N. 5 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2023

Ordinanza del 12 gennaio  2023  del  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto sul reclamo proposto da R.E.. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Colloqui  dei   detenuti   -   Mancata
  previsione che alla persona detenuta  sia  consentito,  quando  non
  ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi,  anche  a
  carattere sessuale, con la persona convivente non  detenuta,  senza
  che sia imposto il controllo a vista  da  parte  del  personale  di
  custodia. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 18. 
(GU n.6 del 8-2-2023 )
 
                 UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI SPOLETO 
          Per i Circondari dei Tribunali di Spoleto e Terni 
 
 
                    IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA 
 
    Ha pronunciato a scioglimento della riserva  di  cui  al  verbale
d'udienza in data 14 dicembre  2022,  sentiti  pubblico  ministero  e
difesa, la seguente ordinanza: 
    Letto   il   reclamo   n.   SIUS    2022/4924    presentato    da
R        E        ,  nato  a            ,  detenuto  presso  la  Casa
Circondariale  di  Terni  in  esecuzione  della  pena   di   cui   al
provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica  presso
il Tribunale di Frosinone in data 14 settembre  2021,  con  il  quale
l'interessato si duole del divieto,  impostogli  dall'amministrazione
penitenziaria, di svolgere colloqui intimi con i propri familiari, ed
in particolare con la compagna, oltre che con la figlia di tre anni; 
 
                               Osserva 
 
    Il R        si lamenta, nel suo reclamo, delle modalita'  con  le
quali l'istituto penitenziario gli consente di  svolgere  i  previsti
colloqui visivi con i familiari, tra i quali la figlia  minore  e  la
compagna. Segnatamente, nel  reclamo-istanza  ci  si  diffonde  sulle
conseguenze negative che l'assenza di intimita' con la  compagna  sta
avendo sul  mantenimento  del  suo  rapporto  di  coppia,  cui  tiene
particolarmente ed  al  quale  considera  legato  il  proprio  futuro
reinserimento sociale. 
    L'interessato prosegue sottolineando come, anche  in  assenza  di
permessi  premio  previsti  in  suo  favore,  un   colloquio   intimo
costituisca l''unico strumento per esercitare il proprio diritto,  un
diritto che considera fondamentale, ad una serena relazione di coppia
e ad assicurargli a pieno un ruolo genitoriale. 
    Alla luce dell'allegazione di un pregiudizio da  ritenersi  grave
al proprio diritto all'affettivita', di cui si  rinvengono  emergenze
varie, diffusamente, nel tessuto della legge penitenziaria (si pensi,
tra gli altri, all'art. 15, che individua tra gli elementi essenziali
del trattamento l'agevolazione dei rapporti con la famiglia, all'art.
28, che impone che in favore del detenuto si dedichi particolare cura
a mantenere, migliorare o a ristabilire le relazioni con la famiglia,
ma anche alla disciplina dei  colloqui  visivi  e  telefonici  con  i
familiari di cui all' art. 18, all'allocazione della persona in luogo
il piu' prossimo possibile agli stessi, di cui agli  art.  14  e  42,
nonche' alla non limitabilita' dei contatti familiari persino  quando
la persona sia sottoposta al regime di sorveglianza  particolare,  di
cui all'art. 14-quater), il reclamo deve essere trattato con le forme
di cui all'art. 35-bis ord. penit. 
    Per l'odierna udienza e' stata  acquisita  una  nota  dalla  Casa
Circondariale di Terni, cui il magistrato di sorveglianza ha  chiesto
di chiarire quali siano le  modalita'  con  le  quali  consentito  al
condannato di  incontrare i propri familiari,  se  sia  prevista  una
permanente vigilanza da parte del personale di polizia  penitenziaria
e su quali basi la stessa  sia  imposta,  volendo  poi  descrivere  i
locali in cui i colloqui avvengono, rappresentando  se  negli  stessi
sia possibile lo svolgimento di un colloquio con  caratteristiche  di
riservatezza o di intimita'. 
    La Direzione ha spiegato che i colloqui  si  svolgono  in  cinque
salette, di cui una attrezzata in particolare per gli incontri con  i
figli minori di anni 12 (c.d. ludoteca), nonche' in una «area verde»,
pure destinata prioritariamente ai colloqui con i bambini. 
    La nota prosegue riferendo che, ovunque i colloqui  si  svolgano,
e' prevista una vigilanza permanente realizzata mediante  sistemi  di
videosorveglianza  o  in  presenza,  tramite  l'unita'   addetta   al
controllo. 
    Le sale sono predisposte per  accogliere  piu'  nuclei  familiari
contemporaneamente e in alcune fasce orarie, o in alcune giornate, vi
e' una cospicua presenza  di  persone  che,  inevitabilmente,  incide
sulla riservatezza del colloquio. 
    La vigilanza continua e' imposta dall'art. 18 ce. 2  ord.  penit.
(rectius comma 3) che prevede che «i colloqui si svolgono in appositi
locali, sotto il controllo a vista e non auditivo  del  personale  di
custodia». Lo stesso regolamento di servizio  del  Corpo  di  Polizia
Penitenziaria  descrive  le  incombenze  rimesse  al   personale   in
occasione dei colloqui dei detenuti con i familiari (art.  47,  nella
parte in cui  prescrive  che  lo  stesso  debba  vigilare  affinche',
durante il colloquio, venga mantenuto un comportamento corretto, tale
da non arrecare disturbo, sospendendo dal colloquio  le  persone  che
tengono  un  comportamento  scorretto  o  molesto  e   riferendo   al
Direttore). Ancora ulteriori  disposizioni  regolamentari  riprendono
tale necessita', come ad esempio quando prevedono  che  il  Direttore
possa autorizzare lo svolgimento del colloquio, anche per  consentire
ai familiari di fruire di un pasto insieme, in  separati  locali,  ma
sempre tenendo fermo l'obbligo imposto dalla  normativa  primaria  di
cui al gia' citato art. 18 comma 2 ord. penit. (cfr, art. 61 comma  2
lettera b reg. es.). 
    La nota si conclude riferendo come, seppur di rado,  e'  accaduto
che sia stato necessario interrompere un colloquio visivo per via  di
comportamenti ritenuti non consoni al rispetto del  contesto  e  alla
contemporanea presenza di altri  familiari  adulti  e  bambini  nella
sala. 
    Come affermato dallo stesso interessato nel suo  reclamo-istanza,
il R e' detenuto  dall'11  luglio  2019,  attualmente  con  posizione
giuridica di definitivo, in relazione  ad  un  cumulo  che  comprende
fatti di tentato omicidio, furto aggravato, evasione  ed  altro,  con
fine pena al 10 aprile 2026. 
