N. 76 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2023

Ordinanza del 3 maggio  2023  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Battista Luisa e altri contro il Ministero della difesa. 
 
Impiego  pubblico  -  Trattamento  economico  -  Maggiorazione  della
  retribuzione individuale di anzianita' (RIA), prevista dall'art.  9
  del d.P.R. n.  44  del  1990  di  approvazione  degli  accordi  del
  comparto Ministeri - Proroga al 31 dicembre 1993  della  disciplina
  emanata sulla base di tali accordi - Interpretazione  dell'art.  7,
  comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, nel  senso  che
  la predetta proroga non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia'
  stabilita  per  la  maturazione  delle   anzianita'   di   servizio
  prescritte ai fini  delle  maggiorazioni  della  RIA,  fatta  salva
  l'esecuzione dei giudicati alla data di  entrata  in  vigore  della
  legge n. 388 del 2000. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria
  2001)"), art. 51, comma 3. 
(GU n.24 del 14-6-2023 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione seconda) 
 
    Ha pronunciato la seguente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 1852 del 2015, proposto dai signori Luisa
Battista, Loreto Battista, Massimo Renato Battisti,  Ivano  Battista,
Anna Maria  Belli,  Giuseppe  Biancari,  Arduino  Benedetto  Bianchi,
Enrico Bianchi, Errico Bianchi, Maurizio Bianchi,  Vittorio  Bianchi,
Daniela Bonanni, Giuseppe Carlo Buttarazzi,  Guido  Buffone,  Filippa
Camerota, Fernando Carinci, Diego Cenci, Aldo  Compagnone,  Francesco
Ciardi, Massimo Ciccarelli, Mara  Cinelli,  Gianfranco  Conte,  Carlo
Conte, Cataldo De Lellis, Maria D'Orazio, Enrica  D'Orio,  Marina  Di
Rienzo, Romeo Antonio Di  Rienzo,  Gianfranco  Di  Folco,  Angelo  Di
Palma, Claudio Di  Palma,  Antonio  Ferazzoli,  Vincenzo  Ferdinandi,
Marcello Fiore,  Roberto  Fiore,  Gerardo  Fraioli,  Benito  Fratini,
Maurizio  Gabriele,  Filomena  Gabriele,  Mario  Gabriele,  eredi  di
Gabriele Rosanna (Daniele  Bianchi,  Mario  Bianchi,  Sara  Bianchi),
Giovanni Gabriele, Maria Luana  Germani,  Ettore  Giannetti,  Luciano
Giannetti, Daniela Giona, Marcello  Giovannone,  Alfredo  Gravagnone,
Lino Grascia, Rita Grimaldi, Bernardo Iafrate,  Pina  Iafrate,  Maria
Therese Iafrate, Mauro Iannucci, Carla La  Pietra,  Mario  Magnapera,
Lucio  Marchione,  Loreto   Mastrantoni,   Franco   Miacci,   Massimo
Mollicone, Bruno Notargiacomo, Antonino Pasquarelli, eredi  di  Lucio
Patriarca (Sara Patriarca, Delia Romano), Rolando Patriarca, Giuseppe
Carlo  Patrizi,  Franco  Pellegrini,  Domenico   Pernaselci,   Emilio
Petitti, Maria Grazia  Poce,  Alessio  Proia,  Anna  Veronica  Proia,
Gianni Quadrini, Bruno Raponi, Bruno Reale, Antonio  Reali,  Raffaele
Ricci, Tiberio Ricozzi, Egidio  Salerno,  Annita  Scappaticci,  Maria
Rosaria Scappaticci, Rossana Sera,  Bruno  Simonelli,  Lucia  Smurro,
Marina Tatangelo, Maria Rosanna Trillo', Marisa Tuzi, eredi di Angelo
Valeriani   (Pierina   Chiarlitti,   Veronica   Valeriani,   Federica
Valeriani), Emilia Luisa Vano, Benedetto Venditti, Sabatino Venditti,
Massimo Verrelli, Mario Riccardo  Villani,  rappresentati  e  difesi,
anche  disgiuntamente,  dagli  avvocati   Bruno   Forte   e   Letizia
Ciuffarella, con domicilio eletto presso lo  studio  dell'avv.  Maria
Cuozzo in Roma, viale G. Mazzini n. 123; 
    contro Ministero della difesa, Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e  difesi
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma,
via dei Portoghesi n. 12; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, sezione prima bis, del 1° settembre 2014,  n.
