N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 2023

Ordinanza del 23 marzo 2023 del Tribunale di  Nola  nel  procedimento
penale a carico di D. S.. 
 
Reati e pene - Danneggiamento - Reato di danneggiamento  commesso  su
  cose esposte alla pubblica fede - Regime di procedibilita'. 
- Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge
  27  settembre  2021,  n.  134,  recante  delega  al   Governo   per
  l'efficienza del processo penale, nonche' in materia  di  giustizia
  riparativa  e  disposizioni   per   la   celere   definizione   dei
  procedimenti giudiziari), art. 2, comma 1, lettera n), in combinato
  disposto con l'art. 635, quinto  comma,  del  codice  penale,  come
  novellato, in relazione all'art. 625, primo comma, numero  7),  del
  medesimo codice. 
(GU n.18 del 3-5-2023 )
 
                          TRIBUNALE DI NOLA 
                           Sezione penale 
 
    Il  Giudice  monocratico,  dott.  Raffaele   Muzzica,   all'esito
dell'udienza del 23 marzo 2023, ha pronunciato la seguente  ordinanza
nel procedimento penale a carico di D    S    , nato a      res.te   
 a     alla via  Libero -   non  comparso,  gia'  assente  difeso  di
fiducia dall'avv. Felice Iovino. 
    Imputato 
    a) Dei reati pp. e pp. dagli artt. 81 cpv., 660,  612  cpv.  c.p.
perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno  criminoso,
commesse anche in tempi diversi, per petulanza e per  il  biasimevole
motivo di voler  manifestare  il  proprio  disappunto  per  non  aver
ricevuto le informazioni richieste sul conto di M M , figlia di R d P
, recava molestie e disturbo alla predetta D P ed  al  convivente  di
quest'ultima, F M , mediante  reiterate  ed  insist  enti  telefonate
sull'utenza fissa dell'abitazione della coppia, nel corso delle quali
rivolgeva ad entrambi  ingiurie  e  minacce  di  morte  del  seguente
tenore: 
      In , il 
    b) Del reato p. e p. dall'art. 635 co. 1 e 2 n. 1 c.p. per avere,
reso in parte inservibile l'autovettura Lancia Dedra, targata   ,  di
proprieta' di F M , bene esposto per consuetudine e  necessita'  alla
pubblica fede in quanto lasciata in  sosta  lungo  la  pubblica  via,
mandandone  in  frantumi  il  parabrezza  nonche'  danneggiandone  il
fanalino posteriore sinistro e lo sportello posteriore destro; 
      In , il 
    Con  recidiva  reiterata,  specifica  ed  infraquinquennale   nei
confronti di: M F , nato a il ,residente a in via gia' presente,  non
comparso D P R, nata a il , ivi residente in  via  non  comparsa  per
sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2  co.
1 lett. n) d.lgs. 150/2022 e 635 co. 5  c.p.  come  novellato,  nella
parte in cui non prevedono la procedibilita' a querela per  il  reato
di danneggiamento di cui all'art. 635 co. 2 n. 1) avente  ad  oggetto
cose esposte alla pubblica fede di cui all'art. 625 n.  7  c.p.,  per
violazione degli artt. 3, 27 co. 3, 111  e  117  Cost.  in  relazione
all'art. 6 CEDU 
    1. Svolgimento del procedimento 
    Nel procedimento in epigrafe indicato il PM emetteva in  data  24
febbraio 2022 decreto di citazione diretta a giudizio  nei  confronti
dell'imputato, in ordine ai reati indicati in epigrafe, per l'udienza
del  29  settembre  2022  da  celebrarsi  dinnanzi  al  Tribunale  in
composizione monocratica di Nola. In quella sede il Giudice disponeva
la rinnovazione della notifica nei confronti del D per l'udienza  del
9 febbraio 2023 nella quale,  stante  la  ricevuta  notifica  a  mani
proprie da parte dell'imputato, il Giudice  disponeva  procedersi  in
sua assenza. 
    In assenza di  questioni  o  eccezioni  preliminari,  il  Giudice
dichiarava aperto il dibattimento e, con  il  consenso  delle  parti,
venivano acquisiti tutti gli atti di indagine, pertanto  utilizzabili
ai fini  della  decisione.  La  persona  offesa  querelante,  M  F  ,
dichiarava di  rimettere  la  querela  nei  confronti  dell'imputato.
Pertanto il difensore  dell'imputato  sollecitava  questo  Giudice  a
sollevare la questione di legittimita' tratteggiata in  epigrafe.  Il
PM si  riservava  di  interloquire  alla  successiva  udienza  ed  il
Giudice, pertanto, si riservava sulla decisione, dapprima all'udienza
del 27 aprile 2023, poi anticipata con decreto comunicato alle parti,
all'udienza del 23 marzo 2023. 
