) alcuna sanzione  accessoria  a  carico  del  condannato  in
quanto il sig. C. e' in corso di espiazione di un decreto  di  cumulo
(vds. Decreto di  cumulo)  concernenti  pene  irrogate  con  sentenze
emesse in epoca antecedente all'anno 2012. 
    La sanzione accessoria richiamata dalla legge  citata,  pertanto,
nella fattispecie, non avrebbe potuto essere comminata,  poiche'  non
prevista all'epoca  dell'emanazione  della  sentenza  attualmente  in
espiazione, da alcuna legge. 
    Analogamente oggi tale sanzione accessoria  non  puo'  applicarsi
retroattivamente, non soltanto poiche',  all'epoca  in  cui  i  fatti
costituenti reato sono stati commessi e nell'anno in cui  sono  state
emessa la sentenza di condanna  non  era  prevista  da  alcuna  norma
dell'ordinamento, ma anche perche' non puo' in alcun modo attribuirsi
efficacia retroattiva alle disposizioni di cui all'art. 2, comma 58 e
ss. della citata  legge.  Da  escludersi,  poi,  che  sentenze  ormai
definitive  possano  essere  modificate  in  senso   sfavorevole   al
condannato (in ossequio al principio del favor rei) ... 
    Se, invero, il comma 61, dell'art. 2,  della  legge  n.  92/2012,
fosse interpretato nel senso di consentire la revoca  di  prestazioni
assistenziali regolarmente  riconosciute  ed  erogate  ai  condannati
quale conseguenza  della  commissione  di  reati  avvenuta  in  epoca
anteriore alla previsione normativa stessa  esso  sarebbe  certamente
incostituzionale  per  violazione  degli  artt.  3,  25  e  38  della
Costituzione.». 
    Chiese, pertanto: 
      «Accertare che l'erogazione della prestazione, cat.   n.   , di
cui il sig. C. B. e' titolare, e' stata illegittimamente sospesa, non
ricorrendo  nella  fattispecie  i  presupposti   per   l'applicazione
dell'art. 2, della legge n. 92/2012; 
      condannare l'INPS al ripristino della prestazione cat.   n.   ,
di cui il sig. C. B.  e'  titolare,  a  far  data  dalla  illegittima
sospensione (   ); 
      condannare l'INPS, per l'effetto, al  pagamento  dei  ratei  di
pensione non  corrisposti,  dalla  sospensione  sino  all'attualita',
nonche' al pagamento degli interessi legali maturati e maturandi alla
data del soddisfo; 
    In subordine 
      accertare che nulla deve il sig.  C.  B.  all'INPS  in  ragione
della revoca della prestazione predetta essendo stata la  stessa  non
versata sin dal mese  di    e vantando  nei  confronti  dell'INPS  un
credito maggiore, nascente  dal  numero  di tre  mensilita'  relative
all'anno   e non corrisposte; 
      condannare  l'INPS  alla  rifusione  delle  spese  e   compensi
professionali del giudizio oltre al rimborso delle spese generali  ed
accessori di legge.». 
    La parte convenuta,  ritualmente  costituitasi  in  giudizio,  ha
contestato  la  fondatezza  del  ricorso  chiedendone   il   rigetto,
opponendo che «La legge 28 giugno 2012, n. 92  (cd.  Legge  Fornero),
all'art. 2, commi 58-63, dispone la revoca  di  alcune  tipologie  di
prestazioni di cui siano  titolari  soggetti  condannati  per  taluni
reati di particolare allarme sociale, quali i reati  di  associazione
terroristica, attentato per finalita' terroristiche o  di  eversione,
sequestro  di  persona  a  scopo  di  terrorismo  o   di   eversione,
associazione di stampo mafioso, scambio elettorale, strage e  delitti
commessi per agevolare le associazioni di stampo mafioso. 
    In particolare il suddetto articolo, al comma 58, primo  periodo,
dispone che: "Con la sentenza di condanna per i  reati  di  cui  agli
artt. 270-bis, 280,  289-bis,  416-bis,  416-ter  e  422  del  codice
penale, nonche' per i delitti commessi avvalendosi  delle  condizioni
previste dal predetto  art.  416-bis  ovvero  al  fine  di  agevolare
l'attivita' delle associazioni previste  dallo  stesso  articolo,  il
Giudice dispone la sanzione accessoria della  revoca  delle  seguenti
prestazioni, comunque denominate in base alla  legislazione  vigente,
di cui  il  condannato  sia  eventualmente  titolare:  indennita'  di
disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per  gli
invalidi civili". 
    Il comma 58, secondo periodo stabilisce  altresi'  che:  "Con  la
medesima sentenza il Giudice dispone anche la revoca dei  trattamenti
previdenziali a carico degli enti gestori di  forme  obbligatorie  di
previdenza e assistenza, ovvero di forme  sostitutive,  esclusive  ed
esonerative delle stesse, erogati al  condannato,  nel  caso  in  cui
accerti,  o  sia  stato  gia'  accertato  con   sentenza   in   altro
procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto  o
in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di  attivita'
illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo". 
    Il comma 61 prescrive, tra l'altro, che  "Entro  tre  mesi  dalla
data di entrata in vigore della  presente  legge  il  Ministro  della
giustizia, d'intesa con il Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche
sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi rapporti  l'elenco
dei soggetti gia' condannati con sentenza passata in giudicato per  i
reati di cui al comma 58, ai  fini  della  revoca,  con  effetto  non
retroattivo, delle prestazioni di cui al  medesimo  comma  58,  primo
periodo". 
    E' di tutta evidenza che mentre il comma 58, si riferisce ai casi
di sentenze pronunciate successivamente all'entrata in  vigore  della
legge, con cio' introducendo ex novo per le fattispecie in oggetto la
descritta pronuncia accessoria, invece, il comma 61 si  riferisce  ad
ipotesi di condanne per i reati di cui al comma 58, che essendo state
pronunciate  prima  dell'introduzione  della   legge   non   potevano
certamente contemplare la condanna accessoria. 
    Il caso del ricorrente deve appunto farsi rientrare nel comma  61
... 
    Con messaggio Hermes 2302/2017 l'INPS ha indicato le modalita' da
seguire nelle ipotesi previste dalla disciplina su richiamata. 
