N. 36 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2023

Ordinanza del 16 febbraio 2023 emessa dal Tribunale  di  Brescia  nel
procedimento  civile  promosso  da  C.  A.  contro  INPS  -  Istituto
nazionale della previdenza sociale. 
 
Sanzioni amministrative - Previdenza e assistenza - Omesso versamento
  delle  ritenute  previdenziali  e  assistenziali,  per  un  importo
  superiore a euro 10.000 annui, punito con la reclusione fino a  tre
  anni e con la multa fino a euro 1.032 - Previsione che, nel caso in
  cui l'importo omesso non e'  superiore  a  euro  10.000  annui,  si
  applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000. 
- Decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in  materia
  previdenziale  e  sanitaria  e  per  il  contenimento  della  spesa
  pubblica,   disposizioni   per   vari   settori   della    pubblica
  amministrazione e  proroga  di  taluni  termini),  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 2,  comma
  1-bis,  come  sostituito  dall'art.  3,  comma   6,   del   decreto
  legislativo 15 gennaio 2016, n.  8.  (Disposizioni  in  materia  di
  depenalizzazione, a norma dell'art. 2,  comma  2,  della  legge  28
  aprile 2014, n. 67). 
(GU n.13 del 29-3-2023 )
 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
            lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria 
 
    Il Giudice del lavoro dott. Mariarosa  Pipponzi,  a  scioglimento
della riserva assunta all'udienza del 30 gennaio 2023, ha pronunciato
la seguente ordinanza di rimessione alla Corte  costituzionale  nella
causa civile iscritta al n. r.g. 1444/2022 promossa da C. A., nata  a
... in data ... e residente in ..., n. ..., c.f. ..., in qualita'  di
titolare dell'... di C. A., corrente oggi in ..., n. ...,  p.i.  ...,
all'epoca della violazione con sede in  ...  (...),  come  da  visura
camerale che si allega (doc. n. 1-1a, Visura) rappresentata e  difesa
dall'avv.   Carlo   Ambrosini,   c.f.   MBR    CRL    68H18    E884S,
carlo.ambrosini@brescia.pecavvocati.it, presso lo  studio  del  quale
difensore, in via XX Settembre n. 66 - Brescia, ha  eletto  domicilio
giusta procura ex art. 83, comma 3, del codice di  procedura  civile,
allegata telematicamente al ricorso - ricorrente; 
    Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale  della  previdenza  sociale,
c.f. 80078750587, in persona del Presidente  pro  tempore,  con  sede
legale in 00144-Roma - via Ciro il Grande n. 21 - e sede territoriale
in Brescia - via Benedetto Croce n. 32  -  elettivamente  domiciliato
nell'avvocatura  distrettuale  dell'INPS  in  Brescia  -  via  Pietro
Bulloni   n.   14   -   presso   l'avv.   Alessandro   Mineo    (c.f.
MNILSN70P18F205T;                   indirizzo                    pec:
avv.alessandro.mineo@postacert.inps.gov.it),  che  lo  rappresenta  e
difende in forza di procura generale alle  liti  rep.  80974  del  21
luglio 2015 per atti Paolo Castellini notaio in Roma - resistente; 
    Rilevato che: 
        C. A., titolate  dell'Azienda  agricola  ...  di  C.  A.,  ha
proposto tempestiva opposizione avverso  l'ordinanza  ingiunzione  n.
