N. 152 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 settembre 2022

Ordinanza  del  15  settembre  2022  del   Tribunale   amministrativo
regionale  per  la  Liguria  sul  ricorso  proposto  da  F.B.  contro
Ministero dell'interno e Prefettura di Genova UTG. 
 
Straniero  -  Immigrazione  -  Emersione  di  rapporti  di  lavoro  -
  Previsione che la  relativa  istanza  puo'  essere  presentata  dai
  datori di lavoro stranieri in  possesso  del  titolo  di  soggiorno
  previsto dall'art. 9 del  decreto  legislativo  n.  286  del  1998,
  invece che dai datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti
  in Italia. 
- Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in  materia  di
  salute, sostegno al lavoro e  all'economia,  nonche'  di  politiche
  sociali  connesse  all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
  convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020,  n.  77,
  art. 103, comma 1. 
(GU n.52 del 28-12-2022 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA 
                           Sezione Seconda 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Liguria  (Sezione
Seconda) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso  numero  di
registro generale 468 del 2022, proposto da 
      F B , rappresentato e difeso dall'avvocato  Giorgio  Rosa,  con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia  e  domicilio
eletto presso il suo studio in Genova, via Assarotti, n. 13-17; 
    contro 
      Ministero dell'interno-Prefettura di Genova UTG, per legge  con
il  patrocinio  dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato   e   con
domicilio presso i suoi uffici in Genova, viale  Brigate  Partigiane,
n. 2; 
    per  l'annullamento,  previa  sospensione   dell'efficacia,   del
provvedimento  n.  della  Prefettura  di  Genova,   Sportello   Unico
Immigrazione, emesso in data , di rigetto dell'istanza  di  emersione
dal lavoro irregolare presentata a favore del ricorrente  dal  datore
di lavoro; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  dell'Avvocatura  dello
Stato per il Ministero dell'interno-Prefettura di Genova UTG; 
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente; 
    Visto l'art. 55 codice di procedura amministrativa; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Ritenuta la propria giurisdizione e competenza; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 settembre 2022 il
dott. Alessandro Enrico Basilico e sentite le conclusioni delle parti
come da verbale; 
    Premesso e considerato che: 
      il ricorrente ha impugnato il diniego  opposto  all'istanza  di
emersione dal lavoro irregolare  presentata  dal  proprio  datore  di
lavoro al fine di stipulare, in conformita' all'art.  103,  comma  1,
del decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge n. 77 del 2020),  un
regolare contratto di soggiorno per lavoro subordinato; 
      il decreto si fonda sul fatto che «il richiedente risultava non
titolare di permesso di  soggiorno  in  corso  di  validita'  CE  per
soggiornanti di lungo periodo (Carta di Soggiorno di cui all'art.  9,
decreto  legislativo  n.  286/98),  condizione  ostativa,  ai   sensi
dell'art. 103, comma 1 del  decreto-legge  19  maggio  2020,  n.  34,
convertito in legge il 17 luglio 2020, n. 77, alla  presentazione  da
parte  del  datore  di  lavoro  extracomunitario,  della  istanza  di
emersione» e che «a  tutt'oggi  [ossia  alla  data  di  adozione  del
diniego] il predetto datore di lavoro non  risulta  in  possesso  del
permesso di  soggiorno  di  soggiornanti  di  lungo  periodo»  (dalla
