N. 38 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 2022
Ordinanza del 7 dicembre 2022 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova sul ricorso proposto da Coop Liguria societa' cooperativa di consumo contro Agenzia delle entrate - Direzione regionale della Liguria. Tributi - Deducibilita' dell'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali, ai fini della determinazione del reddito d'impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni, nella misura del 20 per cento (nel caso di specie: periodo di imposta relativo all'anno 2016). - Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), art. 14, comma 1, come sostituito dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)").(GU n.14 del 5-4-2023 )
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di I grado di Genova (ex Commissione tributaria provinciale di Genova) Sezione 2 Riunita in udienza il 13 settembre 2022 alle ore 9,01 con la seguente composizione collegiale: Pellegrini Domenico, presidente; Morbelli Luca, relatore; Castelli Franco, giudice; in data 13 settembre 2022 ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 473/2022 depositato il 7 aprile 2022 proposto da Coop Liguria societa' cooperativa di consumo - 00103220091, difeso da: Davide De Girolamo - DGRDVD77A24H501P; Alberto Gallo - GLLLRT69A27D969H; Federico Anderloni - NDRFRC86L28L483B; Livia Salvini - SLVLVI57H67H501M. Rappresentato da Ferdinando Pellegrini - PLLFNN64B02C415B ed elettivamente domiciliato presso davidedegirolamo@ordineavvocatiroma.org contro Agenzia delle entrate, Direzione regionale Liguria, elettivamente domiciliato presso dr.liguria.gtpec@pce.agenziaentrate.it, avente ad oggetto l'impugnazione di Silenzio Rifiut Ires-Altro 2016 a seguito di discussione in pubblica udienza. Elementi in fatto e diritto La societa' Coop Liguria S.c.c. ha impugnato il silenzio-rifiuto formatosi in ordine alla istanza di rimborso Ires, presentata in data 19 luglio 2021 per il periodo d'imposta 2016, versata a causa della parziale indeducibilita' dell'Imu, relativa agli immobili strumentali, dalla base imponibile ai fini Ires. Per l'annualita' 2016, la societa' Coop Liguria S.c.c., in veste di capogruppo e societa' consolidante, ha optato per il regime di tassazione consolidata con la Talea societa' di gestione immobiliare S.p.a., presentando la relativa dichiarazione dei redditi con conseguente liquidazione e versamento dell'Ires di gruppo. Nella medesima annualita', le due societa' disponevano a titolo di proprieta' di diversi immobili strumentali sui quali hanno regolarmente sostenuto l'onere dell'Imu. Per lo stesso periodo di imposta, in ossequio all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 le societa' del gruppo hanno predisposto le proprie dichiarazioni annuali dei redditi ed hanno proceduto alla deduzione dell'Imu per i soli immobili strumentali nella percentuale consentita dalla norma (20% per il 2016). Per l'annualita' in oggetto, il reddito d'impresa delle societa' partecipanti ha concorso a formare il reddito imponibile del Consolidato nazionale, da cui e' scaturita un'Ires di gruppo liquidata e pagata dalla Societa' Consolidante. Ebbene, l'Ires pagata da Coop Liguria era, in parte, riconducibile al reddito d'impresa corrispondente all'Imu non portata in deduzione dalla stessa e dalle societa' consolidate. L'indeducibilita' di cui sopra ha comportato un maggior onere a titolo di Ires consolidata per l'esercizio 2016. Coop Liguria, in data 19 luglio 2021, presentava all'Agenzia delle entrate un'apposita istanza di rimborso, diretta ad ottenere la ripetizione della quota di Ires relativa all'Imu versata e resa non deducibile ai sensi dell'art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 23/2011, nella propria veste di societa' consolidante. In tale sede, la societa' ricorrente rivendicava, con riferimento all'Imu versata sugli immobili relativi all'impresa, la pacifica natura di costo inerente ed onere fiscale deducibile ex articoli 75 e 99 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/86. L'organo dell'Agenzia adito, pur avendo ricevuto la gia' menzionata istanza in data 19 luglio 2021, non ha fatto pervenire risposta. Di conseguenza, essendo trascorsi piu' di novanta giorni da tale data, ai sensi dell'art. 21, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992, la ricorrente ha impugnato il silenzio dell'Ufficio, ribadendo la richiesta di deducibilita', a fini' Ires, dell'Imu versata in relazione ai beni immobili strumentali alla sua attivita'. In subordine, la societa' ricorrente - nella denegata ipotesi che il giudice adito non ritenesse di poter direttamente sancire l'illegittimita' del silenzio rifiuto, postulando, invece, l'indeducibilita' dell'Imu - sollecitava