    Il condannato non dispone, anche all'esito del suo  trasferimento
nell'istituto penitenziario di Terni avvenuto soltanto a marzo  2022,
di un programma di trattamento redatto  in  suo  favore,  tanto  meno
aperto alle esperienze premiali  esterne,  e'  anche  in  un  passato
piuttosto recente incorso in alcune  sanzioni  disciplinari,  non  ha
ottenuto liberazione anticipata, mentre,  alla  luce  degli  elementi
relativi al comportamento sin  qui  succinti,  eventuali  istanze  di
permesso premio, se pur ammissibili, appaiono allo stato  nel  merito
difficilmente accoglibili, in assenza di un programma di  trattamento
che le preveda, ma anche a fronte delle  condotte  penitenziarie  del
condannato, inidonee ad integrare il requisito della  buona  condotta
previsto dall'art. 30-ter ord. penit.. 
    La nota pervenuta dall'istituto penitenziario di Terni  chiarisce
come, nella cornice normativa attuale, lo  svolgimento  dei  colloqui
cerchi di favorire la serenita' degli stessi, quando si svolgono  con
i minori, mediante l'approntamento di spazi  significativamente  piu'
confortevoli (ludoteca, area verde) per  la  fruizione  degli  stessi
insieme a dei bambini. 
    E' per altro noto all'Ufficio scrivente che la ludoteca e  l'area
verde, quest'ultima  di  recente  inaugurazione,  per  come  riferito
dall'istituto  penitenziario,  sono  state  entrambe  realizzate   in
preesistenti spazi dell'istituto, «in economia», mediante l'opera dei
soli  detenuti  lavoratori  della  Mof  (manutenzione  ordinaria  del
fabbricato), con la sponsorizzazione da parte di una associazione  di
cittadinanza per la piccola dotazione  di  giochi  e  arredi,  e  con
impegno di spesa dell'amministrazione unicamente  per  i  presidi  di
sicurezza. 
    Cio' che invece resta radicalmente precluso all'interessato e' la
possibilita' che il colloquio si svolga in un  contesto  in  cui  sia
assicurata l'intimita', con un importante  impatto  nella  dimensione
familiare dell'incontro anche con  i  minori,  ma  con  un  dirimente
effetto inibitorio rispetto alla possibilita' di utilizzare il  tempo
del colloquio con il/la partner per rapporti  intimi  anche  di  tipo
sessuale che, addirittura, ove tentati con l'attuale  previsione  del
controllo  a  vista  della  polizia  penitenziaria,  finirebbero  per
configurare delle ipotesi di reato perseguibili. 
    Dal quadro normativo sin qui succinto, si evince dunque un vero e
proprio  divieto  di  esercitare  l'affettivita'  in  una  dimensione
riservata, e  segnatamente  la  sessualita'  con  il/la  partner  non
detenut* in contesto penitenziario,  essendo  prevista  soltanto  una
modalita' di colloquio visivo con i familiari che impone il controllo
a vista (art, 18 comma 3 ord. penit.). In tal senso la  precisazione,
non ricordata nella nota del carcere di Terni, eppure  leggibile  nel
medesimo comma, secondo la quale, ove possibile, i  locali  destinati
ai colloqui con i  familiari  favoriscono  una  dimensione  riservata
degli stessi, appare  comunque  inidonea  ad  assicurare  l'esercizio
della affettivita', ivi compresa la  sessualita',  in  condizioni  di
privacy. 
    A  fronte  del  dato  normativo,   dunque,   il   magistrato   di
sorveglianza non puo' che  ritenere  conseguente  quanto  imposto  al
condannato dalla Direzione dell'istituto penitenziario. 
    All'odierna udienza le parti: difesa e pubblico ministero,  hanno
concluso, pero', per il promovimento di una questione di legittimita'
costituzionale concernente un tale divieto, per come deducibile dalla
normativa, sollecitandolo il primo, e dando un parere  favorevole  il
secondo, pur senza tuttavia circostanziarne i parametri. 
    A scioglimento della riserva assunta, ritiene  il  Magistrato  di
sorveglianza di sollevare la questione di costituzionalita' dell'art.
18 ord. penit. nella parte  in  cui  non  prevede  che  alla  persona
detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di  sicurezza,  di
svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la  persona
convivente non detenuta, senza che sia previsto il controllo a  vista
da parte del personale di custodia, per contrasto con gli art. 2,  3,
13 comma 1 e 4, 27 comma 3, 29, 30, 31,  32  e  117  comma  1  Cost.,
quest'ultimo in rapporto agli art. 3 e 8  della  Convenzione  europea
dei Diritti dell'uomo. 
    Non ignora lo scrivente che una questione dai tratti, per  alcuni
versi, simili fu portata all'esame della  Corte  costituzionale,  che
decise per l'inammissibilita' della stessa, con sentenza 19  dicembre
2012, n. 301. 
    In quell'occasione  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Firenze
l'aveva sollevata con riguardo all'art.  18,  allora  comma  2,  ord.
penit., rispetto agli art. 2, 3, comma 1 e 2, 27, comma  3,  29,  31,
32, comma 1 e 2 Cost. 
    La Consulta ritenne la questione inammissibile sotto  un  duplice
profilo. 
    Innanzitutto, si scriveva,  l'ordinanza  di  rimessione  appariva
afasica  rispetto  alla  rilevanza  della  stessa  nel   procedimento
pendente dinanzi al giudice a quo, che ometteva di  descrivere  quale
fosse l'oggetto del  reclamo  presentato  dal  detenuto  e  anche  di
precisare a quale regime penitenziario lo stesso fosse  assoggettato,
neppure soffermandosi sulla possibilita' che questi potesse fruire di
permessi premio, che avrebbero potuto costituire una  soluzione,  per
cosi' dire esterna, alla necessita' di intimita' rappresentata. 
    Un  secondo  ordine  di  ragioni  dava   occasione   alla   Corte
costituzionale per sottolineare come la  questione  concernesse  «una
esigenza reale e fortemente avvertita,  quale  quella  di  permettere
alle persone sottoposte a restrizione  della  liberta'  personale  di
continuare ad avere relazioni affettive  intime,  anche  a  carattere
sessuale: esigenza che trova attualmente, nel nostro ordinamento, una
risposta solo parziale  nel  gia'  ricordato  istituto  dei  permessi
premio, previsto dall'art. 30-ter della legge n. 354 del 1975, la cui
fruizione - stanti i relativi presupposti, soggettivi ed oggettivi  -
resta in fatto preclusa a larga parte della  popolazione  carceraria.
Si tratta di un problema che merita  ogni  attenzione  da  parte  del
legislatore». 
