N. 6 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 2022

Ordinanza del 21 novembre 2022 del Tribunale  di  Lecce  sul  reclamo
proposto da S. D.A.R.. 
 
Processo penale - Chiusura delle indagini preliminari - Richiesta  di
  archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione
  - Mancata previsione che il pubblico ministero  deve  darne  avviso
  alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa. 
- Codice di procedura penale, art. 411, comma 1-bis. 
(GU n.6 del 8-2-2023 )
 
                         TRIBUNALE DI LECCE 
 
 
                          II Sezione penale 
 
    Il Tribunale in composizione monocratica; 
    letto il reclamo proposto nell'interesse di S  D  A  R    avverso
il decreto con il quale in data 29 settembre 2021 il giudice  per  le
indagini preliminari  sede,  a  seguito  di  richiesta  del  pubblico
ministero, ha disposto l'archiviazione del procedimento  in  epigrafe
indicato iscritto a suo carico per i reati di cui agli  articoli  319
ter, 321, 346 bis, 56-610 c.p.; 
    Visti gli atti del procedimento e sciogliendo la riserva; 
 
                               Osserva 
 
    1. La vicenda processuale 
    Il procedimento penale  de  quo  trae  origine  dal  procedimento
R.G.N.R. n. 742/2016 iscritto a carico di altri  soggetti  che  hanno
visto la loro posizione gia' definita in  primo  grado  con  pronunce
emesse in sede di rito abbreviato e dibattimentale, allo stato ancora
sub iudice. Le  pronunce  giurisdizionali  de  quibus,  allegate  dal
pubblico ministero su supporto informatico, si fondano su un  corposo
compendio  istruttorio,   attentamente   vagliato   dalle   Autorita'
giudiziarie dinanzi alle quale gli  imputati  sono  stati  tratti  in
giudizio, nell'ambito del quale particolare pregnanza  hanno  assunto
le dichiarazioni collaborative rese dall'odierno coindagato. 
    Quest'ultimo, nell'ambito del propalato acquisito nel  corso  del
procedimento  penale  ha,  in  particolare,  delineato   i   rapporti
intercorrenti con commercialista legato da rapporti di  vecchia  data
ad alcuni magistrati della Procura di        ,  e  con  S     D     ,
consulente tecnico di fiducia e punto  di  riferimento  dei  predetti
requirenti. 
    In particolare  emerge  dalle  dichiarazioni  del  una  specifica
vicenda   attinente   all'intervento   posto   in   essere   dal   su
sollecitazione del Pm , presso S.D.,  quale  giudice  tributario,  al
fine di ottenere la soluzione di una controversia con l'Agenzia delle
entrate del valore di circa 30.000 euro in favore dello stesso . 
    Secondo l'organo d'Accusa detta vicenda, pur rinvenendo  adeguato
riscontro probatorio in una serie di elementi documentali,  captativi
e dichiarativi versati agli  atti  dei  rispettivi  processi  penali,
risulta tuttavia  circoscritta  ad  annualita'  talmente  risalenti -
2010/2011 - da imporre la richiesta di archiviazione per  intervenuta
prescrizione,  essendo  decorso  il  termine  minimo  di  dieci  anni
previsto per il reato di cui all'art. 319-ter codice penale  ritenuto
ascrivibile agli odierni indagati  nella  formulazione  vigente  illo
tempore. 
    Sempre  il  compendio  dichiarativo  offerto  dal  ha,   inoltre,
delineato altra vicenda consumatasi tra i  mesi  di  febbraio  ed  il
marzo 2016 e riguardante la consegna nelle mani del  della  somma  di
euro 120.000 da destinare all'azienda gestita dal cognato  del  S    
 quale  controprestazione  per  l'intervento  di   quest'ultimo   sul
Presidente  della  Corte  d'Appello   di   al   fine   di   garantire
all'assoluzione nell'ambito del procedimento penale  pendente  a  suo
carico in secondo grado dinanzi alla predetta Corte. 
    L'episodio - qualificato dall'organo  di  accusa  in  termini  di
millantato credito in considerazione dell'assenza di indizi  relativi
al coinvolgimento del Presidente della  Corte  d'Appello -  e'  pero'
risultato privo di idonei elementi di riscontro in quanto l'effettiva
destinazione delle somme al S    si fondava su mere dichiarazioni  de
relato sprovviste di riscontri oggettivi individualizzanti. 
    Il sin qui  detto  ha,  quindi,  condotto  ad  una  richiesta  di
archiviazione per i restanti reati contestati a carico del S      per
mancanza di elementi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio. 
    Sulla scorta delle argomentazioni esposte dal pubblico  ministero
il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di in data
29  settembre  2021  ha  disposto  l'archiviazione  del  procedimento
espressamente richiamando e condividendo le motivazioni sottese  alla
richiesta formulata dall'organo inquirente. 
    2. Il reclamo proposto nell'interesse dell'indagato 
    Con il reclamo in oggetto S     D    A   R   rappresenta che  dal
mese di gennaio del 2020 - mese in cui aveva ricevuto notifica  della
richiesta di proroga delle indagini formulata dal pubblico  ministero
ed in  seguito  accolta  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari
nonostante la propria opposizione - non aveva  piu'  ricevuto  alcuna
notizia in ordine al procedimento in esame, nell'ambito del quale  il
reato di cui all'art. 319-ter  codice  penale  veniva  indicato  come
semplicemente  «accertato  a  ottobre  2018».  Pertanto,   con   atto
depositato in data 25 ottobre 2021 richiedeva al  pubblico  ministero
di assumere le necessarie determinazioni, senza pero' ricevere  alcun
riscontro. 
    Avveniva pero' che nell'ambito di altro procedimento (R.G.N.R. n.
