N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2023
Ordinanza del 18 gennaio 2023 della Corte d'appello di Roma sull'istanza proposta da E. R.. Spese di giustizia - Compensi degli amministratori giudiziari - Compenso dell'amministratore giudiziario che abbia assistito il giudice per la verifica dei crediti nelle procedure di prevenzione patrimoniale - Denunciata omessa previsione di una specifica disciplina. - Decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 (Istituzione dell'Albo degli amministratori giudiziari, a norma dell'articolo 2, comma 13, della legge 15 luglio 2009, n. 94), art. 8.(GU n.8 del 22-2-2023 )
CORTE D'APPELLO DI ROMA Sezione quarta penale Ordinanza di sospensione del procedimento e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87) La Corte, riunita in camera di consiglio e composta dai signori magistrati: dott.ssa Franca Amadori - Presidente; dott. Aldo Morgigni - consigliere; dott.ssa Gabriella Bonavolonta' - consigliere; Letti gli atti relativi al procedimento iscritto nel registro delle istanze di prevenzione al n. 27/2022, concernente l'impugnazione da parte dell'amministratore giudiziario dr. E. R. del decreto di liquidazione del 27 giugno 2022 emesso in suo favore per l'attivita' di accertamento ed assistenza all'udienza di verifica dei crediti nella procedura di prevenzione n. 1/2013 R.G. Misure di Prevenzione del Tribunale di Latina, definita con pronuncia di primo grado emessa in data 16 aprile 2015, irrevocabile in data 28 aprile 2017, con la quale veniva applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di anni tre, nonche' la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, a carico di .P. F., nato a... (comune in Provincia di Roma), il giorno... Visti i seguenti atti: a) il provvedimento emesso dal Tribunale di Latina, Sezione Penale - Misure di Prevenzione, in data 27 giugno 2022 (depositato in pari data), notificato all'amministratore giudiziario dr. E. R. in data 28 giugno 2022 a mezzo PEC, di liquidazione del compenso per l'opera svolta per l'attivita' di accertamento ed assistenza all'udienza di verifica dei crediti, quantificato nella somma complessiva di euro 1.940,92, oltre I.V.A., senza contributo per la Cassa previdenziale; b) l'istanza (in realta', trattasi di ricorso), depositata in data 15 luglio 2022, con la quale l'indicato professionista, nella qualita' di amministratore giudiziario nell'anzidetta procedura di prevenzione, impugnava, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 42 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (d'ora innanzi, per brevita', solo «Codice Antimafia») il provvedimento collegiale di cui al punto che precede. Rilevato quanto di seguito 1. In sintesi, il detto professionista si lamenta del fatto che il compenso a lui liquidato e' estremamente riduttivo, soprattutto in relazione alle liquidazioni gia' ottenute per precedenti prestazioni di analogo contenuto in altri procedimenti di prevenzione davanti al medesimo Tribunale di Latina, nei quali tale ufficio aveva applicato regole diverse da quelle adottate invece nella liquidazione oggi impugnata. 1.2. La procedura di prevenzione in esame, secondo quanto si legge nell'odierno ricorso, ha avuto notevole impatto mediatico ed ha comportato la gestione di un imponente compendio costituito da beni immobili, societa', partecipazioni azionarie e quant'altro: «L'attivita' del professionista si e' svolta nell'ambito della procedura n. 1/13 R.G.M.P. - misura particolarmente complessa e di notevoli dimensioni (e' stata la procedura giudiziaria piu' grande della storia del Tribunale di Latina), come attestato dai numerosi articoli di quotidiani, anche nazionali, allegati all'istanza di liquidazione del compenso che per completezza qui si allega (allegato 2) - giunta in confisca definitiva» (cosi' si esprime il ricorrente nel proprio ricorso). In effetti, l'allegato n. 2 del ricorso e' costituito dalla copia di una serie di articoli di quotidiani anche di rilievo nazionale che si riferiscono al procedimento a carico del P. In particolare: - - - Ovviamente - prosegue il ricorrente - dato un simile compendio, anche la procedura di verifica dei crediti e' stata alquanto laboriosa, numerosi essendo i creditori - asseritamente in buona fede - che chiedevano di poter ottenere soddisfazione del proprio credito. In ordine a tali richieste, esso ricorrente aveva quindi svolto le seguenti attivita': a) aveva esaminato tutte le domande presentate dai creditori per un valore complessivo di oltre un miliardo e trecento milioni di euro e precisamente di euro 1.302.285.495,04 (unmiliardotrecentoduemilioniduecentottantacinquemilaquattrocentonova ntacinque/04) b) per ciascuna domanda esso ricorrente aveva esaminato tutti i documenti allegati al fine di verificare la correttezza e completezza degli stessi; c) inoltre aveva controllato per ciascuna domanda che non sussistessero le cause di esclusione dell'ammissione del credito espressamente previste dal «Codice Antimafia», per lo piu' caratterizzate da elementi di interesse penalistico; d) da ultimo, per ciascuna domanda aveva formulato la propria argomentata proposta di ammissione ovvero di esclusione, inserendola infine nel progetto di stato passivo sottoposto al giudice delegato e trasfuso nello stato passivo esecutivo (cfr. allegato 3 all'odierno ricorso). 