    La questione prospettata dunque, sotto  un  secondo  profilo,  ad
avviso  del  Giudice  delle  leggi,  limitandosi  a   richiedere   un
intervento  ablativo  della  previsione  del  controllo  a  vista  in
occasione dei colloqui, da un  lato  avrebbe  comportato  un  effetto
molto piu' ampio del necessario,  poiche'  questo  controllo  non  e'
volto saio a impedire rapporti sessuali, ma presiede  a  fondamentali
esigenze di sicurezza, di cui non si potrebbe fare  a  meno  in  ogni
caso, mentre dall'altro, la rimozione del controllo a  vista  neppure
sarebbe stata di  per  se'  sufficiente  a  facoltizzare  i  colloqui
intimi, prevedendo questi ultimi la necessita' di una  disciplina  ad
hoc, che «stabilisca termini e modalita' di esplicazione del  diritto
di  cui  si  discute:  in  particolare,  occorrerebbe  individuare  i
relativi destinatari, interni  ed  esterni,  definire  i  presupposti
comportamentali per la concessione delle "visite intime", fissare  il
loro numero e la loro durata, determinare le  misure  organizzative».
Tutti  profili  che  la  Consulta   individua   come   propri   della
discrezionalita' del legislatore, come pure frutto di una scelta  non
obbligata e' che ci si limiti a ipotizzare una apertura a  tali  tipi
di rapporti solo tra soggetti uniti dal  vincolo  matrimoniale,  come
chiede il giudice a quo, potendo attingersi in ipotesi  anche  platee
differenti. 
    Su entrambi i profili opportune precisazioni consentono oggi,  ad
avviso dello  scrivente  magistrato  di  sorveglianza,  un  nuovo,  e
comunque diverso, esame da parte del Giudice delle leggi  del  merito
dei problemi di costituzionalita' che meglio si accenneranno. 
    Nel  sollevare  la  questione  in  questa  sede,  occorre  dunque
innanzitutto precisare, in ordine alla  rilevanza  della  stessa  nel
procedimento, che il  reclamante  si  duole  del  divieto,  derivante
dall'attuale  normativa,  di  poter  dispone  di  spazi  di  adeguata
intimita', anche per esercitare la sessualita' con la  compagna,  nel
momento in cui gli e' consentito di svolgere con la stessa i colloqui
visivi che, per come detto, prevedono la costante  sottoposizione  al
controllo visivo della polizia penitenziaria. 
    L'ordinamento  penitenziario  tutela  in   modo   peculiare,   in
particolare  mediante  i  colloqui   visivi   e   la   corrispondenza
telefonica, i rapporti dei detenuti con i  congiunti,  e  tra  questi
certamente figura la persona convivente, con  ricostruzione  pacifica
per l'amministrazione penitenziaria (art. 37 comma 1  reg.  es.  ord.
penit.), di recente trasfusa nella disposizione  di  cui  all'art.  1
comma 38 della legge 76/2016, secondo la quale «I conviventi di fatto
hanno gli stessi diritti  spettanti  al  coniuge  nei  casi  previsti
dall'ordinamento  penitenziario.».   Anche   da   ultimo,   in   modo
ulteriormente esplicito  ed  inclusivo,  la  legge  70/2020  all'art.
2-quinquies,  in  materia  di  colloqui  telefonici,  individua  come
categoria  di  soggetti  con  i  quali  e'  specialmente   importante
preservare  continuita'  di  relazioni:  il  coniuge,  l'altra  parte
dell'unione  civile,  la  persona  stabilmente  convivente  o  legata
all'interessato «da relazione stabilmente affettiva». 
    Si e'  sopra  succinta  la  posizione  giuridica  del  condannato
reclamante, che  attualmente  non  puo'  godere  di  permessi  premio
perche' da un lato l'istituto penitenziario non ha nei suoi confronti
elaborato un programma di trattamento, tanto meno con  la  previsione
di esperienze premiali esterne, e dall'altro perche' la condotta  che
lo stesso ha tenuto, nei  mesi  precedenti  al  reclamo,  non  appare
segnata da quella regolarita' che ragionevolmente  puo'  condurre  il
magistrato di sorveglianza a concedere il permesso. 
    Tale strumento, d'altra parte, apparirebbe  allo  stato  il  solo
idoneo in qualche modo a  consentire  l'esercizio  della  sessualita'
della persona detenuta, anche se di fatto attraverso un «aggiramento»
del divieto, od anzi una sua riconferma indiretta, poiche' l'incontro
intimo  avverrebbe  in  effetti  nel  breve  intervallo  di  liberta'
concessogli dal magistrato di sorveglianza. 
    Ad ogni modo tale soluzione,  allo  stato  preclusa,  per  quanto
detto, al  reclamante,  non  sembra  esente  da  critiche  (la  Corte
costituzionale, non a caso, faceva cenno al  fatto  che  il  permesso
premio costituisse una soluzione del problema solo parziale)  poiche'
determina la conseguenza di spostare il piano  dell'esercizio  di  un
diritto che, come si provera' a dire, appare da annoverare tra quelli
fondamentali della  persona,  verso  l'orizzonte  della  premialita',
precludendolo a chi si trovi nella condizione del condannato,  e  per
diverse ragioni ai detenuti in custodia cautelare o a chi  non  abbia
ancora maturato le quote di pena previste dagli art. 30-ter e  quater
ord. penit. per l'ammissibilita' della richiesta. 
    Neppure puo' essere invocato l'istituto del  permesso  per  gravi
motivi, previsto dall'art. 30 ord. penit., poiche' i casi  stringenti
in relazione ai quali lo stesso puo' essere concesso, non contemplano
l'esercizio della sessualita' (appare consolidata una  giurisprudenza
della S.C. che addirittura esclude  dalla  nozione  di  motivo  grave
persino la consumazione del matrimonio celebrato  in  carcere  -  vd.
piu' di recente  sentenza  Cassazione  48165/2008,  sulla  scorta  di
precedenti analoghi: sentenza 1553/1992  e  1524/1992 -  in  cui  per
altro pure si ribadisce che lo strumento  di  cui  all'art.  30  ord.
penit. ha il carattere  dell'eccezionalita',  mentre  il  diritto  ad
avere rapporti sessuali «per sua natura, non ha  alcun  carattere  di
eccezionalita'»). 
    Nel  caso  di  specie,  dunque,  l'istante  allo  stato  non   ha
alternative a formulare la  doglianza  oggetto  del  reclamo,  ed  il
magistrato di sorveglianza, che deve valutarlo ai  sensi  degli  art.
35-bis e 69 comma 6 lettera b) ord. penit. ha gia' potuto  verificare
la  rispondenza  dell'agire   dell'amministrazione   a   disposizioni
normative che, in particolare  nell'art.  18  comma  3  ord,  penit.,
impongono di interdire momenti di  intimita',  specialmente  di  tipo
sessuale,  durante  il  colloquio  visivo.  La  stessa  S.C.  con  la
risalente sentenza  1553/1992  significativamente  afferma  che:  «il
vigente  ordinamento  penitenziario  esclude,  per  i  detenuti,   la
facolta' di rapporti sessuali, anche tra persone unite in matrimonio,
nel carcere.» ed aggiunge  che  tale  esclusione  appare  conseguenza
diretta della privazione della liberta'  personale,  ma  quest'ultima
espressione non sembra tener conto di un contesto  sovranazionale  in
cui diffusamente  la  privazione  della  liberta'  personale  non  si
associa affatto ad un divieto assoluto di esercitare  la  sessualita'
con il/la partner in liberta', in appositi momenti di  incontro,  ne'
si confronta con l'assenza di una previsione di tale divieto  tra  le
pene, anche accessorie, previste nel codice penale. 
