N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2023

Ordinanza  del  18  gennaio  2023  della  Corte  d'appello  di   Roma
sull'istanza proposta da E. R.. 
 
Spese di giustizia  -  Compensi  degli  amministratori  giudiziari  -
  Compenso dell'amministratore giudiziario  che  abbia  assistito  il
  giudice per la verifica dei crediti nelle procedure di  prevenzione
  patrimoniale  -  Denunciata  omessa  previsione  di  una  specifica
  disciplina. 
- Decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14  (Istituzione  dell'Albo
  degli amministratori giudiziari, a norma dell'articolo 2, comma 13,
  della legge 15 luglio 2009, n. 94), art. 8. 
(GU n.8 del 22-2-2023 )
 
                       CORTE D'APPELLO DI ROMA 
                        Sezione quarta penale 
 
 
 Ordinanza di sospensione del procedimento e trasmissione degli atti 
alla Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione, 23 e  ss.
                     legge 11 marzo 1953, n. 87) 
 
    La Corte, riunita in camera di consiglio e composta  dai  signori
magistrati: 
      dott.ssa Franca Amadori - Presidente; 
      dott. Aldo Morgigni - consigliere; 
      dott.ssa Gabriella Bonavolonta' - consigliere; 
    Letti gli atti relativi al  procedimento  iscritto  nel  registro
delle   istanze   di   prevenzione   al   n.   27/2022,   concernente
l'impugnazione da parte dell'amministratore giudiziario dr. E. R. del
decreto di liquidazione del 27 giugno 2022 emesso in suo  favore  per
l'attivita' di accertamento ed assistenza all'udienza di verifica dei
crediti nella procedura di  prevenzione  n.  1/2013  R.G.  Misure  di
Prevenzione del Tribunale di Latina, definita con pronuncia di  primo
grado emessa in data 16 aprile 2015, irrevocabile in data  28  aprile
2017,  con  la  quale  veniva  applicata  la  misura  di  prevenzione
personale della  sorveglianza  speciale  di  pubblica  sicurezza  con
obbligo di soggiorno per la durata di anni tre, nonche' la misura  di
prevenzione patrimoniale della confisca, a carico  di  .P.  F.,  nato
a... (comune in Provincia di Roma), il giorno... 
    Visti i seguenti atti: 
      a) il provvedimento emesso dal  Tribunale  di  Latina,  Sezione
Penale - Misure di Prevenzione, in data 27 giugno 2022 (depositato in
pari data), notificato all'amministratore giudiziario dr.  E.  R.  in
data 28 giugno 2022 a mezzo PEC, di  liquidazione  del  compenso  per
l'opera  svolta  per  l'attivita'  di  accertamento   ed   assistenza
all'udienza  di  verifica  dei  crediti,  quantificato  nella   somma
complessiva di euro 1.940,92, oltre I.V.A., senza contributo  per  la
Cassa previdenziale; 
      b) l'istanza (in realta', trattasi di ricorso),  depositata  in
data 15 luglio 2022, con la quale  l'indicato  professionista,  nella
qualita' di amministratore giudiziario  nell'anzidetta  procedura  di
prevenzione, impugnava, ai sensi dell'ultimo comma dell'art.  42  del
decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (d'ora  innanzi,  per
brevita', solo «Codice Antimafia») il provvedimento collegiale di cui
al punto che precede. 
 