1456/2019) -  instaurato  a  seguito  di  denuncia  per  calunnia   e
diffamazione presentata dallo stesso contro il ed il per le accuse di
corruzione dai predetti mosse  nei  suoi  confronti  proprio  per  la
richiamata   vicenda   tributaria -   l'odierno   reclamante   veniva
informato, quale persona offesa,  della  richiesta  di  archiviazione
formulata in data 13 ottobre 2021 per i suddetti reati  sulla  scorta
del fatto che le dichiarazioni accusatorie degli indagati erano state
dall'organo  inquirente  considerate  assolutamente  veritiere,  come
confortato  dal  fatto  che  nel  procedimento  penale  dalle  stesse
generato - id est il procedimento per cui e' stato proposto reclamo -
era stata richiesta  l'archiviazione  soltanto  perche'  maturata  la
prescrizione dei reato. 
    A quel punto il S     con  atti  datati  26  ottobre  2021  e  28
ottobre 2021 dichiarava di rinunciare alla  prescrizione  comunicando
tale determinazione al pubblico ministero ed al Gip. 
    Con atto del 2 novembre 2021 il pubblico ministero dichiarava  il
non luogo a provvedere rilevando che era ormai intervenuto decreto di
archiviazione depositato dal giudice per le indagini  preliminari  in
data 29 settembre 2021 e che non sussistevano i  presupposti  per  la
riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 codice di  procedura
penale  (essendo  stata  chiesta  l'archiviazione  dopo  approfondite
investigazioni  e  tenendo  conto  anche  della   memoria   difensiva
depositata dallo stesso indagato). Con riguardo  alla  rinuncia  alla
prescrizione il PM, dopo  aver  evidenziato  la  sua  intempestivita'
attesa  la  conoscenza  della  pendenza  del  procedimento  da  parte
dell'indagato, richiamava la pronuncia n. 818/2015 con cui la Suprema
Corte di cassazione aveva sancito l'impossibilita' per l'indagato  di
proporre opposizione o ricorso per Cassazione avverso il  decreto  di
archiviazione del giudice per le indagini preliminari in quanto  atto
non pregiudizievole dei  suoi  interessi  nonche'  altro  arresto  n.
26289/2018 con cui il Supremo Consesso aveva riconosciuto il  diritto
dell'indagato ad impugnare il  decreto  di  archiviazione  emesso  de
plano solo in caso di preventiva  rinuncia  alla  prescrizione  e  di
concreto interesse ad una pronuncia di merito (ad  esempio  in  vista
della successiva richiesta di indennizzo per riparazione per ingiusta
detenzione). 
    Con il reclamo  in  esame,  dunque,  l'indagato  si  duole  della
nullita' del decreto di archiviazione per  violazione  del  principio
del contraddittorio,  non  essendo  egli  stato  messo  in  grado  di
conoscere preventivamente le determinazioni del pubblico ministero in
modo da poter assumere le necessarie decisioni in punto  di  rinuncia
alla prescrizione. 
    L'interessato, invero, assume che tale omissione ben puo'  essere
fatta valere in sede di reclamo ex  art.  410-bis  c.p.,  a  dispetto
dell'apparente tassativita' delle ipotesi  ivi  previste,  avendo  la
Suprema Corte gia' avuto  modo  di  statuire  in  fattispecie  simile
l'annullamento della sentenza dichiarativa dell'estinzione del  reato
per  intervenuta  prescrizione  attesa  l'intervenuta  rinuncia  alla
prescrizione formulata  dall'indagato  non  previamente  interpellato
(Cass. pen. n. 4671/2019). 
    Con riguardo al caso di specie nel reclamo viene nello  specifico
evidenziato  che,  sebbene  il  S        fosse   a   conoscenza   del
procedimento penale a suo carico, egli, tuttavia,  non  aveva  alcuna
contezza delle specifiche condotte a lui ascritte (non essendo  stata
formulata dall'organo inquirente neanche  l'incolpazione  provvisoria
ed essendo il tempus commissi  delicti  indicato  con  la  mera  data
dell'accertamento effettuato ad ottobre 2018). 
    Ne' il reclamante ritiene possa ragionevolmente esigersi da parte
dell'indagato una dichiarazione di rinuncia alla  prescrizione  senza
che egli sia  stato  previamente  messo  in  grado  di  avere  esatta
conoscenza  degli  addebiti  mossi  nei  suoi   confronti   e   delle
conseguenti determinazioni  assunte  dall'organo  di  accusa,  tenuto
conto - tra l'altro - che il diritto di rinunciare alla  prescrizione
puo' essere esercitato in ogni stato e grado  del  giudizio.  Invero,
secondo quanto  statuito  dalla  stessa  Corte  costituzionale  nella
sentenza  n.  580/1990,  nel  caso  di  emersione  di  una  causa  di
estinzione del reato rinunciabile da  parte  dell'indagato,  il  Gip,
anziche' pronunciare immediata  declaratorie  di  proscioglimento  ex
art. 129 c.p.p., sarebbe tenuto a restituire  gli  atti  al  pubblico
ministero il quale,  avvalendosi  dei  poteri  di  cui  all'art.  375
c.p.p., dovrebbe a sua volta  invitare  l'indagato  a  comparire  per
consentirgli di esprimersi sull'esercizio del  diritto  a  rinunciare
alla causa estintiva. 
    Il  reclamante  rileva,  altresi',  la  violazione  dell'art.   6
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali   sotto   il   profilo   del   principio   del
contraddittorio letto alla luce del  «diritto  ad  essere  ascoltati»
(«right to be heard»  art.  6  §  3  lettera  d  CEDU)  in  cui  deve
sussumersi il diritto di  rinunciare  alla  prescrizione  (Corte  EDU
Dvorski c. Croazia § 101;  Pishchalnikov  c.  Russia  §  77-79).  Tra
l'altro nell'atto viene evidenziato che anche le Sezioni Unite  della
Suprema Corte di cassazione hanno da tempo sancito che «rinunciare ad
un diritto gia' maturato, ossia a quello di far  valere  gli  effetti
dell'estinzione del reato per il decorso del termine  prescrizionale,
significa - in definitiva - esercitare il «diritto  al  processo»  e,
quindi,  alla  prova,  nell'ambito  dell'inalienabile  diritto   alla
difesa, sancito dall'art. 24 Cost., in  sintonia,  peraltro,  con  la
presunzione di innocenza, di cui all'art. 27, comma 2,  della  stessa
Carta costituzionale,  ed  all'art.  6,  par  2,  CEDU.  La  rinuncia
implica, dunque, opzione  per  la  prosecuzione  del  processo  verso
l'epilogo di una pronuncia nel merito della regiudicanda e  comporta,
pertanto, anche rivitalizzazione  della  pretesa  punitiva  statuale,
altrimenti affievolita dal decorso del termine di prescrizione» (SSUU
n. 18953/2016). 