    Segnatamente il detto messaggio precisa: 
      "Il  concetto  di  'revoca'  sopra  descritto  viene  applicato
dall'Istituto, in fase  di  prima  operativita',  come  'sospensione'
della prestazione  nei  confronti  degli  interessati,  fino  ad  una
eventuale riattivazione su domanda, previa  verifica  della  completa
esecuzione della pena. 
    Pertanto, le prestazioni dell'Istituto che possono essere sospese
ai sensi dei citati commi  58,  primo  periodo,  e  61,  sono  quelle
relative all'assistenza  ed  alla  disoccupazione  (assegno  sociale,
pensione sociale e pensione per gli invalidi civili,  'indennita'  di
disoccupazione'); quelle  relative  al  comma  58,  secondo  periodo,
possono   riguardare   anche   la   generalita'   delle   prestazioni
previdenziali, qualora il Giudice che emette la sentenza  lo  preveda
espressamente,  in  quanto  tali  trattamenti  previdenziali,  aventi
natura contributiva, abbiano avuto origine, in tutto o in  parte,  da
un rapporto di lavoro fittizio  a  copertura  di  attivita'  illecite
connesse a taluno dei reati oggetto della sentenza di condanna. 
    In attuazione di tali disposizioni, e nelle more della stipula di
una  specifica  convenzione  tra  l'Istituto  e  il  Ministero  della
giustizia, ai fini della gestione del flusso d'informazioni  inerente
ai soggetti condannati per i reati richiamati  al  predetto  art.  2,
comma 58, il citato Ministero,  con  comunicazione  telematica  del  
effettuata secondo il tracciato precedentemente concordato  (allegato
4), ha trasmesso all'Istituto il flusso massivo di dati  informativi,
relativo ai soggetti di cui al comma 61, dell'art. 2, della legge  n.
92/2012. 
    L'elenco riguarda i soggetti gia' condannati con sentenza passata
in giudicato, sia antecedentemente alla data  di  entrata  in  vigore
della legge in esame (18 luglio del 2012), sia successivamente a tale
data, purche' la sentenza sia  stata  emessa  prima  dell'entrata  in
vigore della legge. 
    L'Istituto ha, quindi, provveduto a sospendere a livello centrale
il pagamento delle citate prestazioni, ex art. 2, comma 61,  indicate
negli allegati 1 e 2,  delle  quali  risultino  titolari  i  soggetti
inseriti nell'elenco, utilizzando a tal fine l'applicativo SCUP ... 
    In fase di prima applicazione, per  la  comunicazione  effettuata
dal Ministero della giustizia in data   , la sospensione decorre  dai
pagamenti per il mese di   , con conseguente decorrenza  del  calcolo
degli arretrati delle prestazioni indebite dal   . 
    Cio' che ha determinato la revoca  della  prestazione  e'  quindi
l'avvenuto inserimento del flusso di dati informativi  da  parte  del
Ministero, che deve avere inserito il nominativo  del  ricorrente  in
ragione della natura dei reati per i quali e' stato condannato e  per
i quali non si ha ancora l'espiazione della pena. Nessuna valutazione
e' stata effettuata dall'Istituto, e, si  ribadisce  e'  inconferente
che le sentenze di condanna non  abbiano  previsto  la  revoca  della
prestazione, in quanto  si  tratta  di  pronunce  penali  antecedenti
l'entrata in vigore della legge e non successive".». 
    In ordine all'indebito contestato, poi, l'Istituto  previdenziale
dedusse che esso era stato  contestato  dal  primo  giorno  del  mese
successivo alla comunicazione del Ministero, come da messaggio Hermes
cit., e che  era  stato  contestato,  quindi,  da    a    poiche'  la
prestazione  non  era  piu'   in   pagamento   dal     ,   l'Istituto
preannunciava   che   esso   sarebbe   stato   ridotto   in    misura
corrispondente. 
    In giudizio, si e' documentalmente accertato che - come  altresi'
non contestato da nessuna delle parti e, quindi, pacifico - il C.  B.
era stato condannato con diverse sentenze passate in  giudicato,  tra
gli altri, per i reati di cui agli artt. 575, 577 del codice  penale,
416-bis del codice penale, nonche', anche con l'ultima  sentenza  del
19 aprile  2012  della  Corte  d'appello  di  Palermo  Sez.  6  (data
passaggio in giudicato: 18 ottobre 2013), per i  reati  di  cui  agli
artt. 416-bis, comma 2 del codice penale, art. 416-bis, comma  3  del
codice penale, art. 416-bis, comma 4 del codice penale, art. 416-bis,
comma 6 del codice penale, art. 61, n. 6 del codice penale, art.  99,
comma 2, n. I  del  codice  penale,  art.  99,  comma  4  del  codice
penale (commessi  in  epoca  successiva  e   prossima   alla   data  
luogo:   ed il   ) e che pertanto doveva scontare la pena  principale
della  «Reclusione  anni sedici  Ergastolo  con  isolamento  diurno»,
ricevendo altresi' condanna alle «Pene accessorie:  Interdizione  dai
pubblici uffici perpetua - Interdizione  legale  durante  la  pena  -
Misura di sicurezza: Liberta' vigilata anni tre». 
    Come accertato mediante il certificato dello stato di  esecuzione
del   , il C. ha la seguente «Posizione giuridica: Espiazione pena in
regime carcerario».  Inoltre,  dal  medesimo  certificato,  in  atti,
risulta che, a seguito di  «Provvedimento  di  unificazione  di  pene
concorrenti  (con  contestuale  Ordine   di   esecuzione   condannato
detenuto)  emesso  in  data    allegato   al   presente   certificato
Decorrenza pena:   Scadenza pena: Mai.». 
    Risulta pertanto accertato in giudizio  che  al  C.  in  atto  in
detenzione carceraria in regime di ergastolo cd. ostativo, per  reati
commessi  in  epoca  prossima  al    e  comunque   assai   risalente,
antecedente alla data di entrata in vigore della Legge  Fornero,  era
stata concessa la  prestazione  assistenziale  dell'assegno  sociale,
poiche' aveva compiuto l'eta' prescritta di almeno   e non  possedeva
redditi, al pari della coniuge, con conseguente accertamento da parte
dell'Istituto previdenziale dello stato  di  bisogno  previsto  dalla
normativa in tema di assegno sociale. 