il medesimo giudice a sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 maggio 2011, n. 23. L'Agenzia delle entrate, Direzione regionale della Liguria, si e' regolarmente costituita in giudizio, opponendo le proprie controdeduzioni. All'udienza pubblica del 13 settembre 2022 il ricorso e' passato in decisione. Il Collegio ritiene la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 maggio 2011, n. 23, come sostituito dall'art. 1, comma 715, legge 27 dicembre 2012, n. 147, secondo cui «L'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e' deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20%. La medesima imposta e' indeducibile ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive», per contrasto con gli articoli 53 e 3, nonche' 23 e 41 della Costituzione - rilevante e non manifestamente infondata. La questione e' rilevante. A tal riguardo occorre, preliminarmente, precisare come, per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, l'accertamento della validita' dei presupposti di esistenza del giudizio principale e' prerogativa del rimettente, spettando alla Corte costituzionale verificare esclusivamente che la valutazione del giudice a quo sia avvalorata da una motivazione non implausibile e che i presupposti di esistenza del giudizio non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti nel momento in cui la questione e' proposta. (Corte costituzionale n. 262 del 2015, n. 61 del 2012, n. 270 del 2010, n. 34 del 2010 e n. 62 del 1992). In proposito, non hanno pregio le eccezioni preliminari di Agenzia delle entrate relative alla non provata strumentalita' dei beni immobili oggetto d'imposta, nonche' alla tardivita' dell'istanza di rimborso. Con riferimento alla prima eccezione, infatti, e' sufficiente richiamare la documentazione in atti, tramite la quale e' data piena prova della relazione strumentale esistente tra gli immobili a disposizione della societa' e l'attivita' concretamente svolta dalla medesima. La ricorrente svolge attivita' di grande distribuzione commerciale e gli immobili costituiscono le sedi dei punti vendita. Non sussiste pertanto alcun dubbio in ordine alla strumentalita' degli immobili de quibus rispetto all'attivita' imprenditoriale svolta dalla ricorrente. In ordine alla seconda eccezione deve osservarsi che il versamento dell'Ires a titolo di acconto e' avvenuto in data 30 novembre 2016 laddove l'istanza di rimborso e' stata presentata in data 19 luglio 2021. In realta', trattandosi di versamento in acconto la decorrenza del termine per ottenere il rimborso deve essere posticipata al momento del termine di versamento del saldo, non essendo chiaro fino al quel momento l'effettivo importo del tributo. E rispetto a tale momento l'istanza e' ritenersi tempestiva. Cio' posto appare indiscutibile la pregiudizialita' della questione di legittimita' costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo. Se d'un canto, infatti, il primo motivo di ricorso risulta essere infondato, il secondo motivo proposto e', invece, correttamente radicato e la decisione sul punto non puo' prescindere dal vaglio di legittimita' della summenzionata norma, atteso che il diritto al rimborso sarebbe riconosciuto ove la questione di legittimita' costituzionale fosse accolta, laddove lo stesso sarebbe negato ove la stessa questione fosse respinta. In altri termini la decisione della causa non puo' prescindere dall'applicazione dell'art. 14 del decreto legislativo n. 23/2011. La questione e' non manifestamente infondata. La disposizione di cui all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie contrasta con il principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. In base a detto principio, il presupposto di imposta, anche se individuato discrezionalmente dal legislatore, deve sempre riferirsi a «indici concretamente rilevatori di ricchezza» (Corte costituzionale n. 16/2002; n. 229/1999 n. 143/1982); il tributo deve dunque colpire un presupposto economico effettivo. In applicazione di tale principio, la tassazione diretta che grava sulle societa' deve essere commisurata al reddito netto effettivo, calcolato al netto delle spese inerenti alla produzione del reddito stesso. E dunque i costi e gli oneri sostenuti, ove presentino i requisiti di inerenza, certezza e di oggettiva determinabilita', devono necessariamente poter essere dedotti dalle entrate lorde; tale meccanismo applicativo non ammesso in misura nettamente maggioritaria (80%) dalla norma impugnata. L'indeducibilita' totale o parziale, infatti, e' ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano elementi di incertezza nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il pericolo che la deduzione di tali costi rischi di favorire l'elusione o l'evasione