    3. Lo strumento del reclamo di cui al comb. disp. degli  articoli
410-bis e 411 c.p.p. 
    E' noto che, nell'ambito dei numerosi interventi di  riforma  del
sistema processuale penale posti in essere con  la  legge  23  giugno
2017 n. 103, si  e'  provveduto  altresi'  all'inserimento  dell'art.
410-bis codice di procedura penale con contestuale interpolazione dei
precedenti articoli 408 e  409  codice  di  procedura  penale  e  del
conseguente art. 411 codice di procedura  penale  nonche'  prevedendo
l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art.  408  codice  di  procedura
penale in ordine alla ricorribilita' in Cassazione dell'ordinanza  di
archiviazione nei soli casi di nullita' previsti dall'art. 127  comma
5 c.p.p. 
    Il nuovo art. 410-bis codice di procedura penale  ha  un'indubbia
valenza sistematica poiche' nei primi due  commi  codifica  patologie
del provvedimento  di  archiviazione  attribuendo  loro  una  precisa
natura sanzionatoria (nullita'),  mentre  nei  successivi  altri  due
commi predispone, per la  loro  neutralizzazione,  un  nuovo  rimedio
(reclamo) diverso dal previgente ricorso per Cassazione. 
    E' da  evidenziare  che,  se  per  l'ordinanza  di  archiviazione
adottata all'esito dell'udienza in Camera  di  consiglio  la  novella
disciplina ribadisce il rinvio  ai  casi  di  nullita'  espressamente
previsti nell'art. 127, comma 5, c.p.p., per  il  decreto  emesso  de
piano si colma invece  una  lacuna  del  sistema,  stilando  ex  novo
l'elenco delle ipotesi determinanti  nullita'  da  tempo  note  nella
prassi giurisprudenziale. 
    Il primo gruppo di patologie afferisce agli strumenti informativi
che  pongono  la  persona  offesa  nelle  condizioni  di  contraddire
rispetto alle determinazioni dell'ufficio del pubblico ministero  che
formula una richiesta di archiviazione. 
    Un'altra ipotesi riconducibile  al  genus  «oneri  informativi» -
contraddistinta dall'omesso invio del relativo avviso -  riguarda  la
persona sottoposta alle indagini e la persona offesa nell'ipotesi  in
cui sia richiesta l'archiviazione per particolare tenuita' del  fatto
(art. 411, comma l bis, c.p.p.). 
    Sono poi prese in considerazione  ulteriori  possibili  patologie
del provvedimento di archiviazione  perche'  adottato  prima  che  il
termine concesso per proporre  opposizione  sia  inutilmente  decorso
ossia  senza  pronunciarsi  sulla  doglianza  ritualmente  depositata
oppure dichiarandola inammissibile al di fuori dell'ipotesi  ex  art.
410 comma 1 c.p.p. 
    Sostanzialmente, quindi, l'istituto in esame serve  a  presidiare
la tutela  del  diritto  al  contraddittorio,  individuando  nullita'
tassativamente  indicate  e  prevedendo  quale   rimedio   alla   sua
pretermissione il reclamo al tribunale in  composizione  monocratica,
che decide con ordinanza non impugnabile. 
    In ordine al  sindacato  spettante  al  giudice  del  reclamo  la
Suprema  Corte  ha  insistito  in  maniera  granitica  sulla   natura
dell'impugnativa,   consentita   rispetto   ai    provvedimenti    di
archiviazione solo per il  mancato  rispetto  delle  regole  poste  a
garanzia del contradditorio e  senza  possibilita'  di  censurare  le
valutazioni espresse dal giudice a fondamento dell'ordinanza (cfr. ex
multis Cassazione penale sez. V, 9 luglio 2018 n. 40127). 
    Quanto alla non impugnabilita' del provvedimento che  decide  sul
reclamo, la giurisprudenza di legittimita' ha da tempo avuto modo  di
rilevare che, atteso  il  principio  di  tassativita'  dei  mezzi  di
impugnazione, il ricorso per Cassazione  non  e'  esperibile  avverso
siffatto  provvedimento  conclusivo  e,  ove  proposto,  deve  essere
dichiarato inammissibile ai sensi  dell'art.  591  c.p.p.,  comma  1,
lettera b), ribadendo nel contempo la legittimita' della  scelta  del
legislatore e la conformita' della stessa  ai  principi  fondamentali
interni e convenzionali (cfr. da ultimo Cassazione penale sez. II, 23
ottobre 2020 n. 35192; Cassazione penale sez. VI, 24 giugno  2020  n.
21050; Cassazione penale sez. III, 5 aprile 2018 n. 32508; Cassazione
penale sez. VI, 23 marzo 2018 n. 17535). 
    Dunque  l'attuale  sede   processuale   in   cui   le   doglianze
dell'indagato si esplicano converge il proprio campo  di  valutazione
nell'ambito di un  controllo  a  carattere  prevalentemente  formale,
limitato   alla   verifica   del   rispetto   del    principio    del
contraddittorio - sotto il duplice profilo dei suoi limiti esterni ed
interi costituiti dall'osservanza degli obblighi  informativi,  delle
tempistiche e delle comici contenutistiche fissate dalla  legge -  in
margini operativi strettamente delineati dalle ipotesi  tassative  di
nullita' normativamente indicate e destinato a sfociare in  un  esito
sostanzialmente definitivo insuscettibile  di  essere  rivisitato  in
gradi di giudizio successivi. 