... prot. ... notificatale in data ... dall'INPS il quale,  a  fronte
dell'omesso  versamento,  nei   termini   di   legge,   di   ritenute
previdenziali  e  assistenziali  operate   sulle   retribuzioni   dei
lavoratori in relazione all'anno ... per un importo complessivo  pari
ad euro 221,00, le aveva irrogato la sanzione amministrativa di  euro
17.500,00; 
        C. A. ha evidenziato di aver effettuato il  versamento  delle
ritenute in data ..., seppur oltre il termine di tre mesi  decorrente
dalla notifica dell'accertamento della violazione  avvenuto  in  data
...; 
        parte ricorrente ha riferito che il ritardo nel pagamento  e'
attribuibile esclusivamente alle temporanee difficolta' indotte dalla
pandemia  da  influenza   aviaria   negli   anni   2016-2017   (virus
dell'influenza aviaria  ad  alta  patogenicita'  (HPAI)  rilevati  in
Italia nel biennio 2016-2017), senza che vi fosse alcuna volonta'  di
omettere  il  versamento  di  quanto  dovuto,  come  confermato   dal
successivo adempimento e che tale omissione  era  giustificata  dalla
sussistenza di uno stato di necessita' idoneo  ad  escludere  la  sua
responsabilita' alla luce dell'art. 4 della legge n. 689/1981; 
        parte ricorrente  ha,  altresi',  evidenziato  che  tutto  il
pollame dell'azienda ..., in conseguenza della  pandemia,  era  stato
abbattuto proprio nell'autunno del 2017 ed i ristori erano  pervenuti
da ATS solo a fine febbraio 2018  come  attestava  la  documentazione
prodotta; 
        C. A. ha, inoltre, sottolineato che la violazione  era  stata
posta in essere in buona fede  senza  alcuna  consapevolezza  che  il
ritardo nel pagamento dell'importo di euro 221,00 avrebbe determinato
una sanzione cosi' rilevante; 
        parte  ricorrente,  premesso  che  la  quantificazione  della
sanzione nell'ordinanza ingiunzione in una somma  intermedia  fra  il
minimo  ed  il  massimo  edittale  era  stata  operata  senza   alcun
riferimento ai criteri di cui all'art. 11, legge n.  686/1981  e  che
l'esiguita' dell'importo di cui  era  stato  ritardato  il  pagamento
avrebbe dovuto condurre alla non punibilita' del  fatto,  ha  chiesto
l'annullamento  della  sanzione  irrogata  evidenziandone   l'importo
esorbitante  rispetto  all'illecito  posto  in  essere  o,   in   via
subordinata, la rideterminazione della stessa; 
        l'Inps,  nel  costituirsi  in  giudizio,  premesso  di   aver
notificato, in presenza di omesso  versamenti  di  importo  inferiore
alla soglia di rilevanza penale (euro 10,000,00) riferiti al  secondo
trimestre  del  2016,  l'accertamento   di   violazione   a   seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 6, del decreto  legislativo
n. 8/2016, che ha sostituito l'art. 2, comma 1-bis del  decreto-legge
12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni  dalla  legge
11 novembre 1983, n. 638, cui non aveva fatto seguito alcun pagamento
entro i termini di legge, ha rilevato di  aver  fornito  piena  prova
della sussistenza dell'illecito amministrativo, della  conoscenza  da
parte    della    ricorrente    della    motivazione    dell'illecito
amministrativo, del corretto svolgimento dell'iter amministrativo  di
irrogazione della sanzione, nonche' del compimento di tempestivi atti
interruttivi della prescrizione; 
        all'udienza del 30 gennaio 2023 parte ricorrente ha insistito
per l'accoglimento del ricorso contestando  la  nuova  determinazione
della sanzione operata dall'INPS nelle more del giudizio che,  stante
l'estrema sproporzione rispetto alla violazione posta in essere,  era
anch'essa palesemente costituzionalmente illegittima. 
 
                               Osserva 
 
    Ad avviso del sottoscritto giudice l'art.  2,  comma  1-bis,  del
decreto-legge  12   settembre   1983,   n.   463,   convertito,   con
modificazioni, dalla  legge  11  novembre  1983,  n.  638  nel  testo
sostituito dall'art. 3, comma 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016
nella parte in cui prevede «Se l'importo omesso non  e'  superiore  a
euro 10.000 annui, si applica la sanzione  amministrativa  pecuniaria
da euro 10.000» pone dubbi  di  compatibilita'  con  l'art.  3  della
Costituzione  e  pertanto  tale  questione  va  rimessa  alla   Corte
costituzionale. 
Quanto alla rilevanza 
    E' pacifico inter partes oltre che documentalmente provato che C.
A. ha provveduto al versamento delle ritenute previdenziali  di  euro
221,00 oltre il termine di  tre  mesi  dalla  notifica  nell'atto  di
accertamento  da  parte  dell'INPS  e  quindi,  in  applicazione  del
disposto dell'art. 2, comma  1-bis  del  decreto-legge  12  settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11  novembre
1983, n. 638 nel testo sostituito dall'art. 3, comma  6  del  decreto
legislativo n. 8  del  2016,  e'  punibile  e  va  assoggettata  alla
sanzione amministrativa. 
