N. 16 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2023

Ordinanza del 20 gennaio 2023 della Corte  d'appello  di  Napoli  nel
procedimento civile promosso da  D.  K.  contro  il  Ministero  della
giustizia. 
 
Processo civile - Equa riparazione per violazione  della  ragionevole
  durata del processo - Controversie  in  materia  di  riconoscimento
  della   protezione   internazionale   -   Termine   ragionevole   -
  Individuazione del  termine  ragionevole  del  processo  nella  non
  eccedenza della durata di tre anni in primo grado, di due  anni  in
  secondo  grado,  di  un  anno  nel  giudizio  di   legittimita'   -
  Applicazione  del  termine  triennale   anche   alla   durata   dei
  procedimenti di primo grado  in  materia  di  riconoscimento  della
  protezione internazionale ex art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in  caso
  di violazione del  termine  ragionevole  del  processo  e  modifica
  dell'articolo 375 del codice di procedura civile),  art.  2,  comma
  2-bis. 
(GU n.8 del 22-2-2023 )
 
                    LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI 
                        Quinta sezione civile 
                   (gia' Prima sezione civile bis) 
 
    Nella persona del Presidente designato  dott.  Caterina  Molfino,
visto il ricorso iscritto al n. 122/2023 r.g. aff. vol. giur.  avente
ad oggetto la domanda di equa riparazione ex lege n. 89/2001 proposta
da D... K... nato in ... in  data  ...  rappresentato  e  difeso,  in
virtu' di procura rilasciata e trasmessa  con  le  modalita'  di  cui
all'art. 83, comma 3, del codice di procedura  civile,  dall'avv.  De
Vincentis Gianluca  DVNGLC86H08A783X  e  con  lo  stesso  domiciliato
elettivamente in via Roma n. 233/A  -  Telese  Terme  ricorrente  nei
confronti del Ministero della giustizia in persona del  Ministro  pro
tempore ha emesso il seguente decreto  rilevato  dagli  atti  che  il
ricorrente  in  epigrafe  ha  richiesto  l'indennizzo  maturato   per
l'irragionevole durata del procedimento  di  primo  grado  introdotto
dinanzi al Tribunale di Napoli - Sezione specializzata immigrazione -
in data 4 giugno 2019, definito con decreto di parziale  accoglimento
depositato 4 gennaio 2023; 
    Che il ricorrente ha allegato che il giudizio ha avuto la  durata
complessiva di tre anni e sette mesi, arco temporale cui ha richiesto
sottrarsi il periodo  di  durata  ragionevole,  che  ha  indicato  in
quattro mesi richiamando l'art. 35-bis, comma  13,  decreto-legge  n.
25/2008, come modificato dal decreto-legge  n.  13/2017  in  tema  di
protezione internazionale o, al piu', in un anno, applicando  in  via
analogica  il   periodo   di   durata   ragionevole   fissato   dalla
giurisprudenza  per  la  definizione  del   procedimento   per   equa
riparazione  ex  legge  n.   89/2001,   a   parere   del   ricorrente
strutturalmente affine; 
    Che, infatti, a suo dire, la normativa  speciale  in  materia  di
protezione  internazionale,  finalizzata  alla  tutela  dei   diritti
fondamentali della persona, e connotata da urgenza e, di conseguenza,
l'esame delle  domande  di  protezione  deve  essere  effettuato  nel
termine specifico indicato dalla normativa  stessa,  con  conseguente
deroga del termine di durata triennale di un  ordinario  giudizio  di
primo grado, dettato dall'art. 2, comma 2-bis, legge n. 89/2001. 