    A fronte dell'attuale  normativa.,  dunque,  non  e'  censurabile
l'agire dell'amministrazione e il  reclamo-istanza  del  detenuto  e'
destinato al rigetto, ove le disposizioni vigenti  siano  considerate
compatibili  con   il   quadro   costituzionale,   mentre   viceversa
raccoglimento della questione di costituzionalita' potrebbe  condurre
all'opposta conseguenza. Di qui la rilevanza della questione che oggi
si sottopone al Giudice delle leggi. 
    Il magistrato di sorveglianza ritiene inoltre non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita', rispetto ai gia' evocati
parametri costituzionali, per le ragioni di seguito succinte. 
    A venire in rilievo appare innanzitutto il  diritto  alla  libera
espressione della propria affettivita',  anche  mediante  i  rapporti
sessuali, quale diritto inviolabile riconosciuto e garantito, secondo
il  disposto  dell'art.  2  Cost.  Si  tratta  di  un  diritto  cosi'
qualificato dalla stessa giurisprudenza della  Corte  costituzionale,
che  ha  esplicitato  da  tempo   come   l'attivita'   sessuale   sia
«indispensabile completamento e  piena  manifestazione»  del  diritto
all'affettivita' e come costituisca «uno  degli  essenziali  modi  di
espressione della persona  umana  [...]  che  va  ricompreso  tra  le
posizioni soggettive  direttamente  tutelate  dalla  Costituzione  ed
inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2
Cost.  impone  di  garantire»  (cfr.  sentenza  561/1087;  vd.  anche
sentenza 161/1985 in cui si parla del diritto a realizzare la propria
identita' sessuale  come  aspetto  e  fattore  di  svolgimento  della
personalita'  che  i  membri  della  collettivita'  sono   tenuti   a
riconoscere). Un  diritto  di  cui  dunque  non  si  dovrebbe  essere
privati, contrariamente  a  quanto  invece  accade,  a  fronte  della
proibizione normativa qui  oggetto  di  perplessita'  costituzionale,
anche nel contesto penitenziario (cfr. sentenza Corte  costituzionale
26/1999), dove invece sono inibiti i rapporti sessuali delle  persone
detenute con il/la partner in liberta'. Il carcere e'  d'altra  parte
certamente una formazione sociale in cui si  svolge  la  personalita'
dei detenuti. Cio' non puo' che condurre ad  interdire  una  completa
inibizione dell'esercizio della affettivita' nella forma del rapporto
sessuale con la persona  convivente  in  liberta',  che  si  realizza
mediante una assoluta rinuncia da parte della legge  a  tentare  ogni
possibile bilanciamento con le eventuali  ragioni  di  sicurezza  che
possano in taluni casi rivelarvisi ostative. 
    In questo modo si finisce per compromettere nei  confronti  della
persona detenuta un residuo spazio di liberta' «tanto  piu'  prezioso
in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale  puo'  espandersi  la
sua personalita' individuale»  (cfr.  Corte  costituzionale  sentenza
349/1993 e, piu' di recente, sent. 186/2018). 
    La forzata astinenza dai rapporti sessuali  con  i  congiunti  in
liberta', derivante dal  disposto  normativo  ostativo,  proprio  per
l'argomento da ultimo citato, appare allora in  contrasto  anche  con
l'art. 13 Cost.,  con  riferimento  al  comma  1,  poiche'  di  fatto
determina una compressione della liberta' personale  che  non  appare
giustificata in ogni caso da ragioni di  sicurezza  e  che,  percio',
finisce per tradursi  in  una  sofferenza  aggiuntiva  rispetto  alla
privazione della liberta',  che  gia'  inevitabilmente  deriva  dalla
restrizione carceraria. 
    Nel caso che ci occupa, ad esempio, il condannato e' ristretto in
regime di «media sicurezza», non ha commesso reati che lo  descrivano
come collegato con organizzazioni  criminali  organizzate,  non  vede
sottoposti a controllo auditivo ne' i suoi colloqui  visivi,  ne'  le
sue conversazioni telefoniche, ne' ancora controllata  nei  contenuti
la sua corrispondenza, tanto che inibirgli  contatti  intimi  con  la
compagna non contribuisce in alcun modo ad aumentare  il  livello  di
sicurezza della collettivita'. 
    Non altrettanto, ad  esempio,  potrebbe  dirsi  per  un  detenuto
sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit,
misura che viene imposta con  precisi  limiti  temporali  rispetto  a
detenuti che, anche in ragione dei  reati  di  cui  sono  considerati
responsabili, manifestino una pericolosita' sociale spiccata  e  che,
tra le  limitazioni  che  espressamente  contiene,  ha  anche  quella
rispetto al numero dei colloqui con  familiari  e,  soprattutto,  per
quanto qui ci occupa, delle modalita' di  svolgimento  dei  colloqui,
con video-audio registrazione, resa necessaria dal pericolo  che  gli
stessi costituiscano occasione  per  veicolare  messaggi  illeciti  e
direttive  per  i  gruppi  criminali   all'esterno,   modalita'   che
all'evidenza si appalesano motivatamente in contrasto, dunque, con la
privacy che la sessualita' richiede. 
    In tal senso, dunque, si appalesa un contato anche con l'art.  13
comma 4 Cost., poiche' una amputazione cosi' radicale di un  elemento
costitutivo  della  personalita',  quale   la   dimensione   sessuale
dell'affettivita', finisce per  configurare  una  forma  di  violenza
fisica e morale sulla persona detenuta che,  nella  mancanza  di  una
giustificazione sotto il profilo della sicurezza, si  volge  in  mera
vessazione, umiliante e degradante, per altro  non  soltanto  per  il
condannato, ma per la persona con  lui  convivente,  cui  pure  viene
interdetto l'accesso a quella sessualita' e alla  genitorialita'  che
potrebbe, ove  io  si  volesse,  derivarne,  inibendo  per  un  tempo
variabile, ma che  potrebbe  anche  rivelarsi  dirimente  in  termini
negativi, le possibilita' per la coppia di generare figli o ulteriori
figli (in questo senso puo' leggersi  il  riferimento  contenuto  nel
reclamo dell'interessato alle conseguenze  che  dall'attuale  divieto
derivano in termini negativi sul proprio ruolo genitoriale). 
    E' in questa chiave che, dunque, attraverso il richiamo  all'art.