1.3. Il decreto di liquidazione oggi impugnato consta di poche righe in cui peraltro non viene menzionato il parere del Pubblico Ministero sulla richiesta di compenso avanzata dal Dr. E. R., di talche' parrebbe potersi concludere che tale parere non sia stato richiesto. Il suddetto decreto si limita ad affermare che il detto amministratore giudiziario ha effettivamente svolto le attivita' per le quali ha chiesto il compenso e che tali attivita' vanno liquidate sulla base degli importi medi indicati dall'art. 3, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177, (1) calcolati sulla base dell'ammontare del «passivo accertato» pari a euro 651.336,20, risultando quale somma finale dovuta quella di euro 1.940,92, come liquidata. 2. Avverso tale assai succinto provvedimento, l'odierno ricorrente formulava i seguenti rilievi (non suddivisi in singoli motivi di ricorso). 2.1. Premesso che l'art. 3, comma 3, della "Tariffa", cosi' dispone: «3. Quando l'amministratore giudiziario assiste il giudice per la verifica dei crediti e' inoltre corrisposto, sull'ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra». Ne consegue che, a seconda della nozione che viene adottata in relazione al concetto di «passivo accertato», l'importo del compenso subisce variazioni non indifferenti. Orbene, afferma il ricorrente che il medesimo Tribunale di Latina, in precedenti occasioni, aveva adottato quale nozione di «passivo accertato», quella riferita non gia' ai soli crediti ammessi senza riserva dal giudice delegato all'esito dell'udienza di verifica dei crediti, bensi' quella riferita alle istanze di credito realmente esaminate, indipendentemente dall'esito successivamente ottenuto in sede di verifica da ciascuna di esse. Asserisce il ricorrente che tale ultima interpretazione debba ritenersi la sola giuridicamente corretta poiche' l'utilizzo di vocaboli diversi da parte del legislatore attesta la voluntas legis: «... basta guardare all'aspetto semantico delle parole, accertare significa controllare, valutare, esaminare, verificare, mentre ammettere significa tutt'altro, cioe' approvare, concedere, autorizzare. Quindi parole e significati ben distinti e mai equivalenti, visto che i due termini non sono nemmeno sinonimi...» (cosi' nel ricorso). Infatti, prosegue l'odierno ricorrente, l'art. 3, comma 3, della «Tariffa» e' formulato in relazione a quanto stabilito dall'art. 58, comma 5-bis del «Codice Antimafia», rubricato «Domanda del creditore», che cosi' dispone: «5-bis. L'amministratore giudiziario esamina le domande e redige un progetto di stato passivo rassegnando le proprie motivate conclusioni sull'ammissione o sull'esclusione di ciascuna domanda». Dunque, l'attivita' richiesta all'amministratore giudiziario non e' riferita esclusivamente alle domande successivamente ammesse dal magistrato, ma e' riferita a tutte le domande di insinuazione avanzate dai creditori ed e' finalizzata appunto a fornire al giudice delegato tutti gli elementi necessari per pervenire ad una decisione fondata sulla attenta analisi delle pretese creditorie in relazione ai dati documentali ed obiettivi presenti agli atti del procedimento di prevenzione e non solo ai dati (spesso nemmeno documentati, ma meramente assertivi) forniti dal creditore interessato. Il provvedimento impugnato invece - lamenta il dr. E. R. - limita in modo del tutto illogico il compenso al professionista che ha analizzato tutte le domande, sia quelle ammesse, sia quelle dichiarate inammissibili, alle sole domande dichiarate ammissibili senza riserva, come se l'analisi delle domande poi dichiarate inammissibili, o ammesse con riserva, non fosse mai stata svolta. Trattasi di conclusione che, sempre secondo il ricorrente, lungi dall'avere valore interpretativo, in realta' scrive una norma nuova e diversa rispetto a quella voluta dal legislatore, con cio' attuando un'attivita' preclusa alla giurisdizione. Inoltre, cosi' facendo - prosegue il dr. R. - si perviene al risultato che il professionista, chiamato a verificare se sussistano le cause di esclusione previste dal «Codice Antimafia», ogni qual volta concludesse per la sussistenza delle stesse si troverebbe in pratica ad avere svolto un'attivita' lavorativa a titolo completamente gratuito, anche se, in ipotesi, si fosse trattato di attivita' particolarmente complessa