    La tesi sostenuta dal ricorrente non  risulta  condivisibile.  Ed
infatti, l'art. 2, comma  2-bis,  legge  Pinto,  stabilisce  che  «si
considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1  se  il
processo non eccede la durata di tre anni  in  primo  grado,  due  in
secondo  grado  e  un  anno  nel  giudizio  di  legittimita'».   Tali
disposizioni sono state introdotte dall'art. 55, comma 1, lettera a),
numero 2), del decreto-legge n. 83 del 2012, al fine di adottare  una
disciplina legale uniforme dei termini entro  cui  il  giudizio  deve
reputarsi rispettoso  del  principio  della  ragionevole  durata  del
processo, enunciato dall'art. 111, secondo comma, della  Costituzione
e  dall'art.  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'art.  35-bis,  comma  13,  decreto-legge   n.   25/2008,   come
modificato  dal  decreto-legge  n.  13/2017   nel   disciplinare   il
procedimento di opposizione al diniego amministrativo  di  protezione
internazionale ed interna fissa in mesi quattro il  limite  entro  il
quale le domande devono essere definite dalle  sezioni  specializzate
istituite per legge; tuttavia, il superamento del termine di  quattro
mesi per la decisione previsto dalla normativa sopra richiamata,  che
ha pacificamente natura ordinatoria, non rileva di per  se'  ai  fini
dell'equo indennizzo, perche' non puo' ritenersi  che  tale  termine,
avente  finalita'   meramente   acceleratoria,   possa   considerarsi
sostitutivo e derogatorio di  quello  previsto  specificamente  dalla
legge in materia di equa  riparazione.  Vi  e',  cioe',  un'obiettiva
indipendenza    dei    due    termini    rispettivamente     previsti
dall'ordinamento per la decisione del procedimento de quo  e  per  la
ragionevole durata del processo, di  guisa  che  il  superamento  del
primo di essi e' insufficiente ai fini del riconoscimento del diritto
all'equo indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001, 
    Un ragionamento analogo a quello appena svolto  e'  pacificamente
seguito per il termine di durata ragionevole dei  procedimenti  della
legge Pinto, fissato notoriamente in un anno, nonostante  che  l'art.
3, comma 4, preveda che il giudizio debba essere deciso entro  trenta
giorni dal deposito del ricorso e l'art. 5-ter, comma 5, dispone  che
la definizione del  giudizio  di  opposizione  debba  avvenire  entro
quattro mesi dal deposito del ricorso. 
    L'unico termine decisivo, quindi, resta  quello  stabilito  dalla
legge Pinto, non  potendosi  dubitare  che  l'art.  2,  comma  2-ter,
citato, si applichi anche al procedimento in  materia  di  protezione
internazionale perche' esso si estende «ad ogni  procedimento  civile
per cui  non  sia  disposto  diversamente  e  non  solo  al  giudizio
ordinario di cognizione; tanto e'  vero  che,  per  alcune  procedure
speciali, come quella esecutiva, e quella concorsuale,  la  legge  ha
previsto termini diversi e specifici» (cosi Corte  costituzionale  n.
36 del 19 febbraio 2016). 
    Cio'  posto,  vanno,  per  converso,   considerati:   la   natura
personalissima  dei  diritti  umani  coinvolti  (riconosciuti   dalle
convenzioni  internazionali  e  dalla  Costituzione   italiana),   la
peculiarita' del procedimento connotato dalla semplicita' delle forme
e da  esigenze  di  snellezza  e  sommarieta'  delle  indagini  (cosi
Cassazione 10 settembre 2020, n. 18787),  la  stessa  previsione  del
termine di quattro mesi per la decisione del  giudice  (peraltro  non
reclamabile), nonche' l'indicazione  contenuta  nel  comma  15  dello
stesso art. 35-bis secondo cui la «controversia e' trattata  in  ogni
grado in via di urgenza»;  rilievi  dai  quali  si  desume,  in  modo
univoco e convergente, che la tutela  in  materia  di  riconoscimento
della protezione internazionale debba essere  certamente  soddisfatta
con particolare rapidita' e celerita'. 