    In questa  sede  il  Giudice,  sentite  le  parti,  sollevava  la
questione  di  legittimita'   oggetto   della   presente   ordinanza,
disponendo gli adempimenti di legge consequenziali. 
    2. La rilevanza della questione 
    In primo luogo, deve osservarsi che la questione di  legittimita'
costituzionale sollevata e' rilevante nel presente giudizio,  per  le
ragioni che saranno di seguito esposte. 
    In data    M F presentava apposita denuncia querela nei confronti
dell'imputato D S soggetto a lui gia' noto. 
    Il M ,  infatti,  riferiva  di  aver  ricevuto,  nell'arco  della
giornata del   , svariate telefonate, all'incirca una ventina, da D S
, che chiedeva informazioni sul conto di tale  M  M  ,  figlia  della
moglie del denunciante. 
    Il M riferiva che nel corso delle telefonate, da lui ascoltate in
viva voce, il D profferiva minacce e improperi  e,  nello  specifico,
ebbe a pronunciare le seguenti frasi:      
      
    La mattina del inoltre,  il  M  riferiva  di  aver  ritrovato  la
propria  autovettura  Lancia  Dedra  1.6.  targata  danneggiata.   In
particolare, la vettura presentava  il  parabrezza  anteriore  ed  il
fanalino posteriore sinistro lesionati, oltre ad  una  bordura  nello
sportello posteriore destro. Il M , pertanto, chiedeva ad  un  vicino
di visionare le immagini  di  videosorveglianza,  dalla  cui  visione
riconosceva con evidenza il D intento  a  danneggiare  l'autovettura.
Inoltre il denunciante consegnava alle forze dell'ordine un  cilindro
di  ferro  di  colore  nero,  rinvenuto  in  prossimita'.  della  sua
autovettura,   ed   un   pen-drive   contenente   il    filmato    di
videosorveglianza,  poi  visionato  dalla  polizia   giudiziaria   in
servizio presso il  Commissariato  di  P.S.  di  Nola;  gli  operanti
confermavano quanto riscontrato dal denunciante e riconoscevano il  D
 - soggetto pregiudicato noto ai loro  uffici  -  come  l'autore  del
danneggiamento della vettura del M . 
    Orbene, cosi' ricostruiti fatti, all'udienza del 9 febbraio  2023
M F rimetteva  dinnanzi  a  questo  Giudice  la  querela  sporta  nei
confronti dell'imputato, dichiarando di averlo perdonato. 
    In primo luogo,  non  emergono  dagli  atti  elementi  dai  quali
desumere, ai sensi dell'art. 129  co.  2  c.p.p.,  l'evidenza  di  un
proscioglimento nel merito nei confronti dell'imputato; per converso,
dagli atti acquisiti con il Consenso delle parti - il  cui  contenuto
e' stato sinteticamente esposto  nel  presente  paragrafo -  emergono
plurimi elementi comprovanti la responsabilita' del D . 
    In secondo luogo, non rileva la possibile  individuazione,  quale
persona offesa del reato, anche di D P R ,  in  tale  veste  indicata
nell'atto introduttivo del giudizio, sebbene non querelante. 
    In tal senso,  il  chiaro  disposto  dell'art.  154  co.  2  c.p.
stabilisce che se tra piu' persone offese da un reato taluna soltanto
ha proposto querela, la remissione del querelante non  pregiudica  il
diritto  di  querela  delle  altre:  soltanto  nell'ipotesi   -   non
ricorrente nel Caso di specie  di  una  querela  presentata  da  piu'
persone offese, la remissione deve  provenire  da  tutte  queste  per
sprigionare efficacia estintiva del reato. 
    Nel caso in esame, ferma restando la presentazione della  querela
da parte del solo M F , risulta comunque spirato l'eventuale  termine
di presentazione della querela da parte della seconda persona  offesa
D P R , ai sensi dell'art. 124 c.p., edotta dei  fatti  di  causa  al
piu' tardi all'atto della presentazione della querela  da  parte  del
coniuge. 
    Inoltre, a nulla rileva  che  in  atti  non  vi  sia  un'espressa
accettazione  dell'intervenuta  remissione  di   querela   da   parte
dell'imputato. 
    Questo Giudice, infatti, si conforma al consolidato  orientamento
di legittimita', secondo cui «Ai fini dell'efficacia della remissione
di querela non e' indispensabile l'accettazione, essendo  sufficiente
che, da parte del querelato, non vi sia un rifiuto espresso o  tacito
della remissione. Ne consegue che,  in  assenza  di  altri  elementi,
anche la contumacia dell'imputato puo' essere apprezzata quale indice
dell'assenza della volonta'  di  coltivare  il  processo».  (Sez.  5,
Sentenza n. 7072 del  12  gennaio  2011  Ud.  (dep.  23/02/2011)  Rv.
249412-01). 