e laboriosa. Infatti, l'analisi delle istanze di ammissione richiede l'effettuazione non solo di verifiche di tipo civilistico (esistenza del titolo, correttezza formale della domanda, validita' del titolo), ma altresi' verifiche di tipo prettamente penalistico (lettura delle intercettazioni telefoniche, nonche' delle relazioni di polizia giudiziaria, istruttorie bancarie, conoscenza di persone e fatti acquisita durante l'attivita' gestionale posta in essere nel corso della amministrazione giudiziaria per confortare la tesi del prestito effettuato in buona fede al soggetto pericoloso e cosi' via). Cio' comporta di fatto un continuativo conflitto di interessi, non voluto dal legislatore per ragioni autoevidenti. Ed infatti, le cause di esclusione, dettagliatamente elencate nell'odierno ricorso, sono le seguenti: 1. esclusione per confusione con i crediti erariali (art. 50 del «Codice Antimafia»): per effetto della confisca lo Stato diviene creditore e contemporaneamente debitore, qualora le attivita' del soggetto inciso fossero gravate da debiti erariali; 2. esclusione per difetto di buona fede del terzo creditore oppure in alternativa per la strumentalita' del credito all'attivita' illecita (art. 52, comma 1, lettera b del «Codice Antimafia»): trattasi di situazione che si verifica assai spesso per ingentissimi crediti da mutui bancari, chiesti al mero fine di finanziare l'attivita' illecita e concessi senza adeguato approfondimento in ordine alle risorse per la restituzione del prestito; 3. esclusione per mancata escussione di beni non confiscati rimasti nella disponibilita' del soggetto inciso (art. 52, comma 1, lettera a, del «Codice Antimafia»): se il proposto, anche a seguito della confisca, e' rimasto proprietario di beni idonei a soddisfare la pretesa creditoria, il credito non puo' essere ammesso perche' il creditore deve prima dimostrare di non poter ottenere soddisfazione altrimenti; 4. esclusione per mancata dimostrazione del rapporto fondamentale sotteso ai titoli di credito (art. 52, comma 1, lettere c e d del «Codice Antimafia»): non e' sufficiente il mero possesso del titolo, ma il creditore deve fornire prova obiettiva della causa che legittima tale possesso; 5. esclusione per riferimento a patrimoni non sottoposti a confisca (art. 52, comma 2 del «Codice Antimafia»): qualora l'amministratore giudiziario abbia constatato che il credito e' riferito ad un patrimonio non sottoposto a confisca, deve inserire tale constatazione nella proposta motivata da lui sottoposta al giudice delegato; 6. esclusione per decadenza (art. 58, comma 5 del «Codice Antimafia»): il giudice delegato stabilisce a pena di decadenza il termine per il deposito delle domande di ammissione e le domande depositate dopo tale termine (comunque non oltre un anno dal deposito del decreto di esecutivita' dello Stato Passivo) possono essere ammesse soltanto se il creditore provi di non aver potuto presentare la propria richiesta tempestivamente per causa a lui non imputabile; 7. esclusione per intervenuta prescrizione del credito (art. 58, comma 4, del «Codice Antimafia»): la domanda di ammissione non interrompe infatti la prescrizione, ne impedisce la maturazione dei termini di decadenza nei rapporti tra creditore e soggetto inciso dalla misura di prevenzione. Ogni domanda quindi richiede tale articolato tipo di vaglio, a cui poi segue l'ulteriore valutazione in relazione alla congruita' del credito richiesto (vi sono casi, come ad esempio i crediti condominiali, in cui il credito richiesto in realta' puo' essere ammesso solo in parte, e cioe' per il periodo in cui l'alloggio e' stato sottoposto a sequestro, mentre per il periodo antecedente la procedura non e' chiamata a rispondere del mancato versamento degli oneri condominiali). 2.2. Un'ulteriore deduzione svolta nell'odierno ricorso e' costituita dal fatto che il Tribunale pontino in precedenti decreti di liquidazione del compenso emessi in favore di esso ricorrente per attivita' analoga (verifica dei crediti) svolta in altre procedura di prevenzione, aveva seguito il corretto criterio normativo. L'odierno ricorrente allegava a tal fine, solo a titolo di esempio, il provvedimento di liquidazione del 2 luglio 2021 riferito alla procedura di prevenzione n. 31/2013 R.G.M.P. (allegato 5) ed altresi' il provvedimento di liquidazione del 10 novembre 2021 riferito alla procedura di prevenzione n. 44/2010 R.G.M.P. (allegato 6). In entrambi i casi il Tribunale pontino aveva individuato come base di calcolo la cifra risultante dalla somma delle istanze di ammissione del credito e non gia' la cifra risultante dalla somma delle istanze effettivamente poi ammesse dal giudice delegato, elemento quest'ultimo particolarmente evidente nel provvedimento del 10 novembre 2021, riferito ad una procedura in cui nessuna delle istanze