relazione dell'Amministrazione, doc. 5 dell'Avvocatura,  risulta  che
il datore di lavoro istante sia titolare di un permesso di  soggiorno
per motivi familiari); 
      il ricorrente  ha  chiesto  a  questo  TAR  l'annullamento  del
provvedimento,  previa  concessione  di  misure  cautelari   mediante
sospensione della sua efficacia, deducendo un unico motivo di diritto
(rubricato «carenza ed erroneita' della motivazione del provvedimento
impugnato; carenza  di  istruttoria»)  con  il  quale  ha  contestato
l'omesso   invio    del    «preavviso    di    rigetto»,    sostenuto
l'irragionevolezza dell'argomento posto a base del diniego (ossia  il
fatto che il datore di lavoro  non  fosse  titolare  di  permesso  di
soggiorno di lungo periodo) e  lamentato  che  l'Amministrazione  non
abbia valutato il rilascio di un permesso ad altro titolo; 
      si e' costituita in giudizio l'Avvocatura dello Stato,  per  il
Ministero dell'interno, resistendo al ricorso; 
      alla camera di consiglio del 9 settembre 2022, il  Collegio  ha
prospettato   d'ufficio   alle   parti   un   possibile   dubbio   di
costituzionalita' dell'art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 34 del
2020 (conv. in legge n. 77 del 2020) per violazione dei  principi  di
eguaglianza  e  ragionevolezza  di   cui   all'art.   3,   comma   1,
Costituzione,  invitandole  alla  discussione  sul  punto,  ai  sensi
dell'art. 73, comma 3, codice di procedura amministrativa; 
      all'esito della camera di consiglio, il  Collegio  ritiene  che
tale dubbio sussista e che della sua soluzione debba essere investito
il Giudice delle leggi; 
      a tal fine, in  via  preliminare  il  Collegio  e'  chiamato  a
valutare  la  sussistenza  dei  presupposti   processuali   e   delle
condizioni dell'azione, la cui verifica e' strumentale  al  riscontro
della rilevanza della questione di costituzionalita'; 
      a  tal  proposito,  s'intende  ribadire  l'orientamento   della
Sezione secondo cui, benche' il legislatore  abbia  previsto  che  il
procedimento  amministrativo   preordinato   alla   conclusione   del
contratto di soggiorno sia attivabile solo su iniziativa  del  datore
di lavoro, «non possono disconoscersi  gli  effetti  diretti  che  il
provvedimento finale produce nella sfera giuridica dello straniero il
quale, nel caso di esito favorevole, puo' conseguire il  rilascio  di
un permesso di soggiorno per lavoro subordinato», con la  conseguenza
che, in capo a questi, e' ravvisabile «una posizione differenziata  e
qualificata che comporta  la  legittimazione  ad  impugnare  in  sede
giurisdizionale le determinazioni amministrative ritenute lesive  del
suo interesse legittimo alla «emersione dal sommerso»» (sent. n.  701
del 2022); 
      rispetto  alla  domanda  cautelare  avanzata  dal   ricorrente,
strumentale rispetto  a  quella  di  annullamento  del  provvedimento
impugnato, la questione di costituzionalita' e' rilevante; 
      la «norma oggetto» della questione, ossia l'art. 103, comma  1,
del decreto-legge n. 34 del 2020 (come convertito, con modificazioni,
in legge n.  77  del  2020),  per  quanto  d'interesse  nel  presente
giudizio, stabilisce che: «al fine di garantire livelli  adeguati  di
tutela della salute individuale e  collettiva  in  conseguenza  della
contingente  ed  eccezionale  emergenza   sanitaria   connessa   alla
calamita' derivante dalla  diffusione  del  contagio  da  COVID-19  e
favorire l'emersione di rapporti di lavoro irregolari,  i  datori  di
lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione  europea,