    Alla stregua di tali considerazioni, non  vi  e'  dubbio  che  la
speciale delicatezza e la notevole rilevanza  della  materia  oggetto
dei procedimenti in esame, inerente il  godimento  di  diritti  umani
fondamentali, esigono, nei giudici,  un'accentuata  diligenza  e  nel
«sistema  giustizia»   un'adeguata   efficienza   organizzativa   che
consentano  una  concreta  e  certa  riduzione   del   parametro   di
ragionevole durata del processo. Non puo',  percio',  ritenersi  che,
anche rispetto a tale procedimento, sia  adeguato  e  rispettoso  dei
principi costituzionali il termine triennale  di  durata  ragionevole
previsto in via generale con riferimento ai procedimenti civili. 
    In definitiva, il vizio dl incostituzionalita' dell'art. 2, comma
2-bis, della legge n. 89/2001, che impone di considerare  ragionevole
la durata triennale del procedimento di primo  grado  in  materia  di
protezione internazionale, si  rende  evidente  in  quanto  la  norma
finisce per equiparare e trattare  in  modo  uniforme  procedure  del
tutto  diverse  sotto  l'aspetto  della   congruita'   della   durata
ragionevole dei giudizi, posto che la individuazione di  tale  durata
ex art. 111, secondo comma, della Costituzione non  puo'  prescindere
dalle caratteristiche e dalla natura del procedimento. In tal  senso,
va altresi' ricordato che, in sede  di  interpretazione  dell'art.  6
della  Convenzione  europea  sui  diritti  dell'uomo,  la  Corte   di
Strasburgo ha sempre tenuto conto, in particolare, della complessita'
della causa e della rilevanza della «posta in gioco»  al  fine  della
determinazione  del  termine  ragionevole,  e,  tra  gli  esempi   di
categorie  di  cause  che,  per  loro  natura,  esigono   particolare
diligenza e sollecitudine sono fatte rientrare le cause in materia di
stato civile e di capacita' personale  (cfr.  Corte  europea  diritti
dell'uomo, sez. I, 5 dicembre 2019, n. 35516). 
    Ne consegue che l'art. 2, comma 2-bis, citato, nella parte in cui
si applica - inevitabilmente - anche ai procedimenti  in  materia  di
protezione internazionale, appare  contrastante  sia  con  l'art.  3,
primo comma, della Costituzione, sia con gli  articoli  111,  secondo
comma, e 117, primo comma, della Costituzione, per  violazione  degli
obblighi  internazionali  derivanti  dall'art.  6  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  che  stabilisce  l'analogo   principio   del   «termine
ragionevole». 
    Ne'  l'evidente  incongruenza  puo'  essere   superata   mediante
un'interpretazione dell'art. 2, comma 2-bis, in senso  conforme  alla
Costituzione,  derogando  alla  suddetta   previsione   normativa   e
sostituendo al termine triennale un termine inferiore individuato dal
giudice con criteri discrezionali che possono sfociare  nell'arbitrio
oppure ricorrendo a forzate  applicazioni  in  via  analogica,  quale
quella del termine previsto per le procedure  di  legge  Pinto,  cosi
come  deciso  da  diversi  precedenti  di  merito  citati  da   parte
ricorrente, che a chi scrive non appaiono convincenti. 
    Al riguardo, deve condividersi  l'opinione  secondo  la  quale  i
commi 2-bis e  2-ter  dell'art.  2,  nell'affermare  che  il  termine
indicate «Si considera rispettato», sono univoci e  non  possono  che
essere intesi nel senso che tale termine debba essere ritenuto sempre
ragionevole, perche' considerato  dal  legislatore  insensibile  alla
natura del procedimento ed all'eventuale accertamento della  maggiore
semplicita' dello stesso. Cio' trova conferma nel  fatto  che  questa
affermazione si inserisce  nell'ambito  di  un  intervento  normativo
diretto   a   sottrarre   alla   discrezionalita'   giudiziaria    la
determinazione della congruita' del termine, per affidarla invece  ad
una previsione legale di carattere  generale.  In  tal  senso  si  e'
correttamente  osservato  che  «di  fronte  all'esplicita  previsione
normativa, che  non  prevede  durate  diversificate  in  ragione  del
diverso grado di complessita' dei giudizi, ogni  argomento  contrario
e' recessivo» (cfr. Cassazione 6 dicembre 2021, n. 38471). Anche  nei
lavori  preparatori  al  decreto-legge  n.  83/2012,  in  particolare
all'art. 55, si legge che l'osservanza  dei  termini  di  durata  dei
singoli gradi di giudizio, introdotti dall'art. 2, comma  2-bis,  «fa
si' che sia rispettato termine ragionevole di durata del procedimento
e, quindi, non permette alcuna domanda di indennizzo». 