    4.  Profili  di  illegittimita'  costituzionale  della  normativa
applicabile e loro rilevanza nel caso di  specie  Tanto  premesso  ai
soli fini di un rapido inquadramento dell'istituto  in  esame  e  dei
margini  di  manovra  delibativa  consentiti  al  Tribunale  da  esso
investito - rilevanti per comprendere la portata  della  problematica
in oggetto e dei suoi possibili  riflessi  su  diritti  di  rilevanza
costituzionale - si ritiene utile a questo punto  ricordare  che  nel
caso di specie il reclamante richiede l'annullamento del  decreto  di
archiviazione impugnato in quanto emesso in assenza  di  qualsivoglia
preventiva interlocuzione con l'indagato il quale, di contro,  appena
avuta notizia del provvedimento, ha manifestato il proprio  interesse
alla  prosecuzione  del  procedimento  al  fine   di   ottenere   una
delibazione di merito. 
    L'impugnazione, dunque, avrebbe ad oggetto la  violazione  di  un
diritto al contraddittorio per elusione di un onere  informativo  non
previsto da alcuna norma e, conseguentemente, non sussumibile in  via
immediata  e  diretta  in  alcuna  delle  ipotesi  di  nullita'   del
provvedimento di archiviazione tassativamente previste dagli articoli
410-bis e 411 c.p.p. 
    Come  gia'  precedentemente  esposto,  infatti,   la   disciplina
codicistica  in  tema  di  richiesta  di  archiviazione   impone   la
notificazione di un avviso esclusivamente nei riguardi della  persona
offesa, fatta eccezione per il caso di archiviazione per  particolare
tenuita' del fatto, avendo il legislatore in tale  specifica  ipotesi
previsto un onere informativo gravante sul pubblico  ministero  anche
nei riguardi dell'indagato  tramite  l'inserimento  del  comma  1-bis
dell'art. 411 c.p.p. 
    Ci si deve, pertanto,  domandare  se  l'omessa  previsione  della
possibilita' di un contraddittorio preventivo con l'indagato in  caso
di  archiviazione  per   estinzione   del   reato   per   intervenuta
prescrizione, cosi'  come  l'omessa  previsione  della  nullita'  del
provvedimento di archiviazione che accolga la richiesta del  pubblico
ministero che quell'interlocuzione  obliteri,  non  costituiscano  un
vulnus all'interno dell'ordinamento, contrastante  con  norme  aventi
rango costituzionale. 
    Naturalmente l'eventuale risposta positiva alla questione avrebbe
diretta rilevanza nel presente procedimento incidendo sul  suo  esito
in quanto, in assenza  dell'obbligatorieta'  di  suddetto  incombente
informativo, nessuna  nullita'  si  potrebbe  profilare  in  sede  di
reclamo e, pertanto, lo stesso andrebbe dichiarato inammissibile  con
ordinanza non impugnabile, cosi' sbarrando definitivamente la  strada
all'istanza di prosecuzione procedimentale avanzata  dall'interessato
mediate il legittimo esercizio del  suo  diritto  a  rinunciare  alla
prescrizione del reato a lui ascritto. 
    Non vi  e',  invero,  spazio -  a  parere  di  chi  scrive -  per
svolgere,   come   auspicato   dalla    difesa,    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della disciplina in tema di reclamo  si'
da renderla applicabile anche all'ipotesi in esame. 
    Ed infatti a tal fine  il  reclamante  ha  invocato  una  recente
decisione della Corte di cassazione (Cassazione penale  sez.  I  -  3
ottobre  2019,  n.  4671)   che   ha   annullato   la   sentenza   di
proscioglimento per intervenuta prescrizione emessa dal  giudice  per
le indagini preliminari investito di una richiesta di decreto  penale
di  condanna  a  seguito  della  dichiarazione   di   rinuncia   alla
prescrizione formulata dall'imputato con l'impugnazione stessa. 
    In realta' nel richiamato arresto il Supremo Consesso ha ritenuto
il ricorso ammissibile sulla scorta del disposto di cui all'art.  568
comma 2 codice di procedura penale che prevede la  ricorribilita'  in
Cassazione di tutte le sentenze.  Soltanto  una  volta  «assodato  il
corretto   inquadramento   dell'impugnazione   quale   ricorso    per
cassazione» la Corte ha proceduto a vagliare la compatibilita'  della
tutela del diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24  Cost.  con  la
disciplina regolatrice della fase decisoria connessa  alla  richiesta
di decreto penale di condanna. 
    Non e' chi  non  veda  che  il  medesimo  principio  non  sarebbe
mutuabile in sede di reclamo,  non  essendovi  similare  addentellato
normativo che consenta di superare la tassativita' delle  ipotesi  di
impugnabilita' del provvedimento di archiviazione prevista dal codice
di rito con la conseguenza che l'eventuale accoglimento  del  reclamo
nei termini auspicati dalla difesa, pur non costituendo provvedimento
abnorme (in quanto, sebbene contra ius, non determinerebbe  la  stasi
del procedimento e l'impossibilita' di proseguirlo; cfr. Sez.  U,  n.
17 del 10 dicembre 1997 - dep. 1998 - Di Battista; Sez. U, n. 26  del
24 novembre 1999 - dep. 2000 Magnani;  da  ultimo  Cassazione  penale
sez.  V,  28  giugno  2022,  n.   36028),   determinerebbe   tuttavia
un'illegittima  regressione  del   procedimento   sulla   scorta   di
un'ipotesi di nullita' non prevista dalla legge. 
    5. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 411 codice  di  procedura  penale  in  comb.
disp. con l'art. 410-bis c.p.p. 