ovvero i datori  di  lavoro  stranieri  in  possesso  del  titolo  di
soggiorno previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25  luglio
1998, n. 286, e successive modificazioni, possono presentare istanza,
con le modalita' di cui ai commi 4, 5, 6 e  7  ,  per  concludere  un
contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti  sul
territorio nazionale ovvero  per  dichiarare  la  sussistenza  di  un
rapporto di  lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini
italiani o cittadini stranieri»; 
      la  disposizione  limita  la  presentazione   dell'istanza   di
emersione ai datori di lavoro stranieri in possesso del  permesso  di
soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo,  con  esclusione  dei
datori di lavoro stranieri in possesso di altri titoli di soggiorno; 
      nel caso di specie, l'istanza e' stata presentata da un  datore
di  lavoro  straniero  privo  del  permesso  di  soggiorno   UE   per
soggiornanti di lungo periodo - benche' regolarmente soggiornante  in
Italia, in quanto in possesso di un permesso di soggiorno per  motivi
familiari - e questa circostanza ha costituito  l'unica  ragione  che
l'Amministrazione ha addotto per negare il  provvedimento  favorevole
richiesto; 
      sebbene  il  ricorrente  non   abbia   espressamente   eccepito
l'incostituzionalita' della norma in questione, nell'unico motivo  di
ricorso   dedotto   ha   comunque   specificamente   contestato    la
ragionevolezza  della  previsione,  affermando  che:  «con  specifico
riferimento all'argomento (unico) a base del diniego  gravato,  ossia
il fatto che il datore di lavoro non fosse titolare  di  permesso  di
soggiorno di lungo periodo, non puo' che osservarsi quanto segue.  La
carenza contestata afferisce ad una dimensione del tutto personale  e
privata del datore di lavoro, assolutamente al di fuori del controllo
del lavoratore ne' da questi modificabile in nessun modo. Il possesso
e la qualita' dei documenti di soggiorno sono elementi che  competono
esclusivamente al titolare degli stessi (nel caso di specie al datore
di  lavoro)  e  per  loro  stessa  natura  strettamente  personali  e
riservati, e pertanto non pare logico ne' giuridicamente  accettabile
che qualsivoglia irregolarita' ridondi  a  carico  e  sfavore  di  un
soggetto estraneo alle dinamiche amministrative relative - appunto  -
al solo titolare dei documenti stessi» (p. 3 del ricorso); 
      la soluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale,
con cui si dubita della ragionevolezza dell'art. 103,  comma  1,  del
decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge n. 77 del 2020), risulta
dunque strumentale al  vaglio  -  anche  con  lo  scrutinio  sommario
proprio della fase cautelare - della fondatezza della censura  svolta
con l'impugnativa, con cui si contesta la ragionevolezza del  diniego
in quanto fondato su  cio'  che  la  norma  stessa  prevede,  con  la
conseguenza che sussistono i presupposti affinche'  questo  Tribunale
possa sollevarla d'ufficio, ai sensi dell'art. 1 della l. cost. n.  1
del 1948 e dell'art. 23, comma 3, della legge n. 87 del 1953, ma  nel
rispetto del principio della domanda di cui all'art.  99  cod.  proc.
civ., essendovi un collegamento evidente e diretto tra il  dubbio  di
costituzionalita' e l'unico motivo di ricorso; 
      sempre ai fini della rilevanza, e per completezza, e' opportuno
precisare,  con  riferimento  alle  altre  contestazioni  mosse   dal
ricorrente, che la  prima,  consistente  nella  violazione  dell'art.