    Parte  ricorrente  ha   chiesto   di   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale della norma  sopra  citata  dell'art.  2,
comma 61, della legge n. 91/2012, poiche' prevede una pena accessoria
o comunque una sanzione di natura sostanzialmente penale retroattiva. 
    La Giudice, atteso che pendeva gia' analoga questione avanti alla
Consulta, ha rinviato in attesa della decisione e per  l'esame  della
medesima. 
    A seguito della pronuncia della Consulta, si  e'  preso  atto  in
giudizio che, con  ordinanza  n.  138/2022  la  Corte  costituzionale
dichiarava  la  manifesta   inammissibilita'   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 60 e 61,  della  legge
28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato
del lavoro in una prospettiva di crescita), sollevate, in riferimento
agli artt. 25 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la  legge  4
agosto 1955, n. 848, dalla  Corte  di  appello  di  Venezia,  sezione
lavoro, atteso che,  nel  procedimento  pendente  avanti  alla  Corte
Veneziana,  il  ricorrente  si  trovava  in   stato   di   detenzione
domiciliare e «che questa Corte, con la sentenza  n.  137  del  2021,
depositata  in  data  successiva  all'ordinanza  di  rimessione,   ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  61,
della legge n. 92 del 2012 "nella parte  in  cui  prevede  la  revoca
delle prestazioni, comunque  denominate  in  base  alla  legislazione
vigente, quali l'indennita' di disoccupazione, l'assegno sociale,  la
pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti
di coloro che scontino la pena in regime alternativo alla  detenzione
in carcere"; 
      che, inoltre, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale) e negli  stessi  termini,  ha,  altresi',  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale consequenziale dell'art. 2, comma 58,
della legge n. 92 del 2012, nella parte in cui prevede "a regime" "la
revoca  delle  prestazioni,  comunque   denominate   in   base   alla
legislazione vigente, quali l'indennita' di disoccupazione, l'assegno
sociale, la pensione sociale e la pensione per gli  invalidi  civili,
nei confronti di coloro che scontino la pena  in  regime  alternativo
alla detenzione in carcere"; 
      che,  per  effetto  di  tale  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale parziale, la disposizione  censurata  e'  venuta  meno
solo in  parte,  ma  e'  vigente  con  un  contenuto  resecato  della
fattispecie  di  chi  espia  la  pena  in  regime  alternativo   alla
detenzione in carcere, riferendosi unicamente  alla  ipotesi  di  chi
espia la pena in carcere; 
      che, quindi, il censurato comma 61 dell'art. 2 della  legge  n.
92 del 2012 - per effetto della pronuncia di questa Corte  -  prevede
che l'elenco dei soggetti gia' condannati  con  sentenza  passata  in
giudicato per i reati di cui al comma 58 e'  trasmesso  dal  Ministro
della  giustizia,  d'intesa  con  il  Ministro  del  lavoro  e  delle
politiche sociale, all'ente previdenziale (nella  specie,  l'Istituto
nazionale della previdenza sociale - INPS) ai fini della  revoca  del
beneficio ove la pena sia scontata in carcere e non  gia'  in  regime
alternativo; 
      che, pertanto - in  ragione  dell'efficacia  retroattiva  delle
sentenze dichiarative di illegittimita' costituzionale,  in  mancanza
di modulazione temporale degli effetti dell'incostituzionalita' -  la
disposizione censurata gia' al  tempo  dell'ordinanza  di  rimessione
aveva tale contenuto piu' limitato nel senso che riguardava  soltanto
chi, condannato con sentenza definitiva per determinati gravi  reati,
stesse espiando la pena in carcere; 
      che  nel   giudizio   a   quo,   come   risulta   pacificamente
dall'ordinanza di rimessione, il condannato con sentenza  definitiva,
destinatario  della  revoca  dell'assegno  di   inabilita'   adottata
dall'INPS,  stava  espiando  la  pena   in   regime   di   detenzione
domiciliare; 
      che, dunque, le questioni sono prive di rilevanza,  perche'  la
revoca disciplinata dalla disposizione censurata non si applica,  ne'
si applicava, alla fattispecie oggetto del giudizio a quo;». 
    Parte ricorrente ha, quindi, reiterato la richiesta di  sollevare
analoga questione di legittimita' costituzionale, atteso che il C. si
trova in detenzione carceraria ed in regime di ergastolo ostativo. 
    Questa Giudice, atteso  che  la  questione  che  si  richiede  di
sollevare  e'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,   valuta
doveroso sollevarla innanzi a codesta eccellentissima Corte. 
    Orbene, non puo' non rilevarsi  che  il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale, nei medesimi termini proposti dalla  Corte  d'appello
di Venezia con l'ordinanza di  rimessione  sopra  ricordata,  non  e'
venuto meno e non e' stato affrontato dalla Consulta, per le  ipotesi
in cui i soggetti attinti da condanne definitive precedenti alla data
di entrata in vigore della legge n.  92/2012  -  per  reati  commessi
ancora  in  precedenza  -  stiano  espiando  la  pena  in  regime  di
detenzione carceraria, e che esso e' rilevante nel presente giudizio,
poiche' e' stato accertato in giudizio che il rappresentato di  parte
ricorrente,  cui  la  prestazione  dell'assegno  sociale   e'   stata
revocata, sta tuttora scontando  la  pena  in  regime  di  detenzione
carceraria, peraltro con «Fine Pena Mai», come recita il  certificato
di esecuzione in atti, sicche' solo la declaratoria di illegittimita'
costituzionale della norma per i profili precisati potrebbe  produrre
la riattivazione in suo favore della  prestazione  revocata,  mutando
radicalmente l'esito del giudizio. 