                     Rilevato quanto di seguito 
 
    1. In sintesi, il detto professionista si lamenta del  fatto  che
il compenso a lui liquidato e' estremamente riduttivo, soprattutto in
relazione alle liquidazioni gia' ottenute per precedenti  prestazioni
di analogo contenuto in altri procedimenti di prevenzione davanti  al
medesimo Tribunale di Latina, nei quali tale ufficio aveva  applicato
regole diverse da quelle  adottate  invece  nella  liquidazione  oggi
impugnata. 
    1.2. La procedura di prevenzione  in  esame,  secondo  quanto  si
legge nell'odierno ricorso, ha avuto notevole impatto mediatico ed ha
comportato la gestione di un imponente compendio costituito  da  beni
immobili, societa', partecipazioni azionarie e quant'altro: 
      «L'attivita' del professionista si e' svolta nell'ambito  della
procedura n. 1/13 R.G.M.P. - misura particolarmente  complessa  e  di
notevoli dimensioni (e' stata la procedura  giudiziaria  piu'  grande
della storia del Tribunale di Latina), come  attestato  dai  numerosi
articoli di quotidiani,  anche  nazionali,  allegati  all'istanza  di
liquidazione del compenso che per completezza qui si allega (allegato
2) - giunta in confisca definitiva» (cosi' si esprime  il  ricorrente
nel proprio ricorso). 
    In effetti, l'allegato n. 2 del ricorso e' costituito dalla copia
di una serie di articoli di quotidiani anche di rilievo nazionale che
si riferiscono al procedimento a carico del P. 
    In particolare: 
      - 
      - 
      - 
    Ovviamente - prosegue il ricorrente - dato un  simile  compendio,
anche  la  procedura  di  verifica  dei  crediti  e'  stata  alquanto
laboriosa, numerosi essendo i creditori - asseritamente in buona fede
- che chiedevano di poter ottenere soddisfazione del proprio credito. 
    In ordine a tali richieste, esso ricorrente aveva  quindi  svolto
le seguenti attivita': 
      a) aveva esaminato tutte le domande  presentate  dai  creditori
per un valore complessivo di oltre un miliardo e trecento milioni  di
euro      e      precisamente      di      euro      1.302.285.495,04
(unmiliardotrecentoduemilioniduecentottantacinquemilaquattrocentonova
ntacinque/04) 
      b) per ciascuna domanda esso ricorrente aveva esaminato tutti i
documenti allegati al fine di verificare la correttezza e completezza
degli stessi; 
      c) inoltre aveva  controllato  per  ciascuna  domanda  che  non
sussistessero le cause  di  esclusione  dell'ammissione  del  credito
espressamente  previste  dal  «Codice   Antimafia»,   per   lo   piu'
caratterizzate da elementi di interesse penalistico; 
      d) da ultimo, per ciascuna domanda aveva formulato  la  propria
argomentata proposta di ammissione ovvero di esclusione,  inserendola
infine nel progetto di stato passivo sottoposto al giudice delegato e
trasfuso nello stato passivo esecutivo (cfr. allegato  3  all'odierno
ricorso). 
    1.3. Il decreto di liquidazione oggi impugnato  consta  di  poche
righe in cui peraltro non viene menzionato  il  parere  del  Pubblico
Ministero sulla richiesta di compenso avanzata  dal  Dr.  E.  R.,  di
talche' parrebbe potersi concludere che tale  parere  non  sia  stato
richiesto. 
    Il  suddetto  decreto  si  limita  ad  affermare  che  il   detto
amministratore giudiziario ha effettivamente svolto le attivita'  per
le quali ha chiesto il compenso e che tali attivita' vanno  liquidate
sulla base degli importi medi  indicati  dall'art.  3,  comma  3  del
decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n.  177,  (1)
calcolati sulla base dell'ammontare del «passivo  accertato»  pari  a
euro 651.336,20, risultando quale somma finale dovuta quella di  euro
1.940,92, come liquidata. 
    2.  Avverso  tale   assai   succinto   provvedimento,   l'odierno
ricorrente formulava i seguenti rilievi  (non  suddivisi  in  singoli
motivi di ricorso). 
    2.1. Premesso che l'art.  3,  comma  3,  della  "Tariffa",  cosi'
dispone: 
      «3. Quando l'amministratore giudiziario assiste il giudice  per
la verifica dei crediti e' inoltre  corrisposto,  sull'ammontare  del
passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19%  allo  0,94%
sui primi 81.131,38  euro  e  dallo  0,06%  allo  0,46%  sulle  somme
eccedenti tale cifra». 
    Ne consegue che, a seconda della nozione che  viene  adottata  in
relazione al concetto di «passivo accertato», l'importo del  compenso
subisce variazioni non indifferenti. 
    Orbene, afferma  il  ricorrente  che  il  medesimo  Tribunale  di
Latina, in precedenti occasioni,  aveva  adottato  quale  nozione  di
«passivo accertato», quella riferita non gia' ai soli crediti ammessi
senza riserva dal giudice delegato all'esito dell'udienza di verifica
dei crediti, bensi' quella riferita alle istanze di credito realmente
esaminate, indipendentemente dall'esito successivamente  ottenuto  in
sede di verifica da ciascuna di esse. 
    Asserisce il ricorrente che  tale  ultima  interpretazione  debba
ritenersi la  sola  giuridicamente  corretta  poiche'  l'utilizzo  di
vocaboli diversi da parte del legislatore attesta la voluntas legis: 
      «...  basta  guardare  all'aspetto  semantico   delle   parole,
accertare significa  controllare,  valutare,  esaminare,  verificare,
mentre ammettere significa tutt'altro,  cioe'  approvare,  concedere,
autorizzare.  Quindi  parole  e  significati  ben  distinti   e   mai
equivalenti, visto che i due termini non  sono  nemmeno  sinonimi...»
(cosi' nel ricorso). 
    Infatti, prosegue l'odierno ricorrente, l'art. 3, comma 3,  della
«Tariffa» e' formulato in relazione a quanto stabilito dall'art.  58,
comma  5-bis  del  «Codice   Antimafia»,   rubricato   «Domanda   del
creditore», che cosi' dispone: 
      «5-bis.  L'amministratore  giudiziario  esamina  le  domande  e
redige un progetto di stato passivo rassegnando le  proprie  motivate
conclusioni sull'ammissione o sull'esclusione di ciascuna domanda». 
    Dunque, l'attivita' richiesta all'amministratore giudiziario  non
e' riferita esclusivamente alle domande successivamente  ammesse  dal
magistrato, ma  e'  riferita  a  tutte  le  domande  di  insinuazione
avanzate dai creditori ed e' finalizzata appunto a fornire al giudice
delegato tutti gli elementi necessari per pervenire ad una  decisione
fondata sulla attenta analisi delle pretese creditorie  in  relazione
ai dati documentali ed obiettivi presenti agli atti del  procedimento
di prevenzione e non solo ai dati  (spesso  nemmeno  documentati,  ma
meramente assertivi) forniti dal creditore interessato. 
    Il provvedimento impugnato invece - lamenta il dr. E. R. - limita
in modo del tutto illogico  il  compenso  al  professionista  che  ha
analizzato  tutte  le  domande,  sia  quelle  ammesse,   sia   quelle
dichiarate inammissibili, alle sole  domande  dichiarate  ammissibili
senza  riserva,  come  se  l'analisi  delle  domande  poi  dichiarate
inammissibili, o ammesse con riserva, non fosse mai stata svolta. 