10-bis della legge n. 241 del 1990 per omesso invio del «preavviso di
rigetto», appare infondata, data la natura vincolata che  il  diniego
assume, nelle circostanze del caso di specie, alla luce della  norma,
mentre l'ultima, relativa alla mancata concessione di un permesso  ad
altro titolo, risulta logicamente subordinata  a  quella  principale,
inerente le  condizioni  di  accesso  alla  procedura  di  emersione,
nonche' anch'essa infondata, dato che  la  disciplina  in  esame  non
prevede una simile possibilita' e, avendo natura eccezionale,  e'  di
stretta interpretazione; 
      sotto altro profilo, sussiste il presupposto del «periculum  in
mora», in quanto, se non venisse concessa  la  tutela  cautelare,  il
ricorrente subirebbe un danno grave e irreparabile,  rimanendo  privo
di un titolo di soggiorno che lo autorizzi a rimanere sul  territorio
nazionale; 
      pertanto,  questo  giudice  non  puo'  decidere  sulla  domanda
cautelare di sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato -  e,  in
particolare, sulla sussistenza del requisito del «fumus boni iuris» -
senza che sia prima risolto  il  dubbio  di  costituzionalita'  della
previsione su cui esso si fonda e  la  cui  ragionevolezza  e'  stata
contestata dal ricorrente; 
      la questione di costituzionalita' dell'art. 103, comma  1,  del
decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge n.  77  del  2020),  per
violazione  dell'art.  3,  comma  1,  Costituzione,  e'   anche   non
manifestamente infondata; 
      occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, nell'art. 3, comma 1, Costituzione  trova  fondamento
il  principio  di  ragionevolezza  -  in  quanto  «il   giudizio   di
eguaglianza [...] e' in se' un giudizio  di  ragionevolezza,  vale  a
dire un apprezzamento di conformita' tra la regola  introdotta  e  la
«causa» normativa che la deve assistere» (cosi' fin dalla sent. n. 89
del  1996)   -   il   quale   e'   leso   quando   si   accerti   una
«contraddittorieta'   intrinseca   tra   la   complessiva   finalita'
perseguita dal legislatore e la  disposizione  espressa  dalla  norma
censurata» (tra le piu' recenti, si v. la sent.  n.  195  del  2022),
cosi' come quando l'irragionevolezza intrinseca della disciplina  sia
foriera di un'ingiustificata disparita' di trattamento (tra le tante,
si v. la sent. n. 7 del 2005 e n. 49 del 2019); 
      anche   in    materie    nelle    quali    possiede    un'ampia
discrezionalita', come quella dell'immigrazione,  il  legislatore  e'
chiamato a esercitare il  proprio  potere  nel  rispetto  dei  limiti
segnati dai precetti costituzionali, dettando una disciplina che «per
essere in armonia con l'art. 3 Costituzione, occorra che sia conforme
a criteri di intrinseca ragionevolezza» (sent. n. 172 del 2012); 
      per quanto d'interesse nel presente giudizio, l'art. 103, comma
1, del decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge n. 77  del  2020)
ha  previsto  una  speciale  «regolarizzazione»  per   i   lavoratori
stranieri, i quali possono stipulare  con  il  datore  di  lavoro  un
contratto di soggiorno laddove ricorrano le seguenti condizioni:  che
abbiano fatto ingresso in Italia prima dell'8  marzo  2020;  che  non
abbiano  lasciato  il  territorio  nazionale  da  quella  data;   che
intendano stipulare un contratto di lavoro  -  ovvero  dichiarino  la
sussistenza di un rapporto in essere - nei settori  dell'agricoltura,
della cura della persona o del lavoro domestico (al presente giudizio
non e' invece riferibile la diversa ipotesi di «regolarizzazione»  di
cui al comma 2 della medesima disposizione, che prevede  il  rilascio
di un permesso di soggiorno temporaneo per consentire la  ricerca  di
un nuovo lavoro agli stranieri con permesso di soggiorno scaduto alla
data del 31 ottobre 2019 e che  siano  stati  impiegati  nei  settori
citati); 
      tale  «regolarizzazione»   e'   espressamente   finalizzata   a
«garantire livelli adeguati di  tutela  della  salute  individuale  e
collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale  emergenza
sanitaria connessa alla  calamita'  derivante  dalla  diffusione  del
contagio da COVID-19 e favorire l'emersione  di  rapporti  di  lavoro
irregolari»; 
      e' alla luce di questa finalita' che deve  essere  valutata  la
ragionevolezza  della  disciplina  descritta,   nei   termini   della
congruita'  tra   mezzo   e   fine,   con   particolare   riferimento