    Questo Tribunale ritiene,  quindi  doveroso,  come  detto,  ed  a
prescindere da ogni considerazione relativa  al  disvalore  morale  e
sociale delle condotte per le quali il C. e' stato condannato in  via
definitiva,  che  sono  le  medesime  prese  in  considerazione   dal
legislatore  nell'emanare  la  normativa   della   cui   legittimita'
costituzionale e' lecito parzialmente dubitare, sollevare - in quanto
rilevante  e  non  manifestamente  infondata  -   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 61, legge n.  92/2012,
poiche' o nella parte in cui  non  esclude  dalla  revoca  automatica
delle prestazioni assistenziali ivi previste  i  soggetti  condannati
per i reati ivi elencati commessi prima della sua entrata in  vigore,
con riguardo ai parametri di cui agli artt. 25, comma 2 e 117,  comma
1 della Costituzione (come integrato dall'art. 7  CEDU).  Cio'  sulla
scorta dell'interpretazione della norma evocata  dall'INPS,  che,  in
effetti, risulta  confermata  in  modo  esente  da  qualsiasi  dubbio
interpretativo dalla lettura della norma stessa, la quale prevede  la
revoca dei trattamenti previdenziali a carico degli enti  gestori  di
forme obbligatorie  di  previdenza  e  assistenza,  ovvero  di  forme
sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse ... a  carico  dei
condannati per uno dei gravi delitti tra quelli compresi  nel  numero
chiuso indicato dalla norma in  esame,  con  sentenze  rese  in  data
anteriore alla data di entrata in vigore della legge medesima,  cosi'
comminando ad un soggetto gia' condannato una sanzione  che  non  era
prevista al momento in cui egli aveva commesso i fatti e  neppure  al
momento della pronuncia giudiziale di condanna. 
    La legge n. 92 del 2012 prevede all'art. 2, commi 58-61: «58. Con
la sentenza di condanna per i reati di cui agli artt.  270-bis,  280,
289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del  codice  penale,  nonche'  per  i
delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste  dal  predetto
art.  416-bis  ovvero  al  fine  di   agevolare   l'attivita'   delle
associazioni previste dallo stesso articolo, il  Giudice  dispone  la
sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque
denominate in base alla legislazione vigente, di  cui  il  condannato
sia eventualmente titolare:  indennita'  di  disoccupazione,  assegno
sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. 
    Con la medesima sentenza il Giudice dispone anche la  revoca  dei
trattamenti previdenziali  a  carico  degli  enti  gestori  di  forme
obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive,
esclusive ed esonerative delle stesse,  erogati  al  condannato,  nel
caso in cui accerti, o sia stato gia' accertato con sentenza in altro
procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto  o
in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di  attivita'
illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. 
    59. I  condannati  ai  quali  sia  stata  applicata  la  sanzione
accessoria di cui al comma 58, primo  periodo,  possono  beneficiare,
una volta che la pena  sia  stata  completamente  eseguita  e  previa
presentazione di apposita domanda, delle prestazioni  previste  dalla
normativa vigente  in  materia,  nel  caso  in  cui  ne  ricorrano  i
presupposti. 
    60.  I  provvedimenti  adottati  ai  sensi  del  comma  58   sono
comunicati,  entro  quindici  giorni  dalla  data  di  adozione   dei
medesimi,   all'ente   titolare   dei   rapporti   previdenziali    e
assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro
immediata esecuzione. 
    61. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, il Ministro della giustizia,  d'intesa  con  il  Ministro  del
lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli  enti  titolari  dei
relativi rapporti l'elenco dei soggetti gia' condannati con  sentenza
passata in giudicato per i reati di cui al comma 58,  ai  fini  della
revoca, con effetto non retroattivo,  delle  prestazioni  di  cui  al
medesimo comma 58, primo periodo.». 
    L'interpretazione della predetta norma sottoposta all'esame della
Corte, nel senso di non prevedere alcuna possibile deroga alla revoca
delle prestazioni in questione, si ricava in  modo  inequivoco  anche
dalla  sentenza  n.  137/2021  della  Consulta,  con  cui  ne  veniva
dichiarata l'illegittimita' costituzionale limitatamente  alla  parte
«in cui prevede la revoca delle prestazioni, comunque  denominate  in
base alla legislazione vigente, quali l'indennita' di disoccupazione,
l'assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi
civili, nei confronti di  coloro  che  scontino  la  pena  in  regime
alternativo alla detenzione in carcere;». 
    Nel   presente   giudizio,   la   questione    di    legittimita'
costituzionale  viene  sollevata  in  relazione  al  diverso  profilo
dell'irretroattivita'  delle  sanzioni  di   natura   sostanzialmente
penale,  imposto  dall'art.  25  della  Costituzione  e   117   della
Costituzione in relazione all'art. 7 CEDU, questione  non  affrontata
neppure  nella  sentenza  appena   citata,   poiche'   ritenuta   non
ammissibile  in  relazione  alla   formulazione   dell'ordinanza   di
rimessione del Tribunale di Fermo. 
    Il comma 58 dell'art. 2  della  legge  n.  92/2012  definisce  la
revoca della prestazione assistenziale o previdenziale come «sanzione
accessoria» della pena principale, che va irrogata dal Giudice penale
qualora sia intervenuta condanna per i reati ivi elencati. 
    Rispetto a tale previsione il comma 61  impone  di  estendere  la
revoca anche in presenza di condanne gia' passate in  giudicato,  pur
limitandone l'effetto sul piano temporale,  non  includendo  i  ratei
delle prestazioni gia' erogati («con effetto non retroattivo»),  come
accaduto proprio nella fattispecie oggetto del presente giudizio. 
    La revoca, che nel caso del comma 58 costituisce  il  trattamento
sanzionatorio accessorio disposto dal Giudice  penale,  nel  caso  in
esame e', invece, disposta dall'ente titolare  del  rapporto,  cosi',
anzitutto imponendo all'interprete di valutare se la mera  previsione
di  irrogazione  della  stessa  sanzione  da  parte  di  due  diversi
soggetti, ma in conseguenza di  un  medesimo  accadimento  -  che  si
differenzia solo in relazione all'epoca in cui e'  avvenuto  -  possa
portare a ritenere la diversa natura di  sanzione  penale  accessoria
(per la prima) o effetto extrapenale della condanna  penale  (per  la
seconda). 
    Nel caso di specie la peculiarita' della fattispecie  concreta  -
ossia essere  intervenuta  la  revoca  rispetto  ad  una  provvidenza
riconosciuta con effetto da  un  momento  successivo  all'entrata  in
vigore della legge n.  92  del  2012  -  non  muta  i  termini  della
questione:  l'Istituto   previdenziale,   infatti,   al   tempo   del
riconoscimento del beneficio, non aveva avuto  ancora  notizia  della
condanna penale. Invero si tratta pur sempre di misura che produce  i
propri effetti sul presupposto di una condanna penale e,  tanto  piu'
di un fatto criminoso, anteriore rispetto all'entrata in vigore della
norma che prevede la sanzione  della  revoca  della  prestazione.  E'
proprio rispetto a tale modo di operare della disposizione,  infatti,
che si pone il dubbio  di  conformita'  a  Costituzione,  anche  alla
stregua della Carta dei diritti  dell'uomo  richiamata  ex  art.  117
della Costituzione. 