    I  motivi  di  opposizione  concretantesi  nel  rilievo  che   le
temporanee difficolta' economiche indotte dalla pandemia da influenza
aviaria negli anni 2016-2017 e l'abbattimento  del  pollame  avessero
reso impossibile provvedere al versamento delle ritenute non  possono
essere accolti in quanto, come  da  tempo  chiarito  dalla  Corte  di
cassazione, la  responsabilita'  del  datore  di  lavoro  per  omesso
versamento delle ritenute non e' esclusa dalla  situazione  di  crisi
economica in cui versa  l'impresa  (cfr.  ex  multis  Cassazione,  12
luglio 2019, n. 42113 e Cassazione Sez. III,  12  febbraio  2015,  n.
11353 proprio in  riferimento  al  caso  di  una  societa'  messa  in
liquidazione). La giurisprudenza  di  legittimita'  ha,  piu'  volte,
ribadito che, essendo  le  ritenute  previdenziali  parte  integrante
della stessa retribuzione, il  datore  di  lavoro  sarebbe  tenuto  a
ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere i compensi
ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere  all'obbligo  del
versamento delle ritenute, anche  se  cio'  possa  riflettersi  sulla
possibilita'  di  pagare  integralmente  le   retribuzioni   medesime
(Cassazione Sez. III, 25 settembre 2007, n. 38269). 
    Quando alla dedotta sproporzionalita' ed  irragionevolezza  della
sanzione irrogata, non pare percorribile la via della disapplicazione
della norma interna, sulla base dei principi affermatisi  nell'ambito
dell'Unione, per ripristinare la proporzionalita' della misura  della
punizione rispetto  all'illecito  come  segnalato  dai  piu'  recenti
interventi dalla Corte di giustizia UE (cfr. Corte di giustizia UE  8
marzo 2022, C. 205-20;  Corte  di  giustizia  UE  3  marzo  2020,  C.
482-18). Come noto, il rispetto del  principio  di  proporzionalita',
che costituisce un principio generale  del  diritto  dell'Unione,  si
impone agli Stati membri nell'attuazione di tale  diritto,  anche  in
assenza di armonizzazione della  normativa  dell'Unione  nel  settore
delle sanzioni applicabili (cfr. in tal senso, sentenze del 26 aprile
2017, Farkas, C-564/15, EU:C:2017:302, punto 59,  e  del  27  gennaio
2022,  Commissione/Spagna,   C-788/19,   EU:C:2022:55,   punto   48).
Tuttavia, benche' ad avviso di questo Giudice, si sia in presenza  di
sanzioni sostanzialmente penali  in  base  ai  criteri  di  cui  alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cfr.  Corte
europea dei diritti dell'uomo, sentenza 8 giugno 1976, Engel e al. v.
Paesi Bassi e Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 febbraio  1984,
Öztürk v. Germania, par. 52, in Riv. it. dir.  e  proc.  pen.,  1985,
894), il principio di proporzionalita' di cui all'art. 49,  paragrafo
3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a  norma
del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate  rispetto
al  reato,  non   pare   direttamente   applicabile   alla   presente
fattispecie. Invero nei casi sottoposti alla Corte CEDU, diversamente
dal caso in esame, si  dibatteva  circa  l'applicazione  delle  norme
interne  con  le  quali  si  era  data  attuazione   alle   direttive
comunitarie. A  cio'  deve  aggiungersi  che  l'art.  6  del  decreto
legislativo n. 8/2016 che recita «Nel procedimento per l'applicazione
delle  sanzioni  amministrative  previste  dal  presente  decreto  si
osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni  I  e
II del capo I della legge 24 novembre  1981,  n.  689»,  rappresenta,
appunto, la declinazione del principio di proporzionalita'. In  forza
di  tale  principio,  dunque,  la  sanzione  inflitta   deve   essere
proporzionata alla gravita'  dell'infrazione  e  nella  sua  concreta
determinazione occorre  che  il  giudice  possa  tenere  conto  delle
particolari circostanze del caso come delineate  dall'art.  11  della
legge n. 689/1981. Tuttavia  la  disposizione  censurata  prevede  un
importo minimo  tassativamente  determinato  in  euro  10.000,00  che
impedisce, nei casi  di  piu'  lieve  entita'  della  violazione,  di
applicare i criteri di commisurazione della sanzione di cui  all'art.