    Cio' posto, ritiene  il  Tribunale  che  l'assenza  di  un  onere
informativo  previsto  dalla  legge   in   caso   di   richiesta   di
archiviazione  avanzata  per  intervenuta  prescrizione   del   reato
ingiustificatamente pretermetta il diritto dell'indagato a rinunciare
alla causa estintiva e, conseguentemente, risulti violare: 
      l'art. 3 della Costituzione,  creando  evidente  disparita'  di
trattamento rispetto a chi ben puo' agevolmente avvalersi del diritto
di rinuncia alla prescrizione soltanto perche' la  maturazione  della
causa estintiva casualmente coincide con una diversa fase processuale
(o perche' puo' rinunciare alla prescrizione nel corso del giudizio o
perche', in caso di sentenza di proscioglimento emessa de  plano,  ha
diritto a far valere la rinuncia con l'impugnazione della sentenza); 
      l'art. 24 comma 2 della Costituzione in quanto  la  rinuncia  o
meno alla prescrizione rientra  in  una  precisa  scelta  processuale
dell'indagato/imputato formulabile in ogni stato e grado del processo
ed esplicativa del proprio inviolabile diritto di difesa inteso  come
diritto al giudizio e con esso a quello alla prova; 
      l'art. 111 comma 2 e 3 della Costituzione attesa l'elusione del
contraddittorio con l'indagato necessario ad  assicurargli  la  piena
facolta' di esercitare i suoi diritti, tra cui quello  alla  rinuncia
alla prescrizione. 
    Si ritiene utile evidenziare, a riguardo, che recentemente si  e'
registrata una particolare sensibilita' delle pronunce  emesse  dalla
Corte di cassazione sul tema, che  ha  cosi'  ricevuto  una  maggiore
valorizzazione rispetto al passato, specialmente  in  relazione  alla
riscontrata caratura della problematica a livello costituzionale. 
    Basti pensare alla stessa sentenza della Cassazione penale sez. I
n.  4671  del  3  ottobre  2019  richiamata  dal  reclamante  che  ha
espressamente  riconosciuto  che  «l'atto  di  rinuncia   costituisce
l'oggetto di una facolta' riconnessa a diritto personalissimo che  il
titolare puo' esercitare in ogni stato e grado del giudizio, mediante
una dichiarazione di volonta' espressa e specifica  che  non  ammette
equipollenti, nel rispetto dell'art.  157  cp.,  comma  7,  cosi'  da
aprire  la  strada  alla  celebrazione  del  giudizio  di  merito  o,
comunque, al dispiegamento della piena  cognitio  della  fattispecie,
altrimenti preclusa  dall'obbligo  di  immediata  declaratoria  della
causa di estinzione del reato fissato dall'art. 129 c.p.p.,  comma  1
(v. sull'argomento Sez. U, n. 43055  del  30  settembre  2010,  Dalla
Serra, cit., Rv. 248379). 4.2. Non si esclude, d'altro canto, che, in
relazione alla struttura del rito monitorio, proprio  allo  scopo  di
perfezionare il contraddittorio nelle ipotesi di emersione  di  causa
di estinzione del reato per le  quali  sia  esercitabile  il  diritto
dell'imputato  alla  loro  rinuncia,  il  giudice  per  le   indagini
preliminari  non  emetta  il  chiesto  decreto  penale,   ne'   renda
immediatamente la  corrispondente  sentenza  di  proscioglimento,  ma
restituisca gli atti al pubblico ministero che, a sua  volta,  inviti
l'imputato a comparire onde consentirgli di esprimersi sull'esercizio
del diritto di rinunciare alla causa estintiva (esplicitamente  Corte
Cost. n. 580 del 1990, ha osservato che  il  pubblico  ministero,  in
particolare avvalendosi dei poteri di cui  all'art.  375  c.p.p.,  ha
titolo a invitare la persona interessata, con  il  contestuale  invio
dell'informazione di garanzia ex  art.  369  c.p.p.,  a  presentarsi,
precisando il tipo di atto per il quale l'invito  e'  predisposto  e,
quindi, rendendo chiaro  che  il  destinatario  viene  sollecitato  a
dichiarare se intenda o meno rinunciare, in quel  caso,  all'amnistia
ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del  1990,
art. 5 al fine di conseguire un giudizio di merito, con  l'avvertenza
che altrimenti si procedera'  alla  declaratoria  di  estinzione  del
reato). 4.3. In ogni caso, deve ritenersi che -  ove  il  giudice  di
merito non abbia perseguito,  nel  modo  suddetto  o  mediante  forme
equipollenti, l'obiettivo di informare in  modo  compiuto  l'imputato
della situazione procedimentale determinatasi nel rito monitorio,  in
ragione dell'emersione del reato a lui contestato e  della  causa  di
estinzione  del  reato  stesso,  allo  scopo   di   consentirgli   di
determinarsi sulla scelta se rinunciare o meno alla  causa  estintiva
(quando la rinuncia sia contemplata dall'ordinamento),  nella  specie
per prescrizione - la sentenza di proscioglimento  che  venga  emessa
per essersi il reato estinto  per  prescrizione  e'  suscettibile  di
essere utilmente  impugnata  dall'imputato,  a  condizione  che  egli
contestualmente  formuli  validamente   l'atto   di   rinuncia   alla
prescrizione». 
    Parimenti la Suprema Corte di  cassazione  penale  sez.  III  con
pronuncia n. 15758 del 30 gennaio 2020 ha ritenuto  che  «allorquando
l'imputato, condannato in primo grado  e  ricorrente  per  cassazione
avverso la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato
- emessa de plano in secondo grado, in violazione del contraddittorio
- abbia rinunciato alla prescrizione e  conseguentemente  alleghi  un
interesse concreto ed  attuale  alla  celebrazione  del  giudizio  di
appello da lui promosso, per ottenere una piu'  favorevole  pronuncia
di proscioglimento  nel  merito,  la  sentenza  impugnata  dev'essere
annullata  senza  rinvio  con  trasmissione  degli  atti  al  giudice
d'appello per la celebrazione del giudizio». 
    Tra l'altro anche le Sezioni Unite della Cassazione (Sez.  U,  n.