9255, resa tra le parti. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
difesa,  del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze   e   della
Presidenza del Consiglio dei ministri; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  8  novembre  2022  il
Cons. Francesco Guarracino e udito l'avv. Bruno Forte  per  la  parte
appellante; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                           Fatto e Diritto 
 
    1. - Con ricorso al Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Lazio, n.r.g. 17080 del  2000,  il  sig.  Abalsamo  Antonio  e  altri
seicentocinquantasette  dipendenti  del   Ministero   della   difesa,
assumendo  che  per  effetto  della  proroga  al  31  dicembre   1993
dell'efficacia degli accordi  di  comparto  di  cui  al  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  17  gennaio  1990,  n.  44,   disposta
dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre  1992,  n.  384,
convertito con legge 14 novembre 1992, n 438, fosse  stata  prorogata
anche l'efficacia degli istituti economici disciplinati dall'art.  9,
commi 4 e 5, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica,  i
quali prevedevano una maggiorazione della retribuzione individuale di
anzianita' (R.I.A.) per coloro che avessero maturato, nell'arco della
vigenza contrattuale, cinque, dieci o venti anni di servizio, agivano
in  giudizio  per  ottenere  l'accertamento  del  loro  diritto  alle
corrispondenti maggiorazioni maturate nel corso degli anni 1991, 1992
e 1993 e la condanna dell'amministrazione intimata al pagamento delle
differenze economiche, oltre interessi e rivalutazione, dolendosi che
le stesse  fossero  state  disconosciute,  in  generale,  per  l'arco
temporale 1991/1993 con la circolare del 30 settembre 1992,  n.  103,
del Ministero del tesoro, d'intesa con la  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri. 
    2. - Con sentenza del 1° settembre 2014, n. 9255,  il  T.A.R.  ha
respinto il ricorso dando atto della sopravvenienza, nelle  more  del
giudizio, della norma di interpretazione autentica, e percio'  munita
di effetti retroattivi, di cui all'art. 51,  comma  3,  della  l.  23
dicembre 2000, n. 388, da  cui  discende  che  l'ultrattivita'  delle
disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica  n.  44  del
1990 non modifica la data del 31 dicembre 1990 gia' stabilita per  la
maturazione dell'anzianita' di  servizio  prescritta  ai  fini  della
maggiorazione  della  retribuzione  individuale  di  anzianita',   e,
rammentato che la prospettata questione di illegittimita' della norma
per contrasto coi  principi  di  uguaglianza,  di  adeguatezza  e  di
proporzionalita' della retribuzione (art. 3, comma 1; art. 36,  comma
1; art. 38, comma 2, della Costituzione) era  stata  gia'  dichiarata
manifestamente infondata (Corte costituzionale n. 299 del 1999  e  n.
374  del  2000),  ha  ritenuto  priva  di  fondamento  la   questione
(prospettata da alcuni ricorrenti in corso di  causa)  del  possibile
contrasto della stessa  disposizione  con  l'art.  1  del  protocollo
addizionale (n. 1) della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU), ovvero dell'art. 8 della Convenzione medesima. 
    3. - Con ricorso in appello la  sig.ra  Battista  Luisa  e  altri
novantuno ricorrenti hanno  impugnato  la  sentenza  di  primo  grado
criticandola per la  pretesa  natura  tautologica  della  motivazione
sull'assenza di violazione dell'art. 1 del protocollo addizionale (n.