    Tale orientamento, consolidatosi anteriormente alla  riforma  del
processo penale di cui alla legge n. 67 del 28 aprile 2014 e  percio'
gia' applicabile all'imputato dichiarato contumace, appare a fortiori
condivisibile rispetto all'ipotesi di accettazione  in  forma  tacita
della remissione della  querela  da  parte  dell'imputato  dichiarato
assente ex  art.  420-bis  c.p.p.,  attesa  la  considerevole  tutela
apprestata dal legislatore alla consapevolezza e alla  libera  scelta
dell'imputato mediante  l'introduzione  dell'istituto  della  assenza
che, come e' noto, presuppone la prova della conoscenza del  processo
da parte sua. 
    Nel presente processo l'imputato D S  raggiunto  a  mani  proprie
dalla  notifica  dell'atto  introduttivo   del   presente   giudizio,
rappresentato da un difensore di' fiducia che nulla  ha  eccepito  in
ordine all'intervenuta remissione di querela ed anzi  ha  sollecitato
il  rilievo  da  parte  di  questo  Giudice  di  una   questione   di
legittimita'  che  presuppone  implicitamente  l'accettazione   della
remissione, non ha fatto pervenire alcuna dichiarazione contraria  di
espresso rifiuto. 
    Tali  fatti,  ritiene  questo   Giudice,   rappresentano   indici
inequivoci di un mancato rifiuto della remissione di querela da parte
dell'imputato. 
    Infine, deve rilevarsi come nel presente processo la (perdurante)
procedibilita'  ufficiosa  del  reato  di  danneggiamento   aggravato
dall'esposizione della res alla pubblica fede, contestato al capo  B)
dell'imputazione, assume carattere rilevante in quanto e'  idonea  ad
impedire la pronuncia  di  una  immediata  sentenza  di  non  doversi
procedere per estinzione dei reati ascritti all'imputato  in  ragione
dell'intervenuta remissione di querela. 
    Con riferimento al contestato reato di  cui  all'art.  660  c.p.,
l'art. 3 co. 1 lett. b) n. 1 del d.lgs. 150 del 2022 ha espressamente
introdotto la procedibilita' a querela: ne  consegue  che,  ai  sensi
dell'art. 2 co.  4  c.p.,  l'innovazione  normativa,  in  quanto  lex
mitior, e' applicabile al caso di specie, in tutti  i  suoi  coronari
applicativi, non  da  ultimo  l'estinguibilita'  del  reato  mediante
remissione. 
    Con riferimento al contestato reato di cui all'art. 612 cpv. c.p.
-  impregiudicata  l'effettiva  sussistenza.  del   connotato   della
«gravita'» delle minacce nel caso di specie l'art. 2 co. 1  lett.  f)
del d.lgs. 150/2022 ha delimitato  la  procedibilita'  ufficiosa  del
reato alle sole ipotesi di cui all'art. 339 c.p. (non ricorrenti  ne'
contestate nel caso di specie) ovvero ai casi in cui «la minaccia  e'
grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale  diverse
dalla recidiva, ovvero se la persona  e'  incapace  per  eta'  o  per
infermita'». Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie -  al
D e' contestata la  sola  recidiva  ex  art.  99  co.  4  c.p.  quale
circostanza  aggravante  ad  effetto  speciale  -  e   pertanto,   in
applicazione del disposto dell'art. 2 co. 4 c.p., anche  il  suddetto
reato  contestato  all'imputato  deve  considerarsi   procedibile   a
querela. 
    Ne  consegue,  dunque,  che  solo  in  ragione  della  perdurante
procedibilita' ufficiosa del reato di cui all'art. 635  co.  2  n.  1
c.p. l'immediata pronuncia di una sentenza di non  doversi  procedere
e' inibita a questo Giudice. 
    2.1. La residua fattispecie di cui all'art. 635 co. 1 e  2  n.  1
c.p. 
    Ritiene questo Giudice che il fatto, cosi' come ricostruito,  sia
correttamente inquadrato nella fattispecie incriminatrice  ipotizzata
dall'Ufficio del pubblico ministero. 
    Quanto alla fattispecie oggettiva del delitto in  questione,  non
vi e' dubbio che  l'imputato  abbia  reso  in  parte  inservibile  la
vettura della persona offesa, arrecando una lesione non  trascurabile
al bene  giuridico  protetto  dalla  norma,  alterando  il  connotato
strutturale e funzionale della res («Il delitto di danneggiamento  si
differenzia da quello di deturpamento e imbrattamento di cose  altrui
non  gia'  in  ragione  del  carattere  irreversibile  dagli  effetti
dell'azione dannosa ma per  la  diversa  tipologia  dell'alterazione,
che, ove impedisca anche  parzialmente  l'uso  delle  cose,  rendendo
necessario un  intervento  ripristinatorio,  connota  il  delitto  di
danneggiamento.» (Sez. 2,  Sentenza  n.  2768  del  2  dicembre  2008
Ud. (dep. 21/01/2009) Rv. 242708 - 01). 