117 comma 1 Cost., sembra venire in rilievo una violazione  dell'art,
3 CEDU,  poiche'  appunto  la  imposta  privazione  della  dimensione
sessuale dell'affettivita' con il/la partner sembra apprezzarsi quale
trattamento inumano e degradante, a fronte della  rinuncia  da  parte
della  legge  penitenziaria  a  valutare  la   possibilita'   di   un
bilanciamento tra esercizio del diritto ed esigenze di sicurezza, con
cio' determinando una afflittivita'  maggiore  di  quanto  necessario
alla condizione detentiva,  certamente  tale  da  comportare  effetti
dannosi per la salute psicofisica della persona detenuta. 
    Il divieto di svolgere  colloqui  intimi  con  il/la  partner  in
liberta' si  appalesa  poi  in  contrasto  con  la  protezione  della
famiglia derivante dal combinato disposto degli  art.  29,  30  e  31
Cost., nella misura in cui la stessa deve trovare nella legge forza e
sostegno per costituirsi, ma anche per  assicurare  a  tutti  i  suoi
componenti protezione. In questa chiave, invece, del tutto  diatonica
e' la previsione di un divieto  che  logora  i  rapporti  di  coppia,
rischia di spezzarli a fronte del  protrarsi  del  tempo  in  cui  la
fondamentale componente della sessualita' non puo' essere esercitata,
e di fatto pone precondizioni non perche',  al  rientro  in  liberta'
della persona detenuta, la stessa possa tornare alla propria famiglia
con maggiori chance di' reinsediarvisi  nella  pienezza  del  proprio
ruolo, ma avendo vissuto un periodo, breve o lungo, nel quale gli  e'
stata imposta  una  innaturale  astinenza  dal  vincolo  unitivo  del
rapporto sessuale con il/la partner. Cio' pregiudica, per altro,  per
come detto, la stessa possibilita' di accedere alla genitorialita', e
mina, anche in contesti in cui la coppia non abbia fatto accesso agli
istituti del matrimonio o dell'unione civile, il  diritto  dei  figli
alla serenita' del rapporto di coppia tra i genitori, condizione  non
secondaria per lo sviluppo della propria personalita'. 
    Il dispositivo di legge impediente gli incontri intimi,  anche  a
carattere sessuale, sembra dunque in contrasto anche  con  l'art.  32
Cost. non potendo in tal senso dubitarsi delle dirimenti  conseguenze
negative  derivanti  dal  protrarsi  di  una  forzata  astinenza  dai
rapporti sessuali con il/la partner in liberta', e piu'  in  generale
dall'assenza di un momento privato in cui vivere la propria relazione
con l'altr*, al di fuori di una osservazione  continuativa  da  parte
del personale di custodia, che finisce per avere effetti sulla salute
psichica della persona detenuta, in un contesto  gia'  ordinariamente
psicopatogeno come quello della restrizione della liberta' personale,
e che puo' averne sulla stessa salute fisica (non  e'  d'altra  parte
previsto uno spazio di privacy garantito neppure per la masturbazione
o per i rapporti sessuali tra persone detenute). 
    Nel quadro che si e' sin qui tentato di descrivere non  e'  certo
ultimo l'effetto negativo dirimente che il divieto di incontri intimi
con la  persona  convivente  comporta,  ove  riguardato  in  rapporto
all'art. 27 comma 3 Cost. 
    Da un lato certamente sotto il profilo dell'umanita' della  pena,
poiche' si impone una limitazione cosi' pregnante di  una  componente
cosi' essenziale della  vita  di  ogni  persona,  come  quella  della
declinazione anche sessuale della propria affettivita', e comunque di
una dimensione del tutto riservata nell'espressione di  quest'ultima,
da aggiungere alla privazione della liberta'  un  sicuro  surplus  di
afflittivita', non sempre necessitata da  ragioni  di  sicurezza,  ma
anche dal punto di vista della finalita' rieducativa delle  pene.  Ne
derivano conseguenze desocializzanti  che,  piuttosto  che  fare  del
tempo vissuto in carcere una occasione per  costruire  e  irrobustire
relazioni socio-familiari esterne in grado di far  da  rete  efficace
alle fragilita'  personali  che  inevitabilmente  conseguiranno  alla
restituzione di un detenuto alla  societa',  corrono  il  rischio  di
prepararne una maggior solitudine e una  insicurezza  personale  piu'
spiccata, connessa al mancato esercizio del  proprio  ruolo  naturale
all'interno di una relazione di coppia che, viceversa, ove vissuta  o
ritrovata  nella  sua  pienezza,  potrebbe   far   da   volano   alla
risocializzazione della persona. 
    Si contribuisce invece, attraverso la sottrazione di una porzione
significativa di  libera  disponibilita'  del  proprio  corpo  e  del
proprio esprimere affetto, ad una regressione del detenuto verso  una
dimensione  infantilizzante,  opposta  a  quella  che   si   dovrebbe
perseguire. D'altra parte, non si lavora efficacemente a garantire un
diritto fondamentale della persona se si  limita  al  solo  possibile
accesso ai permessi premio l'esercizio della  sessualita'  con  il/la
partner, rendendo umiliante una  detenzione  in  cui  lo  stesso  sia
subordinato   al   mantenimento   della   buona   condotta   o   alla
partecipazione  al  trattamento,  degradando  quindi  il  diritto   a
malinteso strumento di coartato trattamento. 
    In  vari  passaggi  si   e'   provato   dunque   ad   evidenziare
l'irragionevolezza,  rilevante  ex  art.  3  Cost.,  del  divieto  di
incontri intimi con il congiunto in  liberta'  imposto,  senza  alcun
riferimento a particolari profili di sicurezza da tutelare  nel  caso
specifico, dall'art. 18 ord. penit.. Occorre ancora sottolineare  che
tale profilo si  appalesa  maggiormente  stringente  all'esito  delle
riforme del 2018. Per come si e' detto infatti l'art. 18 comma 3, con
il  decreto  legislativo  123/2018,  e'  stato   arricchito   di   un
riferimento alla opportunita' che i locali destinati ai colloqui  con
i familiari favoriscano una dimensione riservata  del  colloquio.  E'
vero che la disposizione e' completata da  un  «ove  possibile»,  che
corre il rischio di  non  essere  soddisfacente,  rimettendo  ad  una
generica  buona  volonta'  dell'amministrazione  l'approntamento   di
strutture adatte allo  scopo  (che  pure  in  diversi  luoghi  si  e'
cominciato ad attrezzare, per come deducibile anche da fonti aperte),
ma e' certo che la dimensione riservata del  colloquio  contrasta  in
modo evidente con l'imposto controllo a vista, seppur  non  auditivo,
del personale di polizia penitenziaria, che continua a  leggersi  nel
medesimo comma e che e' in ogni caso obbligatorio. 