1)  della  CEDU,  per   l'erroneita'   della   conclusione   relativa
all'inapplicabilita' al caso di  specie  della  giurisprudenza  della
Corte europea dei  diritti  dell'uomo  e  per  l'omesso  esame  della
denunciata violazione anche  dell'art.  6,  par.  1,  della  CEDU.  A
sostegno dell'accoglimento delle  domande  proposte  in  primo  grado
propugnano un'interpretazione  adeguatrice  delle  norme  interne  ai
principi e  alla  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo  e  in  subordine  chiedono   si   sollevi   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma  3,  della  legge  23
dicembre 2000, n. 388, per contrasto tanto con gli articoli 24,  101,
102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione che, ex  articoli  111  e
117, comma 1, della Costituzione, con gli articoli 6,  par.  1,  e  8
della CEDU e l'art. 1 del protocollo addizionale (n. 1) della  stessa
CEDU -  in  quanto  la   norma   interferirebbe   con   la   funzione
giurisdizionale e il diritto di agire e di difendersi in  giudizio  -
nonche' per contrasto con gli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione,
in  quanto,  ribaltando  con  effetti  retroattivi  una   consolidata
interpretazione giurisprudenziale,  essa  colliderebbe  coi  principi
della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto
di   ingiustificate   disparita'   di   trattamento,   della   tutela
dell'affidamento e della certezza del diritto. 
    4. - Il Ministero della  difesa,  il  Ministero  dell'economia  e
finanze e la Presidenza del Consiglio dei ministri si sono costituiti
in giudizio senza formulare difese scritte. 
    5. -  Constatato  che  nel  ricorso  di  primo  grado  non  erano
specificate  la  posizione  di  ciascun  ricorrente   rispetto   alla
maturazione dell'anzianita' di servizio  necessaria  per  beneficiare
della maggiorazione della R.I.A. e le spettanze rivendicate da ognuno
e che la ricostruzione del dato non era possibile  sulla  base  della
documentazione del fascicolo di primo grado,  gia'  andato  smarrito,
con ordinanza collegiale del 26 aprile 2022, n. 3122, gli  appellanti
sono stati onerati  della  produzione  di  specifiche  e  documentate
precisazioni sulle rispettive loro situazioni e  pretese  dando  loro
avviso, anche ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., che l'eventuale
inammissibilita' del ricorso di primo grado  (che  potrebbe  derivare
dalla mancata indicazione per ciascuno della  relativa  posizione  di
status e delle spettanze rivendicate rispetto a tale posizione:  cfr.
C.d.S., sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3625) costituisce  una  questione
rilevabile  d'ufficio  anche  in  appello  perche'  attinente  a  una
condizione dell'azione (C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 421; sez.
III, 13 agosto 2018, n. 4914). 
    6. - Gli appellanti hanno eseguito l'incombente in data 27 giugno
2022 e alla pubblica udienza dell'8 novembre 2022 la causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    7. - In via preliminare occorre prendere  atto  che,  secondo  le
stesse ipotesi di calcolo prodotte dalla parte appellante, la  sig.ra
Rita Grimaldi non rivendica alcuna somma a  titolo  di  maggiorazione
della retribuzione individuale di anzianita' (doc. 5 dep.  27  giugno
2022), con la conseguenza che, nei  suoi  confronti,  il  ricorso  di
primo grado va dichiarato inammissibile per difetto di interesse. 
    8.  -  Per  gli  altri  appellanti  la   produzione   dei   fogli
matricolari, che e' stata  ammessa  in  relazione  alle  vicende  del
fascicolo  originale  del  primo  grado,  attesta  le  anzianita'  di
servizio (per la sig.ra  Luisa  Battista,  ad  esempio,  la  data  di
decorrenza economica del servizio al  29  giugno  1983  e  quindi  il
compimento dei dieci anni di servizio prima del 31 dicembre 1993). 
