N. 70 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 2023

Ordinanza    . 
 
Ambiente  -  Rifiuti  -  Norme  della  Regione   Lazio   -   Funzioni
  amministrative delle Province - Previsione che delega alle Province
  l'approvazione dei  progetti  e  l'autorizzazione  a  realizzare  e
  gestire nuovi impianti di smaltimento o  di  recupero  dei  rifiuti
  previsti. 
- Legge  della  Regione  Lazio  9  luglio  1998,  n.  27  (Disciplina
  regionale della gestione dei rifiuti), art. 5, comma 2. 
(GU n.22 del 31-5-2023 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 7194 del 2020, proposto da Game.Fer  S.r.l.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avvocati Giuseppe Naccarato e Davide  Gambetta,  con  domicilio
digitale in atti e domicilio eletto presso il loro  studio  in  Roma,
via Tagliamento n. 76; 
    contro Citta' Metropolitana di  Roma  Capitale,  in  persona  del
legale   rappresentante   pro   tempore,   rappresentata   e   difesa
dall'avvocato Sabrina Barra, con domicilio digitale in atti; 
    Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore,  rappresentata
e difesa dall'avvocato Antonio Ciavarella, con domicilio digitale  in
atti; 
    Ministero per i beni e le attivita'  culturali,  in  persona  del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi  n.
12; 
    Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro  tempore,
non costituita in giudizio; 
 
                            nei confronti 
 
    Impreme Sud S.r.l., in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa  dagli  avvocati  Giovanni  Valeri  e
Francesco Sementilli, con domicilio  digitale  in  atti  e  domicilio
eletto presso il loro studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 11; 
 
        per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia 
 
    - della determinazione dirigenziale di  Citta'  Metropolitana  di
Roma Capitale, Dipartimento 04, Servizio 01 - Gestione Rifiuti,  R.U.
1499 del 4 giugno 2020, prot. 8 giugno 2020 n. 89023,  comunicata  in
data 8 giugno 2020,  di  conclusione  negativa  del  procedimento  di
rilascio   di   autorizzazione   all'esercizio   dell'attivita'    di
rottamazione ai  sensi  dell'art.  208  del  decreto  legislativo  n.
152/2006; 
    - dei pareri negativi di Roma  Capitale  e,  in  particolare:  i)
prot. QI 44302 del 2 aprile 2020  di  Roma  Capitale  -  Dipartimento
Programmazione e Attuazione Urbanistica  -  Direzione  Pianificazione
Generale; ii) prot. QI 57972 del 26 maggio 2020 di  Roma  Capitale  -
Dipartimento Programmazione  e  Attuazione  Urbanistica  -  Direzione
Pianificazione Generale; iii) parere unico  negativo  nota  prot.  QL
36276  del  28  maggio  2020  di  Roma  Capitale  Direzione  Rifiuti,
Risanamenti e Inquinamenti; iv) del parere negativo del Ministero per
i beni e le attivita' culturali - Soprintendenza Speciale Archeologia
Belle Arti e Paesaggio di Roma prot. n. 23754 del 27 giugno 2019;  v)
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, compresi,  la
nota CMRC prot. n. 9830 del 20 gennaio 2020, di preavviso di rigetto,
la nota Roma Capitale prot. RA/7597 del 6 febbraio 2020 di nomina del
Rappresentante Unico di Roma Capitale; i verbali della conferenza dei
servizi del 5 marzo 2019 e dell'11 giugno 2019; 
    - del  Programma  Riqualificazione  Urbana  (P.R.U.)  del  Centro
Servizi Prenestino di cui  all'Accordo  di  Programma  approvato  con
ordinanza del sindaco di Roma 27 maggio 2010, n. 132 e della relativa
convenzione stipulata con atto rep.  7117,  racc.  n.  3514,  del  28
dicembre 2010 e successiva convenzione integrativa stipulata con atto
rep. n. 239933, racc. n. 38654, del 18 giugno 2012, compresi gli atti
presupposti,  connessi  e  conseguenti,  tra  cui  la  delibera   del
Consiglio Comunale n. 205 del 27 ottobre 2003; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di   costituzione   in   giudizio   di   Citta'
Metropolitana di Roma Capitale, di Roma Capitale, del Ministero per i
beni e le attivita' culturali e della Impreme Sud S.r.l.; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2022 la
dott.ssa Eleonora Monica e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale. 
    1. Con  il  presente  gravame,  la  Game.Fer  S.r.l.  -  titolare
dell'impianto di rottamazione di rifiuti metallici (diversi da quelli
provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi o
dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati
ed obsoleti), sito in Roma, via Palmiro Togliatti,  1009  (all'angolo
con via Prenestina) - impugna la determinazione dirigenziale con  cui
Citta' Metropolitana di  Roma  Capitale  le  ha  negato  il  rilascio
dell'autorizzazione ex art. 208 del decreto legislativo n.  152/2006,
respingendo la relativa istanza da costei  avanzata  in  relazione  a
detto impianto, nonche' i presupposti pareri  negativi  espressi  dal
Ministero per i beni e le attivita' culturali e da Roma  Capitale  in
sede di relativa conferenza di servizi decisoria. 