    Le modalita' del fatto, come descritte  dalla  persona  offesa  e
confermate dalla visione delle  immagini  di  videosorveglianza,  non
lasciano dubbio alcuno in ordine all'elemento soggettivo del reato in
contestazione ed alla sua riconducibilita' all'imputato («Il dolo del
delitto di danneggiamento richiede la mera coscienza  e  volonta'  di
danneggiare, senza essere qualificato dal fine specifico di nuocere.»
(Sez.  6,  Sentenza  n.  35898  del  18  settembre  2012  Ud.   (dep.
19/09/2012) Rv. 253350 - 01). 
    Pacificamente  sussistente,  inoltre,  e'  la  sussistenza  della
aggravante o rectius della nota modale della  condotta  prevista  dal
dettato normativo, in quanto il titolare della  vettura  non  era  in
condizioni di assicurare sulla stessa, parcheggiata nottetempo  sulla
pubblica via, una persistente ed adeguata sorveglianza (cfr. «Ai fini
della configurabilita' dell'aggravante dell'esposizione alla pubblica
fede e' necessario che il titolare del diritto  di  proprieta'  sulla
cosa  oggetto  dell'azione  delittuosa  non  possa   esercitare   una
vigilanza continua sul bene. (In applicazione del principio, la Corte
ha riconosciuto l'aggravante in  un  caso  di  danneggiamento  di  un
'autovettura parcheggiata sulla pubblica via mentre  il  proprietario
si trovava all'interno di un cortile antistante alla  stessa).  (Sez.
2, Sentenza n. 42023 del 19 giugno 2019  Ud.  (dep.  14/10/2019)  Rv.
277046 - 01). 
    Dagli atti utilizzabili ai  fini  della  decisione,  infine,  non
emerge la sussistenza di cause di giustificazione o di cause  di  non
punibilita' lato sensu intese. Segnatamente, appare impraticabile  il
riconoscimento  della  causa  di  non  punibilita'  per   particolare
tenuita' del fatto nei confronti dell'imputato, recidivo reiterato  e
specifico, gravato da precedenti per reati  violenti  commessi  senza
soluzione di continuita' («La causa di esclusione  della  punibilita'
per particolare tenuita' del fatto di cui all'art. 131-bis cod.  pen.
non puo' essere applicata in caso di  riconoscimento  della  recidiva
reiterata   specifica,   elemento   sintomatico   della    accentuata
pericolosita'  sociale   dell'imputato   per   l'elevato   grado   di
colpevolezza che essa implica.» (Sez. 5,  Sentenza  n.  1489  del  19
ottobre 2020 Ud. (dep. 14/01/2021) Rv. 280250 - 01). 
    3. La non manifesta infondatezza della questione: le rationes del
d.lgs. 150/2022 
    Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene  lo
scrivente che la perdurante procedibilita'  ufficiosa  del  reato  di
danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede  sia  contraria  al
principio di ragionevolezza (art.  3  Cost.),  nonche'  al  finalismo
rieducativo della pena (art. 27, comma 3 Cost.) ed  al  principio  di
ragionevole durata del processo (art. 111. Cost  e  6  CEDU,  per  il
tramite dell'art. 117 Cost.). 
    L'art. 1 co. 15 della  legge  delega  prevedeva,  come  specifico
criterio  direttivo  perii  legislatore  delegato,  l'estensione  del
regime di procedibilita'  a  querela  a  specifici  reati  contro  la
persona o contro il patrimonio nell'ambito di quelli puniti con  pena
edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni. 
    Come  e'  possibile  desumere  dalla  lettura   della   Relazione
illustrativa al d.lgs. 150/2022,  «La  legge  delega  ha  individuato
l'area di estensione della procedibilita' a  querela  in  rapporto  a
reati,  di  non  particolare  gravita',  posti  a  tutela   di   beni
individuali, personali e patrimoniali. Il bene giuridico tutelato, in
via esclusiva o prevalente dalla norma incriminatrice, e' pertanto il
criterio  guida  per  l'individuazione  degli  specifici  reati   cui
estendere il regime di  procedibilita'  a  querela.  Si  e'  pertanto
conservata la procedibilita' a d'ufficio nelle ipotesi in  cui  viene
in  rilievo  una  dimensione  sovra-individuale   dell'offesa   (beni
pubblici o a titolarita' diffusa) o vi e' una particolare esigenza di
tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere
nella scelta processuale di presentare una querela.» (pag. 320  della
Relazione illustrativa). 