    9. - Nel merito, la pretesa degli appellanti di poter beneficiare
della maggiorazione  della  retribuzione  individuale  di  anzianita'
prevista dall'art. 9, commi 4 e 5, del decreto del  Presidente  della
Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, di approvazione degli accordi  del
comparto Ministeri in  virtu'  della  proroga  al  31  dicembre  1993
dell'efficacia di questi ultimi disposta dall'art. 7,  comma  1,  del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni
dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e'  stata  giudicata  infondata
dal T.A.R. poiche', nelle  more  del  giudizio,  il  legislatore  era
intervenuto in materia con l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del
2000 (legge finanziaria 2001) disponendo che «L'art. 7, comma 1,  del
decreto-legge  19   settembre   1992,   n.   384,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n.  438,  si  interpreta
nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988 - 31 dicembre  1990,  non
modifica la  data  del  31  dicembre  1990,  gia'  stabilita  per  la
maturazione delle anzianita' di servizio  prescritte  ai  fini  delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E'  fatta
salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della
presente legge». 
    10. - Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale  della
suddetta norma, la quale,  sebbene  formulata  in  termini  astratti,
appare in realta' preordinata a condizionare, con l'efficacia propria
delle disposizioni interpretative,  l'esito  dei  giudizi  ancora  in
corso in quella materia. 
    11.  -  Infatti,   all'epoca   il   dibattito   giurisprudenziale
sull'estensione della proroga al 31 dicembre 1993 degli  accordi  del
comparto Ministeri anche agli istituti  economici  in  questione  era
stato ormai risolto in senso favorevole al personale dipendente. 
    12. - In particolare, fu osservato da C.d.S., sez. IV, 17 ottobre
2000, n. 5522 (ma gia', tra le altre, C.d.S., sez.  IV,  13  dicembre
1999, n. 1858; Comm. Spec. Imp. 13 luglio 1998, n. 412): 
      «III.1. L'art.  9,  comma  4,  dell'accordo  sindacale  per  il
personale del comparto Ministeri del 26 settembre 1989, approvato con
decreto del Presidente della  Repubblica  17  gennaio  1990,  n.  44,
prevede che "al personale che, alla data del 1° gennaio  1990,  abbia
acquisito  esperienza  professionale  con  almeno  cinque   anni   di
effettivo servizio, o che maturi detto  quinquennio  nell'arco  della
vigenza contrattuale, compete dalle date suddette  una  maggiorazione
della retribuzione individuale di  anzianita'  nelle  sotto  indicate
misure annue lorde: prima, seconda e terza  qualifica  funzionale  £.
300.000"»; 
      quarta,  quinta  e  sesta  qualifica  funzionale  £.   400.000;
settima, ottava e nona qualifica funzionale £. 500.000". 
    Il successivo comma 5 aggiunge che «le misure delle maggiorazioni
di cui al comma 4  sono,  con  le  stesse  decorrenze  stabilite  nel
medesimo comma 4,  raddoppiate  e  quadruplicate  nei  confronti  del
personale che, nell'arco della vigenza contrattuale, abbia o  maturi,
rispettivamente,   dieci   o   venti   anni   di   servizio,   previo
riassorbimento delle precedenti maggiorazioni». 
    Bisogna   dunque   stabilire   l'esatta   interpretazione   della
espressione «arco di vigenza contrattuale» entro cui si deve maturare
il  quinquennio  di  effettivo  servizio  utile  per  conseguire   la
maggiorazione della retribuzione  individuale  di  anzianita'  ed  in
particolare se esso coincida con la scadenza originaria dell'accordo,
fissata dal comma 2 dell'art. 1 del predetto accordo al  31  dicembre
1990 ovvero con la data del 31 dicembre 1993, per  effetto  dell'art.
7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n.  384,  convertito
con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. 