    La societa' ricorrente - nel premettere di aver  fino  ad  allora
esercitato la relativa attivita' di  rottamazione  in  forza  di  una
relativa autorizzazione provvisoria - impugna tali atti,  assumendone
l'illegittimita'  (tra  l'altro)  per   incompetenza   della   Citta'
Metropolitana di Roma Capitale, per l'effetto chiedendo  al  Collegio
di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
comma 2, della legge della Regione Lazio n. 27/1998, nella  parte  in
cui statuisce che «Sono delegate alle province: a) l'approvazione dei
progetti degli impianti per la gestione dei rifiuti ad  eccezione  di
quelli previsti dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h) e dall'art. 6,
comma 2, lettere a) e b),  nonche'  l'approvazione  dei  progetti  di
varianti sostanziali  in  corso  di  esercizio;  b)  l'autorizzazione
relativa alla realizzazione degli impianti e delle  varianti  di  cui
alla lettera a); c) l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' di
smaltimento e di recupero dei rifiuti, fatto  salvo  quanto  previsto
dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h), dall'art. 6, comma 2, lettera
c) e dall'art. 20 (...)», per contrasto  con  l'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione, come  sostituito  dall'art.  3  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - ai sensi del  quale  «Lo
Stato ha legislazione esclusiva nella seguenti materie: ... (tra cui)
tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei  beni  culturali»  -  in
relazione agli artt. 196, comma 1,  lettere  d)  ed  e),  e  208  del
decreto legislativo n. 152/2006  (c.d.  «Codice  dell'ambiente»),  di
attribuzione alle Regioni di tali competenze. 
    In particolare, parte ricorrente - nel  richiamare  il  contenuto
delle ordinanze questo Tribunale n.  7850/2021  e  n.  7851/2020,  di
rimessione   alla   Corte   costituzionale   della    questione    di
illegittimita' costituzionale dell'art.  6,  comma  2,  della  stessa
legge regionale Lazio, di conferimento ai comuni di analoghe funzioni
amministrative  in  materia  di  approvazione  dei  progetti   e   di
autorizzazione  a  realizzare  e  gestire  nuovi  impianti   per   lo
smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla  demolizione
degli   autoveicoli   -   prospetta   un   dubbio   di   legittimita'
costituzionale della previsione, da parte del legislatore  regionale,
di  quello  stesso  modello   di   distribuzione   delle   competenze
decisionali   che   individua   (questa   volta)   nella    Provincia
territorialmente competente l'ente al quale e' assegnata la cura  dei
procedimenti  di  approvazione  dei  progetti  e  di   autorizzazione
dell'attivita'  degli  «impianti  per  la  gestione  dei  rifiuti  ad
eccezione di quelli previsti dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h) e
dall'art. 6, comma 2,  lettere  a)  e  b)»,  stabilendo,  invece,  il
legislatore nazionale - al quale spetta in via esclusiva disciplinare
la materia della  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  -  che
rientra tra i compiti della Regione quello di approvare i progetti  e
di autorizzare la realizzazione e la gestione dei nuovi  impianti  di
smaltimento e di recupero dei rifiuti, ivi compresi gli  impianti  di
rottamazione (ottavo motivo di ricorso). 
    La ricorrente  formula,  inoltre,  nei  confronti  della  gravata
determinazione di rigetto e dei presupposti pareri negativi una serie
di altre censure, quali, in particolare: 
      i) Violazione e falsa applicazione  di  legge  (art.  14-ter  e
14-quater della legge n. 241/1990 e art. 208 del decreto  legislativo
n. 152/2006); Difetto di istruttoria e di  motivazione,  censurandosi
la  determinazione  impugnata  nella  parte  in   cui   ha   ritenuto
«sovraordinato e vincolante» e, dunque, assorbente  e  preclusivo  il
parere negativo del Ministero per i beni e le attivita' culturali, in
spregio agli articoli 14-ter  e  14-quater,  che  nella  formulazione
vigente, imporrebbero all'amministrazione procedente una  valutazione
complessiva degli interessi coinvolti,  escludendo  il  «veto»  delle
amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili,  come
originariamente previsto dall'ordinamento; 
      ii) Eccesso di potere per travisamento dei  fatti,  difetto  di
istruttoria,  disparita'  di  trattamento,   illogicita'   manifesta,
incompetenza,   violazione   del   principio   di   proporzionalita',
contestandosi  nel  merito  il  contenuto  del  parere  espresso  dal
Ministero in termini di «inidoneita' dell'impianto», in relazione  al
«non risulta(re) il vincolo di corso d'acqua»  ne'  al  «sussist(ere)
beni puntuali di rilevanza  archeologica  nell'area  su  cui  insiste
l'impianto, ne' (all'essere) il lotto ... classificato  di  rilevanza
archeologica dal PTPR», anche considerata la posizione gia'  espressa
da tale ente  con  riferimento  alle  iniziative  della  Impreme  Sud
S.p.a., proprietaria di  un  vasto  compendio  immobiliare  limitrofo
all'impianto della ricorrente; 
      iii) Violazione e falsa applicazione di  legge  (art.  208  del
decreto legislativo n. 152/2006; articoli 6 e 14 e segg. della  legge
n. 241/1990); Difetto di istruttoria di motivazione; travisamento dei
fatti, in particolare evidenziandosi come anche la previsione  di  un
«ipotetico» progetto di parco pubblico non  costituirebbero  elemento
ostativo al  rilascio  dell'autorizzazione  richiesta  «se  non  dopo
puntuale verifica di compatibilita'/incompatibilita'»,  in  tesi  non
eseguita in sede di conferenza di servizi; 
      iv) Violazione e falsa applicazione di legge  (legge  regionale
Lazio n. 47/1985; art. 208  del  decreto  legislativo  n.  152/2006);
Violazione  dell'art.  28,  comma  12,  della  legge  n.   1150/1942;
Violazione degli articoli 208 del decreto legislativo n.  152/2006  e
15 del decreto legislativo n. 209/2003; Eccesso di potere per difetto
di istruttori e di motivazione, travisamento  dei  fatti,  violazione
del principio di proporzionalita', lamentandosi come il parere  unico
negativo di  Roma  Capitale  (di  asserita  incompatibilita'  con  la
destinazione  urbanistica  di  zona)   ometta   di   considerare   la
possibilita'  di  rilasciare  l'autorizzazione,  prescrivendo   delle
modifiche del progetto di impianto  (con  eventuale  riperimetrazione
e/o   adattamento   dello   stesso)   ovvero   del    Programma    di
Riqualificazione Urbana (PRU) denominato «Centro Servizi  Prenestino»
in cui e' compreso l'impianto della ricorrente (con lo stralcio della
porzione di area su cui esso insiste),  o  ancora  di  verificare  la
possibilita' di  approvare  il  progetto  eventualmente  in  variante
urbanistica, come consentito dall'art. 208 del decreto legislativo n.