28954 del 27 aprile 2017, Iannelli,  Rv.  269810),  richiamate  dalla
pronuncia appena indicata e richieste di pronunciarsi in merito  alle
sorti  di  una  sentenza  d'appello  di  non  doversi  procedere  per
intervenuta  prescrizione  emessa  in  fase  predibattimentale,   pur
sancendo la prevalenza della causa  estintiva  sulla  nullita'  della
sentenza per violazione  del  principio  del  contraddittorio,  hanno
tuttavia  affermato  che  «l'eventuale  interesse   dell'imputato   a
proseguire  l'attivita'  processuale,  in  vista  di   un   auspicato
proscioglimento con formula liberatoria di merito,  sarebbe  tutelato
dalla  possibilita'  di   rinunciare   alla   prescrizione   e   deve
bilanciarsi, alla luce della normativa vigente, con  l'obiettivo,  di
pari rilevanza, della sollecita definizione del processo,  che  trova
fondamento nella previsione di cui all'art. 111 Cost., comma  2,  che
codifica il principio della ragionevole durata del processo». 
    In realta' proprio  il  corretto  bilanciamento  tra  diritto  al
processo e diritto alla ragionevole  durata  dello  stesso  e'  stato
impeccabilmente vagliato  e  sostanzialmente  rivisitato  di  recente
dalla  Corte  costituzionale  chiamata  a  pronunciarsi   sempre   in
fattispecie attinente ad un giudizio di appello definito con sentenza
di   non   doversi   procedere    per    intervenuta    prescrizione,
illegittimamente emessa in  fase  predibattimentale  senza  citazione
delle parti e comunque senza alcuna forma di  contraddittorio  (Corte
Cost. n. 111/2022). 
    E'  interessante  osservare  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale era stata proposta dalla prima  sezione  penale  della
Corte di cassazione che, dopo aver visto la restituzione del  ricorso
da parte delle Sezioni Unite cui era stata rimessa la decisione sulla
scorta della non condivisione del principio sancito dalla  precedente
sentenza delle SSUU n.  28954  del  2017,  aveva  ritenuto  opportuno
sollevare il contrasto del diritto  vivente  maturato  dopo  suddetta
pronuncia  «con  i  principi  costituzionali  di  ragionevolezza,  di
inviolabilita' del diritto di difesa e di indefettibilita' del giusto
processo, rappresentando il contraddittorio tra le parti il postulato
ineliminabile di ogni pronuncia terminativa del  giudizio  che  abbia
forma di sentenza». 
    La Corte costituzionale,  nel  dichiarare  fondata  la  sollevata
questione di legittimita'  costituzionale,  ha  evidenziato  che  «il
bilanciamento tra  l'interesse  dell'imputato  ad  impugnare  per  la
mancata valutazione di cause di proscioglimento nel merito, ai  sensi
dell'art. 129, comma 2,  codice  di  procedura  penale,  la  sentenza
predibattimentale d'appello, che abbia  dichiarato  l'estinzione  del
reato per prescrizione senza alcun contraddittorio, e il principio di
ragionevole durata del processo, come operato  dalla  interpretazione
radicata nella  giurisprudenza  di  legittimita'  non  condivisa  dal
rimettente, non appare rispettoso  dell'art.  24,  secondo  comma,  e
dell'art.  111,  secondo  comma,   Cost.,   stando   all'elaborazione
costituzionale  del  diritto  di  difesa   e   della   garanzia   del
contraddittorio». Invero si  e'  sottolineato  che  il  principio  di
ragionevole durata del processo sancito dall'art. 111 comma  2  Cost.
puo' ritenersi violato soltanto nel caso in cui risulti assolutamente
ingiustificata la dilazione  dei  tempi  processuali  in  quanto  non
sorretta da alcuna logica esigenza (cfr.  nello  stesso  senso  Corte
costituzionale sentenze n. 260 del 2020, n. 124 del 2019, n.  12  del
2016 e n. 159 del 2014). Esso, invero, va sempre  bilanciato  con  la
salvaguardia di altre componenti del giusto processo, oltre  che  con
lo stesso diritto di difesa tutelato dall'art. 24  Cost.  poiche'  la
comparazione dei diritti costituzionalmente rilevanti  in  gioco  non
puo' in alcun modo prescindere dalla complessiva considerazione della
completezza del sistema di garanzie previste. 
    In  altre   parole,   come   afferma   causticamente   la   Corte
costituzionale, «un processo non «giusto», perche' carente  sotto  il
profilo delle garanzie, non e' conforme  al  modello  costituzionale,
quale che sia la sua durata» in  quanto  diversamente  ragionando  si
tratterebbe di sacrificare, piuttosto che bilanciare,  i  diritti  di
rilevanza costituzionale e convenzionale  del  contraddittorio  (art.
111 Cost.) e di difesa (art. 24 Cost.). 
    Pertanto, anche dinanzi ad una pronuncia  di  matrice  estintiva,
l'esigenza  di  rapida   definizione   processuale   non   puo'   mai
pregiudicare   il   diritto   al   contraddittorio   e   di    difesa
dell'interessato: di cio'  ne  e'  prova,  ad  esempio,  il  disposto
dell'art. 469 codice di procedura penale che consente  di  addivenire
ad una sentenza  predibattimentale  emessa  in  Camera  di  consiglio
soltanto dopo aver sentito «il pubblico ministero e l'imputato  e  se
questi non si oppongono». 
    Non  sfugge,  inoltre,  che   nel   citato   arresto   la   Corte
costituzionale,  nel   dichiarare   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art.  568  comma  4  codice  di  procedura  penale  «in   quanto
interpretato nel senso che e' inammissibile, per carenza di interesse
ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza  di
appello che, in  fase  predibattimentale  e  senza  alcuna  forma  di
contraddittorio,  abbia  dichiarato   non   doversi   procedere   per
intervenuta prescrizione del reato», ha lucidamente osservato che una
simile pronuncia de plano, sostanzialmente soppressiva di un grado di
giudizio, «limita l'emersione di eventuali ragioni di proscioglimento
nel merito e, di fatto, comprime la stessa facolta' dell'imputato  di
rinunciare alla prescrizione, in maniera non  piu'  recuperabile  nel
giudizio di legittimita', la cui cognizione e' fisiologicamente  piu'
limitata rispetto a quella del giudice di merito». 