    A sostegno della questione di illegittimita'  costituzionale  che
si prospetta deve considerarsi, in primo luogo,  che  il  tema  della
qualificazione della misura prevista  dall'art.  2,  comma  61  -  in
particolare se si tratti di  «sanzione  accessoria»  o  mero  effetto
extra penale ed anche ove venisse risolto in favore  di  quest'ultima
qualificazione  il  dubbio  in  proposito  sopra   avanzato   -   non
risulterebbe dirimente, alla luce dei  parametri  rispetto  ai  quali
deve essere verificato se si tratti  di  misura  che  in  senso  lato
costituisca  «sanzione  penale».  Infatti,   sul   punto   l'indagine
dell'interprete non puo' svolgersi sul piano meramente formale, ma su
quello sostanziale riguardante i  presupposti,  la  finalita'  e  gli
effetti propri della revoca. In questi termini, infatti, si impone di
valutare la norma, sulla scorta della previsione dell'art. 117, comma
1 della Costituzione in relazione all'art. 7 della CEDU  (vedi  Corte
costituzionale n. 348 e n. 349 del 2007, secondo la quale  si  reputa
che l'art. 117, comma 1, «viene  integrato  e  reso  operativo  dalle
norme della CEDU, la cui funzione e' quindi  di  concretizzare  nella
fattispecie  la  consistenza  degli  obblighi  internazionali   dello
Stato.»). 
    Orbene, alla luce della ragione  che  viene  posta  a  fondamento
della disciplina introdotta dalla legge n. 92 del 2012  -  costituita
dalla volonta' di sancire il  marcato  disvalore  sociale  dei  reati
richiamati, per il gravissimo allarme sociale che producono, mediante
la previsione che tali condotte siano incompatibili con le  finalita'
dell'art. 38 della Costituzione -, deve  rilevarsi  che  comuni  alle
previsioni  dei  commi  58   e   61   sono   il   presupposto,   dato
dell'intervenuta sentenza di condanna (nel caso qui in esame  passata
in  giudicato),  quale  condizione  necessaria  per  la  revoca   del
beneficio, e lo stato di esecuzione  della  pena,  quale  limite  per
l'esclusione temporanea della provvidenza, momento dopo il  quale  la
prestazione puo' essere ripristinata. 
    In questa prospettiva va  ripresa  la  distinzione  gia'  operata
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 276 del 2016 che, nello
scrutinare la  diversa  materia  dell'incandidabilita',  decadenza  e
sospensione, ha ritenuto non fondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della disciplina del decreto legislativo  n.  235  del
2012 (in violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma
della Costituzione,  quest'ultimo,  in  relazione  all'art.  7  della
CEDU), con riguardo alla previsione della  sospensione  dalla  carica
degli amministratori regionali e locali  che  abbiano  riportato  una
condanna non definitiva per uno dei reati in esse previsti, sollevata
in relazione al fatto che la sua applicazione non  e'  limitata  alle
sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro  entrata
in vigore (argomentando la Consulta anche in  relazione  alla  natura
della normativa elettorale interna di  ciascuno  degli  Stati  membri
dell'Unione). 
    La Consulta, nella citata pronuncia, ha osservato che «l'art. 25,
secondo comma, della Costituzione riferisce il principio  di  stretta
legalita' soltanto alla pena, disponendo  che  "nessuno  puo'  essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore  prima
del fatto commesso". Anche con  riguardo  alle  misure  sanzionatorie
diverse dalle pene in senso stretto questa  Corte  ha  affermato  che
sussiste "l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di
esercizio  del  potere  relativo   all'applicazione   (o   alla   non
applicazione) di esse"» (sentenza n. 447  del  1988),  e  ha  inoltre
precisato come la necessita' «che sia la  legge  a  configurare,  con
sufficienza adeguata alla fattispecie, i fatti da punire» risulti pur
sempre «ricavabile anche per le sanzioni amministrative dall'art. 25,
secondo comma, della Costituzione» (sentenza n. 78 del 1967). 
    La Corte ha inoltre affermato che il principio, desumibile  dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo cui tutte le misure
di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima
disciplina della sanzione penale  in  senso  stretto  e'  «desumibile
anche dall'art. 25, secondo comma della Costituzione, il  quale  data
l'ampiezza della sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito  ...")
puo' essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio,
il  quale  non  abbia  prevalentemente  la  funzione  di  prevenzione
criminale (e quindi non sia riconducibile in senso stretto a  vere  e
proprie misure di sicurezza), e' applicabile soltanto se la legge che
lo prevede risulti gia' vigente  al  momento  della  commissione  del
fatto sanzionato (sentenza n. 196 del 2010; nello stesso senso  anche
la successiva pronuncia n. 104 del 2014).». 
    Proprio con riguardo a tale ultimo profilo  la  Corte  ha  quindi
affermato: «Nella sua ormai quarantennale giurisprudenza in tema,  la
Corte di Strasbrugo ha  individuato  tre  figure  sintomatiche  della
natura penale di una sanzione  (i  cosiddetti  criteri  "Engel"):  la
qualificazione dell'illecito operata dal diritto nazionale; la natura
della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente;  la
sua severita', ovvero la gravita' del sacrificio imposto (sentenza  8
giugno 1976, Engel c. Olanda; i principi da essa enunciati sono stati
confermati da molte sentenze successive: 
        ... Come ribadito da ultimo  nella  sentenza  4  marzo  2014,
Grande Stevens e altri c. Italia, questi criteri sono "alternativi  e
non cumulativi", ma cio' non  impedisce  di  adottare  un  "approccio
cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non permette  di
arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di  una
"accusa in materia penale" (Jussila c. Finlandia [GC],  n.  73053/01,
§§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31,
CEDU 2007-IX)" (paragrafo 94). 
        5.5. - La qualificazione sostanziale  come  pena,  nel  senso
della nozione elaborata dalla Corte  di  Strasburgo,  di  una  misura
prevista dall'ordinamento  interno  che  incida  negativamente  nella
sfera del destinatario, comporta che siano  applicabili  ad  essa  le
garanzie previste dalla CEDU, quali in  particolare:  il  diritto  al
giusto processo in materia civile e penale  (art.  6);  il  principio
nulla poena sine lege (art. 7); il divieto del bis in idem  (art.  4,
paragrafo 1, del protocollo n. 7). 