152/2006; 
      v) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 9 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 327/2001; art. 9 del  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  380/2001);  Eccesso  di  potere  per
difetto   di   istruttoria    e    di    motivazione,    illogicita',
contraddittorieta' e ingiustizia manifesta, travisamento  dei  fatti,
violazione del principio di inapplicabilita' alle  preesistenze,  per
intervenuta  decadenza  della  «destinazione   Y1   (riqualificazione
dell'edificio esistente e/o demolizione e  trasformazione  della  SUL
esistente) e a verde pubblico e  verde  attrezzato»  trattandosi  (in
tesi) di un« vincolo  pre-espropriativo  in  funzione  dell'ablazione
totale ... del diritto dominicale del proprietario dell'area data  in
locazione alla ricorrente»; 
      vi) Violazione e falsa applicazione di  legge  (art.  28  della
legge n. 1150/1942; art. 832 del codice civile; art. 1372 del  codice
civile), affermando come il citato PRU (anch'esso  ritenuto  ostativo
al  rilascio  dell'autorizzazione  di  cui   si   discorre)   sarebbe
«illegittimo e/o non  ancora  operativo  per  mancata  sottoscrizione
della convenzione da parte di  tutti  i  proprietari  interessati,  a
nulla rilevando  la  previsione  di  espropriazione  delle  aree  dei
proprietari dissenzienti»; 
      vii) Violazione e falsa applicazione  degli  articoli  208  del
decreto legislativo n. 152/2006  e  15  del  decreto  legislativo  n.
209/2003, nonche' del PRU e delle  condizioni  attuative,  sostenendo
come l'amministrazione  avrebbe  potuto  rilasciare  l'autorizzazione
quantomeno fino alla  delocalizzazione  dell'impianto,  eventualmente
con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi alla scadenza e  con
riespansione  della  destinazione  urbanistica  prevista   da   detto
strumento attuativo. 
    2.  Citta'  Metropolitana  di  Roma  Capitale  si  costituiva  in
giudizio, contestando il ricorso  e  chiedendone  il  rigetto,  senza
nulla argomentare in merito alla dedotta questione di  illegittimita'
costituzionale, bensi' evidenziando di aver  adottato  la  contestata
determinazione nel rispetto delle competenze a costei attribuite  dal
legislatore regionale. 
    Anche il Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  si
costituiva, ampiamente argomentando  sulla  legittimita'  del  parere
espresso, al pari di Roma Capitale  che  versava  in  atti  nota  del
proprio Dipartimento Tutela  Ambientale,  in  cui  si  ribadivano  le
motivazioni  poste  a  fondamento  del  proprio  parere  negativo  di
compatibilita' urbanistica. 
    Si costituiva anche la Impreme Sud. S.r.l. sempre nell'intento di
avversare il gravame proposto. 
    3.  La  ricorrente  con  successivo   atto   -   nell'evidenziare
l'intervento nelle more  del  giudizio  della  sentenza  della  Corte
costituzionale   n.   180   del   7   ottobre   2020,    dichiarativa
dell'illegittimita' costituzionale del gia' citato art. 6,  comma  2,
lettere b) e c), della legge regionale Lazio n. 27/1998, di delega ai
comuni    delle    funzioni    (analoghe    a    quelle    esercitate
dall'amministrazione  provinciale  mediante  l'adozione  del  gravato
provvedimento  di  diniego)  di  approvazione  dei  progetti   e   di
autorizzazione  all'esercizio  delle  attivita'  di   smaltimento   e
recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli  autoveicoli
a motore - chiedeva l'adozione delle misure cautelari piu'  opportune
e, ove possibile, la definizione del giudizio con sentenza  in  forma
semplificata sull'unica questione  della  incompetenza  della  Citta'
Metropolitana di Roma Capitale ad assumere il  gravato  provvedimento
di  diniego  di  autorizzazione   all'esercizio   dell'attivita'   di
rottamazione ai  sensi  dell'art.  208  del  decreto  legislativo  n.
152/2006, gia' formulata in  sede  di  ricorso  introduttivo  (ottavo
motivo   di   ricorso),   sostanzialmente   postulando    l'immediata
inapplicabilita' dell'art. 5, comma 2, per effetto della declaratoria
di illegittimita' costituzionale del successivo art. 6, comma 2. 
    In prossimita' della camera di consiglio, le parti  depositavano,
infine, relative memorie, in  cui  ciascuna  brevemente  ribadiva  le
proprie difese. 
    Alla camera di consiglio del 21 dicembre 2022 la  causa  passava,
dunque, in decisione. 