di ammissione era stata accolta (con la conseguenza quindi - secondo la prospettazione del ricorrente - che la cifra totale risultante dalla somma delle istanze ammesse era pari a zero, e quindi se il Tribunale avesse seguito il medesimo criterio adottato per la liquidazione del compenso oggi in esame, avrebbe dovuto liquidare in favore di esso ricorrente una cifra pari a zero (2) ). Il ricorrente osservava inoltre che il totale delle domande esaminate nel procedimento all'esito del quale e' stato emesso il decreto del 10 novembre 2021, e' di oltre mille volte inferiore a quello delle domande esaminate nel presente procedimento, ma il compenso e' invece poco piu' del doppio: euro 797,70 per il primo (in cui le domande esaminate furono relativamente poche), euro 1.940,92 per quello odierno (in cui le domande esaminate conducono ad una richiesta totale di oltre un miliardo e trecento milioni di euro), risultato la cui incongruenza e' evidente. 2.3. Si doleva altresi' il dr. E. R. del fatto che il decreto oggi impugnato non avesse disposto la corresponsione della prescritta percentuale a titolo di contributo previdenziale, benche' legislativamente stabilita, cosicche' egli avrebbe dovuto integrare con le proprie risorse il versamento alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. 2.4. Ulteriore argomento a sostegno dell'irrazionalita' del percorso argomentativo svolto dal Tribunale pontino veniva prospettato dall'odierno ricorrente per il fatto che, qualora la base del calcolo fosse stabilita esclusivamente sulla base dei crediti ammessi dal giudice delegato, il compenso del professionista resterebbe di fatto impossibile da determinare, posto che il «Codice Antimafia» ha previsto la possibilita' del creditore estromesso di proporre opposizione (art. 59, comma 6, del «Codice Antimafia»), nonche' la possibilita' del creditore ammesso di opporsi all'ammissione di altro creditore (ibidem), di talche', all'esito di tali sub-procedimenti, avrebbe potuto verificarsi un incremento od una diminuzione del valore totale dei crediti ammessi e conseguentemente anche del compenso del professionista. Nel caso di specie, erano state proposte diverse opposizioni, che, se fossero tutte accolte dal Collegio, comporterebbero uno stato passivo ammesso non piu' di euro 651.336,00, bensi' di euro 16.000.000,00, con la conseguenza che l'odierna liquidazione diverrebbe palesemente lesiva dei diritti di esso professionista. Proprio per tale ragione quindi la nozione di «passivo accertato», conclude il dr. R., va intesa come riferita al lavoro svolto sulle istanze presentate, indipendentemente dalle vicende che le stesse poi avranno all'esito dell'udienza di verifica dei crediti e delle successive eventuali opposizioni al decreto emesso all'esito di tale sub-procedimento. Diversamente opinando, determinandosi quel conflitto di interessi gia' indicato al precedente paragrafo 2.1., il professionista dovrebbe rinunciare all'incarico ai sensi dell'art. 23, comma 1 del Codice Deontologico della professione di dottore commercialista, rubricato «Rinuncia all'incarico» che impone di non proseguire nell'incarico qualora sopravvengano circostanze o vincoli che possano influenzare la liberta' di giudizio o condizionare l'operato del professionista. Tale norma espressamente richiama, tra le suddette circostanze, quella riferita al caso del «mancato pagamento dei suoi onorari» (cfr. copia della suddetta disposizione all'allegato 7 all'odierno ricorso). Norma che fa da contraltare all'art. 9 del suddetto codice, rubricato «Indipendenza», che impone al professionista di non porsi mai in una situazione in cui egli si trovi in conflitto di interessi (ibidem) con il cliente. 2.5. Conclusivamente, quindi il dr. E. R. chiedeva la liquidazione del proprio compenso sulla base del totale delle domande di ammissione dei crediti, cosi' pervenendosi ad un importo medio di euro 3.386.189,73 (si badi: oltre il doppio di quanto gia' liquidatogli all'esito dell'attivita' di gestione del compendio sequestrato) e comunque ad un importo non inferiore nel minimo ad euro 781.476,77, oltre I.V.A. ed altresi' contributo previdenziale, il tutto da porsi a carico del Pubblico Erario non sussistendo nella procedura, allo stato, liquidita' sufficienti. 3. All'udienza del 14 giugno 2022 si procedeva alla discussione, previa audizione del dr. E. R., come prescritto dal comma 7 dell'art. 42 del «Codice Antimafia», che illustrava i motivi del ricorso e precisava, a domanda della Corte, di avere gia' percepito quale compenso per la propria opera di amministratore giudiziario in tale procedura una somma lorda che si aggira intorno ad euro 1.200.000,00. Si procedeva quindi alla discussione e le parti concludevano come da verbale in atti, ma all'esito dell'approfondita disamina delle questioni poste, il Collegio riteneva necessario sottoporre al vaglio del Giudice delle leggi la questione di seguito evidenziata, previa rifissazione dell'udienza e sospensione del procedimento. 