fiscale; e cosi', come rilevato in dottrina, «non puo' mai essere, quindi, dichiarato indeducibile, neanche parzialmente, il costo di un fattore ordinario, certo ed essenziale per la produzione del reddito [...], pena la sicura violazione (almeno) del principio di capacita' contributiva, dovendo sempre sussistere una ragione, ovvero un rapporto, fra novella ricchezza e prelievo impositivo». Per le societa', la spesa per il pagamento dell'Imu deve essere considerata un costo inerente alla produzione del reddito. Tale esborso, infatti, deriva dal possesso degli immobili strumentali della societa'; inoltre esso e' un costo certo, la cui misura e' determinata d'imperio dalla legge, senza alcuno spazio discrezionale lasciato all'imprenditore. L'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 - nel testo applicabile al presente giudizio - nega in misura maggioritaria la deducibilita' dell'Imu dalle imposte sui redditi; in questo modo, la base imponibile Ires non e' depurata da una spesa sostenuta per produrre il reddito stesso. La base imponibile Ires viene cosi' a comporsi di una ricchezza soltanto virtuale, che corrisponde alla mancata totale deduzione di un costo certo e inerente, qual'e' quello dell'imposta municipale unica. Per effetto della norma impugnata, pertanto, l'Ires non colpisce piu' il reddito netto prodotto dall'impresa, ma colpisce una grandezza diversa, cioe' il reddito al lordo delle imposte indeducibili: tale reddito almeno in parte non rappresenta e tantomeno non esprime una forza economica concreta. E dunque la tassazione ai fini delle imposte dirette va a gravare su un reddito d'impresa in parte fittizio, in contrasto con il principio di capacita' contributiva. La disposizione di cui all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie contrasta con il divieto di doppia imposizione di cui all'art. 53 della Costituzione. A causa dell'applicazione di tale disposizione, la societa' e' costretta a pagare, di fatto, due volte un'imposta sulla base del medesimo presupposto: la proprieta' del bene immobile, infatti, da un lato determina l'obbligo di versare l'Imu, dall'altro determina l'impossibilita' di dedurre tale costo, che dunque concorre a formare la base imponibile sulla quale e' liquidata l'imposta sui redditi. Si tratta dunque di una violazione del principio del divieto di doppia imposizione, principio costantemente affermato dalle disposizioni legislative - da ultimo ribadito dalla legge n. 42/2009 all'art. 2, primo comma, lettera o) - ma soprattutto estrinsecazione del piu' alto principio costituzionale di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione. Tra l'altro, la doppia o plurima/imposizione tributaria si pone in contrasto con l'art. 53 della Costituzione anche perche' essa puo' condurre all'esaurimento della capacita' contributiva, o comunque puo' costituire un carico eccessivo che supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario. E dunque, nel caso di specie, la mancata deducibilita' dell'Imu conduce di fatto a un fenomeno di doppia imposizione che non e' consentito dalle norme costituzionali. La disposizione di cui all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie contrasta con il principio di ragionevolezza ex articoli 3 e 53 della Costituzione. L'Ires, in base all'art. 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, «si applica sul reddito complessivo netto». L'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 non si concilia pero' con tale previsione. Non puo', invero, essere considerato netto un reddito da cui non si possono dedurre, se non in misura marginale, i costi sostenuti per il pagamento dell'Imu. E, dunque, tale irragionevole scelta del legislatore non solo viola il principio di capacita' contributiva, ma si pone altresi' in contrasto con il piu' generale principio di ragionevolezza, poiche' la disciplina normativa che riguarda l'imponibile (per cui non e' consentita la deducibilita' dell'Imu) non e' coerente con la struttura stessa del presupposto dell'imposta (che e', come ricordato, il «reddito complessivo netto»). In materia tributaria, il legislatore gode di una discrezionalita' ampia nel fissare il presupposto d'imposta; tuttavia, nell'individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile tale discrezionalita' si restringe in modo considerevole, perche' e' tenuto a configurare una base imponibile che sia ragionevole e coerente rispetto al presupposto prescelto. Si tratta del resto di una declinazione del principio generale di ragionevolezza di cui all'art. 3, comma primo, della Costituzione, in base al quale quando il legislatore individua una finalita' da perseguire, questa deve essere poi sviluppata in modo coerente dallo stesso (Corte costituzionale