    4. Il Collegio condivide i dubbi di  legittimita'  costituzionale
prospettati  dalla  ricorrente  con  l'ottavo  motivo   di   ricorso,
ritenendo  rilevante  ai  fini   della   decisione   della   presente
controversia e non manifestamente infondata  la  questione  attinente
alla compatibilita' dell'art. 5, comma 2, della legge  della  Regione
Lazio 9 luglio 1998, n. 27,  recante  la  «Disciplina  regionale  dei
rifiuti»  -  come  modificata  per  effetto  della  successiva  legge
regionale 5 dicembre 2006, n. 23 - con l'art. 117, comma  2,  lettera
s), della Costituzione,  come  sostituito  dall'art.  3  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 
    5. Per cio'  che  attiene  alla  rilevanza  della  questione  nel
presente  giudizio,  osserva  il  Collegio  come  la   questione   di
legittimita' costituzionale del citato art. 5, comma 2, debba  essere
affrontata in via prioritaria rispetto a tutte le  ulteriori  censure
articolate in ricorso, anche a prescindere dalla  chiara  graduazione
delle stesse successivamente operata  dalla  ricorrente  in  sede  di
istanza cautelare, diretta ad attribuire un profilo prioritario  alla
prospettata incompetenza. 
    Essa assume, infatti, carattere pregiudiziale  in  ragione  della
tipologia del vizio di legittimita' ad essa sotteso, vale a  dire  la
compatibilita' della  norma  attributiva  del  potere  esercitato  da
Citta' Metropolitana di Roma Capitale con la Carta costituzionale  e,
quindi, la competenza di tale amministrazione ad  adottare  gli  atti
impugnati, con la logica conseguenza che il suo positivo scrutinio da
parte della Consulta implicherebbe necessariamente l'accoglimento del
gravame sotto tale profilo, con assorbimento di ogni  altro  proposto
motivo di ricorso. 
    In tal senso depone anche quanto affermato dal Consiglio di Stato
nell'Adunanza Plenaria n. 5/2015, secondo la quale lo  stesso  potere
del ricorrente di graduare i motivi di ricorso incontra un limite nel
vizio di incompetenza poiche' «se il potere e'  stato  esercitato  da
un'autorita' incompetente, il giudice sul piano logico non puo'  fare
altro che rilevare il vizio di incompetenza, ma non puo'  dettare  le
regole dell'azione amministrativa, posto che l'azione  amministrativa
non   e'   ancora   stata   esercitata   dall'organo   preposto»    e
«l'accoglimento  del  ricorso  giurisdizionale  per  la  riconosciuta
sussistenza del vizio di incompetenza comporta  l'assorbimento  degli
ulteriori motivi di impugnazione, in quanto la valutazione del merito
della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico
sull'ulteriore attivita' amministrativa dell'organo  competente,  cui
spetta l'effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe  emanare,
o non, l'atto in questione e comunque, provvedere  con  un  contenuto
diverso». L'Adunanza Plenaria ha ritenuto, infatti,  che  «nonostante
sia formalmente scomparsa la previsione dell'art. 26, comma 2, l.  T.
a. r., con il nuovo c.p.a. i termini del dibattito restano  invariati
e, anzi, si amplia il novero dei vizi che impediscono alla  parte  di
graduare ad libitum i relativi motivi,  a  tal  fine  richiamando  il
disposto dell'art. 34, comma 2, c.p.a., ai sensi del quale «in nessun
caso  il  giudice  puo'  pronunciare   con   riferimento   a   poteri
amministrativi non ancora esercitati». 
    6. Ne' la prospettata antinomia tra la suddetta  norma  regionale
di delega delle funzioni autorizzative alle Province e la  successiva
normativa nazionale di cui agli artt. 196, comma 1, lettere d) ed e),
e 208 del Codice dell'ambiente, attributivi delle  medesime  funzioni
alle Regioni, sarebbe in tesi risolvibile in  ossequio  all'ordinario
criterio secondo cui lex posterior derogat  priori,  con  conseguente
cessazione di efficacia della norma precedente e inapplicabilita'  ed
irrilevanza (nel caso di specie) della delega prevista  dall'art.  5,
comma 1, della legge regionale n. 27/1998. 
    Al  riguardo  il  Collegio  osserva  che   la   legge   regionale
applicabile alla controversia in esame,  per  quanto  anteriore  alla
riforma del Titolo V della Costituzione e al Codice dell'ambiente, e'
stata oggetto di intervento ad opera del legislatore  regionale  che,
con la legge n. 23 del 5 dicembre 2006, «nelle more  della  revisione
organica della legge regionale  9  luglio  1998,  n.  27  (Disciplina
regionale della gestione dei  rifiuti)  e  successive  modifiche,  in
conformita' alle disposizioni del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152 (Norme in  materia  ambientale),  ...  (ha)  apportat(o)  alla
suddetta  legge  regionale  specifiche  modifiche  per  l'adeguamento
dell'assetto organizzativo delle funzioni in materia di bonifica  dei
siti contaminati alle nuove procedure previste  dal  decreto  stesso»
(in tal senso, il relativo art. 1). 
    Ne discende, dunque, che per effetto della  legge  regionale  del
2006 la preesistente legge regionale n. 27/1998 e' stata  convalidata
sul presupposto della compatibilita' delle relative previsioni con il
sopravvenuto  assetto  di  riparto  delle  competenze  definito   dal
legislatore  nazionale  nell'esercizio  della  potesta'   legislativa
esclusiva attribuitagli dall'art. 117, comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione. 