11 della legge n. 689/1981 e quindi di considerare la gravita'  della
violazione,  l'opera  svolta  dall'agente  per  la   eliminazione   o
attenuazione  delle  conseguenze   della   violazione,   nonche'   la
personalita' dello stesso e le sue condizioni economiche. 
    La sproporzione della  sanzione  irrogata  rispetto  all'entita',
nella specie assai contenuta, delle ritenute previdenziali di cui  e'
stato dapprima omesso e poi  ritardato  il  versamento  nonche'  alla
personalita' dell'autore della violazione (si tratta delle  prime  ed
uniche violazioni poste in essere) e delle sue condizioni  economiche
come  emergenti  dalla  documentazione  prodotta   dalla   ricorrente
(peraltro non contestate dall'INPS),  non  potrebbe  essere  superata
neppure in seguito alla rideterminazione, ai sensi dell'art. 9, comma
5 del decreto legislativo n. 8 del 2016, sulla base delle indicazioni
di cui alla nota del direttore generale  dell'INPS  n.  3516  del  27
settembre 2022 (con allegata tabella contenente il  nuovo  meccanismo
di determinazione, che tiene conto  di  coefficienti  predefiniti  di
conteggio)  stante  la  tassativita'  del  minimo  edittale  di  euro
10.000,00 per ciascuna violazione che preclude allo  stesso  Istituto
la concreta possibilita'  di  commisurare  la  sanzione  all'illecito
posto in essere. Tant'e' vero  che  nella  rideterminazione  operata,
nelle more del giudizio, dall'INPS (prodotta  sub.  allegato  9  all'
atto di costituzione in giudizio) viene chiesto il pagamento  di  una
sanzione pari ad euro 10.000,00 cioe' pari a 45 volte la somma per la
quale e' stato ritardato e non omesso il pagamento. 
    A questo Giudice sarebbe consentito annullare l'ordinanza opposta
e  rimodulare   la   sanzione   nel   rispetto   del   principio   di
proporzionalita' solamente ove venisse espunto dal testo della  norma
in esame il riferimento al limite minimo di euro  10.000,00  previsto
per la sanzione amministrativa pecuniaria degli importi  non  versati
sotto soglia penale. 
Quanto alla non manifesta infondatezza 
    Ad avviso di questo giudice il minimo edittale di euro  10.000,00
per  la  sanzione  amministrativa  sotto  soglia  penale  conduce   a
risultati  sanzionatori   sproporzionati   rispetto   alla   gravita'
dell'illecito  posto  in  essere  e  ad  una  evidente  irrimediabile
disparita' di trattamento in  relazione  alle  condizioni  economiche
dell'autore del fatto in violazione del disposto  dell'art.  3  della
Costituzione. 
    Come  esaustivamente  chiarito   nella   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 28 del 2022 l'ampia discrezionalita' di cui dispone
il legislatore nella  quantificazione  delle  pene  che  incontra  il
limite della manifesta sproporzione ai sensi del  combinato  disposto
degli articoli 3 e 27, terzo comma, Cost. «non puo' non valere  anche
per la pena pecuniaria, che e' una sanzione  criminale  a  tutti  gli
effetti, seppur con una precisazione imposta dalla sua stessa natura»
nonche' per le sanzioni amministrative. Nella sentenza della Corte si
legge infatti: «Analogamente, in materia di  sanzioni  amministrative
pecuniarie, l'art. 11 della legge n. 689 del  1981  dispone  che,  in
sede di determinazione di tali sanzioni, si debba tenere conto, oltre
che della gravita' della violazione e di eventuali condotte  compiute
dall'agente   per   l'eliminazione   o   l'attenuazione   delle   sue
conseguenze, anche della personalita' e delle  condizioni  economiche
dell'agente medesimo; mentre, nel settore specifico delle  violazioni
in materia di tutela  dei  mercati  finanziari  -  caratterizzato  da
sanzioni pecuniarie amministrative di natura punitiva  e  di  impatto
potenzialmente assai  significativo  -  l'art.  194-bis  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) parimenti dispone che  nella
determinazione dell'ammontare delle sanzioni debba tenersi conto, tra
l'altro,  della  "capacita'  finanziaria   del   responsabile   della
violazione" (comma 1, lettera c).» 