    Ebbene, a parere  di  chi  scrive  le  considerazioni  da  ultimo
richiamate risultano assolutamente ribaltabili  al  caso  di  specie,
sebbene con  i  correttivi  che  lo  specifico  contesto  processuale
impone. 
    Ed infatti la pronuncia di un decreto di archiviazione  de  plano
dichiarativo dell'estinzione del reato per  intervenuta  prescrizione
senza  che  sia   previsto   alcun   preventivo   onere   informativo
dell'indagato sulla determinazione conclusiva  assunta  dal  pubblico
ministero  e,  conseguentemente,  alcuna  sanzione  per  la   mancata
interlocuzione, elide in radice ogni possibilita' per  l'indagato  di
attivare il proprio diritto  ad  una  verifica  di  merito,  rendendo
assolutamente  superflua  addirittura  la  stessa  dichiarazione   di
rinuncia alla causa  estintiva  formulata  con  il  reclamo  ex  art.
410-bis codice di procedura  penale  sebbene  la  legge  sancisca  la
rinunciabilita' alla prescrizione in ogni stato e grado del giudizio. 
    Non puo' obliterarsi, invero, il  fatto  che  detta  facolta'  e'
stata  inserita  a  seguito  di   intervento   della   stessa   Corte
costituzionale (sentenza n. 275 del 1990) che,  proprio  valorizzando
il «diritto al giudizio» insito nel diritto di difesa esercitabile da
chi subisce un procedimento penale, ha  dichiarato  «l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 157 del codice penale nella parte in cui non
prevede  che  la  prescrizione  del  reato  possa  essere  rinunziata
dall'imputato»  sulla  scorta   dell'argomentazione   per   cui   «il
legislatore,   nel   disciplinare   l'istituto   sostanziale    della
prescrizione,  non  poteva  dunque  non  tener  conto  del  carattere
inviolabile del diritto alla difesa, inteso come diritto al  giudizio
e con esso a quello alla prova. Insomma e'  privo  di  ragionevolezza
rispetto ad una situazione processuale improntata a discrezionalita',
che  quell'interesse  a  non  piu'  perseguire  (sorto  a  causa   di
circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle  parti)  debba
prevalere su quello dell'imputato, con la conseguenza di privarlo  di
un diritto fondamentale». 
    Ovviamente una facolta' e' realmente tale soltanto se si pone  il
suo titolare nell'effettiva condizione di esercitarla:  nel  caso  di
specie l'indagato non avrebbe possibilita' di formulare  la  rinuncia
alla prescrizione  prima  del  decreto  di  archiviazione  in  quanto
potenzialmente  mai  informato  della   relativa   richiesta   e   la
formulerebbe inutilmente in sede di reclamo non essendo  prevista  la
mancata  preventiva  interlocuzione  quale  causa  di  nullita'   del
provvedimento impugnato. 
    Dunque, nell'attuale assetto normativo, in  caso  di  decreto  di
archiviazione per intervenuta prescrizione emesso de plano il diritto
dell'indagato al giudizio, che pur la legge costituzionale (artt.  24
e 111 Cost.) ed ordinaria (art. 157  comma  7  c.p.)  gli  riconosce,
verrebbe irrimediabilmente frustrato. 
    Ne' una simile scelta  legislativa  potrebbe  rinvenire  adeguata
giustificazione costituzionalmente apprezzabile nella  necessita'  di
non rallentare l'iter  processuale  con  oneri  informativi  posti  a
carico del pubblico ministero richiedente in quanto, come si e'  gia'
avuto modo di  evidenziare,  l'esigenza  di  ragionevole  durata  del
processo non puo' mai legittimare  il  sacrificio  di  altri  diritti
aventi pari dignita' costituzionale in  assenza  di  alcuna  esigenza
logica. 
    Tra l'altro appare opportuno evidenziare  che  la  previsione  di
oneri    informativi    risulta    connaturale    alla     disciplina
legislativamente prevista in materia di  archiviazione:  ne  sono  un
esempio non solo l'avviso alla persona  offesa  prescritto  dall'art.
408 comma  2  e  3-bis  c.p.p.,  ma  altresi'  l'avviso  all'indagato
richiesto dal comma 1-bis dell'art. 411 codice di procedura penale in
caso di archiviazione richiesta per particolare tenuita' del fatto. 
    L'assenza di una pari modalita' procedimentale per  l'ipotesi  di
richiesta di archiviazione per intervenuta  prescrizione  costituisce
una  disparita'  di  trattamento  che  non   rinviene   nel   sistema
giustificazione alcuna e con  riflessi  irrimediabilmente  penetranti
nella sfera personale del  soggetto  che,  nel  caso  non  sia  stato
attinto da  alcuna  misura  custodiale,  potrebbe  scoprire  anche  a
distanza di notevole tempo dell'archiviazione a suo carico per  causa
estintiva, con possibili effetti pregiudizievoli non piu' emendabili. 
    Questo giudice e' ben consapevole che la strada indicata  per  il
superamento del segnalato vulnus costituzionale  non  appare  sic  et
sempliciter costituzionalmente obbligata, ben potendo il  legislatore
nell'esercizio della propria potesta' articolare  anche  diversamente
l'ipotesi in esame. 
    Tuttavia questo giudice ugualmente auspica  un  intervento  della
Corte adita, segnalando che proprio la disposizione di cui  al  comma
1-bis dell'art. 411 codice di procedura penale offrirebbe un  preciso
punto di riferimento, gia' presente nel sistema legislativo, in grado
di  orientare  l'intervento  della  Corte  costituzionale  verso  una
soluzione non arbitraria. 
    Invero, in tema di ampiezza e limiti dell'intervento  esplicabile
dalla Corte costituzionale appare sufficiente evocare alcune  recenti
decisioni della giurisprudenza costituzionale (sentenze  n.  185  del
2021, n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222 del 2018, n. 236 del  2016,  n.