    La suddetta convalida, operata dalla legge regionale  n.  23  del
2006, esplica i propri effetti, per quel che qui interessa, anche  in
relazione al piu' volte citato art. 5, comma 2, la cui efficacia, pur
in assenza  di  uno  specifico  intervento  di  adeguamento,  risulta
confermata, con conseguente applicabilita' della  disposizione  anche
ai procedimenti di autorizzazione successivi  all'entrata  in  vigore
del Codice dell'ambiente. 
    A seguito dell'adozione della legge regionale n. 23/2006, non  e'
dunque configurabile nel  caso  di  specie  il  contrasto  tra  norme
giuridiche poste da fonti normative di pari  livello  risolvibile  in
via interpretativa  mediante  l'applicazione  dell'invocato  criterio
cronologico. 
    Ne  consegue,  dunque,  come  spetti  alla  Corte  costituzionale
dirimere la questione della compatibilita' della delega contenuta nel
piu' volte citato art. 5, comma 2, con i principi di cui all'art. 117
della Costituzione, che, nell'ambito del rinnovato sistema di riparto
delle competenze legislative tra  Stato  e  Regioni,  attribuisce  al
primo  la  competenza  esclusiva  sulla   «tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema e dei beni culturali», con conseguente. 
    7. Il Collegio, poi, nemmeno  ritiene  di  poter  condividere  la
ricostruzione proposta da parte ricorrente, che in  sede  di  istanza
cautelare insiste per l'accoglimento del ricorso -  con  sentenza  in
forma semplificata ai sensi dell'art. 60 del cod. proc. amm. -  sotto
il profilo  dell'incompetenza  della  Citta'  Metropolitana  di  Roma
Capitale ad adottare il provvedimento di diniego, per aver  la  Corte
costituzionale, con la richiamata pronuncia  n.  180  del  7  ottobre
2020, gia' dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
comma 2, della legge regionale Lazio n. 27/1998, ovvero  della  norma
regionale  di  delega  ai  comuni  di  quelle  stesse   funzioni   di
autorizzazione degli impianti di autodemolizione  che  il  precedente
art. 5,  comma  2,  della  stessa  legge  regionale  conferisce  alle
Province per quel che riguarda i diversi impianti di  rottamazione  e
che  risultano  essere  state   esercitate   nel   caso   di   specie
dall'amministrazione provinciale. 
    Osserva, infatti, il Collegio come non ricorra nel caso di specie
l'ipotesi di invalidita' conseguenziale, prevista dall'art. 27  della
legge 11 marzo 1953, n. 87, venendo in considerazione una norma  che,
non ponendosi  in  un  rapporto  di  complementarita'  e  insieme  di
subordinazione funzionale rispetto a quella  gia'  interessata  dalla
declaratoria di illegittimita' costituzionale, appare suscettibile di
applicazione autonoma, cosi' da dover formare oggetto di un  autonomo
giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  non   potendo   la   sua
disapplicazione essere  ritenuta  una  conseguenza  automatica  della
dichiarazione di incompatibilita' con la  Carta  costituzionale  gia'
resa dalla Consulta nella sentenza  n.  180/2020,  che  possa  essere
direttamente valutata dal giudice del merito. 
    L'art. 5, comma  2  -  pur  indubbiamente  replicando  lo  stesso
modello di distribuzione delle competenze decisionali gia'  censurato
dalla Corte costituzionale nella cennata pronuncia - non rappresenta,
in altri termini,  una  norma  secondaria  o  altrimenti  strumentale
rispetto al successivo art. 6,  comma  2,  inverandosi  in  essa  una
delega in favore delle Province che  si  configura  come  autonoma  e
indipendente rispetto a  quella  prevista  dallo  stesso  legislatore
regionale in favore dei comuni, riguardante l'esercizio  di  funzioni
amministrative che - seppur analoghe - si riferiscono  alla  cura  di
procedimenti  di  approvazione  dei  progetti  e  di   autorizzazione
dell'attivita' di impianti di gestione e smaltimento rifiuti, tra  di
loro ben distinti in ragione dei differenti materiali ivi trattati. 
    Ne  discende  come,  diversamente  da   quanto   vorrebbe   parte
ricorrente, non possa sostenersi che l'art. 5, comma 2  sia  divenuto
inapplicabile  per  effetto  della  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale del successivo art. 6, comma 2, ben potendo  la  prima
norma continuare ad essere applicata pur  a  fronte  dell'intervenuta
caducazione erga omnes della seconda, cosi' da non poter  essere  per
l'effetto resa oggetto di diretta disapplicazione da parte di  questo
giudice,  con  conseguente  indispensabile  scrutinio   della   Corte
costituzionale sulla questione. 
    Alla luce  delle  considerazioni  sin  qui  esposte  il  Collegio
ritiene, dunque, di non potersi esimere dal sottoporre alla  Consulta
la questione di legittimita' costituzionale concernente il  contrasto
dell'art. 5, comma 2, della legge regionale Lazio  n.  27/1998,  come
modificata dalla legge regionale n. 23/2006, con l'art. 117, comma 2,
lettera s), della Costituzione, laddove  la  stessa  conferisce  alle
Province le funzioni amministrative in materia  di  approvazione  dei
progetti e di autorizzazione a realizzare e gestire i nuovi  impianti
di smaltimento o di recupero di rifiuti ivi previsti. 
    8. Quanto al concorrente profilo della non manifesta infondatezza
della questione, il Collegio ritiene opportuno riepilogare  -  seppur
brevemente - il contesto normativo di riferimento. 