        Spetta nondimeno a questa Corte  valutare  come  ed  in  qual
misura  il  prodotto  dell'interpretazione  della  Corte  europea  si
inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano.  La  norma  CEDU,
nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 della
Costituzione, da questo ripete il suo rango nel sistema delle  fonti,
con  tutto  cio'  che  segue,  in  termini   di   interpretazione   e
bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa  Corte  e'
chiamata in tutti i giudizi di sua competenza" (sentenza n.  317  del
2009).  In  altri  termini,  spetta   a   essa   di   apprezzare   la
giurisprudenza europea formatasi sulla norma conferente, "in modo  da
rispettarne la sostanza, ma con un  margine  di  apprezzamento  e  di
adeguamento  che  le  consenta  di  tener  conto  delle  peculiarita'
dell'ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale e' destinata
a inserirsi (sentenza n. 311 del 2009)" (sentenza n. 236 del 2011; da
ultimo, sentenza n. 193 del 2016).». Inoltre,  e'  stato  evidenziato
che  «La  natura  punitiva  della  misura  si  desume,   secondo   la
giurisprudenza di Strasburgo, da un  complesso  di  elementi,  tra  i
quali principalmente il tipo di condotta sanzionata, il nesso fra  la
misura inflitta e l'accertamento di un reato, la presenza di  beni  e
interessi   tradizionalmente   affidati   alla   sfera   penale,   il
procedimento con il quale la misura e' adottata.». 
    Orbene, l'applicazione dei  ricordati  principi  affermati  dalla
Consulta e dalla Corte EDU alla fattispecie porta proprio  al  dubbio
di legittimita' costituzionale che si solleva. 
    Nel caso di specie,  la  revoca  -  va  ricordato  -  inerisce  a
condanna per una platea di reati connotata dell'estrema gravita'  del
trattamento sanzionatorio e per il tratto comune dell'elevato allarme
sociale che la loro commissione determina, di talche' il  legislatore
ha ritenuto che, a fronte della gravita' della lesione perpetrata  in
danno dell'ordinamento e del pregiudizio alla civile  convivenza,  le
ragioni ed i presupposti per il godimento del beneficio - espressione
del principio fissato dall'art. 38 della Costituzione -  riconosciuto
all'anziano indigente, siano recessivi rispetto  alla  necessita'  di
un'adeguata reazione dello ordinamento stesso. 
    In questa prospettiva, tuttavia, per verificare in concreto se la
revoca in oggetto costituisca una sanzione di natura  penale,  appare
necessario valutare se risultino integrati i cosiddetti  «criteri  di
Engel», tra loro alternativi, ma valutabili anche nel  loro  insieme,
costituiti dalla qualificazione  dell'illecito  operata  dal  diritto
nazionale, dalla natura della sanzione - alla luce della sua funzione
punitiva-deterrente -, della sua severita' ovvero dalla gravita'  del
sacrificio imposto. 
    Quanto al primo si e' precisato che  si  tratta  di  aspetto  non
dirimente (secondo la stessa decisione CEDU, sentenza Engel e  a.  c.
Paesi Bassi (Grande Camera) dell'8 giugno 1976 (ricorsi  n.  5100/71;
n. 5101/71; n. 5102/71; n. 5354/72; n. 5370/72, Serie A n. 22, § 82);
quanto al secondo e' stato chiarito  che  si  tratta  di  trattamento
strettamente connesso alla condanna penale, tanto da  determinare  un
automatismo che non ammette sindacato ne' in sede amministrativa  ne'
in sede giurisdizionale, la cui applicazione  opera  nella  comunanza
dei presupposti nelle due sedi; la funzione  punitiva  e  deterrente,
quindi viene esaltata con l'aggravamento insito nella  «pena  civile»
di cui si tratta. 
    Tale secondo criterio appare qualificare la sanzione  in  oggetto
come sanzione penale, proprio per l'automatismo che esclude qualsiasi
discrezionalita' nella sua applicazione, legata alla condanna penale,
alla quale si aggiunge. 
    Il terzo criterio attiene alla severita'  della  sanzione  ovvero
alla  gravita'  del  sacrificio  imposto  al  soggetto  passivo,  con
evidentemente riferimento alla situazione soggettiva di  questi,  per
il quale una certa  sanzione  comporta  come  conseguenza  un  «grave
sacrificio». 
    Orbene, anche questo terzo criterio, ad avviso di questa Giudice,
risulta integrato nella fattispecie. 
    L'assegno sociale revocato, infatti, «rappresenta una prestazione
di base avente natura assistenziale ed in quanto  tale  e'  volta  ad
assicurare "i mezzi necessari per  vivere"  (ai  sensi  dell'art.  38
della Costituzione, comma 1) alle persone anziane che hanno  superato
una prefissata soglia  di  eta',  e  che  non  dispongono  di  tutela
previdenziale per fronteggiare l'evento della vecchiaia. Il  relativo
diritto si fonda sullo stato di bisogno accertato  del  titolare  che
viene desunto, in base  alla  legge,  dalla  mancanza  di  redditi  o
dall'insufficienza di quelli percepiti al disotto del limite  massimo
indicato dalla legge. L'assegno viene infatti corrisposto per  intero
o ad integrazione, a  coloro  che,  compiuta  l'eta'  prevista  (oggi
rileva l'eta' di sessantasette anni), siano privi di reddito o godano
di un reddito inferiore al limite fissato dalla legge (raddoppiato in
ipotesi di coniugio) ed adeguato nel tempo dal legislatore (da ultimo
legge n. 448 del 2011, art. 38, comma 1, lettera b).», come  ritenuto
da Cassazione, Sez. VI, n. 14513/2020. 