      III.2. Orbene  il  Collegio  e'  dell'avviso  che  tale  norma,
disponendo per un verso che «resta ferma sino al 31 dicembre 1993  la
vigente disciplina emanata sulla base degli accordi  di  comparto  di
cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93  e  successive  modificazioni  ed
integrazioni» e, per  altro  verso,  che  «i  nuovi  accordi  avranno
effetto dal 1° gennaio 1994», abbia inteso  effettivamente  prorogare
al 31 dicembre 1993 la intera  disciplina  dell'accordo  contrattuale
approvato col citato  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  17
gennaio 1990, n. 44 con l'intento  precipuo  di  contenere  la  spesa
pubblica derivante dalle dinamiche salariali  del  pubblico  impiego,
congelando per tre anni la disciplina contrattuale in vigore. 
    Evidentemente l'applicazione di quest'ultima  e'  stata  ritenuta
dal legislatore sicuramente meno onerosa per la finanza  pubblica  di
quella che  sarebbe  derivata  dall'applicazione  dei  nuovi  accordi
contrattuali, i cui effetti sono stati rinviati al 1° gennaio 1994. 
    Dunque l'espressione «arco di  vigenza  contrattuale»  cui  fanno
riferimento i commi 4 e 5 dell'art.  9  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 17 gennaio 1990 n. 44 comprende il periodo tra il 1°
gennaio 1988 ed il 31 dicembre 1993. 
      III. 3. Per completezza sul punto deve anche aggiungersi che il
piu' volte richiamato art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre
1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla  legge  14  novembre
1992, n. 438, non contiene alcun  elemento  testuale  in  virtu'  del
quale possa affermarsi che il legislatore abbia inteso  escludere  il
beneficio di cui  ai  comma  4  e  5  dell'art.  9  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 17 gennaio  1990,  n.  44  dalla  proroga
dell'accordo, solo per esso rendendo fissa la data  del  31  dicembre
1990  quale  termine  entro  cui  poteva   utilmente   maturarsi   il
quinquennio di effettivo servizio. 
    Invero,  poiche'  la  proroga  in  esame  incide   su   posizione
soggettive  gia'  consolidate  sotto  il  vigore   della   precedente
disciplina, il legislatore solo con una norma espressa avrebbe potuto
escludere l'applicazione del beneficio dalla predetta proroga. 
    Del  resto  in  tale  senso  milita  anche  una   interpretazione
sistematica dell'espressione «resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la
vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto», nel
senso che non vi e' motivo per escludere dalla proroga il piu'  volte
richiamato beneficio previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto
del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990 n.  44,  dal  momento
che la disciplina pattizia contenuta in tale regolamento  rappresenta
un unicum indivisibile (che in ogni caso  il  legislatore  ha  voluto
tenere  fermo  proprio  in  funzione  di  contenimento  della   spesa
pubblica). 
    III.4. Cosi' risolta la prima questione, ritiene il Collegio  che
occorre verificare se il beneficio in argomento subisca  gli  effetti
del  blocco  salariale  introdotto  da  3°  comma  dell'art.  7   del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni
dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. 
    Esso dispone  testualmente  che  «per  l'anno  1993  non  trovano
applicazione le norme che comunque comportano incrementi  retributivi
in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia  dell'attribuzione
di trattamenti economici, per progressione  automatica  di  carriera,
corrispondenti a quelli di funzioni superiori, ove queste  non  siano
effettivamente esercitate». 
    Non  puo'  dubitarsi  al  riguardo   che   il   beneficio   della
maggiorazione della retribuzione individuale di  anzianita'  comporta
effettivamente una maggiorazione della retribuzione collegata al mero
compimento di un certo tempo e cioe' di un quinquennio  di  effettivo
servizio:  esso  integra,  pertanto,  gli  estremi   dell'automatismo
stipendiale, i cui effetti  sono  stati  espressamente  bloccati  per
l'anno 1993. 