63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del 2019 e  n.  99  del
2019) che hanno escluso il carattere inammissibile  di  questioni  di
legittimita'  costituzionale  che  non  consentano   di   individuare
un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus  denunciato
«ben  potendo   questa   Corte   reperire   essa   stessa   soluzioni
costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel sistema  e  idonee  a
colmare temporaneamente la lacuna creata dalla  stessa  pronuncia  di
accoglimento della questione; ferma restando poi la possibilita'  per
il  legislatore  di   individuare,   nell'esercizio   della   propria
discrezionalita', una diversa soluzione  nel  rispetto  dei  principi
enunciati da questa Corte». 
    Ed infatti il  margine  di  intervento  riconosciuto  alla  Corte
costituzionale deve ritenersi privo di ostacoli quando le scelte  del
legislatore  «si  siano   rivelate   manifestamente   arbitrarie   od
irragionevoli ed il sistema legislativo consenta l'individuazione  di
soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da  «ricondurre
a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un  determinato  bene
giuridico, procedendo puntualmente, ove  possibile,  all'eliminazione
di ingiustificabili incongruenze» (richiamando  Corte  costituzionale
sentenza n. 236 del 2016; nello stesso senso Corte costituzionale  n.
222/2018). 
    Invero in punto di sanzioni, il Supremo  Consesso  Costituzionale
ha gia'  avuto  modo  di  sottolineare  che  «l'ammissibilita'  delle
questioni di legittimita'  costituzionale  che  riguardano  l'entita'
della punizione risulta condizionata  non  tanto  dalla  presenza  di
un'unica  soluzione  costituzionalmente   obbligata,   quanto   dalla
presenza nel  sistema  di  previsioni  sanzionatorie  che,  trasposte
all'interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla  logica
perseguita dal legislatore (sentenza n. 233 del 2018).  Nel  rispetto
delle scelte di politica sanzionatoria delineate dal legislatore e ad
esso riservate, occorre, infatti, evitare che l'ordinamento  presenti
zone franche immuni  dal  sindacato  di  legittimita'  costituzionale
proprio in ambiti in cui e'  maggiormente  impellente  l'esigenza  di
assicurare una tutela effettiva dei  diritti  fondamentali,  tra  cui
massimamente la liberta' personale, incisi dalle scelte sanzionatorie
del legislatore». 
    A sommesso parere di chi scrive la medesima osservazione ben puo'
attagliarsi al caso di specie in quanto la mancata previsione di  una
qualsivoglia interlocuzione con l'indagato  in  caso  di  decreto  di
archiviazione emesso de plano per prescrizione del  reato  frusta  ab
origine il suo diritto di difesa ed il suo diritto al contraddittorio
senza  che  nell'ordinamento  possano  rinvenirsi  ulteriori   misure
compensative suscettibili  di  salvaguardare  la  dignita'  personale
dell'indagato che auspica l'ottenimento di una pronuncia di merito  a
se' favorevole. 
    E la soluzione normativa che appare piu'  adeguata  e  congeniale
con il sistema vigente risulta  l'estensione  della  disciplina  gia'
stabilita dal legislatore per il caso di richiesta  di  archiviazione
per particolare tenuita' del fatto anche all'ipotesi di richiesta  di
archiviazione per intervenuta prescrizione del reato. 
    Tra l'altro non sfugge che lo stesso art. 411 codice di procedura
penale al primo comma richiama anche  detta  ipotesi  nell'alveo  dei
casi  di  operativita'  della  disciplina   prevista   in   tema   di
archiviazione («le  disposizioni  degli  articoli  408,  409,  410  e
410-bis c.p,p. si applicano anche quando risulta [...] che  il  reato
e' estinto») per cui la previsione di un'estensione  applicativa  del
comma 1-bis  anche  alla  predetta  causa  estintiva  si  rivelerebbe
soluzione di chiusura in assoluta sintonia con le  disposizioni  gia'
vigenti. 
    Il richiamo, infine, al  comma  1-bis  dell'art.  411  codice  di
procedura penale operato dall'art. 410-bis codice di procedura penale
consentirebbe di configurare anche in caso di mancanza  del  predetto
avviso un'ipotesi di nullita' del decreto di archiviazione eccepibile
con lo strumento del reclamo dinanzi  al  Tribunale  in  composizione
monocratica. 
    Pertanto questo Giudice chiede  a  Codesta  Corte  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 411 comma 1-bis  codice  di
procedura penale per violazione degli articoli  3,  24  e  111  Cost.
nella parte in cui non prevede che, anche in  caso  di  richiesta  di
archiviazione per estinzione del reato per intervenuta  prescrizione,
il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle
indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima
disciplina  prevista  per  il  caso  di  archiviazione  disposta  per
particolare tenuita' del fatto, anche sotto il profilo della nullita'
del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e
della  sua  reclarnabilita'  dinanzi  al  Tribunale  in  composizione
monocratica. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e seguenti  della  legge  n.  87
dell'il marzo 1953 e 1 della legge costituzionale n. 1 del 9 febbraio
1948 ritenutane la non manifesta infondatezza e la rilevanza 
    Dispone: trasmettersi gli atti del presente giudizio  alla  Corte
costituzionale per la risoluzione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 411 comma 1-bis codice di  procedura  penale
nella parte in cui non prevede che, anche in  caso  di  richiesta  di
archiviazione per estinzione del reato per intervenuta  prescrizione,
il pubblico ministero debba darne avviso alla persona sottoposta alle
indagini e alla persona offesa, estendendo a tale ipotesi la medesima
disciplina  prevista  per  il  caso  di  archiviazione  disposta  per
particolare tenuita' del fatto, anche sotto il profilo della nullita'
del decreto di archiviazione emesso in mancanza del predetto avviso e
della  sua  reclamabilita'  dinanzi  al  Tribunale  in   composizione
monocratica. 
    Sospende:  il  procedimento  in  corso  ed   ordina   l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone: che a cura della cancelleria sia notificata la  presente
ordinanza all'indagato,  al  Pm,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e che della stessa  sia  data  comunicazione  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
      Lecce, 18 novembre 2022 
 
                         Il giudice: Todaro