    Trattasi di conclusione che, sempre secondo il ricorrente,  lungi
dall'avere valore interpretativo, in realta' scrive una norma nuova e
diversa rispetto a quella voluta dal legislatore, con  cio'  attuando
un'attivita' preclusa alla giurisdizione. 
    Inoltre, cosi' facendo - prosegue il dr.  R.  -  si  perviene  al
risultato che il professionista, chiamato a verificare se  sussistano
le cause di esclusione previste dal  «Codice  Antimafia»,  ogni  qual
volta concludesse per la sussistenza delle stesse  si  troverebbe  in
pratica  ad   avere   svolto   un'attivita'   lavorativa   a   titolo
completamente gratuito, anche se, in ipotesi, si  fosse  trattato  di
attivita' particolarmente complessa e laboriosa. 
    Infatti,  l'analisi  delle   istanze   di   ammissione   richiede
l'effettuazione non solo di verifiche di tipo civilistico  (esistenza
del titolo, correttezza formale della domanda, validita' del titolo),
ma altresi' verifiche di tipo prettamente penalistico (lettura  delle
intercettazioni  telefoniche,  nonche'  delle  relazioni  di  polizia
giudiziaria, istruttorie bancarie,  conoscenza  di  persone  e  fatti
acquisita durante l'attivita' gestionale posta in  essere  nel  corso
della amministrazione giudiziaria per confortare la tesi del prestito
effettuato in buona fede al soggetto pericoloso e cosi' via). 
    Cio' comporta di fatto un continuativo  conflitto  di  interessi,
non voluto dal legislatore per ragioni autoevidenti. 
    Ed infatti, le cause  di  esclusione,  dettagliatamente  elencate
nell'odierno ricorso, sono le seguenti: 
      1. esclusione per confusione con i crediti  erariali  (art.  50
del «Codice Antimafia»): per effetto della confisca lo Stato  diviene
creditore e contemporaneamente debitore,  qualora  le  attivita'  del
soggetto inciso fossero gravate da debiti erariali; 
      2. esclusione per difetto di buona  fede  del  terzo  creditore
oppure in alternativa per la strumentalita' del credito all'attivita'
illecita (art. 52,  comma  1,  lettera  b  del  «Codice  Antimafia»):
trattasi di situazione che si verifica assai spesso per  ingentissimi
crediti  da  mutui  bancari,  chiesti  al  mero  fine  di  finanziare
l'attivita' illecita e concessi  senza  adeguato  approfondimento  in
ordine alle risorse per la restituzione del prestito; 
      3. esclusione per mancata escussione  di  beni  non  confiscati
rimasti nella disponibilita' del soggetto inciso (art. 52,  comma  1,
lettera a, del «Codice Antimafia»): se il proposto, anche  a  seguito
della confisca, e' rimasto proprietario di beni idonei  a  soddisfare
la pretesa creditoria, il credito non puo' essere ammesso perche'  il
creditore deve prima dimostrare di non poter  ottenere  soddisfazione
altrimenti; 
      4.  esclusione   per   mancata   dimostrazione   del   rapporto
fondamentale sotteso ai titoli di credito (art. 52, comma 1,  lettere
c e d del «Codice Antimafia»): non e' sufficiente  il  mero  possesso
del titolo, ma il creditore deve fornire prova obiettiva della  causa
che legittima tale possesso; 
      5. esclusione per riferimento  a  patrimoni  non  sottoposti  a
confisca  (art.  52,  comma  2  del  «Codice   Antimafia»):   qualora
l'amministratore giudiziario  abbia  constatato  che  il  credito  e'
riferito ad un patrimonio non sottoposto a  confisca,  deve  inserire
tale constatazione nella  proposta  motivata  da  lui  sottoposta  al
giudice delegato; 
      6. esclusione per decadenza  (art.  58,  comma  5  del  «Codice
Antimafia»): il giudice delegato stabilisce a pena  di  decadenza  il
termine per il deposito delle domande  di  ammissione  e  le  domande
depositate dopo tale termine (comunque non oltre un anno dal deposito
del decreto di  esecutivita'  dello  Stato  Passivo)  possono  essere
ammesse soltanto se il creditore provi di non aver potuto  presentare
la propria richiesta tempestivamente per causa a lui non imputabile; 
      7. esclusione per intervenuta prescrizione  del  credito  (art.
58, comma 4, del «Codice Antimafia»): la domanda  di  ammissione  non
interrompe infatti la prescrizione, ne impedisce la  maturazione  dei
termini di decadenza nei rapporti tra  creditore  e  soggetto  inciso
dalla misura di prevenzione. 
    Ogni domanda quindi richiede tale articolato tipo  di  vaglio,  a
cui poi segue l'ulteriore valutazione in  relazione  alla  congruita'
del credito richiesto (vi  sono  casi,  come  ad  esempio  i  crediti
condominiali, in cui il credito  richiesto  in  realta'  puo'  essere
ammesso solo in parte, e cioe' per il periodo in  cui  l'alloggio  e'
stato sottoposto a sequestro, mentre per il  periodo  antecedente  la
procedura non e' chiamata a rispondere del mancato  versamento  degli
oneri condominiali). 
    2.2.  Un'ulteriore  deduzione  svolta  nell'odierno  ricorso   e'
costituita dal fatto che il Tribunale pontino in  precedenti  decreti
di liquidazione del compenso emessi in favore di esso ricorrente  per
attivita' analoga (verifica dei crediti) svolta in altre procedura di
prevenzione, aveva seguito il corretto criterio normativo. 
    L'odierno ricorrente allegava  a  tal  fine,  solo  a  titolo  di
esempio, il provvedimento di liquidazione del 2 luglio 2021  riferito
alla procedura di prevenzione n. 31/2013  R.G.M.P.  (allegato  5)  ed
altresi' il  provvedimento  di  liquidazione  del  10  novembre  2021
riferito alla procedura di prevenzione n. 44/2010 R.G.M.P.  (allegato
6). 
    In entrambi i casi il Tribunale pontino  aveva  individuato  come
base di calcolo la cifra risultante  dalla  somma  delle  istanze  di
ammissione del credito e non gia' la  cifra  risultante  dalla  somma
delle  istanze  effettivamente  poi  ammesse  dal  giudice  delegato,
elemento quest'ultimo particolarmente evidente nel provvedimento  del
10 novembre 2021, riferito ad una  procedura  in  cui  nessuna  delle
istanze di ammissione era stata accolta (con la conseguenza quindi  -
secondo la prospettazione  del  ricorrente  -  che  la  cifra  totale
risultante dalla somma delle istanze  ammesse  era  pari  a  zero,  e
quindi se il Tribunale avesse seguito il medesimo  criterio  adottato
per la liquidazione  del  compenso  oggi  in  esame,  avrebbe  dovuto
liquidare in favore di esso ricorrente una cifra pari a zero (2) ). 
    Il ricorrente osservava  inoltre  che  il  totale  delle  domande
esaminate nel procedimento all'esito del quale  e'  stato  emesso  il
decreto del 10 novembre 2021, e' di oltre  mille  volte  inferiore  a
quello delle domande  esaminate  nel  presente  procedimento,  ma  il
compenso e' invece poco piu' del doppio: euro 797,70 per il primo (in
cui le domande esaminate furono relativamente poche),  euro  1.940,92
per quello odierno (in cui le  domande  esaminate  conducono  ad  una
richiesta totale di oltre un miliardo e trecento  milioni  di  euro),
risultato la cui incongruenza e' evidente. 
    2.3. Si doleva altresi' il dr. E. R. del  fatto  che  il  decreto