    Al riguardo occorre precisare che la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 245 del 18 luglio 1997,  ha  ritenuto  costituzionalmente
legittimo  tale  blocco,  trattandosi  di  una  misura   eccezionale,
giustificata dalle superiori  esigenze  di  equilibrio  del  bilancio
statale, e temporanea, esaurendo i propri effetti nell'anno 1993. 
      IV. Alla luce di tali  considerazioni  deve  ritenersi  che  il
quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire  il  beneficio
della maggiorazione della  retribuzione  individuale  di  anzianita',
previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della
Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, possa  essere  utilmente  maturato
oltre il 31 dicembre 1990 (per  effetto  della  proroga  sancita  dal
comma 1 dell'art. 7 del decreto-legge  19  settembre  1992,  n.  384,
convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992,  n.  438),
ma  entro  il  31  dicembre  1992  (per  effetto  del  blocco   degli
automatismi stipendiali stabilito dal successivo comma 3 dello stesso
art. 7)». 
      13. - Ancora qualche anno dopo, in C.d.S., sez. VI, 23 novembre
2004,  n.  7672,  fu  dato  atto  che   «[s]econdo   la   consolidata
giurisprudenza  di  questo  Consiglio,  il  quinquennio   utile   per
conseguire  il  beneficio  della  maggiorazione  della   retribuzione
individuale di anzianita', previsto dai commi  4  e  5  dell'art.  9,
decreto del Presidente della  Repubblica  17  gennaio  1990,  n.  44,
poteva essere utilmente maturato  oltre  il  31  dicembre  1990,  per
effetto della proroga sancita dal comma  1,  del  precitato  art.  7,
decreto-legge n. 384 del 1992, ma entro  il  31  dicembre  1992,  per
effetto  del  blocco  degli  automatismi  stipendiali  stabilito  dal
successivo comma 3 del piu' volte menzionato art.  7  (cfr.,  fra  le
tante, C. Stato, sez. VI, 26.7.2001, n. 4120; sez.  IV,  27  novembre
2000, n. 6310; sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1858)». 
    14. - La norma contenuta nell'art. 51, comma 3,  della  legge  n.
388 del 2000 e' intervenuta a superare il diritto vivente per  negare
il beneficio a coloro che avessero maturato le anzianita'  necessarie
per il computo delle maggiorazioni successivamente alla data  del  31
dicembre 1990 anche per chi avesse gia' un giudizio in corso, facendo
salva solo l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi alla data  della
sua entrata in vigore. 
    15. - Nella sentenza n. 12 del 2018 la  Corte  costituzionale  ha
ribadito che "non puo' essere consentito di «risolvere, con la  forma
della legge,  specifiche  controversie  [...],  violando  i  principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere  giurisdizionale
e concernenti la tutela dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi»
(sentenza n. 94 del 2009, punto 7.6 del Considerato  in  diritto;  in
senso conforme, sentenze n. 85 del 2013 e n. 374 del 2000)" e che "il
principio costituzionale della parita' delle parti e' violato «quando
il legislatore statale immette nell'ordinamento  una  fattispecie  di
ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in
gioco» (sentenza n. 191 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto;
in senso conforme, sentenza n. 186 del 2013)". 
    Ivi ha poi ricordato che "[c]  on  riguardo  al  sindacato  sulle
leggi  retroattive,  questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato   la
corrispondenza  tra  principi  costituzionali  interni   e   principi
contenuti nella CEDU (ex plurimis, sentenza  n.  191  del  2014).  La
Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), chiamata a  decidere
se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il  diritto
dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che,  in
linea  di  principio,  non  e'   precluso   al   potere   legislativo
regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata
retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato
che «il principio della preminenza  del  diritto  e  il  concetto  di
processo equo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo  che  per  imperative
ragioni di interesse generale, all'ingerenza del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di  influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia» e ha aggiunto che «l'esigenza  della
parita' fra le parti implica l'obbligo di offrire  a  ciascuna  parte
una ragionevole possibilita' di presentare  la  propria  causa  senza
trovarsi  in  una  situazione  di  netto  svantaggio  rispetto   alla
controparte» (ex plurimis, sentenze 25 marzo 2014, Biasucci  e  altri
contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro
Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e  altri  contro  Italia,
paragrafo 58)". 