all'indicazione dei soggetti legittimati a  presentare  l'istanza  di
emersione; 
      da questo punto di vista, occorre  osservare  che,  secondo  la
disciplina generale  di  cui  agli  artt.  5-bis  e  22  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998, il contratto di  soggiorno  puo'  essere
stipulato dal datore di lavoro straniero  «regolarmente  soggiornante
in Italia»; 
      l'art.  103,  comma   1,   invece   limita   la   presentazione
dell'istanza ai datori di lavoro stranieri in possesso  del  permesso
di lungo periodo - invece che regolarmente soggiornanti in Italia - e
preclude  cosi'  l'accesso  alla  «regolarizzazione»  di   lavoratori
stranieri  di  per  se'  in  possesso  dei  requisiti   «sostanziali»
(permanenza in Italia da  prima  dell'8  marzo  2020  e  impiego  nei
settori dell'agricoltura o dell'assistenza  alla  persona),  rendendo
meno  agevole  il   raggiungimento   dello   scopo,   dichiaratamente
perseguito  dalla  norma,  di  «favorire»  l'emersione   del   lavoro
irregolare e la  stipulazione  di  contratti  d'impiego  nei  settori
indicati; 
      sotto altro profilo, ponendo l'accento su  una  condizione  che
non riguarda lo straniero,  destinatario  principale  del  beneficio,
bensi' un diverso soggetto, l'art.  103,  comma  1,  determina  anche
un'ingiustificata disparita' di trattamento  tra  lavoratori  che,  a
parita' di requisiti «sostanziali», risultano ammessi o esclusi dalla
«regolarizzazione» in dipendenza del titolo  di  soggiorno  del  loro
datore di lavoro; 
      pare  opportuno  rammentare  che,  come  messo  in  luce  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  il  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo e' concesso «quando ricorra  una  serie
di presupposti  che  testimoniano  della  relativa  stabilita'  della
presenza sul territorio, e il suo regime si colloca nella  logica  di
una ragionevole prospettiva di integrazione  del  destinatario  nella
comunita' ospitante» (tra le tante, si v. la sent. n. 19 del 2022); 
      la previsione di un requisito  piu'  stringente  rispetto  alla
normativa ordinaria appare quindi  ingiustificata  in  quanto,  nella
disciplina di cui all'art. 103, comma 1, la «stabilita'»  del  datore
di lavoro sul territorio nazionale  e  la  sua  «integrazione»  nella
comunita' italiana non presentano  alcun  legame  con  i  presupposti
(presenza del lavoratore straniero in Italia da  prima  dell'8  marzo
2020  e  impiego  nei  settori  indicati),  le  finalita'  (agevolare
l'emersione  di  manodopera   irregolare)   o   gli   effetti   della
«regolarizzazione» (rispetto  ai  quali  si  deve  osservare  che  il
soggiorno dello straniero, una volta «regolarizzato»,  dipende  dalla
durata  del  contratto  di  lavoro,  che  deve   essere   specificata
nell'istanza, e,  in  caso  di  cessazione  del  rapporto  d'impiego,
dall'applicazione delle disposizioni di cui all'art.  22,  comma  11,
del decreto legislativo n. 286 del 1998, secondo  cui  il  lavoratore
straniero puo' essere iscritto nelle liste  di  collocamento  per  un
periodo pari a quello di residua validita' del permesso di  soggiorno
e comunque non inferiore a un anno); 
      di conseguenza, tale requisito risulta disarmonico rispetto  al
contesto  normativo  in   cui   e'   inserito   e   si   traduce   in
un'ingiustificata disparita' di trattamento tra lavoratori stranieri; 
      pertanto, la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  103,
comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge n.  77  del
2020) e' non manifestamente infondata in relazione all'art. 3,  comma
1,  Costituzione,  nella  parte  in  cui  prevede  che  l'istanza  di
emersione possa essere presentata da «i datori di lavoro stranieri in
possesso del titolo di soggiorno previsto dall'articolo 9 del decreto
legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  e  successive  modificazioni»,
invece che da «i datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti
in Italia»; 
      l'adozione di una  sentenza  «manipolativa»  -  e  segnatamente
«sostitutiva»    -    appare     invocabile     in     considerazione
dell'orientamento,  ormai  consolidatosi  nella  giurisprudenza   del
Giudice delle  leggi,  secondo  cui,  laddove  si  versi  in  materie
riservate alla discrezionalita' del legislatore, «la "ammissibilita'"
delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale   risulta   [...]