oggi impugnato non avesse disposto la corresponsione della prescritta
percentuale   a   titolo   di   contributo   previdenziale,   benche'
legislativamente stabilita, cosicche' egli avrebbe  dovuto  integrare
con  le  proprie  risorse  il  versamento  alla  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. 
    2.4.  Ulteriore  argomento  a  sostegno  dell'irrazionalita'  del
percorso  argomentativo   svolto   dal   Tribunale   pontino   veniva
prospettato dall'odierno ricorrente per il fatto che, qualora la base
del calcolo fosse stabilita esclusivamente  sulla  base  dei  crediti
ammessi  dal  giudice  delegato,  il  compenso   del   professionista
resterebbe di fatto impossibile da determinare, posto che il  «Codice
Antimafia» ha previsto la possibilita' del  creditore  estromesso  di
proporre opposizione (art. 59,  comma  6,  del  «Codice  Antimafia»),
nonche'  la   possibilita'   del   creditore   ammesso   di   opporsi
all'ammissione di altro creditore (ibidem), di talche', all'esito  di
tali sub-procedimenti, avrebbe potuto verificarsi  un  incremento  od
una  diminuzione  del   valore   totale   dei   crediti   ammessi   e
conseguentemente anche del compenso del professionista. 
    Nel caso di specie, erano  state  proposte  diverse  opposizioni,
che, se fossero tutte accolte dal Collegio, comporterebbero uno stato
passivo  ammesso  non  piu'  di  euro  651.336,00,  bensi'  di   euro
16.000.000,00,  con  la  conseguenza   che   l'odierna   liquidazione
diverrebbe palesemente lesiva dei diritti di esso professionista. 
    Proprio  per  tale  ragione  quindi  la   nozione   di   «passivo
accertato», conclude il dr. R., va intesa  come  riferita  al  lavoro
svolto sulle istanze presentate, indipendentemente dalle vicende  che
le stesse poi avranno all'esito dell'udienza di verifica dei  crediti
e delle successive eventuali opposizioni al decreto emesso  all'esito
di tale sub-procedimento. 
    Diversamente opinando, determinandosi quel conflitto di interessi
gia'  indicato  al  precedente  paragrafo  2.1.,  il   professionista
dovrebbe rinunciare all'incarico ai sensi dell'art. 23, comma  1  del
Codice Deontologico  della  professione  di  dottore  commercialista,
rubricato  «Rinuncia  all'incarico»  che  impone  di  non  proseguire
nell'incarico qualora sopravvengano circostanze o vincoli che possano
influenzare la liberta' di  giudizio  o  condizionare  l'operato  del
professionista. 
    Tale norma espressamente richiama, tra le  suddette  circostanze,
quella riferita al caso del  «mancato  pagamento  dei  suoi  onorari»
(cfr. copia della suddetta disposizione  all'allegato  7  all'odierno
ricorso). 
    Norma che fa da  contraltare  all'art.  9  del  suddetto  codice,
rubricato «Indipendenza», che impone al professionista di  non  porsi
mai in una situazione in cui egli si trovi in conflitto di  interessi
(ibidem) con il cliente. 
    2.5.  Conclusivamente,  quindi  il  dr.   E.   R.   chiedeva   la
liquidazione del proprio compenso sulla base del totale delle domande
di ammissione dei crediti, cosi' pervenendosi ad un importo medio  di
euro  3.386.189,73  (si  badi:  oltre  il  doppio  di   quanto   gia'
liquidatogli  all'esito  dell'attivita'  di  gestione  del  compendio
sequestrato) e comunque ad un importo non  inferiore  nel  minimo  ad
euro 781.476,77, oltre I.V.A. ed altresi'  contributo  previdenziale,
il tutto da porsi a carico del Pubblico Erario non sussistendo  nella
procedura, allo stato, liquidita' sufficienti. 
    3. All'udienza del 14 giugno 2022 si procedeva alla  discussione,
previa audizione del dr. E. R., come prescritto dal comma 7 dell'art.
42 del «Codice Antimafia», che illustrava  i  motivi  del  ricorso  e
precisava, a domanda della  Corte,  di  avere  gia'  percepito  quale
compenso per la propria opera di amministratore giudiziario  in  tale
procedura una somma lorda che si aggira intorno ad euro 1.200.000,00. 
    Si procedeva quindi alla discussione e le parti concludevano come
da verbale in atti, ma  all'esito  dell'approfondita  disamina  delle
questioni poste, il Collegio riteneva necessario sottoporre al vaglio
del Giudice delle leggi la questione di seguito  evidenziata,  previa
rifissazione dell'udienza e sospensione del procedimento. 
    3.1. Con memoria depositata in data 22 dicembre 2022, il  dr.  E.
R., a ministero degli avvocati  Raffaella  Romagnoli  e  Luca  Amedeo
Melegari del foro di Latina, rappresentava  la  propria  contrarieta'
alla sottoposizione alla  Corte  costituzionale  della  questione  in
esame, essendo sufficiente, a suo parere, un'opera interpretativa del
comma 3 dell'art. 3 della «Tariffa», basata su un  semplice  rilievo:
che anche a voler ritenere che effettivamente il legislatore  si  sia
ispirato  alla  normativa  concernente  il  compenso   del   curatore
fallimentare, tali disposizioni  sono  di  fatto  inapplicabili  alla
materia della verifica dei crediti nel procedimento  di  prevenzione,
perche' il criterio da seguire e' completamente diverso. 
    In  sintesi,  nella  materia  fallimentare  vi   e'   sostanziale
coincidenza - secondo quanto prospettato nella memoria  sopraindicata
-  tra  ammissione  ed  accertamento,  poiche'  l'unico  elemento  da
prendere in esame per l'ammissione allo stato passivo in tale sede e'
esclusivamente la materiale pendenza del  credito  al  momento  della
dichiarazione di fallimento. 
    Ben diversa, per quanto s'e' gia' detto, e' invece la valutazione
da svolgere in sede di  verifica  dei  crediti  nel  procedimento  di
prevenzione, dove il credito deve  essere  assistito  altresi'  dalla
buona fede del creditore e da tutti gli altri elementi  enumerati  al
superiore paragrafo 2.1. 
    Cio' e' tanto vero che, prendendo a riferimento  la  procedura  a
carico del P., in sede fallimentare i crediti ammessi sarebbero stati
pari ad euro 1.301.801.444, ossia il  99,9%  dei  crediti  esaminati,
mentre nella misura di prevenzione i crediti ammessi sono stati  solo
lo 0,05% dell'esaminato (euro 651.336.20). 
    Discende, secondo il ricorrente, l'impossibilita' di applicare in
ambito   prevenzionale   il   medesimo   criterio   di    valutazione
dell'attivita'   dell'amministratore   giudiziario   (e   quindi   di
calcolarne il compenso) utilizzato nella sede fallimentare. 
    Diversi  essendo  i  presupposti  legali  del  calcolo  di   tale
compenso,  segue  che  diversi  devono  essere  anche  i  criteri  da
applicarsi. 
    All'odierna udienza, infine, il detto  professionista  dichiarava
che, anche in considerazione della recentissima disposizione  di  cui
all'art. 4 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n.  2,  recante  «Misure
urgenti per impianti di interesse strategico  nazionale»,  in  vigore
dal 6 gennaio 2023, che fissa il tetto massimo di euro 500.000,00 per
i compensi agli amministratori giudiziari, avrebbe  ritenuto  congruo
anche un compenso inferiore al minimo  da  lui  stesso  indicato  nel
ricorso qui in commento. 
 