    Ancor piu' stridente  e'  poi  il  confronto  con  la  disciplina
contenuta in materia di ordinamento penitenziario minorile, nel coevo
decreto legislativo n. 121/2018, all'art.  20  comma  3  e  seguenti,
secondo i quali: «Al fine di  favorire  le  relazioni  affettive,  il
detenuto puo' usufruire ogni mese di quattro visite prolungate  della
durata non inferiore a quattro ore e non superiore a sei ore, con una
o piu' delle persone di cui al comma 1» (congiunti e persone con  cui
sussiste un significativo legame affettivo), ed ancora: «4. Le visite
prolungate si svolgono in unita' abitative  appositamente  attrezzate
all'interno   degli   istituti,   organizzate   per   consentire   la
preparazione e la consumazione di  pasti  e  riprodurre,  per  quanto
possibile,  un  ambiente  di  tipo   domestico.   5.   Il   direttore
dell'istituto  verifica   la   sussistenza   di   eventuali   divieti
dell'autorita' giudiziaria che impediscono i contatti con le  persone
indicate ai commi precedenti. Verifica altresi'  la  sussistenza  del
legame  affettivo,  acquisendo  le  informazioni  necessarie  tramite
l'ufficio  del  servizio  sociale  per  i  minorenni  e  dei  servizi
sociosanitari territoriali. 6. Sono favorite le visite prolungate per
i' detenuti che non usufruiscono di permessi premio.» 
    Nel contesto minorile, dunque, si e' data una risposta  normativa
(anche in adempimento di quanto richiesto dalla legge delega 103/2017
sul punto)  che  sembra  significativamente  aprire  alla  dimensione
veramente riservata del colloquio, anche  delineando  una  disciplina
che da un lato consente la verifica della sussistenza di  particolari
ragioni di sicurezza eventualmente ostative, e dall'altra  favorisce,
nell'ottenimento  delle  visite  prolungate,  le  persone   che   non
usufruiscano di permessi premio, pur senza considerare le prime  come
una alternativa che non le  renda  piu'  necessarie  ove  la  persona
detenuta abbia accesso ai secondi. 
    Sotto questo profilo, dunque, appare irragionevole la  disparita'
di trattamento che ne e' derivata, laddove nel contesto  minorile  e'
consentito ai  minori  o  ai  giovani  adulti  detenuti  in  istituti
minorili, di fruire di colloqui prolungati con  caratteristiche  tali
da favorire momenti affettivi vissuti nell'intimita', ma una  analoga
possibilita' non e' prevista per gli adulti ospitati  negli  istituti
per maggiorenni. 
    Deve infine ricordarsi come lo spazio per le «visite coniugali» o
intime sia particolarmente favorito nella  cornice  sovranazionale  e
auspicato in molte, sedimentate, Carte in materia  di  diritti  delle
persone detenute (tra queste si possono ricordare: la Raccomandazione
(1997) 1340, dell'Assemblea Generale del Consiglio  d'Europa;  l'art.
24 Raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei  Ministri  agli  stati
membri sulle Regole penitenziarie  europee;  la  Raccomandazione  del
Parlamento europeo n. 2003/2188 del 2004 - in part.  art.  1  lettera
c). Sono ormai molteplici i paesi nel mondo in cui i colloqui  intimi
sono parte della quotidianita' penitenziaria, e  il  loro  numero  si
infittisce particolarmente restringendo il campo di ricerca ai  paesi
facenti parte  del  Consiglio  d'Europa  o  ancora  piu'  dell'Unione
europea. Si tratta  di  normative  per  altro  introdotte  da  tempo,
tutt'altro che sperimentali.  Ai  diretti  confini  continentali  del
nostro  paese,  ad  esempio,  le  visite   coniugali   sono   ovunque
riconosciute,  seppur  con  modalita'  differenti  ed   in   contesti
detentivi assai diversi: in Francia, in Svizzera,  in  Austria  e  in
Slovenia, e scelte  analoghe,  pur  nella  varieta'  delle  soluzioni
concretamente adottate, si  apprezzano  largamente  in  altri  paesi,
anche dell'Unione europea, che presentano un  sistema  penitenziario,
similmente al nostro, di dimensioni particolarmente  ampie,  come  la
Spagna. 
    Sotto il profilo convenzionale, viene in rilievo l'art.  8  della
CEDU, rispetto al quale  il  magistrato  rimettente  pure  opina,  in
rapporto all'art. 117 comma 1 Cost., la sussistenza di  un  contrasto
del disposto ostativo previsto dalla legge penitenziaria italiana con
il diritto al rispetto della propria vita  privata  e  familiare.  E'
noto che la Corte europea, nello scrutinare  casi  propostigli  sulla
materia, ha manifestato apprezzamento  per  gli  Stati  che  adottino
normative  che  consentano  i  colloqui  intimi  e  una  cornice  per
l'esercizio dell'affettivita' anche di  tipo  sessuale  alle  persone
detenute.  La  Corte  ha  comunque   riconosciuto   uno   spazio   di
discrezionalita'  ai  paesi  componenti,  ma  lo  stesso  appare   da
declinarsi in relazione alle concrete modalita' che in  ogni  singolo
Stato vengano volta a volta immaginate per consentire l'esercizio del
diritto alla sessualita' quale elemento essenziale della propria vita
familiare (si vd. da ultimo quanto affermato nel caso  Leslaw  Wojcik
v. Polonia, 2021). 
    La Corte ha ribadito in quella sede che non e' incompatibile  con
la Convenzione la negazione di visite intime e che esiste un  margine
significativo di apprezzamento da parte degli Stati membri  circa  le
azioni da porre in essere in materia, avendo riguardo  ai  bisogni  e
alle risorse delle comunita'. Anche in casi precedenti (ad es.  Aliev
v. Ukraine, 2003), la Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ha  riconosciuto  che
il diniego da parte delle autorita' penitenziario  di  consentire  al
ricorrente di svolgere dei colloqui intimi  con  la  moglie  non  era
incompatibile  con  la  Convenzione,  trattandosi   di   una   misura
giustificata da ragioni di prevenzione del crimine. 
    Nel  caso  che  e'  all'origine  della  presente   questione   di
costituzionalita'  non  sembrano  venire  in  rilievo   esigenze   di
sicurezza connesse alla pericolosita'  sociale  del  condannato,  ne'
derivanti  in  particolare  dai  contatti  intimi  che  eventualmente
fossero consentiti al detenuto con la propria compagna, ed e'  dunque
nell'assenza di una qualsiasi possibilita' di vederseli  autorizzati,
in forza di un divieto  generalizzato  imposto  a  tutte  le  persone
detenute dalla legge penitenziaria italiana,  e  non  collegato  alla
sussistenza di ragioni di sicurezza particolari, ad intravedersi  una
violazione dell'art. 8 (si e' invece gia'  citato  in  precedenza  un
contrasto con l'art.  3)  della  Convenzione  europea.  Tale  divieto
appare in sempre piu'  stridente  contrasto  con  la  Convenzione,  a
fronte del consolidarsi di quel sempre piu'  ampio  fronte  di  paesi
membri che consentono visite coniugali ai  detenuti,  e  che  percio'
proporzionalmente  sembra  ridurre  il   margine   di   apprezzamento
esercitatile dal singolo Stato, quanto meno in ordine al  mettere  in
campo, pur con adeguata regolamentazione ed opportune esclusioni, una
disciplina  che  le  facoltizzi,  in  assenza  di  pericoli  per   la
sicurezza. 