condizionata  non  tanto   dall'esistenza   di   un'unica   soluzione
costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza  nell'ordinamento
di  una  o  piu'  soluzioni  costituzionalmente  adeguate,   che   si
inseriscano  nel  tessuto  normativo  coerentemente  con  la   logica
perseguita dal  legislatore  [...]  In  tale  prospettiva,  onde  non
sovrapporre la propria discrezionalita' a quella del  Parlamento,  la
valutazione della Corte  deve  essere  condotta  attraverso  "precisi
punti di riferimento e soluzioni gia' esistenti"» (si v. la sent.  n.
62 del 2022 e i precedenti ivi citati); 
      nel caso di specie, il punto di riferimento non puo' che essere
rappresentato dalla disciplina generale del contratto  di  soggiorno,
alla  cui  stipulazione  e'  appunto  ammesso  il  datore  di  lavoro
straniero «regolarmente soggiornante in Italia», rispetto alla  quale
l'art. 103, comma 1, risulta ingiustificatamente restrittivo; 
      infine, occorre precisare che,  considerato  il  dato  testuale
della «norma oggetto», il cui tenore e' inequivoco, non e'  possibile
interpretarla  norma  in  conformita'  al  parametro   costituzionale
evocato e occorre rimettere al Giudice delle leggi la  soluzione  del
dubbio di costituzionalita'; 
      la   circostanza   che,   nelle   more    del    processo    di
costituzionalita', il ricorrente possa subire un pregiudizio grave  e
irreparabile, rimanendo privo  di  un  titolo  di  soggiorno  che  lo
autorizzi a rimanere sul  territorio  nazionale,  induce  comunque  a
sospendere l'efficacia del provvedimento impugnato in via provvisoria
e temporanea, riservando la  decisione  sull'istanza  della  parte  -
nonche' l'eventuale definizione della controversia  con  sentenza  in
forma  semplificata  ai  sensi  dell'art.  60  codice  di   procedura
amministrativa - alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente
di legittimita' costituzionale (sull'ammissibilita'  della  questione
sollevata  nella  fase  cautelare,  quando  la  decisione  definitiva
sull'istanza della parte venga riservata all'esito  del  giudizio  di
costituzionalita', si v., tra le tante, le sentt. n. 10 e n.  99  del
2018); 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Liguria  (Sezione
Seconda) interlocutoriamente pronunciando sull'istanza cautelare: 
      dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   103,   comma   1,   del
decreto-legge n. 34 del 2020 (conv. in legge  n.  77  del  2020),  in
relazione all'art. 3, comma 1, della Costituzione, nella parte in cui
prevede che l'istanza di emersione  possa  essere  presentata  da  «i
datori di lavoro  stranieri  in  possesso  del  titolo  di  soggiorno
previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.
286, e successive modificazioni», invece che da «i datori  di  lavoro
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia»; 
      sospende il  giudizio  e  ordina  alla  Segreteria  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
      ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza  sia
notificata alle parti costituite e al Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri, nonche' comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento; 
      sospende   interinalmente   l'efficacia    del    provvedimento
impugnato. 
    La presente ordinanza sara' eseguita dall'Amministrazione  ed  e'
depositata presso la segreteria del Tribunale che provvedera' a darne
comunicazione alle parti. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti  di  cui  all'articolo  52,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e  degli
articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e
del Consiglio del 27 aprile 2016),  a  tutela  dei  diritti  o  della
dignita' della parte interessata, manda alla Segreteria di  procedere
all'oscuramento delle generalita' del ricorrente. 
    Cosi' deciso in Genova nella camera di  consiglio  del  giorno  9
settembre 2022 con l'intervento dei magistrati: 
      Luca Morbelli, presidente; 
      Richard Goso, consigliere; 
      Alessandro Enrico Basilico, referendario, estensore 
 
                       Il Presidente: Morbelli 
 
 
                                                L'estensore: Basilico