n. 89/1996). La disciplina in base a cui si configura la base imponibile dell'Ires dovrebbe essere tale da colpire il «reddito complessivo netto». Invece l'art. 14, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2011 limita a una percentuale fissa la deducibilita' di un costo qual e' il pagamento dell'Imu; disposizioni di questo tipo derogano rispetto al presupposto d'imposta individuato dalla legge e, in assenza di una valida giustificazione, determinano la violazione della ragionevolezza della disciplina del tributo imposta dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. La disposizione di cui all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie contrasta con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e con la liberta' di iniziativa economica privata, tutelata dall'art. 41 della Costituzione. La disposizione censurata si pone, inoltre, in contrasto con il principio di eguaglianza formale sotto un diverso profilo. La mancata deducibilita', infatti, ha un impatto sul piano della cd. equita' orizzontale (i soggetti che hanno la stessa capacita' contributiva devono essere tassati in modo eguale) perche' irragionevolmente sottopone a maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili strumentali di proprieta' rispetto a quella che invece utilizza immobili strumentali che non sono di sua proprieta': quest'ultima puo' infatti dedurre tutti i costi e gli oneri relativi agli immobili, mentre la societa' che utilizza immobili di proprieta' non puo', in grande parte dedurre l'onere tributario che grava sugli stessi. A tal proposito si specifica che non e' la natura di onere tributario a giustificare tale differenza in relazione al regime della deducibilita'. Infatti, la Tasi e' deducibile dal conduttore e dal proprietario; e si tratta di un'imposta che ha un presupposto pressoche' identico a quello dell'Imu (il possesso o la detenzione di immobili), con cui pure condivide le regole di determina della base imponibile. L'indeducibilita', per una misura rilevantissima pari all'80% conduce a un'ingiustificata disparita' di trattamento tra societa' che, a parita' di reddito netto, sono state assoggettate per l'anno di riferimento ad un diverso carico fiscale soltanto per la diversa incidenza del tributo indeducibile: la misura dell'Ires e' dipesa, tra l'altro, dal presupposto di un diverso tributo e soltanto per quelle societa' che erano proprietarie di immobili strumentali; cosi', coeteris paribus, risultava maggiormente colpita la societa' che ha dovuto corrispondere l'Imu e non invece altri tipi di spese. E tale disparita' di trattamento non appare giustificata da differenze qualitative apprezzabili del costo in esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili, cosi' ponendosi in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione. Tale irragionevole disparita' di trattamento penalizza, inoltre, le societa' che hanno scelto - anche in tempi risalenti - di investire parte del proprio capitale o dei propri utili nell'acquisto di immobili strumentali, cosi' rendendo migliori da un punto di vista fiscale altre scelte di investimento degli utili e senza che vi sia un motivo ragionevole. Non c'e' infatti ragione per gravare le societa' che hanno investito negli immobili strumentali di un carico fiscale maggiore rispetto a quelle che hanno, invece, deciso di non dare agli utili la medesima destinazione (e possono beneficiare, inoltre, della deducibilita' delle spese sostenute per l'eventuale locazione di immobili funzionali). La disposizione censurata, pertanto, discriminando le societa' in ragione di scelte di investimento senza che vi sia un valido motivo, si pone in contrasto anche con la liberta' di iniziativa economica privata, tutelata dall'art. 41 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 2, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 come sostituito dall'art. 1, comma 715, legge 27 dicembre 2013, n. 147, «L'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e' deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni nella misura del 20%. La medesima imposta e' indeducibile ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive» per contrasto, nei termini indicati in motivazione, con gli articoli 3, 53 e 41 della Costituzione. Dispone: la sospensione del procedimento; la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; la notificazione della presente ordinanza, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri; la comunicazione della stessa al Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; la notificazione alle parti, dispone la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Genova nella camera di consiglio del 13 settembre 2022. Il presidente: Pellegrini L'estensore: Morbelli