    Si e' consapevoli delle considerazioni svolte dalla Consulta  con
la  sentenza  301/2012,  quando  fu  sollevata   una   questione   di
costituzionalita' da parte del Magistrato di sorveglianza di Firenze,
che condussero all'inammissibilita' della stessa. 
    Si e' anche gia' evidenziato come  in  quell'occasione  la  Corte
ebbe modo di prendere tuttavia posizione sul tema, che descrisse come
«esigenza  reale  e  fortemente  avvertita»,  cogliendo   l'occasione
offertale per indirizzare  al  legislatore  un  esplicito  monito  ad
intervenire: «Si tratta di un problema che merita ogni attenzione  da
parte del legislatore, anche alla luce dalle indicazioni  provenienti
dagli atti sovranazionali richiamati  dal  rimettente  (peraltro  non
immediatamente   vincolanti,   come   egli    stesso    ammette)    e
dell'esperienza comparatistica, che vede un numero  sempre  crescente
di Stati riconoscere, in varie forme e con diversi limiti, il diritto
dei detenuti ad una vita affettiva e sessuale intramuraria». 
    Tuttavia, dal dicembre 2012, sono trascorsi ormai dieci anni,  un
tempo specialmente lungo, senza che sul punto si sia pervenuti ad una
effettiva modifica della normativa qui rilevante, in particolare  con
l'introduzione di colloqui intimi che, con opportuna modulazione  del
divieto di colloqui visivi svolti senza  il  controllo  a  vista  del
personale penitenziario, garantissero la riservatezza degli incontri. 
    E' noto che  siano  stati  proposti  vari  disegni  di  legge  in
materia, alcuni anche in tempi assai recenti. In  un  caso  la  legge
delega 103/2017, all'art. 1 comma 85 aveva tra l'altro richiesto  che
fosse  elaborata  una  disciplina  normativa   che   comportasse   il
«riconoscimento del diritto all'affettivita' delle persone detenute e
internate  e  disciplina  delle  condizioni  generali  per   il   suo
esercizio»  e  la  Commissione  per   la   riforma   dell'ordinamento
penitenziario nel suo complesso (presieduta dal prof. Glauco Giostra)
aveva redatto una articolata proposta di esercizio di  quella  delega
(cfr.   art.   18   del   Progetto    di    riforma    penitenziaria,
significativamente con  rubrica  modificata  in  «colloqui,  incontri
intimi, corrispondenza e informazione»), ma  la  stessa  non  fu  poi
inserita nel testo dei decreti legislativi di esercizio della  delega
n.  123  e  124  del  2018.  In  quell'occasione  rimasero   soltanto
interventi collaterali, gia' sopra citati,  volti  a  consentire  una
maggior riservatezza dei colloqui, ma senza  che  fosse  superato  il
blocco costituito dall'inevitabile controllo visivo di cui al vigente
art. 18 ord. penit. 
    Non si e', dunque, sino ad ora,  giunti  a  rispondere  a  quella
«esigenza reale e  fortemente  avvertita»,  di  cui  la  Consulta  si
dimostro' gia' consapevole dieci anni or sono.  Cio'  costituisce  un
elemento  di  novita'   ulteriore,   rispetto   alla   questione   di
costituzionalita'  presentata  nel  2012,  poiche'  appunto   si   e'
assistito ad una protratta inerzia del legislatore sul  tema,  pur  a
fronte  di  un  gia'  esplicito   monito   da   parte   della   Corte
costituzionale. 
    D'altra parte, nel corso degli ultimi anni,  puo'  parallelamente
prendersi  atto  di  una   giurisprudenza   costituzionale   che   ha
valorizzato, al di la' dello spazio stretto delle  «rime  obbligate»,
innanzitutto l'opportunita' di vagliare la sussistenza nella legge di
eventuali  parametri  cui  ancorare  ragionevolmente   la   soluzione
normativa  ritenuta  idonea  perche'  siano  rispettati  i   principi
costituzionali. In questa  chiave  e'  richiesto  che  si  operi  uno
scrutinio volto alla ricerca di punti di  riferimento  gia'  presenti
nel «sistema legislativo», affinche' il  Giudice  delle  leggi  possa
intervenire riconducendo «a  coerenza  le  scelte  gia'  delineate  a
tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove
possibile, all'eliminazione di ingiustificabili  incongruenze»  (cfr.
sentenza  236/2016  e,  proprio  in  materia   penitenziaria,   sent.
113/2020, dove si rinviene nel sistema una soluzione  gia'  esistente
che, ove estesa, risulta «idone(a) a eliminare il vulnus riscontrato,
ancorche'  non  costituente  l'unica   soluzione   costituzionalmente
obbligata»). 
    Nel caso che ci occupa si  e'  quindi  visto  come,  nel  sistema
minorile (con conseguenze gia' apprezzabili, per quanto in precedenza
accennato, in punto di irragionevole disparita' con i maggiorenni, ex
art. 3 Cost), sia stata ormai introdotta una disciplina significativa
e specifica in materia nell'art. 20 comma 3 e ss. decreto legislativo
121/2018. 
    Dal punto di vista logistico, poi, si apprezza oggi, anche  nella
legge penitenziaria che concerne gli istituti  per  maggiorenni,  una
disposizione normativa, contenuta nello stesso art. 18 comma  3  ord.
penit., che gia' prevede che siano adibiti locali atti a favorire una
dimensione riservata del  colloquio,  che  potrebbero  opportunamente
essere adattati anche per  incontri  intimi,  purche'  fosse  rimosso
l'ostacolo  oggi  rappresentato  dalla  previsione   dell'inevitabile
controllo a vista. 
    D'altra  parte  e'  noto  come  in  tempi  recenti  siano   stati
sviluppati  e  realizzati   anche   progetti-pilota   rispetto   alla
costruzione di strutture e prefabbricati all'interno  degli  istituti
penitenziari,  volti  a  concretizzare  quanto  gia'  previsto  dalla
novella  del  2018,  un  contesto  che  resta  pero'  sostanzialmente
limitato proprio dall'immutato quadro normativo sin qui descritto. 
    In tutti i casi, e per come l'esperienza della Casa Circondariale
di Terni aiuta a dimostrare con quanto accaduto per la  realizzazione
della c.d. ludoteca e dell'area verde, accanto ad  investimenti  piu'
strutturati, e' possibile  immaginare  anche  interventi  svolti  «in
economia», che possano riadattare spazi gia' esistenti e male o  poco
utilizzati, profittando  dell'abilita'  delle  indispensabili  unita'
Mof, che gia' operano in tutti gli istituti penitenziari. 