3.1. Con memoria depositata in data 22 dicembre 2022, il dr. E. R., a ministero degli avvocati Raffaella Romagnoli e Luca Amedeo Melegari del foro di Latina, rappresentava la propria contrarieta' alla sottoposizione alla Corte costituzionale della questione in esame, essendo sufficiente, a suo parere, un'opera interpretativa del comma 3 dell'art. 3 della «Tariffa», basata su un semplice rilievo: che anche a voler ritenere che effettivamente il legislatore si sia ispirato alla normativa concernente il compenso del curatore fallimentare, tali disposizioni sono di fatto inapplicabili alla materia della verifica dei crediti nel procedimento di prevenzione, perche' il criterio da seguire e' completamente diverso. In sintesi, nella materia fallimentare vi e' sostanziale coincidenza - secondo quanto prospettato nella memoria sopraindicata - tra ammissione ed accertamento, poiche' l'unico elemento da prendere in esame per l'ammissione allo stato passivo in tale sede e' esclusivamente la materiale pendenza del credito al momento della dichiarazione di fallimento. Ben diversa, per quanto s'e' gia' detto, e' invece la valutazione da svolgere in sede di verifica dei crediti nel procedimento di prevenzione, dove il credito deve essere assistito altresi' dalla buona fede del creditore e da tutti gli altri elementi enumerati al superiore paragrafo 2.1. Cio' e' tanto vero che, prendendo a riferimento la procedura a carico del P., in sede fallimentare i crediti ammessi sarebbero stati pari ad euro 1.301.801.444, ossia il 99,9% dei crediti esaminati, mentre nella misura di prevenzione i crediti ammessi sono stati solo lo 0,05% dell'esaminato (euro 651.336.20). Discende, secondo il ricorrente, l'impossibilita' di applicare in ambito prevenzionale il medesimo criterio di valutazione dell'attivita' dell'amministratore giudiziario (e quindi di calcolarne il compenso) utilizzato nella sede fallimentare. Diversi essendo i presupposti legali del calcolo di tale compenso, segue che diversi devono essere anche i criteri da applicarsi. All'odierna udienza, infine, il detto professionista dichiarava che, anche in considerazione della recentissima disposizione di cui all'art. 4 del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante «Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale», in vigore dal 6 gennaio 2023, che fissa il tetto massimo di euro 500.000,00 per i compensi agli amministratori giudiziari, avrebbe ritenuto congruo anche un compenso inferiore al minimo da lui stesso indicato nel ricorso qui in commento. La questione 1. Deve rilevarsi che il disposto di cui all'art. 3, comma 3 della «Tariffa» (richiamato e trascritto al superiore paragrafo 2.1) ricalca parola per parola l'art. 1, comma 2 del decreto 25 gennaio 2012, n. 30, recante l'adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari, che cosi' dispone: «2. Al curatore e' inoltre corrisposto, sull'ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra». Discende che la nozione di «passivo accertato» coincide per entrambe le norme. Orbene, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che tale nozione si riferisce - per quanto concerne il compenso del curatore fallimentare - esclusivamente ai crediti ammessi senza riserva e non anche a quelli che, benche' sia stata presentata la relativa istanza di insinuazione, non sono stati ammessi, o sono stati ammessi con riserva. La disposizione sopracitata, peraltro, stabilisce che il compenso del curatore deve essere calcolato prima di tutto sulla base dell'ammontare dell'attivo realizzato, secondo gli scaglioni ivi stabiliti, poi a tale compenso dev'essere altresi' aggiunto il compenso supplementare sul passivo accertato come sopra indicato. Qualora, in ipotesi, non sia stato realizzato alcun attivo, resterebbe il compenso supplementare sul passivo accertato. Se tuttavia anche quest'ultimo fosse pari a zero (ad esempio perche' tutte le istanze di ammissione fossero state rigettate) resterebbe comunque la previsione di cui all'art. 4 del decreto 25 gennaio 2012, n. 30, secondo il quale il compenso liquidato al curatore non puo' mai essere inferiore, nel suo complesso, alla somma di euro 811,35. Ancora una volta, si rileva un'assoluta sovrapponibilita' di tale disposizione a quella che regola i compensi degli amministratori giudiziari. Infatti l'art. 3, comma 5 della «Tariffa», stabilisce che il compenso liquidato a norma della detta disposizione non puo' essere inferiore, nel suo complesso, ad euro 811,35. Persino la sequenza dei vocaboli e' identica. Quindi e' pacifico che la normativa in questione ha tratto ispirazione da quella relativa al compenso da liquidarsi ai curatori fallimentari. Come