                            La questione 
 
    1. Deve rilevarsi che il disposto di  cui  all'art.  3,  comma  3
della «Tariffa» (richiamato e trascritto al superiore paragrafo  2.1)
ricalca parola per parola l'art. 1, comma 2 del  decreto  25  gennaio
2012, n. 30, recante l'adeguamento dei compensi spettanti ai curatori
fallimentari, che cosi' dispone: 
      «2. Al curatore  e'  inoltre  corrisposto,  sull'ammontare  del
passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19%  allo  0,94%
sui primi 81.131,38  euro  e  dallo  0,06%  allo  0,46%  sulle  somme
eccedenti tale cifra». 
    Discende che la  nozione  di  «passivo  accertato»  coincide  per
entrambe le norme. 
    Orbene, la giurisprudenza di legittimita' ha  chiarito  che  tale
nozione si riferisce - per quanto concerne il compenso  del  curatore
fallimentare - esclusivamente ai crediti ammessi senza riserva e  non
anche a quelli che, benche' sia stata presentata la relativa  istanza
di insinuazione, non sono stati ammessi, o  sono  stati  ammessi  con
riserva. 
    La disposizione sopracitata, peraltro, stabilisce che il compenso
del  curatore  deve  essere  calcolato  prima  di  tutto  sulla  base
dell'ammontare dell'attivo  realizzato,  secondo  gli  scaglioni  ivi
stabiliti, poi  a  tale  compenso  dev'essere  altresi'  aggiunto  il
compenso supplementare sul passivo accertato come sopra indicato. 
    Qualora, in ipotesi,  non  sia  stato  realizzato  alcun  attivo,
resterebbe il compenso supplementare sul passivo accertato. 
    Se tuttavia anche quest'ultimo fosse  pari  a  zero  (ad  esempio
perche' tutte le  istanze  di  ammissione  fossero  state  rigettate)
resterebbe comunque la previsione di cui all'art. 4  del  decreto  25
gennaio 2012, n. 30,  secondo  il  quale  il  compenso  liquidato  al
curatore non puo' mai essere inferiore, nel suo complesso, alla somma
di euro 811,35. 
    Ancora una volta, si rileva un'assoluta sovrapponibilita' di tale
disposizione a quella che  regola  i  compensi  degli  amministratori
giudiziari. 
    Infatti l'art. 3, comma 5  della  «Tariffa»,  stabilisce  che  il
compenso liquidato a norma della detta disposizione non  puo'  essere
inferiore, nel suo complesso, ad euro 811,35. 
    Persino la sequenza dei vocaboli e' identica. 
    Quindi e' pacifico  che  la  normativa  in  questione  ha  tratto
ispirazione da quella relativa al compenso da liquidarsi ai  curatori
fallimentari. 
    Come s'e'  detto  poc'anzi,  la  giurisprudenza  di  legittimita'
concernente  tale  materia,  chiarisce  che  la  nozione  di  passivo
accertato  e'  riferita  esclusivamente  ai  crediti  ammessi   senza
riserva. 
    Si puo' menzionare sul punto ad  esempio  l'ordinanza  emessa  da
Cassazione Civ. Sez. 1ª,  n.  15168  del  2021,  ricorrente  societa'
«Visconti» s.r.l. (3) in una vicenda in cui era  stato  impugnato  il
decreto di liquidazione del compenso ai curatori (tre  professionisti
in tutto) emesso dal Tribunale in una procedura fallimentare. 
    Tra i motivi di censura,  vi  era  altresi'  il  rilievo  che  il
passivo era stato calcolato includendo altresi' i crediti ammessi con
riserva e quelli oggetto di opposizione  pendente,  in  quanto  erano
stati previsti degli accantonamenti finalizzati proprio a  soddisfare
tali pretese ereditarie, nel  caso  fossero  risultate  fondate.  Gli
unici crediti esclusi dal calcolo  del  passivo  totale  erano  stati
pertanto solo  quelli  che  nel  frattempo  erano  stati  oggetto  di
rinuncia. 
    La Suprema Corte, in accoglimento  di  tale  motivo  di  ricorso,
rilevava l'erroneita' di tale inclusione, sia pure ai soli  fini  del
calcolo del compenso del curatore fallimentare, in quanto la  nozione
di «creditori contestati» doveva ritenersi limitata a quei  creditori
che, gia'  ammessi  al  passivo,  erano  stati  contestati  da  altri
creditori concorrenti oppure dal medesimo curatore,  poiche'  costoro
avevano comunque gia' conseguito l'ammissione  del  proprio  credito,
seppure In modo non definitivo. 
    Per contro, i creditori non  ammessi  ed  opponenti  non  avevano
facolta' di opporsi, ad esempio, neppure al concordato  fallimentare,
perche' nei loro confronti mancava la previa ammissione del  credito,
di talche' la parificazione di tali situazioni (quella del  creditore
non ammesso che  ha  proposto  opposizione  e  quella  del  creditore
ammesso  contro  il  quale  altro  creditore  abbia   sollevato   una
contestazione) risulta irrazionale» (ibidem). 
    Peraltro, conclude tale  pronuncia,  il  fatto  che  il  comma  2
dell'art. 2 del ripetuto decreto ministeriale n. 30 del 2012 -  norma
che disciplina il compenso dovuto al curatore  nel  caso  in  cui  il
fallimento si chiuda  con  un  concordato  -  faccia  riferimento  al
precedente art. 1 comma 2, chiarisce che la disposizione si riferisce
al solo «passivo accertato» inteso come complesso  dei  soli  crediti
ammessi: 
      «18. In ogni caso, l'art. 2, comma 2, decreto  ministeriale  n.
30 del 2012, nell'operare il riferimento, per il computo sul  passivo
fallimentare ai  fini  di  liquidare  il  compenso  al  curatore,  al
precedente art. 1, comma 2, inequivocabilmente ha riguardo al passivo
accertato,  nozione  gia'  testualmente  compatibile  solo  con   una
statuizione  giudiziale  di  pieno  riscontro  del   credito   (Cass.
4751/2000 (4) )...» (cosi' Cassazione Civ. n. 15168 del 2021 cit.). 
      1.2. Orbene, osserva la Corte quanto di seguito. 