    Ne consegue che il suddetto limite costituzionale  esclude,  piu'
in  particolare,  che  la  severita'  della  pena   possa   risultare
manifestamente sproporzionata  rispetto  alla  gravita'  oggettiva  e
soggettiva  dell'illecito  come  «accade,  in  particolare,  ove   il
legislatore fissi  una  misura  minima  della  pena  troppo  elevata,
vincolando cosi' il giudice all'inflizione  di  pene  che  potrebbero
risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua
gravita'.» 
    Orbene, nel  caso  in  esame,  l'art.  3,  comma  6  del  decreto
legislativo n. 8 del 2016  ha  sostituito  l'originaria  formulazione
dell'art. 2, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.  638,
per scriminare i fatti che hanno ancora rilevanza  penale  da  quelli
per i quali sono previste le sole sanzioni amministrative pecuniarie.
In tal modo le fattispecie di illecito che lo stesso  legislatore  ha
ritenuto  di  maggiore  gravita',  sul  presupposto   oggettivo   del
superamento della soglia di euro 10.000,00, sono punibili ora «con la
reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.»  mentre
le fattispecie di illecito di minore gravita',  sotto  la  soglia  di
euro 10.000,00, sono ora punite con una sanzione  amministrativa  che
va da un minimo di euro 10.000,00 ad un massimo di 50.000 euro. 
    Ad avviso del sottoscritto  giudice  mentre  il  limite  massimo,
seppur elevato, consente all'Inps prima e comunque al giudice in sede
di opposizione di graduare la sanzione utilizzando i criteri  di  cui
al piu' volte citato art. 11 della legge  n.  689/1981  e  quindi  di
proporzionare la sanzione all'illecito concretamente posto in  essere
ed alla condizione soggettiva del suo autore, altro non si puo'  dire
dell'importo minimo che, appunto, vincola il  giudice  all'inflizione
di pene che sono chiaramente eccessive soprattutto per i  casi,  come
quello in esame, in cui l'entita' delle  ritenute  di  cui  e'  stato
tardivamente operato il versamento e' di modesta entita' e/o  dipende
da circostanze esterne  sulle  quali  non  sempre  puo'  incidere  il
comportamento dell'autore. 
    Inoltre il limite  minimo  di  importo  cosi'  elevato  pone  una
irragionevole disparita' di  trattamento  fra  i  trasgressori  della
norma per le omissioni contributive  sotto  la  soglia  di  rilevanza
penale fino all'omissione di euro 10.000: in astratto il trasgressore
che massimamente viola il precetto normativo nel suo  massimo  valore
sottosoglia (per importi paria ad  euro  10.000)  puo'  soffrire  una
sanzione amministrativa che, nella sua previsione massima, e' pari ad
euro  50.000   e   rappresenta   il   quintuplo   della   violazione.
Diversamente, il trasgressore per un  importo  minimo  oggetto  della
omissione che si collochi al di sotto di 1000 euro, verrebbe comunque
sanzionato con un importo di euro  10.000  a  prescindere  dalle  sue
condizioni economiche o dalla tenuita' della condotta posta in essere
o dalla sua personalita' ect., con un importo che puo' giungere anche
al centuplo della propria violazione (ad esempio per omissioni di 100
euro). Cio' con un'evidente asimmetria di trattamento  dei  cittadini
che, violando con diversa gravita' il precetto normativo, non  vedono
tale diversa gravita' altrettanto diversamente ponderata  e  graduata
nella determinazione della sanzione. 