s'e' detto poc'anzi, la giurisprudenza di legittimita' concernente tale materia, chiarisce che la nozione di passivo accertato e' riferita esclusivamente ai crediti ammessi senza riserva. Si puo' menzionare sul punto ad esempio l'ordinanza emessa da Cassazione Civ. Sez. 1ª, n. 15168 del 2021, ricorrente societa' «Visconti» s.r.l. (3) in una vicenda in cui era stato impugnato il decreto di liquidazione del compenso ai curatori (tre professionisti in tutto) emesso dal Tribunale in una procedura fallimentare. Tra i motivi di censura, vi era altresi' il rilievo che il passivo era stato calcolato includendo altresi' i crediti ammessi con riserva e quelli oggetto di opposizione pendente, in quanto erano stati previsti degli accantonamenti finalizzati proprio a soddisfare tali pretese ereditarie, nel caso fossero risultate fondate. Gli unici crediti esclusi dal calcolo del passivo totale erano stati pertanto solo quelli che nel frattempo erano stati oggetto di rinuncia. La Suprema Corte, in accoglimento di tale motivo di ricorso, rilevava l'erroneita' di tale inclusione, sia pure ai soli fini del calcolo del compenso del curatore fallimentare, in quanto la nozione di «creditori contestati» doveva ritenersi limitata a quei creditori che, gia' ammessi al passivo, erano stati contestati da altri creditori concorrenti oppure dal medesimo curatore, poiche' costoro avevano comunque gia' conseguito l'ammissione del proprio credito, seppure In modo non definitivo. Per contro, i creditori non ammessi ed opponenti non avevano facolta' di opporsi, ad esempio, neppure al concordato fallimentare, perche' nei loro confronti mancava la previa ammissione del credito, di talche' la parificazione di tali situazioni (quella del creditore non ammesso che ha proposto opposizione e quella del creditore ammesso contro il quale altro creditore abbia sollevato una contestazione) risulta irrazionale» (ibidem). Peraltro, conclude tale pronuncia, il fatto che il comma 2 dell'art. 2 del ripetuto decreto ministeriale n. 30 del 2012 - norma che disciplina il compenso dovuto al curatore nel caso in cui il fallimento si chiuda con un concordato - faccia riferimento al precedente art. 1 comma 2, chiarisce che la disposizione si riferisce al solo «passivo accertato» inteso come complesso dei soli crediti ammessi: «18. In ogni caso, l'art. 2, comma 2, decreto ministeriale n. 30 del 2012, nell'operare il riferimento, per il computo sul passivo fallimentare ai fini di liquidare il compenso al curatore, al precedente art. 1, comma 2, inequivocabilmente ha riguardo al passivo accertato, nozione gia' testualmente compatibile solo con una statuizione giudiziale di pieno riscontro del credito (Cass. 4751/2000 (4) )...» (cosi' Cassazione Civ. n. 15168 del 2021 cit.). 1.2. Orbene, osserva la Corte quanto di seguito. 1.2.1. Non v'e' dubbio che il decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2015, n. 177 costituisca nulla piu' che un regolamento e, come tale, trattandosi di fonte normativa secondaria, non puo' essere sottoposto al vaglio del giudice delle leggi. Va tuttavia rilevato che tale regolamento e' stato redatto sulla base delle indicazioni contenute nell'art. 8 del decreto Legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, rubricato per l'appunto «Compensi degli amministratori giudiziari». In tale norma non compare, in realta', alcuna voce concernente l'opera svolta dall'amministratore giudiziario in ausilio al giudice delegato, qualora quest'ultimo, invece di provvedere da se' al vaglio di ciascuna istanza di ammissione al passivo, al fine della verifica dei crediti, chieda assistenza al suddetto professionista (di norma il medesimo che e' stato incaricato di gestire ed amministrare il compendio sequestrato e poi confiscato), di talche', in realta', il comma 3 dell'art. 3 della «Tariffa» e' da ritenersi inserito fuori delega e quindi, a rigore, questa Corte dovrebbe disapplicarlo. Tale disapplicazione, tuttavia, comporterebbe altresi', come conseguenza, l'impossibilita' di liquidare un qualsiasi compenso per un'attivita' che comunque e' stata prestata e che ha condotto, nel caso di specie, a ridurre i crediti ammessi a solamente euro 651.336,20, a fronte delle istanze di ammissione per un totale di oltre un miliardo e trecento milioni di euro. Infatti, anche nell'ipotesi in cui potesse individuarsi una qualche norma di riferimento per attivita' similari, tratterebbesi comunque di norma di stretta interpretazione, come tutte quelle che vanno ad incidere sulla liquidazione dei compensi per un munus publicum come quello svolto dall'amministratore giudiziario che assiste il giudice delegato durante l'udienza di verifica dei crediti. Tale vuoto normativa, pertanto, non puo' essere colmato nemmeno in via di estensione analogica con altre norme, neppure quelle concernenti