    Significativo, del resto, e'  che  l'individuazione  del  termine
annuale di durata ragionevole del processo della cd. legge Pinto  non
e' il frutto di una  operazione  interpretativa  dell'art.  2,  comma
2-bis, della stessa legge, ma e' conseguente al necessario intervento
demolitorio della Corte  costituzionale  che,  con  sentenza  del  19
febbraio 2016, n. 36, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  -
per violazione degli articoli 111 e 117, comma 1, della  Costituzione
- il citato art. 2, comma 2, nella  parte  in  cui  si  applica  alla
durata del processo di primo grado previsto dalla  legge  n.  89  del
2001. Va, ancora, evidenziato che,  nella  pronunzia  suindicata,  la
Corte,  sulla  base  di  argomentazioni  identiche  a  quelle   sopra
illustrate,  ha  rigettato  l'eccezione   sollevata   dall'Avvocatura
generale dello Stato secondo cui  sarebbe  stato  possibile  adottare
un'interpretazione  costituzionalmente  conforme  delle  disposizioni
impugnate, ed ha, quindi, disatteso la tesi che  legislatore  avrebbe
introdotto solo «un parametro cui il  giudice  deve  attenersi  senza
esserne vincolato in termini assoluti»,  potendone  prescindere  alla
luce della natura del procedimento. 
    In  conclusione,  carattere  vincolante  ed  inderogabile   della
previsione normativa in tema di durata ragionevole  del  procedimento
esclude    la    possibilita'    di    adottare    un'interpretazione
costituzionalmente orientata della  norma  in  esame,  obbligando  il
giudice a sollevare la relativa questione di costituzionalita'. 
    Non e' compito del giudice a quo indicare quale  sia  il  termine
piu' adeguato al caso  di  specie,  come  pure  non  puo'  essere  di
ostacolo alla denuncia di illegittimita'  costituzionale  il  rilievo
che, una volta rimossa la norma  incostituzionale,  l'intervento  del
legislatore possa ritardare o mancare dei tutto, potendo l'interprete
sopperire  a  tale  lacuna  utilizzando  i  principi  espressi  dalla
giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  e  della
Corte  di  cessazione  antecedente  alla   novella   introdotta   dal
decreto-legge n. 83/2012. 
    Evidente,  infine,  e'   la   rilevanza   della   questione   nel
procedimento in esame, dal momento che l'individuazione della  durata
ragionevole del processo presupposto,  contenuta  nelle  disposizioni
della cui legittimita' costituzionale si dubita,  influisce  in  modo
determinante   sulla   misura   dell'indennizzo   richiesto   e,   di
conseguenza, sulla decisione richiesta dal ricorrente. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di appello di Napoli, quinta sezione civile; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis della  legge  24
marzo 2001, n. 89, nella parte in cui si applica  anche  alla  durata
dei procedimenti di primo grado in materia  di  riconoscimento  della
protezione internazionale, ex art.  35-bis,  decreto  legislativo  n.
25/2008. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente  del  Consiglio
dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei  deputati  e
del Senato della Repubblica. 
        Cosi' deciso in Napoli, 20 gennaio 2023 
 
                  Il presidente designato: Molfino