    Al fine di determinare lo stato di bisogno del  soggetto  che  ne
richieda l'erogazione, vanno valutati tutti  i  redditi  in  concreto
percepiti dal medesimo e dal coniuge - nella  specie  rientranti  nei
limiti di legge, come accertato - atteso che «Nell'interpretare  tale
disposizione,  questa  Corte  ha  gia'  affermato  che,  essendo   il
conguaglio strettamente connesso non  alla  mera  titolarita'  di  un
reddito, bensi' alla sua effettiva percezione, e' da ritenere che  il
reddito  incompatibile  in  tanto  rilevi   in   quanto   sia   stato
effettivamente acquisito al patrimonio  dell'assistito:  una  lettura
costituzionalmente orientata della norma in esame esclude infatti che
si possa negare l'assegno a coloro  che,  pur  essendo  astrattamente
titolari di un reddito totalmente o  parzialmente  incompatibile  con
l'assegno sociale, si vengano a trovare, in conseguenza della mancata
percezione di  fatto  di  tale  reddito,  nella  medesima  situazione
reddituale di coloro che hanno  diritto  all'assegno  sociale  (cosi'
Cassazione n. 6570 del 2010, cit. dalla sentenza  impugnata).»,  come
di recente affermato da Cassazione, Sez. lav., 15 settembre 2021,  n.
24954, che ha altresi' ritenuto che non e' dato rinvenire «ne'  nella
lettera ne' nella ratio della legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 6,
alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno, per essere
normativamente  rilevante,  debba  essere   anche   incolpevole:   al
contrario, la condizione legittimante per l'accesso alla  prestazione
assistenziale rileva  nella  sua  mera  oggettivita'.  La  previsione
secondo cui il reddito rilevante ai fini del diritto all'assegno  "e'
costituito dall'ammontare dei redditi  (...)  conseguibili  nell'anno
solare di riferimento" dev'essere  infatti  interpretata  in  stretta
connessione con quella immediatamente successiva, secondo  cui,  come
appena  ricordato,   l'assegno   "e'   erogato   con   carattere   di
provvisorieta'  sulla  base  della   dichiarazione   rilasciata   dal
richiedente ed e' conguagliato (...) sulla base  della  dichiarazione
dei redditi effettivamente percepiti": vale a dire che  all'assistito
e' richiesto soltanto di formulare una prognosi riguardante i redditi
percepibili in relazione allo stato di fatto e di  diritto  esistente
al momento  della  domanda,  fermo  restando  che  la  corresponsione
effettiva dell'assegno dovra' essere parametrata a cio' che  di  tali
redditi risulti "effettivamente percepito". 
    Si deve piuttosto aggiungere che  tale  conclusione  s'impone  in
ragione del fatto che il sistema di sicurezza sociale delineato dalla
Costituzione  non  consente  di  ritenere   in   via   generale   che
l'intervento  pubblico  a  favore  dei  bisognosi   abbia   carattere
sussidiario, ossia che possa aver luogo solo nel caso in cui manchino
obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di  provvedervi:
...». 
    Pertanto, la sanzione oggetto di sindacato  e'  costituita  dalla
revoca delle prestazioni  che  lo  Stato  appresta  in  favore  degli
anziani in stato di bisogno - cosi' come degli invalidi  e  di  altri
soggetti in stato di svantaggio sociale, quanto ad altre  prestazioni
del pari previste dalla norma oggetto  di  sindacato  -  al  fine  di
garantire loro i mezzi necessari per vivere. 
    Parte ricorrente, del resto, ha osservato che, in ogni  caso,  si
tratta di prestazioni che i titolari  utilizzano  per  consentire  la
sopravvivenza  del  nucleo  familiare  e  che  il  venir  meno  della
prestazione in questione rappresenta in concreto un grave  danno  non
solo per il condannato, ma anche per la sua famiglia,  atteso  che  -
nella specie - ella coniuge e' priva di redditi (come risulta provato
in atti). 
    In  tale  contesto,  la  sanzione  in  questione,  della   revoca
dell'assegno sociale o di altre prestazioni assistenziali  dovute  ai
soggetti svantaggiati, finalizzate a garantire ai titolari e al  loro
nucleo familiare i mezzi di sussistenza non  puo'  valutarsi  che  di
rilevante gravita', quanto al sacrificio imposto al soggetto passivo. 
    Osserva, infatti, questa Giudice che la gravita' della  sanzione,
sub specie del sacrificio imposto, va  valutata  soggettivamente,  in
relazione al pregiudizio cagionato al soggetto (inteso come categoria
di soggetti) che ne e' destinatario,  come  del  resto  sotteso  alle
pronunce citate della Corte EDU, e non in senso assoluto, sicche'  va
certamente valutata come foriera di gravi conseguenze per il soggetto
interessato una  sanzione  che  abbia  come  effetto  il  privare  il
medesimo e la sua famiglia dei mezzi di sostentamento, a  prescindere
dall'entita' della somma a tal fine mensilmente erogata dall'Istituto
previdenziale (nella fattispecie pari ad euro   per dodici mensilita'
annue, oltre tredicesima pari ad euro   , come da  documentazione  in
atti). 
    Nella specie, quindi, ritiene questa Giudice che la  integrazione
del secondo e del terzo criterio indicati, anche nell'ambito  di  una
valutazione complessiva dei cd. criteri «Engels», porti a  concludere
per la natura sostanzialmente penale  della  sanzione  in  questione,
atteso che essa viene comminata in conseguenza della  commissione  di
gravi illeciti penali, con  funzione  punitiva  -  in  considerazione
della gravita' e del grave allarme sociale  prodotto  dalle  condotte
illecite - e  che  produce  per  il  destinatario  un  sacrificio  di
rilevante gravita', costituito dall'impossibilita' di  provvedere  al
reperimento dei mezzi di sussistenza per se' e per i  familiari,  che
si aggiunge agli effetti della sanzione penale gia'  comminata  e  di
estrema severita'. 
    Per   tali   ragioni,   deve   dubitarsi    della    legittimita'
costituzionale di una  norma  che  prevede  l'applicazione  di  detta
sanzione, di natura sostanzialmente penale, a gravi  fatti  di  reato
commessi prima dell'entrata in vigore della norma, con la conseguenza
che il soggetto agente non avrebbe mai potuto  rappresentarsela  come
una delle conseguenze della propria azione delittuosa. 
    Questa impostazione interpretativa - come  gia'  osservato  dalla
Corte d'appello di Venezia nell'ordinanza  citata  di  rimessione  di
analoga questione - e' stata  avallata  dalla  stessa  giurisprudenza
della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2010) in  fattispecie
che si connota per alcune analogie con il caso in esame. 