la liquidazione del curatore fallimentare, la cui verifica, anche se avente ad oggetto il vaglio delle istanze dei creditori di ammissione al passivo, e' molto diversa da quella che deve svolgere l'amministratore giudiziario. Tale conseguenza risulta in contrasto con l'art. 36 della Costituzione al quale si fa qui riferimento per come chiarito da condivisibile dottrina richiamata da Sez. Unite Civili n. 13721 del 2017, in causa Manganiello vs. Ministero della giustizia, dove viene in esame il compenso al Giudice di pace, per il quale, esclusa la sinallagmaticita' della retribuzione (tipica del rapporto di pubblico impiego, implicante la subordinazione del dipendente), resta tuttavia pacifica l'assimilazione ai redditi da lavoro dipendente dell'indennita' corrisposta a tale attivita' onoraria. Ad analoga conclusione e' pervenuta la Corte costituzionale, come tra breve si dira', con riferimento al compenso da liquidarsi in favore dell'ausiliario del giudice (e non v'e' dubbio che l'amministratore giudiziario, soprattutto quando assiste il giudice nell'udienza di verifica dei crediti, sia per l'appunto un ausiliario del magistrato). 1.2.2. Va poi rilevato che la funzione di ausilio al magistrato da parte dell'Amministratore giudiziario e' resa evidente dall'espressa previsione del comma 1 dell'art. 59 del «Codice Antimafia» che cosi' recita: «1. All'udienza fissata per la verifica dei crediti il giudice delegato, con l'assistenza dell'amministratore giudiziario e con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero, assunte anche d'ufficio le opportune informazioni, verifica le domande, indicando distintamente i crediti che ritiene di ammettere, con indicazione delle eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene di non ammettere, in tutto o in parte, esponendo succintamente i motivi dell'esclusione». Trattasi di funzione molto importante nella materia prevenzionale per impedire che il proposto, attinto da misura patrimoniale definitiva, possa tornare in possesso delle proprie ricchezze attraverso i cosiddetti «creditori di comodo», vale a dire attraverso terzi fittiziamente interposti che chiedono di ottenere l'indebita restituzione (apparentemente in loro favore, ma di fatto in mani del prevenuto) del compendio confiscato. Si aggiunga poi che devono essere altresi' estromessi i terzi che si' sono prestati, consapevolmente o per grave negligenza, al finanziamento delle attivita' di soggetti pericolosi, per cui l'opera di assistenza al giudice delegato che deve formare lo stato passivo della procedura di prevenzione, si prospetta come fondamentale nella procedura di prevenzione, cosi' come quella di gestione dei patrimoni sequestrati. Orbene, la mancata previsione nell'art. 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, contrasta con l'art. 54 (per quanto sopra esposto), ma, ove non si riconoscesse tale contrasto, resterebbe comunque quello con l'art. 36 della costituzione, che parrebbe evocato, sia pure in controluce, nell'ordinanza n. 306 del 2012 della Corte costituzionale (5) , pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 51 del 27 dicembre 2012, in realta' attinente ad altra questione, dichiarata infondata, riferita all'art. 71, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), sollevata, in relazione all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Sondrio. Infatti in tale provvedimento vi e' un inciso - riferito all'indennita' da liquidarsi in favore dell'ausiliario del Giudice - che da' per scontato il fatto che il diritto a tale indennita' altro non sia che il diritto alla retribuzione per il lavoro prestato. Ed infatti, il Giudice delle leggi cosi' si e' espresso: «[il termine di decadenza di 100 giorni non e' incompatibile con la tutela dei diritti], anche laddove essi siano, come nel caso del diritto alla retribuzione per il lavoro prestato, sorretti da garanzia costituzionale». Quindi, vi sarebbe anche una natura lato sensu retributiva del compenso da liquidarsi all'amministratore giudiziario, che svolge anche esso funzioni di ausilio al Giudice, esattamente come i periti, gli interpreti e in generale gli esperti nominati all'interno di una procedura giudiziaria per fornire un'opera di carattere tecnico-professionale. 