    La Regione Lazio, con l'art. 5, comma 2, della legge regionale n.
27/1998, ha delegato alle Province (per quel che qui interessa): 
      «a) l'approvazione dei progetti degli impianti per la  gestione
dei rifiuti ad eccezione di quelli previsti  dall'art.  4,  comma  1,
lettere g) ed h) e dall'art. 6, comma 2, lettere  a)  e  b),  nonche'
l'approvazione dei progetti  di  varianti  sostanziali  in  corso  di
esercizio; 
      b) l'autorizzazione relativa alla realizzazione degli  impianti
e delle varianti di cui alla lettera a); 
      c)   l'autorizzazione   all'esercizio   delle   attivita'    di
smaltimento e di recupero dei rifiuti, fatto  salvo  quanto  previsto
dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h) dall'art. 6, comma 2,  lettera
c) e dall'art. 20 (...)». 
    A livello nazionale, l'art. 196, comma 1, lettere d)  ed  e)  del
decreto legislativo n. 152/2006 - nel sostituirsi al previgente  art.
19 del decreto legislativo n. 22/1997 - ha  stabilito  che  «Sono  di
competenza delle regioni, nel rispetto dei  principi  previsti  dalla
normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ...:  d)
l'approvazione dei progetti di nuovi  impianti  per  la  gestione  di
rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione  alle  modifiche  degli
impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'art.
195, comma 1, lettera f), e  di  cui  all'art.  7,  comma  4-bis;  e)
l'autorizzazione all'esercizio  delle  operazioni  di  smaltimento  e
recupero di rifiuti, anche  pericolosi,  fatte  salve  le  competenze
statali di cui all'art. 7, comma 4-bis». 
    Il successivo art. 208, rubricato  «Autorizzazione  unica  per  i
nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti», ha previsto
che «I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti  di
smaltimento o  di  recupero  di  rifiuti,  anche  pericolosi,  devono
presentare apposita domanda alla regione competente  per  territorio,
allegando il progetto definitivo dell'impianto  e  la  documentazione
tecnica prevista per  la  realizzazione  del  progetto  stesso  dalle
disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di
salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove  l'impianto
debba essere sottoposto alla  procedura  di  valutazione  di  impatto
ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e' altresi'
allegata la comunicazione del progetto  all'autorita'  competente  ai
predetti fini ...» (comma 1), stabilendo che  «Entro  novanta  giorni
dalla sua convocazione, la Conferenza di  servizi:  a)  procede  alla
valutazione dei progetti; b) acquisisce e valuta tutti  gli  elementi
relativi  alla  compatibilita'  del  progetto  con  quanto   previsto
dall'art. 177, comma 4; c) acquisisce, ove previsto  dalla  normativa
vigente, la valutazione di compatibilita' ambientale; d) trasmette le
proprie conclusioni con i relativi atti alla regione (comma 4). 
    L'art.  177,  comma  4,  dello  medesimo  Codice   dell'ambiente,
richiamato dal comma 4 del successivo art. 208, afferma, infine,  che
«I rifiuti sono gestiti senza pericolo  per  la  salute  dell'uomo  e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero  recare  pregiudizio
all'ambiente e, in  particolare:  a)  senza  determinare  rischi  per
l'acqua, l'aria, il suolo, nonche' per la fauna e la flora; b)  senza
causare inconvenienti da rumori o  odori;  c)  senza  danneggiare  il
paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati  in  base  alla
normativa vigente». 
    Infine, il  legislatore  regionale  con  la  legge  regionale  n.
23/2006,  in  ragione  del  rinnovato  assetto  organizzativo   delle
funzioni come delineato  nel  decreto  legislativo  n.  152/2006,  ha
apportato alla piu' volte citata legge regionale  n.  27/1998  alcune
specifiche modifiche, confermandone per  il  resto  le  disposizioni,
sulla scorta di  una  valutazione  di  conformita'  delle  stesse  al
sopravvenuto Codice dell'ambiente. 
    9. Cio' posto, il Collegio - ritenuto che  l'art.  117,  comma  2
lettera s), della Costituzione e le norme statali passate in rassegna
confermano che le Province, nella loro qualita' di enti  esponenziali
della relativa comunita', non sono titolari, in  materia  ambientale,
di  funzioni  amministrative  proprie  -  e'   dell'avviso   che   il
legislatore regionale del Lazio, nel attribuire alle proprie Province
le funzioni specificate all'art. 5, comma 2, della legge regionale n.
27/1998 e successive modifiche e integrazioni, introduca  un  modello
di distribuzione delle competenze decisionali che  viola  la  riserva
della competenza legislativa esclusiva statale in materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, in quanto  contrastante  con  l'art.
208  del  decreto  legislativo  n.  152/2006  che,  nel  disciplinare
puntualmente il procedimento di  autorizzazione  unica  per  i  nuovi
impianti di smaltimento e  di  recupero  dei  rifiuti,  assegna  alla
Regione territorialmente competente (quella in cui ricade l'impianto)
il  compito  di  approvarne  il  progetto  e   di   autorizzarne   la
realizzazione e la gestione. Diversamente  opinando  ne  risulterebbe
pregiudicato  lo  scopo  perseguito  dal  legislatore  nazionale   di
garantire,  anche  in  attuazione  della  normativa  comunitaria,  la
regolarita' della messa in esercizio dei predetti impianti attraverso
la  fissazione  di   livelli   di   tutela   uniformi   «proprio   in
considerazione  dei  valori  della  salute  e  dell'ambiente  che  si
intendono tutelare in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale»
(cfr. in tal senso, Corte costituzionale, sentenza 24 luglio 2009, n.