    Con la sentenza citata e' stata oggetto di vaglio  costituzionale
la previsione dell'art. 186 c.d.s. rispetto ai parametri degli  artt.
3 e 117 della Costituzione, con specifico  riguardo  alla  «sanzione»
della   confisca   del   veicolo.   La   Consulta    ha    dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  «limitatamente   alle
parole "ai sensi dell'art. 240, secondo comma,  del  codice  penale",
dell'art. 186, comma 2, lettera c)». 
    In motivazione la Corte ha affermato: 
      a) la necessita' di chiarire preliminarmente se il  legislatore
qualifichi in termini di misura di sicurezza o meno la  confisca  «al
fine di impedire che risposte di segno repressivo,  e  quindi  con  i
caratteri propri delle pene in senso stretto, si prestino  ad  essere
qualificate come misure di sicurezza»  con  «surrettizio  aggiramento
delle garanzie individuali che gli artt. 6 e 7 riservano alla materia
penale»; 
      b) la necessita' di adottare  criteri  interpretativi  che  «in
aggiunta a quello della qualificazione  giuridico-formale  attribuita
nel diritto nazionale» «sulla base di  due  sottocriteri,  costituiti
dall'ambito di applicazione della norma che lo preveda e dallo  scopo
della  sanzione  -  ovvero  alla  gravita',  o  meglio  al  grado  di
severita', della sanzione irrogata.»; 
      c) la necessita' di conformare  l'interpretazione  della  norma
interna in conformita' alla giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
sull'interpretazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, per cui «tutte  le
misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere  soggette  alla
medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto.»; 
      d) la coerenza di  tale  principio  con  quello  dell'art.  25,
secondo comma della Costituzione «il quale -  data  l'ampiezza  della
sua formulazione ("Nessuno puo' essere punito  ...")  -  puo'  essere
interpretato nel senso che ogni intervento  sanzionatorio,  il  quale
non abbia prevalentemente la funzione  di  prevenzione  criminale  (e
quindi non sia riconducibile - in senso stretto - a  vere  e  proprie
misure di sicurezza), e' applicabile soltanto  se  la  legge  che  lo
prevede risulti gia' vigente al momento della commissione  del  fatto
sanzionato.»; 
      e)  la  natura  essenzialmente  sanzionatoria  della   confisca
dell'art. 186 c.d.s. in quanto al di  la'  della  sua  qualificazione
formale, presenta una funzione sanzionatoria e meramente repressiva e
non preventiva, trattandosi di misura  applicabile  anche  quando  il
veicolo   dovesse    risultare    incidentato    e    temporaneamente
inutilizzabile «sicche' la misura  della  confisca  si  presenta  non
idonea  a  neutralizzare  la  situazione  di  pericolo  per  la   cui
prevenzione e' stata concepita». 
    Come nel caso ora esaminato, quindi, si  impone  una  valutazione
circa il carattere  «elusivo»  della  previsione  sospettata  di  non
essere conforme al dettato costituzionale, in quanto riferita  ad  un
ambito,   quello   della   gestione   del   rapporto   previdenziale,
apparentemente neutro; si impone, altresi', la  considerazione  circa
il carattere meramente punitivo della sanzione aggiuntiva, che,  come
risulta evidente, non ha alcuna  specifica  funzione  di  prevenzione
rispetto alla commissione dei gravi  delitti  che  con  essa  vengono
altresi' sanzionati. 
    Tale  ricostruzione  interpretativa  della  sanzione  di   natura
sostanzialmente penale porta, quindi, a ritenere - come  accennato  -
che la previsione legislativa dell'applicazione  della  revoca  delle
prestazioni assistenziali in oggetto, come  conseguenza  di  condanne
penali irrogate in epoca anteriore alla sua entrata  in  vigore,  per
fatti  ancora  anteriori,  si  traduca   nel   vulnus   ai   precetti
costituzionali sopra richiamati. 
    Deve dunque ritenersi rilevante e non manifestamente infondato il
dubbio di costituzionalita' della norma dell'art. 2, comma 61,  della
legge n. 92/2012 per contrasto con  gli  artt.  25,  comma  2,  della
Costituzione e 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art.
7 CEDU, per il fatto di prevedere l'applicazione di una  sanzione  di
natura sostanzialmente penale a fatti commessi anteriormente alla sua
entrata in vigore. 
    Per la rilevanza della  questione,  va  ribadito  che  la  revoca
operata dall'INPS si appalesa del tutto  rispettosa  della  normativa
citata,  sicche'  la   eventuale   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della  medesima  norma  porterebbe  ad  una  pronuncia
all'evidenza  di  segno  diametralmente  opposto  a  quello  in  atto
doveroso,  rendendo   illegittima   la   revoca   della   prestazione
assistenziale oggetto di causa, con conseguente diritto  della  parte
ricorrente  a   ottenere   la   condanna   dell'Istituto   alla   sua
riattivazione e al suo pagamento, come richiesto in ricorso, che,  in
atto, andrebbe sul punto rigettato, atteso che il  condannato  -  per
fatti commessi in epoca ben anteriore  all'entrata  in  vigore  della
Legge  Fornero  -  si  trova  in  regime  di  detenzione  carceraria,
scontando la pena dell'ergastolo (cd. ostativo). 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87 del
1953: 
      a)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 61  della
legge n. 92  del  2012,  che  prevede  la  revoca  delle  prestazioni
previdenziali o assistenziali «... comunque denominate in  base  alla
legislazione  vigente,  di  cui  il  condannato   sia   eventualmente
titolare: indennita' di  disoccupazione,  assegno  sociale,  pensione
sociale e  pensione  per  gli  invalidi  civili»  nei  confronti  dei
«soggetti gia' condannati con sentenza passata  in  giudicato  per  i
reati di cui al comma 58,  ...  con  effetto  non  retroattivo.»,  in
rapporto agli artt. 25 della Costituzione e 117 della Costituzione in
relazione all'art. 7 CEDU; 
      b) dispone la sospensione del presente giudizio; 
      c) ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza
sia notificata alle parti del giudizio ed al Presidente del Consiglio
dei ministri; 
      d) ordina,  altresi',  che  l'ordinanza  venga  comunicata  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
      e) dispone l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Manda alla cancelleria per ogni adempimento di competenza. 
        Palermo, a seguito dell'udienza di trattazione scritta del 14
settembre 2022 
 
                    La Giudice del lavoro: Marino