    Al  tempo  stesso,  la  disposizione  censurata  ha  finito   per
trasformare la attuata depenalizzazione in un privilegio  per  coloro
che hanno posto in essere le omissioni  piu'  rilevanti  sia  che  si
tratti di plurime omissioni di versamenti di  ritenute  sotto  soglia
(ma di apprezzabile entita' ovvero prossime ai  10.000,00  euro)  sia
che si tratti  di  singole  o  plurime  omissioni  di  versamenti  di
ritenute sopra la soglia e cio' in evidente in contrasto con l'art. 3
Cost. A quest'ultimo proposito, ove si consideri che coloro che hanno
posto in essere  fatti  di  rilevanza  penale  sono  puniti  «con  la
reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.»  e  che
il limite minimo previsto per la reclusione e' stabilito nella durata
di quindici  giorni,  dall'art.  23  c.p.,  appare  evidente  che  la
modulazione della pena per il reato operata dal giudice penale  sulla
base delle circostanze del caso concreto, unita alla possibilita'  di
ottenere la conversione in pena pecuniaria (a prescindere dagli altri
istituti sostituitivi della pena cui il reo  puo'  accedere)  finisce
per assoggettare ad un trattamento deteriore proprio coloro che hanno
posto in essere i fatti piu' lievi. Tale  disparita'  di  trattamento
emerge con evidenza se si considera il  tasso  di  conversione  della
reclusione in  pena  pecuniaria  (previsto  dall'art.  53,  legge  n.
689/18, per le pene detentive brevi, e,  in  generale,  all'art.  135
c.p.) risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 28 del
2022 che ha inciso sull'entita' dell'importo minimo  di  conversione.
In  applicazione  dei  parametri  indicati  dalla  Corte  e'  agevole
verificare che la sanzione  amministrativa -  astrattamente  prevista
per le fattispecie «sotto soglia» e quindi  meno  gravi -  si  palesa
sempre maggiormente afflittiva di  quella  penale,  tale  da  rendere
l'intera disciplina del  tutto  incongrua,  illogica  e  irrazionale.
Infatti,  applicando  il  tasso  di  conversione  della  pena   della
reclusione alla sanzione amministrativa,  si  puo'  rilevare  che  la
sanzione  amministrativa  minima  «corrisponde»  a  133   giorni   di
reclusione (euro 10.000/euro 75 giornalieri), ossia ad oltre  quattro
mesi, mentre per coloro che hanno posto in essere omissioni oltre  la
soglia di euro 10.000,00 essendo il limite  minimo  della  reclusione
pari a 15 giorni, il minimo della pena pecuniaria irrogabile in  sede
di conversione  si  attesta  su  euro  1.125,00  (75  euro  per  15).
Peraltro, essendo tale valore previsto sino a sei mesi di reclusione,
il ragguaglio consente di evidenziare che per i fatti punibili con la
reclusione in caso di sostituzione con pena detentiva la  forbice  e'
compresa tra un minimo di euro 1.125 (75 euro per 15  giorni)  ed  un
massimo di euro 13.500 (75 euro per 180 giorni) cui  va  aggiunta  la
multa, prevista dal minimo legale di euro 50 (cfr. art. 24 c.p.), che
tuttavia il  giudice  puo'  proporzionare  alla  situazione  concreta
sottoposta al suo esame. 
    La disparita' di trattamento in senso deteriore rispetto ai fatti
di piu' lieve entita' non necessita di ulteriore commento. 
    Il limite minimo di sanzione amministrativa in euro 10.000,00  si
appalesa ancora piu' irragionevole e sproporzionato ove si  consideri
che con decreto legislativo n. 150  del  10  ottobre  2022  e'  stato
ridisegnato anche il quadro generale delle cd.  sanzioni  sostitutive
di pene detentive brevi in precedenza regolamentate  dalla  legge  n.
689/1981. Sicche', per coloro che  abbiano  superato  la  soglia  dei
10.000 euro di omesso  versamento  di  ritenute,  il  giudice  penale
potra' procedere a sostituire la pena detentiva breve (prevista per i
casi di minor rilevanza, ma pur sempre sopra la soglia) applicando il
valore della quota giornaliera che ora «non puo' essere inferiore a 5
euro e superiore a 2500  euro»  e  va  commisurata  alle  complessive
condizioni  economiche,  patrimoniali  e   di   vita   dell'imputato,
ottenendo  cosi'  il  risultato  di  irrogare  una  pena   pecuniaria
proporzionata all'illecito posto in essere ed alla  situazione  anche
reddituale  del  suo  autore.  Possibilita',  viceversa,  del   tutto
preclusa in sede civile per coloro che  hanno  posto  in  essere  gli
illeciti di minor gravita'. 