    1.2.1. Non v'e'  dubbio  che  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 7 ottobre 2015, n.  177  costituisca  nulla  piu'  che  un
regolamento e, come tale, trattandosi di fonte normativa  secondaria,
non puo' essere sottoposto al vaglio del giudice delle leggi. 
    Va tuttavia rilevato che tale regolamento e' stato redatto  sulla
base delle indicazioni contenute nell'art. 8 del decreto  Legislativo
4 febbraio 2010, n.  14,  rubricato  per  l'appunto  «Compensi  degli
amministratori giudiziari». 
    In tale norma non compare, in realta',  alcuna  voce  concernente
l'opera svolta dall'amministratore giudiziario in ausilio al  giudice
delegato, qualora quest'ultimo, invece di provvedere da se' al vaglio
di ciascuna istanza di ammissione al passivo, al fine della  verifica
dei crediti, chieda assistenza al suddetto professionista  (di  norma
il medesimo che e' stato incaricato di  gestire  ed  amministrare  il
compendio sequestrato e poi confiscato), di talche', in  realta',  il
comma 3 dell'art. 3 della «Tariffa» e' da  ritenersi  inserito  fuori
delega e quindi, a rigore, questa Corte dovrebbe disapplicarlo. 
    Tale  disapplicazione,  tuttavia,  comporterebbe  altresi',  come
conseguenza, l'impossibilita' di liquidare un qualsiasi compenso  per
un'attivita' che comunque e' stata prestata e che  ha  condotto,  nel
caso di  specie,  a  ridurre  i  crediti  ammessi  a  solamente  euro
651.336,20, a fronte delle istanze di ammissione  per  un  totale  di
oltre un miliardo e trecento milioni di euro. 
    Infatti, anche  nell'ipotesi  in  cui  potesse  individuarsi  una
qualche norma di riferimento per  attivita'  similari,  tratterebbesi
comunque di norma di stretta interpretazione, come tutte  quelle  che
vanno ad incidere  sulla  liquidazione  dei  compensi  per  un  munus
publicum  come  quello  svolto  dall'amministratore  giudiziario  che
assiste  il  giudice  delegato  durante  l'udienza  di  verifica  dei
crediti. 
    Tale vuoto normativa, pertanto, non puo' essere  colmato  nemmeno
in via di  estensione  analogica  con  altre  norme,  neppure  quelle
concernenti  la  liquidazione  del  curatore  fallimentare,  la   cui
verifica, anche se avente ad oggetto  il  vaglio  delle  istanze  dei
creditori di ammissione al passivo, e' molto diversa  da  quella  che
deve svolgere l'amministratore giudiziario. 
    Tale  conseguenza  risulta  in  contrasto  con  l'art.  36  della
Costituzione al quale si fa qui  riferimento  per  come  chiarito  da
condivisibile dottrina richiamata da Sez. Unite Civili n.  13721  del
2017, in causa Manganiello vs. Ministero della giustizia, dove  viene
in esame il compenso al Giudice di pace, per  il  quale,  esclusa  la
sinallagmaticita' della retribuzione (tipica del rapporto di pubblico
impiego, implicante la subordinazione del dipendente), resta tuttavia
pacifica   l'assimilazione   ai   redditi   da   lavoro    dipendente
dell'indennita' corrisposta a tale attivita' onoraria. 
    Ad analoga conclusione e' pervenuta la Corte costituzionale, come
tra breve si dira', con riferimento  al  compenso  da  liquidarsi  in
favore  dell'ausiliario  del  giudice  (e   non   v'e'   dubbio   che
l'amministratore giudiziario, soprattutto quando assiste  il  giudice
nell'udienza di verifica dei crediti, sia per l'appunto un ausiliario
del magistrato). 
    1.2.2. Va poi rilevato che la funzione di ausilio  al  magistrato
da   parte   dell'Amministratore   giudiziario   e'   resa   evidente
dall'espressa  previsione  del  comma  1  dell'art.  59  del  «Codice
Antimafia» che cosi' recita: 
      «1. All'udienza fissata per la verifica dei crediti il  giudice
delegato, con l'assistenza dell'amministratore giudiziario e  con  la
partecipazione facoltativa  del  pubblico  ministero,  assunte  anche
d'ufficio le opportune informazioni, verifica le  domande,  indicando
distintamente i crediti che ritiene  di  ammettere,  con  indicazione
delle eventuali cause di prelazione, e  quelli  che  ritiene  di  non
ammettere, in tutto o in  parte,  esponendo  succintamente  i  motivi
dell'esclusione». 
    Trattasi di funzione molto importante nella materia prevenzionale
per  impedire  che  il  proposto,  attinto  da  misura   patrimoniale
definitiva,  possa  tornare  in  possesso  delle  proprie   ricchezze
attraverso i cosiddetti «creditori di comodo», vale a dire attraverso
terzi fittiziamente interposti che chiedono  di  ottenere  l'indebita
restituzione (apparentemente in loro favore, ma di fatto in mani  del
prevenuto) del compendio confiscato. 
    Si aggiunga poi che devono essere altresi' estromessi i terzi che
si'  sono  prestati,  consapevolmente  o  per  grave  negligenza,  al
finanziamento delle attivita' di soggetti pericolosi, per cui l'opera
di assistenza al giudice delegato che deve formare lo  stato  passivo
della procedura di prevenzione, si prospetta come fondamentale  nella
procedura di prevenzione, cosi' come quella di gestione dei patrimoni
sequestrati. 
    Orbene, la mancata previsione nell'art. 8 del decreto legislativo
4 febbraio 2010, n. 14, contrasta con l'art.  54  (per  quanto  sopra
esposto), ma, ove non  si  riconoscesse  tale  contrasto,  resterebbe
comunque quello  con  l'art.  36  della  costituzione,  che  parrebbe
evocato, sia pure in controluce, nell'ordinanza n. 306 del 2012 della
Corte costituzionale (5) , pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 51 del
27 dicembre 2012, in realta' attinente ad altra questione, dichiarata