    La  dimensione  individuale  dell'offesa,   inoltre,   oltre   ad
inverarsi nella procedibilita' a querela tramite  la  scelta  rimessa
alla persona offesa di intraprendere la via penalistica, si salda con
importanti risvolti processuali, come parimenti sottolineato in  sede
di Relazione («Una delle linee di  fondo  della  l.  n.  134/2021  e'
infatti quella di incentivare tali condotte in vista della estinzione
del  reato  prima  della  celebrazione  del  processo,  a   beneficio
dell'imputato, della vittima e del sistema giudiziario. Estendere  la
procedibilita' a querela a  reati  contro  la  persona  e  contro  il
patrimonio, di frequente contestazione,  come  ad  esempio  nel  caso
delle lesioni personali e del furto, rappresenta un  forte  incentivo
alla riparazione dell'offesa nonche' alla definizione anticipata  del
procedimento  penale  attraverso  la  remissione  della   querela   o
l'attivazione della causa estintiva di  cui  all'art.  162-ter  c.p.»
(pag. 321 della Relazione illustrativa). 
    Nei settori  interessati  dall'intervento  legislativo  delegato,
dunque, la procedibilita' ufficiosa funge inopinatamente da  zavorra.
«che in non pochi casi lega oggi irragionevolmente le mani tanto alle
parti quanto al giudice, con enorme dispendio di  energie  e  risorse
che potrebbero essere utilmente impiegate per perseguire altri  reati
e per ridurre tempi complessivi medi di definizione dei  procedimenti
penali» (pag. 321 della Relazione illustrativa). 
    Nel perseguire tali e valide ragioni di politica  criminale,  con
riferimento al reato di furto il legislatore delegato ha limitato  la
procedibilita' d'ufficio - prima prevista in  tutti  i  casi  in  cui
ricorreva una o piu' delle circostanze  aggravanti  speciali  di  cui
all'art. 625 c.p. - alle sole  circostanze  aggravanti  previste  dai
numeri 7 (esclusa l'ipotesi  dell'esposizione  della  res  alla  fede
pubblica) e 7-bis. 
    Il legislatore delegato, in altri termini, ha ritenuto  opportuno
conservare la procedibilita' d'ufficio solo  in  relazione  a  quelle
circostanze  aggravanti  connesse  ad  una  dimensione  pubblicistica
dell'oggetto materiale della condotta. 
    Il furto resta procedibile d'ufficio, pertanto, se  il  fatto  e'
commesso su cose esistenti  in  uffici  o  stabilimenti  pubblici,  o
sottoposte a sequestro  o  a  pignoramento  o  destinate  a  pubblico
servizio o a pubblica utilita', difesa o reverenza (art.  625,  n.  7
c.p.); ovvero se il fatto e'  commesso  su  componenti  metalliche  o
altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate  all'erogazione
di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di  altri
servizi pubblici e gestite da  soggetti  pubblici  o  da  privati  in
regime di concessione pubblica (art. 625, n. 7-bis). 
    Diviene, invece, procedibile a querela il furto  aggravato  dalla
mera esposizione delle cose alla pubblica fede. 
    Con  riferimento,  invece,  al  reato   di   danneggiamento,   il
legislatore delegato ha introdotto la  procedibilita'  a  querela  di
parte, limitatamente all'ipotesi prevista dal primo  comma  dell'art.
635 (fatto commesso con violenza alla persona o con minaccia), in cui
il  reato  si  sostanzia  in  un'offesa   di   natura   spiccatamente
patrimoniale e privatistica, oltre che personale (violenza/minaccia),
con la sola eccezione - in piena attuazione del dettato  della  legge
delega - del fatto commesso ai danni di persona offesa  incapace  per
eta' o per infermita'. 
    Le ipotesi previste  nei  successivi  commi  dell'art.  635  c.p.
permangono  procedibili  d'ufficio,  cosi'  come  resta   ferma   l'a
procedibilita' d'ufficio del reato commesso in occasione del  delitto
previsto dall'art. 331 c.p. (interruzione di un pubblico servizio). 
    Come e'  evidente,  il  legislatore  delegato,  nel  solco  delle
rationes  politico  -  criminali  prima  esposte,  ha  conservato  la
procedibilita' ufficiosa per le ipotesi  di  danneggiamento  di  beni
pubblici o, comunque, di interesse o utilita' pubblica. 
    Il limitato caso del danneggiamento di cose esposte alla pubblica
fede, tuttora procedibile d'ufficio,  non  e'  stato  oggetto  di  un
puntuale intervento normativo da parte del legislatore delegato. 
    Tale  lacuna  legislativa,  oggetto  della  presente   ordinanza,
presenta evidenti profili di irragionevolezza. 
    Questo Giudice non ignora che il legislatore conserva un  margine
di  discrezionalita'   nell'intervenire   nell'ambito   del   sistema
sanzionatorio (cfr. ordinanza Corte cost. n. 238 del 2019). 