    Le risultanze sino ad  ora  ottenute  determinano  quantomeno  la
violazione  dell'art.   3   Cost.,   poiche'   appare   evidentemente
irrazionale trattare piu' severamente una  violazione  piu'  lieve  e
meno severamente una violazione piu' grave,  tanto  piu'  se  le  due
violazioni sono di identica specie e se pertanto la loro comparazione
risulta immediata e obiettiva. Inoltre  la  segnalata  impossibilita'
per il giudice civile di graduare la sanzione amministrativa accentua
la maggior afflittivita' di quest'ultima determinando  risultati  del
tutto abnormi in punto disparita'  di  trattamento  come  sopra  gia'
evidenziato. Infine questo Giudice rileva  che,  qualora  l'eccezione
sollevata trovasse accoglimento, non vi sarebbe un vuoto normativo in
quanto l'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 ha  operato  un
richiamo specifico alle sezioni I e II del  capo  I  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 e di conseguenza sarebbe applicabile l'art.  10
«la sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di  una
somma non inferiore a 10 euro»  considerando  che  l'art.  12  citato
decreto a sua volta  prevede  «le  disposizioni  di  questo  capo  si
osservano, in quanto applicabili e salvo  che  non  sia  diversamente
stabilito per tutte  le  violazioni  per  le  quali  e'  prevista  la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma di  denaro,  anche
quando questa  sanzione  non  e'  prevista  in  sostituzione  di  una
sanzione penale.» 
    Peraltro, come sottolineato nella piu' volte richiamata  sentenza
n.  28/2022  della   Corte   costituzionale,   «l'impossibilita'   di
individuare un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus
denunciato» puo' essere superata «ben potendo questa  Corte  reperire
essa stessa soluzioni costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel
sistema e idonee a colmare temporaneamente  la  lacuna  creata  dalla
stessa pronuncia di accoglimento della questione; ferma restando  poi
la possibilita' per il  legislatore  di  individuare,  nell'esercizio
della propria discrezionalita', una diversa  soluzione  nel  rispetto
dei principi enunciati da questa Corte. E cio' tanto  in  materia  di
dosimetria sanzionatoria (sentenze n. 185 del 2021, n. 40  del  2019,
n. 233 e n. 222 del 2018,  n.  236  del  2016),  quanto  altrove  (ex
multis, sentenze n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del
2019 e n. 99 del 2019). Un tale adeguamento,  come  rileva  l'odierno
rimettente, deve ritenersi imposto dal principio di  eguaglianza,  da
cui discende il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale  che  limitano  di  fatto  la  liberta'  e
l'eguaglianza dei cittadini (art. 3,  secondo  comma,  Cost.).  Nella
prospettiva di un'eguaglianza "sostanziale" e non solo "formale",  il
vaglio che questa  Corte  e'  chiamata  a  compiere  sulla  manifesta
sproporzione della pena pecuniaria non potra' che confrontarsi con il
dato di realta' del diverso impatto del medesimo quantum di una  tale
pena rispetto a ciascun destinatario. Tale diverso impatto  esige  di
essere "compensato" attraverso uno di quei  rimedi  cui  aveva  fatto
cenno la sentenza n. 131 del 1979, in modo che il giudice  sia  posto
nella condizione di tenere debito conto - nella commisurazione  della
pena pecuniaria - delle condizioni  economiche  del  reo,  oltre  che
della gravita' oggettiva e soggettiva del reato». 
 
                                P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 134 Costituzione e l'art. 23 della  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale,   dell'art.   2,   comma   1-bis,   del
decreto-legge  12   settembre   1983,   n.   463,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638  come  sostituito
dall'art. 3, comma 6 del decreto legislativo  n.  8  del  2016  nella
parte in cui prevede «Se l'importo omesso non  e'  superiore  a  euro
10.000 annui, si applica la  sanzione  amministrativa  pecuniaria  da
euro 10.000» per contrarieta' all'art. 3 della Costituzione; 
    Sospende il presente procedimento; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Dispone che, a cura  della  cancelleria,  la  presente  ordinanza
venga  notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   e
comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in Brescia il 16 febbraio 2022 
 
                   Il Giudice del lavoro: Pipponzi