249). 
    L'art. 117,  comma  2,  lettera  s),  della  Costituzione,  nello
stabilire che «Lo Stato  ha  legislazione  esclusiva  nella  seguenti
materie: ... (tra cui) tutela dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei
beni culturali», fornisce una chiara e univoca indicazione della sola
fonte legislativa  legittimata  ad  operare  la  distribuzione  delle
connesse funzioni amministrative tra  i  vari  livelli  territoriali,
sicche' deve escludersi che il Codice  dell'ambiente,  nel  conferire
alle Regioni  la  relativa  competenza,  ne  abbia  anche  consentito
l'allocazione  ad  un  diverso  livello  amministrativo,  escludendo,
pertanto, la possibilita' di delegare  tali  funzioni  alle  Province
insistenti nel proprio territorio. 
    Quanto fin qui osservato induce a ritenere che, nella materia  di
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» - nella quale , per costante
giurisprudenza  costituzionale,  rientra  anche  la  disciplina   dei
rifiuti (cosi', ex multis, le sentenze n. 373 del 2010,  n.  127  del
2010 e n. 61 del 2009) - non possono essere  ammesse  iniziative  del
legislatore  regionale  di  regolamentazione,  nel   proprio   ambito
territoriale, delle funzioni amministrative che modifichino l'assetto
delle competenze come delineato dalla  legge  statale,  ponendosi  la
relativa normativa quale limite insuscettibile  di  deroga  anche  da
parte Regioni, nonostante siano abilitate a farlo in altre materie di
legislazione concorrente, quali ad esempio la tutela della salute  ed
il governo del territorio (cfr. in tal senso,  Corte  costituzionale,
sentenze n. 314 del 2009 e n. 62 del 2008). 
    Orbene, applicando siffatti principi alla controversia in  esame,
emerge che il legislatore della Regione  Lazio  nel  2006  ha  inteso
confermare, in sede di revisione della legge regionale n. 27/1998, la
delega  alle  Province  del   proprio   territorio   delle   funzioni
amministrative relative ai procedimenti finalizzati  all'approvazione
dei progetti e all'autorizzazione, alla realizzazione e all'esercizio
degli «impianti per la gestione dei rifiuti ad  eccezione  di  quelli
previsti dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h) e dall'art. 6,  comma
2, lettere a) e b)», nonostante il piu' volte rammentato art. 208 del
decreto legislativo n. 152/2006 avesse, viceversa, individuato  nella
Regione  il  soggetto  pubblico   al   quale   tali   funzioni   sono
specificamente assegnate, con conseguente illegittima alterazione del
riparto delle competenze delineato dal legislatore nazionale. 
    A supporto della dedotta incompatibilita' della  norma  regionale
in questione con l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione e
con la normativa statale, rappresentata dal  decreto  legislativo  n.
152/2006 milita, innanzi tutto,  la  citata  recente  sentenza  della
Corte costituzionale n. 180 del  7  ottobre  2020,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale in data 13 ottobre  2021,  con  cui  la  Consulta,
nell'aderire  alla  ricostruzione  proposta   dalla   Sezione   nelle
ordinanze di rimessione n. 7850/2021 e n.  7851/2020,  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, a far data dal 29 aprile 2006  (data
di entrata in vigore del Codice dell'ambiente), dell'art. 6, comma 2,
lettere b) e  c),  quest'ultima  limitatamente  al  riferimento  alla
lettera  b),  della  legge  regionale   Lazio   n.   27/1998,   nella
considerazione che «con la disposizione ora in scrutinio  la  Regione
Lazio, delegando ai comuni la  funzione  amministrativa  -  attinente
alla cura del procedimento di  autorizzazione  alla  realizzazione  e
gestione  degli  impianti  di  smaltimento  e  recupero  di   rifiuti
derivanti  dall'autodemolizione  e  rottamazione  di   macchinari   e
apparecchiature deteriorati e obsoleti - ad essa conferita con  legge
nazionale,  ha  inciso,  senza  esservi  abilitata  da   tale   fonte
normativa, su una competenza  istituita  dallo  Stato  nell'esercizio
della sua potesta' legislativa  esclusiva  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione»,  per   l'effetto
introducendo «una deroga all'ordine delle competenze stabilito  dalla
legge statale» in  materia  di  autorizzazione  alla  gestione  e  al
trattamento dei rifiuti (articoli 196, comma 1, lettere d) ed  e),  e
208  del  decreto  legislativo  n.  152/2006)  «in  assenza   -   sia
nell'ordito costituzionale, sia nel codice  dell'ambiente  -  di  una
disposizione che abiliti alla descritta riallocazione». 
    La   Corte    costituzionale,    nell'esprimere    considerazioni
estendibili anche al caso di specie, ha,  dunque,  statuito  come  la
potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  ambientale   comporti,
dunque, la legittimazione del solo legislatore nazionale  a  definire
l'organizzazione  delle   corrispondenti   funzioni   amministrative,
sicche'  deve  escludersi  che  le  funzioni   amministrative,   gia'
conferite dallo Stato alla Regione, possano  essere  da  quest'ultima
riallocate  presso  altro  ente   infraregionale,   comportando   una
modifica, mediante un atto  legislativo  regionale,  dell'assetto  di
competenze  inderogabilmente  stabilito  dalla  legge  nazionale  con
l'art. 208 del decreto legislativo n.  152  del  2006  che,  infatti,
attribuisce  alle   Regioni   la   competenza   ad   autorizzare   la
realizzazione di impianti di smaltimento rifiuti. 