    Tuttavia, anche in  tali  ambiti  le  scelte  legislative  devono
rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa  Corte
costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del
2015:   «Secondo   la   costante    giurisprudenza    costituzionale,
l'individuazione delle condotte  punibili  e  la  configurazione  del
relativo trattamento sanzionatorio rientrano  nella  discrezionalita'
legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di  sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca  in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis; sentenze
n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e  n.
394 del 2006)»]. 
    Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera'  facendo
applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte, la
perdurante procedibilita' officiosa per il reato in questione  sembra
costituire una di  quelle  «manifeste  ragioni  di  irrazionalita'  o
discriminazioni prive di fondamento giuridico,  che  sole  potrebbero
consentire di sindacare [l'] ampio potere discrezionale riservato  al
legislatore» (Sent. 175 del 1997, ma anche 416 del 1996;  nn.  295  e
188 del 1995), in riferimento  alla  quale  sarebbe  consentita  alla
Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale  [...]  fondata
soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile» (Sent. n.  46
del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, 206 del 1999). 
    Ed  infatti  la  procedibilita'  officiosa  per   il   reato   di
danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede  non  sembra  avere
alcuna ratio giustificatrice. 
    Basti considerare che per una fattispecie analoga ma  piu'  grave
lo stesso legislatore delegato, con il medesimo intervento normativo,
ha introdotto la procedibilita' a querela. 
    Ed infatti, il furto aggravato dall'esposizione delle  cose  alla
pubblica fede, per diritto vivente consolidato,  e'  considerato  una
fattispecie dotata di maggiore gravita', in quanto volta a  deprivare
il titolare della  sfera  di  dominio  sulla  res,  piuttosto  che  a
comprimere le facolta' godimento di un bene  che  permane  nella  sua
sfera giuridica. 
    Si trae conferma di tale evidente constatazione nell'orientamento
giurisprudenziale della Suprema Corte, che  statuisce  l'assorbimento
della fattispecie meno grave in quella piu'  grave  («Il  delitto  di
furto aggravato dalla violenza sulle cose non concorre  con  il reato
di danneggiamento delle medesime cose ma lo  assorbe,  in  quanto  la
violenza si trova  in  rapporto  funzionale  con  l'esecuzione  della
condotta di furto. (nella specie la  violenza  era  consistita  nella
rottura  del  vetro  di  una  autovettura  dalla  quale  erano  stati
sottratti tergicristalli, fari e  antenne)».  (Sez.  5,  Sentenza  n.
49571 del 23 settembre 2014 Ud. (dep. 27/11/2014) Rv. 26-1732 - 01). 
    Gia' solo per  tale  ragione  l'omessa  modifica  del  regime  di
procedibilita'  del  reato   di   danneggiamento   aggravato   appare
caratterizzato da un'irragionevolezza estrinseca, giacche'  determina
un irragionevole trattamento differenziato di situazioni  omogenee  e
percio' sotto tale profilo si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. 
    Ma vi e' di piu'. 
    La   perdurante   procedibilita'   ufficiosa   del    reato    di
danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede produce di per  se'
effetti distonici rispetto agli scopi prefissati dal  legislatore  e,
pertanto,  sproporzionati  ed  irragionevoli,  nell'accezione   fatta
propria dalla giurisprudenza della Corte costituzionale («il giudizio
di ragionevolezza, lungi dal  comportare  il  ricorso  a  criteri  di
valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti» cfr. Corte  cost.  sent.  1130  del  1988;
Corte cost. sent. 264 del 1996). 
    D'altronde, come da  tempo  la  stessa  Corte  costituzionale  ha
inequivocabilmente affermato «Il principio di  proporzionalita'  [va]
inteso [...]  anche  e  soprattutto,  quale  'criterio  generale'  di
congruenza degli  strumenti  normativi  rispetto  alle  finalita'  da
perseguire» (Corte cost., sentenza n. 487 del  1989).  Il  perdurante
regime di procedibilita' officiosa per  il  reato  di  danneggiamento
aggravato dall'esposizione alla pubblica fede «costringe» il  giudice
ad imbastire un processo finalizzato  all'applicazione  di  una  pena
sproporzionata nell'an  ancor  prima  che  nel  quantum,  poiche'  da
applicare ad un fatto che, in base ai criteri  generali  fissati  dal
medesimo legislatore delegante, non ne e' invece 'bisognoso', secondo
la libera valutazione della persona offesa: cio' risulta  ancor  piu'
evidente nel caso di specie, ove la  persona  offesa,  rimettendo  la
querela, dichiarava di aver perdonato l'imputato. 
    L'assunto determina una  evidente  violazione  non  soltanto  del
principio di uguaglianza, sub specie di ragionevolezza e proporzione,
ma anche della finalita' rieducativa della pena di cui  all'art.  27,
commi 1 e 3, Cost. 