infondata, riferita all'art. 71, comma 2, del decreto del  Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115  (recante  il  «Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia»), sollevata, in relazione all'art. 3  della  Costituzione,
dal Tribunale ordinario di Sondrio. 
    Infatti  in  tale  provvedimento  vi  e'  un  inciso  -  riferito
all'indennita' da liquidarsi in favore dell'ausiliario del Giudice  -
che da' per scontato il fatto che il diritto a tale indennita'  altro
non sia che il diritto alla retribuzione per il lavoro prestato. 
    Ed infatti, il Giudice delle leggi cosi'  si  e'  espresso:  «[il
termine di decadenza di 100 giorni non e' incompatibile con la tutela
dei diritti], anche laddove essi siano, come  nel  caso  del  diritto
alla retribuzione  per  il  lavoro  prestato,  sorretti  da  garanzia
costituzionale». 
    Quindi, vi sarebbe anche una natura lato  sensu  retributiva  del
compenso da liquidarsi  all'amministratore  giudiziario,  che  svolge
anche esso funzioni di ausilio al Giudice, esattamente come i periti,
gli interpreti e in generale gli esperti nominati all'interno di  una
procedura   giudiziaria   per   fornire   un'opera    di    carattere
tecnico-professionale. 
    2. Chiarito quindi che la norma regolamentare e'  stata  inserita
senza alcuna legittimazione normativa, resta pero' la  necessita'  di
stabilire una qualche regola di liquidazione di un compenso equo  per
l'opera di assistenza svolta dall'amministratore giudiziario in  sede
di verifica dei crediti. 
    L'importanza e le  finalita'  della  procedura  di  verifica  dei
crediti  nell'ambito  della  procedura  di  prevenzione,  sono  state
sottolineate  dalla  stessa  Corte  costituzionale  in  due  distinte
sentenze. 
    La prima, vale a dire la  sentenza  n.  94  del  2015  (6)  ,  ha
specificato come la disciplina di cui agli artt. 52  ss.  «per  opera
sua rappresent[i] il frutto del bilanciamento legislativo tra  ;  due
interessi che in materia si contrappongono: da un  lato,  l'interesse
dei creditori del proposto a non  veder  improvvisamente  svanire  la
garanzia patrimoniale sulla  cui  base  avevano  concesso  credito  o
effettuato   prestazioni;   dall'altro,   l'interesse   pubblico   ad
assicurare l'effettivita' della misura di prevenzione patrimoniale  e
il raggiungimento delle sue finalita',  consistenti  nel  privare  il
destinatario dei risultati economici dell'attivita' illecita». 
    La seconda, vale a  dire  la  sentenza  n.  26  del  2019  (7)  ,
riprendendo tale analisi, ha affermato che  «la  giusta  esigenza  di
evitare manovre collusive con il debitore sottoposto  a  procedimento
di prevenzione - manovre in ipotesi finalizzate a porre in salvo  una
parte  dei  suoi  beni  dalla  prospettiva  del  sequestro  e   della
successiva confisca - puo' [ ... ] essere soddisfatta  attraverso  la
verifica [ ... ]  delle  condizioni  gia'  imposte  in  via  generale
dall'art.  52  del  decreto  legislativo  n.  159  del  2011  per  il
soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi». 
    2.1. Pacifica essendo quindi l'importanza di una corretta analisi
delle istanze di ammissione dei creditori del proposto,  al  fine  di
non vanificare di fatto la misura patrimoniale ablatori a,  deve  poi
osservarsi che non sembra conforme ad equita' il  criterio  che  trae
ispirazione dalla procedura fallimentare, per la  quale  si  richiede
tutt'altro tipo di valutazioni, molto piu' semplici, tali per cui  il
professionista si deve limitare semplicemente a valutare la validita'
formale del titolo sulla base del quale viene chiesta l'ammissione al
passivo. 
    Nel  caso  delle  misure  di  prevenzione,   parrebbe   opportuno
individuare un criterio basato sul numero delle istanze presentate  e
sul valore dei crediti analizzati, anziche' sul  valore  dei  crediti
ammessi senza riserva. 
    Cio' per  evitare  che  il  professionista  operi  in  potenziale
conflitto di interessi  con  l'incarico  svolto,  posto  che  il  suo
compenso in tal modo finisce di fatto per essere tanto piu'  cospicuo
quanti piu' sono i crediti ammessi senza riserva, perche' tanto  piu'
egli segnalera' tali situazioni di inammissibilita',  tanto  piu'  si
ridurra' il suo compenso per l'opera prestata. 
    3. Conclusivamente, ritiene questa Corte di merito, per tutte  le
ragioni fin qui svolte, che si ponga una  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo 4  febbraio  2010,
n.  14,  rubricato  per  l'appunto  «Compensi  degli   amministratori
giudiziari», in ragione dell'omessa previsione  di  un  compenso  per
l'attivita'   di    assistenza    al    giudice    delegato    svolta
dall'amministratore giudiziario nel corso  dell'udienza  di  verifica
dei  crediti  nelle  procedure  di  prevenzione   patrimoniale,   per
contrasto con gli articoli 54 e 36 della Costituzione, che  non  puo'
essere  risolta,   come   vorrebbe   il   ricorrente,   puramente   e
semplicemente con un'opera interpretativa da parte  del  Collegio  di
merito. 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    1. Per quanto riguarda la rilevanza  della  questione  sollevata,
osserva questa Corte territoriale che non vi sono altre  possibilita'
per pervenire ad una decisione sull'impugnazione proposta dal dr.  E.
R., se non quella di sottoporre la questione al Giudice delle  leggi,
che potra' valutare  se  la  norma  sia  effettivamente  conforme  al
dettato costituzionale. 