2. Chiarito quindi che la norma regolamentare e' stata inserita senza alcuna legittimazione normativa, resta pero' la necessita' di stabilire una qualche regola di liquidazione di un compenso equo per l'opera di assistenza svolta dall'amministratore giudiziario in sede di verifica dei crediti. L'importanza e le finalita' della procedura di verifica dei crediti nell'ambito della procedura di prevenzione, sono state sottolineate dalla stessa Corte costituzionale in due distinte sentenze. La prima, vale a dire la sentenza n. 94 del 2015 (6) , ha specificato come la disciplina di cui agli artt. 52 ss. «per opera sua rappresent[i] il frutto del bilanciamento legislativo tra ; due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, l'interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall'altro, l'interesse pubblico ad assicurare l'effettivita' della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalita', consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell'attivita' illecita». La seconda, vale a dire la sentenza n. 26 del 2019 (7) , riprendendo tale analisi, ha affermato che «la giusta esigenza di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione - manovre in ipotesi finalizzate a porre in salvo una parte dei suoi beni dalla prospettiva del sequestro e della successiva confisca - puo' [ ... ] essere soddisfatta attraverso la verifica [ ... ] delle condizioni gia' imposte in via generale dall'art. 52 del decreto legislativo n. 159 del 2011 per il soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi». 2.1. Pacifica essendo quindi l'importanza di una corretta analisi delle istanze di ammissione dei creditori del proposto, al fine di non vanificare di fatto la misura patrimoniale ablatori a, deve poi osservarsi che non sembra conforme ad equita' il criterio che trae ispirazione dalla procedura fallimentare, per la quale si richiede tutt'altro tipo di valutazioni, molto piu' semplici, tali per cui il professionista si deve limitare semplicemente a valutare la validita' formale del titolo sulla base del quale viene chiesta l'ammissione al passivo. Nel caso delle misure di prevenzione, parrebbe opportuno individuare un criterio basato sul numero delle istanze presentate e sul valore dei crediti analizzati, anziche' sul valore dei crediti ammessi senza riserva. Cio' per evitare che il professionista operi in potenziale conflitto di interessi con l'incarico svolto, posto che il suo compenso in tal modo finisce di fatto per essere tanto piu' cospicuo quanti piu' sono i crediti ammessi senza riserva, perche' tanto piu' egli segnalera' tali situazioni di inammissibilita', tanto piu' si ridurra' il suo compenso per l'opera prestata. 3. Conclusivamente, ritiene questa Corte di merito, per tutte le ragioni fin qui svolte, che si ponga una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, rubricato per l'appunto «Compensi degli amministratori giudiziari», in ragione dell'omessa previsione di un compenso per l'attivita' di assistenza al giudice delegato svolta dall'amministratore giudiziario nel corso dell'udienza di verifica dei crediti nelle procedure di prevenzione patrimoniale, per contrasto con gli articoli 54 e 36 della Costituzione, che non puo' essere risolta, come vorrebbe il ricorrente, puramente e semplicemente con un'opera interpretativa da parte del Collegio di merito. Rilevanza della questione 1. Per quanto riguarda la rilevanza della questione sollevata, osserva questa Corte territoriale che non vi sono altre possibilita' per pervenire ad una decisione sull'impugnazione proposta dal dr. E. R., se non quella di sottoporre la questione al Giudice delle leggi, che potra' valutare se la norma sia effettivamente conforme al dettato costituzionale. (1) recante «Disposizioni in materia di modalita' di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari iscritti nell'albo di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14» (d'ora innanzi, per brevita', solo «Tariffa») (2) trattasi di deduzione palesemente infondata perche', come s'e' visto ante, al superiore paragrafo 1., l'art. 3, comma 5 della «Tariffa» stabilisce che il compenso liquidato a norma della detta disposizione non puo' mai essere inferiore, nel suo complesso, ad euro 811,35. (3) Presidente Francesco Antonio Genovese, Consigliere estensore Massimo Ferro (4) pronuncia quest'ultima in cui la Corte di cassazione ha accolto il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso del curatore fallimentare perche' era stato incluso nel passivo anche un credito dell'Ufficio I.V.A. non ammesso ed oggetto di opposizione. (5) Presidente Alfonso Quaranta, Giudice estensore Paolo Maria Napolitano (6) Presidente Alessandro Criscuolo, Giudice estensore Giuseppe Frigo. (7) Presidente Giorgio Lattanzi, Giudice estensore Francesco Vigano'.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara d'ufficio rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, per contrasto con gli articoli 36 e 54 della Costituzione nella parte in cui nulla prevede per il compenso da liquidarsi all'amministratore giudiziario che abbia assistito il giudice per la verifica dei crediti nelle procedure di prevenzione patrimoniale e, per l'effetto; sospende il giudizio; dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al precedente disposto. Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2023 Il Presidente: Amadori I consiglieri: Morgigni - Bonavolonta'