    Infatti,  l'individualizzazione  del  trattamento   sanzionatorio
costituisce  evidente  attuazione  del  «mandato  costituzionale   di
«personalita'» della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo
comma, Cost.» 
    (Corte cost., sentenza n. 222 del  2018);  al  contempo,  «...una
pena non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita  come
tale dal condannato) si risolve in  un  ostacolo  alla  sua  funzione
rieducativa» 
    (Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza  n.  236
del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte, superando
la concezione c.d. polifunzionale della pena,  ha  inequivocabilmente
affermato, il rispetto della finalita' rieducativa della pena di  cui
all'art. 27 comma 3 della Costituzione implica e al  contempo  impone
un  «"principio  di  proporzione"  tra  qualita'  e  quantita'  della
sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,  dall'altra»  e,  «lungi   dal
rappresentare  una  mera   generica   tendenza   riferita   al   solo
trattamento, indica invece proprio una delle  qualita'  essenziali  e
generali che caratterizzano la pena nel suo  contenuto  ontologico  e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta  previsione  normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n.  313
del 1990). 
    Come,   da   ultimo,   la   giurisprudenza   costituzionale    ha
vigorosamente rimarcato  «...allorche'  le  pene  comminate  appaiano
manifestamente  sproporzionate  rispetto  alla  gravita'  del   fatto
previsto quale reato, si profila un contrasto con gli  art.  3  e  27
Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si
risolve in un ostacolo alla  sua  funzione  rieducativa  (ex  multis,
sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del  2012  e  n.  341  del  1994).  I
principi di cui agli artt. 3 e 27  Cost.  "esigono  di  contenere  la
privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana
nella misura necessaria e sempre allo scopo di favorirne  il  cammino
di recupero, riparazione, riconciliazione  e  reinserimento  sociale"
(sentenza n. 179 del 2017) in vista  del  "progressivo  reinserimento
armonico della persona  nella  societa',  che  costituisce  l'essenza
della finalita' rieducativa" della pena (da ultimo, sentenza  n.  149
del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto  dai
principi costituzionali e'  di  ostacolo  l'espiazione  di  una  pena
oggettivamente non proporzionata alla  gravita'  del  fatto,  quindi,
soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente  vessatoria  e,
dunque, destinata a non realizzare lo  scopo  rieducativo  verso  cui
obbligatoriamente deve tendere» (sentenza n.  40  del  2019;  v.,  da
ultimo, sentenza n. 102/2020). 
    Ebbene, la potenziale applicazione  di  una  pena,  anche  minima
(mediante un processo, anche breve) all'autore di  un  illecito  che,
per la dimensione esclusivamente privatistica dell'offesa  e  secondo
l'insindacabile  giudizio  della  vittima  -  per  espressa  volonta'
legislativa, assurta quale  «autonomo  misuratore»  della  necessitas
puniendi -  non  e'  bisognoso  di  pena,  costituisce  una  reazione
sproporzionata  dell'ordinamento,  che  sacrifica  e   banalizza   la
liberta' personale dell'individuo, dichiarata «inviolabile» dall'art.
13 Cost., a fronte di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di
pena; cio' realizzerebbe,  pertanto,  un  ingiustificato,  inutile  e
intollerabile sacrificio della liberta' personale, in violazione  dei
principi  di  uguaglianza,  ragionevolezza  e  proporzionalita',   di
personalita' della responsabilita' penale e  di  rieducazione,  oltre
che di sussidiarieta' del diritto penale o extrema  ratio,  il  quale
esige che la sanzione piu' grave di  cui  l'ordinamento  dispone  sia
attivata esclusivamente in relazione a fatti realmente  bisognosi  di
pena, in mancanza di  strumenti  alternativi  di  tutela  (cfr.,  per
tutte, la sentenza n. 364 del 1988). 
    Piuttosto, l'applicazione di una pena sproporzionata in se' - non
residuando a disposizione del Giudice concreti strumenti alternativi,
stante l'inapplicabilita' al  caso  di  specie  della  causa  di  non
punibilita' dell'art. 131-bis c.p. - giacche' non necessaria  per  il
perseguimento delle finalita' di risocializzazione  di  cui  all'art.
27, comma 3 Cost., in uno con la celebrazione del relativo  processo,
nulla apporta alla  concreta  tutela  dei  diritti  fondamentali  dei
soggetti coinvolti. 
    Tra  gli  effetti  distorsivi  della  perdurante   procedibilita'
ufficiosa del reato di danneggiamento di cose esposte  alla  pubblica
fede - indici del  carattere  di  irragionevolezza  intrinseca  della
norma - molteplici investono il versante processuale. 
    Il regime di procedibilita' qui censurato si  pone  in  contrasto
con  il  principio  di  ragionevole  durata  del   processo   e,   di
conseguenza, con la  finalita'  di  deflazione  processuale  posta  a
fondamento delle  modifiche  in  tema  di  procedibilita'  a  querela
sostenute dal legislatore delegato. 