    In tal senso, depone altresi' anche la piu'  risalente  pronuncia
della  Corte  costituzionale  n.  187  del  15  giugno  2011  che  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 42, commi 7 e 9,
della legge regionale  Marche  n.  16/2010  nella  parte  in  cui  il
legislatore regionale aveva  attribuito  ai  Comuni  territorialmente
competenti le procedure  relative  all'affidamento  del  servizio  di
gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei  residui  del  carico,
sul presupposto che in materia di rifiuti, «laddove  la  legge  dello
Stato ... ha ... individuato nella Regione il soggetto  pubblico  cui
tale funzione e' assegnata», alla Regione non spetta la  facolta'  di
«allocare, con un suo atto legislativo, la  funzione  amministrativa»
medesima «presso l'ente territoriale Comune» (in tal senso, quanto si
legge al paragrafo 4 della pronuncia). 
    Il predetto principio e' stato riaffermato anche nella successiva
sentenza 27 giugno 2012, n.  159  che,  sempre  con  rifermento  alla
materia dei rifiuti, ha ritenuto «la inderogabilita' da  parte  della
legislazione regionale» della disciplina nazionale che ha  attribuito
alle  Regioni  le  funzioni  relative  all'affidamento  del  relativo
servizio di gestione, «con conseguente illegittimita'  costituzionale
della norma legislativa che aveva  allocato  ad  un  diverso  livello
amministrativo la relativa funzione». 
    Appare,  pertanto,  acquisito   nell'orientamento   della   Corte
costituzionale il principio secondo il quale, nelle materie riservate
dalla Costituzione  alla  competenza  legislativa  dello  Stato,  una
discrasia  normativa  tra  la  norma  statale  (che   stabilisce   un
determinato assetto  di  attribuzione  delle  funzioni)  e  la  norma
regionale  (che  finisce  per  alterarne,  entro  il  proprio  ambito
territoriale, il riparto)  giustifica  di  per  se'  l'illegittimita'
costituzionale di quest'ultima per violazione dell'art. 117, comma 2,
lettera s), che a livello costituzionale ne attribuisce la disciplina
al legislatore nazionale. 
    10. Il Collegio rileva, infine, che  altre  Regioni  al  fine  di
adeguarsi all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale  nelle
succitate pronunce hanno provveduto  a  ridefinire  il  quadro  delle
competenze  amministrativa  in  materia  di  gestione   di   rifiuti,
riallocando in capo alla Regione le funzioni  amministrative  che  lo
Stato le ha attribuito senza possibilita' di delega. Al  riguardo  si
richiama la legge regionale Toscana n. 61/2014 che  ha  provveduto  a
riattribuire alla Regione le funzioni delegate con la legge regionale
n. 25/1998 alle Province e, segnatamente  le  autorizzazioni  per  la
realizzazione e l'esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti. 
    11.  Conclusivamente,  per  tutte  le  ragioni  esposte,   questo
Tribunale  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione attinente alla compatibilita'  con  l'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione  dell'ar.  5,  comma  2,  della  legge
regionale Lazio 9 luglio 1998, n. 27, come implicitamente convalidato
dalla legge regionale Lazio n. 23/2006, nella parte  in  cui  dispone
che «Sono delegate alle  province:  a)  l'approvazione  dei  progetti
degli impianti per la gestione dei rifiuti  ad  eccezione  di  quelli
previsti dall'art. 4, comma 1, lettere g) ed h) e dall'art. 6,  comma
2, lettere a) e b), nonche' l'approvazione dei progetti  di  varianti
sostanziali in corso di esercizio; b) l'autorizzazione relativa  alla
realizzazione degli impianti e delle varianti di cui alla lettera a);
c) l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' di smaltimento e di
recupero dei rifiuti, fatto salvo quanto previsto dall'art. 4,  comma
1, lettere g) ed h), dall'art. 6, comma 2, lettera c) e dall'art.  20
(...)». 
    Conseguentemente, il Collegio dispone la sospensione del presente
giudizio  e  la  rimessione  della  predetta  questione  alla   Corte
costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.
87, contestualmente respingendo l'istanza  di  sospensione  cautelare
avanzata da parte ricorrente con atto depositato il 18 novembre 2022,
in  quanto  non  assistita  -  in  un'ottica  di   comparazione   con
l'interesse pubblico perseguito con l'impugnato provvedimento  -  dal
prescritto requisito del periculum in mora, anche  in  ragione  della
mancata adeguata dimostrazione del riferito «rischi(o) di  cessazione
definitiva dell'attivita' per insostenibilita' economica». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Seconda)  rimette  alla  Corte   costituzionale   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  illustrata  in  motivazione,   relativa
all'art. 5, comma 2, della legge della Regione Lazio 9  luglio  1998,
n. 27. 
    Dispone, conseguentemente, la sospensione del presente  giudizio,
con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito,  nel
merito e sulle spese di lite, e l'immediata trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale. 
    Respinge l'istanza di sospensione  cautelare  avanzata  da  parte
ricorrente con atto depositato il 18 novembre 2022. 
    Cosi' deciso in Roma nelle camere  di  consiglio  dei  giorni  21
dicembre 2022 e 25 gennaio 2023, con l'intervento dei magistrati: 
      Francesco Riccio, Presidente; 
      Eleonora Monica, consigliere, estensore; 
      Luca Iera, referendario. 
 
                        Il Presidente: Riccio 
 
                                                  L'estensore: Monica