(1) recante «Disposizioni  in  materia  di  modalita'  di  calcolo  e
    liquidazione  dei  compensi   degli   amministratori   giudiziari
    iscritti nell'albo di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010,
    n. 14» (d'ora innanzi, per brevita', solo «Tariffa») 

(2) trattasi di deduzione palesemente infondata  perche',  come  s'e'
    visto ante, al superiore paragrafo 1., l'art. 3,  comma  5  della
    «Tariffa» stabilisce che il  compenso  liquidato  a  norma  della
    detta  disposizione  non  puo'  mai  essere  inferiore,  nel  suo
    complesso, ad euro 811,35. 

(3) Presidente  Francesco  Antonio  Genovese,  Consigliere  estensore
    Massimo Ferro 

(4) pronuncia quest'ultima in cui la Corte di cassazione  ha  accolto
    il ricorso avverso il decreto di liquidazione  del  compenso  del
    curatore fallimentare perche' era stato incluso nel passivo anche
    un  credito  dell'Ufficio  I.V.A.  non  ammesso  ed  oggetto   di
    opposizione. 

(5) Presidente  Alfonso  Quaranta,  Giudice  estensore  Paolo   Maria
    Napolitano 

(6) Presidente  Alessandro  Criscuolo,  Giudice  estensore   Giuseppe
    Frigo. 

(7) Presidente Giorgio Lattanzi, Giudice estensore Francesco Vigano'. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    dichiara  d'ufficio  rilevante  nel  presente  giudizio   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 8 del decreto legislativo  4  febbraio  2010,  n.  14,  per
contrasto con gli articoli 36 e 54 della Costituzione nella parte  in
cui nulla prevede per il compenso  da  liquidarsi  all'amministratore
giudiziario che abbia  assistito  il  giudice  per  la  verifica  dei
crediti nelle procedure di prevenzione patrimoniale e, per l'effetto; 
    sospende il giudizio; 
    dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai  Presidenti  del  Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati; 
    ordina l'immediata trasmissione alla Corte  costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme  con  la  prova
delle comunicazioni e notificazioni di cui al precedente disposto. 
    Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito. 
      Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del  giorno  10
gennaio 2023 
 
                       Il Presidente: Amadori 
 
 
                               I consiglieri: Morgigni - Bonavolonta'