    Come  considerato   dalla   giurisprudenza   costituzionale,   la
ragionevole durata e' oggetto «oltreche' di un interesse  collettivo,
di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno
di quello ad un giudizio equo e imparziale, come  oggi  espressamente
risulta dal dettato dell'art. 111 co. 2 Cost.» (C.  cost.,  21  marzo
2002 n. 78, altresi' C. cost., 26 aprile 2018 n. 88). La garanzia  in
esame  e'  funzionale,  come  piu'  volte   affermato   anche   dalla
giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo  titolare  «dal
rischio di restare  troppo  a  lungo  nell'incertezza  della  propria
sorte» (C. eur., 10 novembre 1969, Stogmuller c. Austria,  §  5:  «in
criminal matters, especially, it is designed to avoid that  a  person
charged should remain too long in a state of  uncertainty  about  his
fate»), sul presupposto che tale condizione nel processo penale  -  a
prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia di per se'  fonte  di
sofferenza individuale. 
    Il principio, come e'  noto,  affonda  le  sue  radici  non  solo
nell'art. 111 co. 2 Cost., ma  altresi'  in  una  congerie  di  norme
internazionale, parimenti violate ad opinione dello scrivente  (artt.
6 CEDU per il tramite dell'art. 117 Cost, art 47 CDFUE,  nonche'  art
14 lett. c) del Patto internazionale sui diritti civili  e  politici)
e, per pacifica giurisprudenza  costituzionale  e  convenzionale,  si
estende altresi' a tutela dell'indagato che  abbia  avuto  conoscenza
del procedimento e non del. solo imputato (Corte EDU, 15 luglio 1982,
Eckle c. Germania, § 73, secondo cui i termini 'charge'  e  'charged'
alludono a: «the official notification given to an individuai by  the
competent authority of an allegation that he has committed a criminal
offence, a definition that also corresponds to the test whether  "the
situation of the [suspect]  has  been  substantially  affected"».  V.
anche C. eur., 10 dicembre 1982, C c. Italia, § 34. Piu' di  recente,
Corte EDU, 5 ottobre 2017, Kaleja  c.  Lettonia,  §  36:  «The  Court
reiterates that in criminal matters, the "reasonable  time"  referred
to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a person is "charged". A
"criminal charge" exists  from  the  moment  that  an  individual  is
officially notified by the competent authority of an allegation  that
he has committed a criminal offence, or from the point at  which  his
situation has been substantially affected by  actions  taken  by  the
authorities as a result of a suspicion against him»; cfr.  anche,  da
ultimo, Corte EDU, 20 giugno 2019, Chiarello c. Germania, § 44). 
    Il  principio  della  ragionevole  durata  del   processo,   come
interpretato dalla giurisprudenza convenzionale,  obbliga  gli  Stati
membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in
modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare
i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC, 29 marzo 2006, S  c.
cit., in particolare §§  183-187),  prescrivendo  al  legislatore  di
porre le condizioni ordinamentali, organizzative e  processuali  piu'
idonee al  conseguimento  degli  obiettivi  connessi  ad  un  congruo
accertamento processuale. 
    Cio' premesso, la perdurante procedibilita' ufficiosa  del  reato
di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede non soltanto non
consente di raggiungere le finalita' di deflazione processuale - come
e' evidente nel caso di specie, in cui la persona offesa rimetteva la
querela dinnanzi a questo Giudice, non potendosi  tuttavia  procedere
ad una pronuncia ex art. 129 c.p.p. per le ragioni sopraesposte -  ma
in misura deteriore il procedimento assume una durata contraria  alle
sue stesse finalita' e, per cio' solo, irragionevole. 
    Tutto cio' premesso, 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara  d'ufficio  rilevante  nel  presente  giudizio   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto degli artt. 2 co. 1 lett. n) d.lgs. 150/2022 e
635 co. 5 c.p. come novellato, nella parte in cui  non  prevedono  la
procedibilita' a querela  per  il  reato  di  danneggiamento  di  cui
all'art. 635 co. 2 n. 1) avente ad oggetto cose esposte alla pubblica
fede di cui all'art. 625 n. 7 c.p., per violazione degli artt. 3,  27
co. 3, 111 e 117 Cost. in relazione all'art. 6 CEDU. 
    Sospende il giudizio; 
    Ordina l'immediata trasmissione alla Corte  costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme  con  la  prova
delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso; 
    Dispone che la presente ordinanza  sia  notificata  all'imputato,
alla persona offesa e al Presidente del Consiglio dei ministri e  che
sia comunicata ai Presidenti del  Senato  della  Repubblica  e  della
Camera dei deputati; 
      Nola, 23 marzo 2023 
 
                         Il Giudice: Muzzica