    Non ignora il magistrato di sorveglianza rimettente che,  ancora,
la giurisprudenza costituzionale ha in tempi piu'  recenti  elaborato
soluzioni ulteriori, valutate come piu' efficaci  della  declaratoria
di inammissibilita', per le ipotesi  in  cui  persistano  profili  di
discrezionalita'  legislativa  cosi'  ampi  da  non   consentire   un
intervento della Corte. Si fa riferimento a pronunce che, esibendo  i
profili di incostituzionalita'  di  una  certa  soluzione  normativa,
concedono  un  tempo  al  Parlamento  per  intervenire,  riservandosi
all'esito il vaglio di quanto operato dal legislatore. 
    Con  l'ordinanza  207/2018,  la  Consulta  nell'adottare   questa
soluzione ricorda che «(i)n situazioni analoghe a  quella  in  esame,
questa Corte ha, sino ad oggi,  dichiarato  l'inammissibilita'  della
questione sollevata, accompagnando la  pronuncia  con  un  monito  al
legislatore  affinche'  provvedesse  all'adozione  della   disciplina
necessaria al fine di rimuovere il vulnus costituzionale riscontrato:
pronuncia alla quale, nel caso in cui il monito fosse  rimasto  senza
riscontro,  ha  fatto  seguito,  di  norma,   una   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale (ad esempio: sentenza n. 23 del 2013  e
successiva sentenza n. 45 del 2015).  Questa  tecnica  decisoria  ha,
tuttavia, l'effetto  di  lasciare  in  vita  -  e  dunque  esposta  a
ulteriori applicazioni, per un periodo di tempo non preventivabile  -
la normativa non conforme a Costituzione. La eventuale  dichiarazione
di  incostituzionalita'  conseguente  all'accertamento   dell'inerzia
legislativa  presuppone,  infatti,  che  venga  sollevata  una  nuova
questione di legittimita' costituzionale, la  quale  puo',  peraltro,
sopravvenire anche a notevole distanza di tempo dalla pronuncia della
prima sentenza di inammissibilita', mentre nelle more  la  disciplina
in discussione continua  ad  operare.  Un  simile  effetto  non  puo'
considerarsi consentito nel caso  in  esame,  per  le  sue  peculiari
caratteristiche e per la rilevanza dei  valori  da  esso  coinvolti.»
(come noto la stessa tecnica e' stata ancora  utilizzata  con  l'ord.
132/2020 e da ultimo, nel contesto penitenziario, con l'ord. 97/2021,
e poi ancora con l'ord. 122/2022, cui ha  fatto  seguito  il  recente
intervento legislativo costituito dal decreto-legge 162/2022). 
    Nel caso che ci occupa, per come gia' visto, sono  effettivamente
trascorsi dieci anni, senza che sia giunto a maturazione un  progetto
legislativo idoneo a superare la criticita' segnalata con l'ordinanza
di rimessione, una criticita'  concernente  un  diritto  fondamentale
della  persona,  il  cui  esercizio  e'  attualmente  conculcato  nel
delicatissimo contesto della privazione della liberta' in carcere  in
modo generalizzato per tutte le persone detenute, e rispetto ai quale
la Consulta gia' indirizzo' al legislatore  un  espresso  monito.  Il
mondo penitenziario, come noto particolarmente in sofferenza  per  il
significativo sovraffollamento, e  per  la  connessa  difficolta'  di
costruire  efficaci  percorsi  di  presa  in  carico  tempestiva   ed
individualizzata delle persone  ristrette  (con  conseguenti  ritardi
anche  nel  predispone  le  condizioni  per  l'accesso  ad  eventuali
permessi premio  o  misure  alternative),  e'  per  altro  in  questa
stagione funestato dal moltiplicarsi delle problematiche legate  alla
salute mentale delle persone ristrette  e  dal  sempre  piu'  elevato
numero di suicidi riscontrati. 
    Se e' evidente  come  esorbiti  radicalmente  dai  confini  della
presente questione, per altro delimitata anche  dalla  rilevanza  nel
caso che occupa il magistrato  remittente  (dunque:  possibilita'  di
svolgere incontri intimi a carattere anche sessuale con  la  compagna
convivente), una valutazione concernente le cause di questi fenomeni,
puo' dedursi, anche dalle scelte dell'amministrazione  che,  mediante
varie circolari sul tema, ha affrontato il problema  (vd.  da  ultimo
circolare DAP 3696/6146 del 26 settembre 2022, in particolare  §4.6),
che il numero e la qualita' dei momenti di contatto dei detenuti  con
il mondo esterno, e segnatamente con  i  familiari,  incide  in  modo
particolare  in   termini   positivi,   contribuendo   al   benessere
psicofisico  della  persona   detenuta   e   riducendo   il   rischio
suicidiario. Di fatto, per altro, si tratta di profili che  ridondano
in termini positivi sulla stessa  onerosa  gestione  della  sicurezza
interna e, per le ragioni  che  gia'  si  e'  gia'  sopra  provato  a
succingere,  sulla  capacita'   della   restrizione   carceraria   di
contribuire alla risocializzazione di chi la subisca. 
    In questa chiave il riconoscimento del diritto  allo  svolgimento
di colloqui intimi con il/la partner sembra al rimettente inscriversi
dunque  nell'ambito  delle  questioni  la  cui   risoluzione   appare
specialmente urgente. 
    Da cio' deriva, dunque, la non manifesta infondatezza, ad  avviso
del  magistrato  di  sorveglianza  scrivente,  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 18 ord. penit. nella  parte  in
cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando  non
ostino ragioni di sicurezza, di svolgere  colloqui  intimi,  anche  a
carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che
sia imposto il controllo a vista da parte del personale di  custodia,
per contrasto con gli art. 2, 3, 13 comma 1 e 4, 27 comma 3, 29,  30,
31, 32 e 117 comma 1 Cost., quest'ultimo in rapporto agli art. 3 e  8
della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,   e   pertanto,
presuppostane  la  rilevanza   per   l'odierno   procedimento,   deve
sollevarsi questione di legittimita' costituzionale, che  si  ritiene
non manifestamente infondata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli art. 134 della Costituzione, 23 e ss.  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 18 ord. penit. nella  parte  in
cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando  non
ostino ragioni di sicurezza, di svolgere  colloqui  intimi,  anche  a
carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che
sia imposto il controllo a vista da parte del personale di  custodia,
per contrasto con gli art. 2, 3, 13 comma 1 e 4, 27 comma 3, 29,  30,
31, 32 e 117 comma 1 Cost, quest'ultimo in rapporto agli art. 3  e  8
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende il procedimento in corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Ordina che a cura della  cancelleria  la  presente  ordinanza  di
trasmissione degli atti sia notificata alle  parti  in  causa  ed  al
pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Spoleto, 14 dicembre 2022 
 
                          Il Magistrato di sorveglianza: Gianfilippi