    Ha inoltre rammentato che «la Corte EDU ha escluso che una misura
di carattere finanziario possa  integrare  un  motivo  imperativo  di
interesse generale quando  il  suo  impatto  sia  di  scarsa  entita'
(sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia,  paragrafi  37  e
38)». 
    16. - Nella sentenza n. 174 del 2019, che si  pone  in  linea  di
continuita' con la sentenza n.  12  del  2018  citata,  la  Corte  ha
soggiunto   che   "la   retroattivita'   deve    trovare    «adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale
bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e  i
valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente  lesi
dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza  n.  73  del
2017, punto 4.3.1. del Considerato in diritto)"  e  che  "[i]  limiti
posti  alle  leggi  con  efficacia  retroattiva  si  correlano   alla
salvaguardia dei principi  costituzionali  dell'eguaglianza  e  della
ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla  coerenza
e  alla  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  al  rispetto   delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza
n. 170 del 2013, punto 4.3. del Considerato in diritto)". 
    17.  -  Nei  ricordati  precedenti  la  Corte  costituzionale  ha
conferito rilievo, tra gli elementi sintomatici di  un  uso  distorto
della   funzione   legislativa,   al   metodo   e   alla   tempistica
dell'intervento legislativo, che vede lo  Stato  o  l'amministrazione
pubblica parti di un processo gia' radicato e si colloca  a  notevole
distanza  dall'entrata  in  vigore  delle  disposizioni  oggetto   di
interpretazione autentica. 
    18. - Nel caso di cui ci si occupa, l'art.  51,  comma  3,  della
legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) e' stato adottato otto
anni dopo la norma da interpretare, contenuta nell'art. 7,  comma  1,
del decreto-legge n. 384 del  1992,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 438 del 1992. 
    A   quella   data,   tuttavia,   come   si   e'   in   precedenza
dettagliatamente    esposto,    il    dibattito     giurisprudenziale
sull'estensione della proroga era stato ormai gia' risolto  in  senso
favorevole al  personale  dipendente  con  piu'  pronunce  di  questo
Consiglio rese nel biennio 1999-2000, tutte anteriori alla  legge  n.
388 del 2000. 
    A quella data, inoltre, pendeva ancora un certo numero di ricorsi
collettivi (come quello  che  ha  originato  la  presente  causa)  di
pubblici  dipendenti  che  rivendicavano  il   beneficio,   destinati
presumibilmente a essere definiti applicando gli stessi  principi  di
diritto indicati da quella giurisprudenza. 
    La norma di interpretazione autentica si rivolge, percio', a  una
platea circoscritta di destinatari e, non emergendo altri motivi  per
la sua adozione che ragioni finanziarie di contenimento  della  spesa
pubblica, appare preordinata a definire l'esito di specifici  giudizi
ancora in corso. 
    Come nei  citati  precedenti  della  Corte  costituzionale,  puo'
prospettarsi allora anche nel caso in esame una lesione dei  principi
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale,
nonche' delle disposizioni che assicurano a tutti l'effettiva  tutela
giurisdizionale dei propri diritti. 
    19. - Per tali motivi  non  appare  manifestamente  infondato  il
dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 51,  comma  3,  della
legge n. 388 del 2000 in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 102,
111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione al parametro interposto di cui all'art. 6 della CEDU. 
    20. - La rilevanza della questione discende dal fatto che in base
all'orientamento gia'  espresso  da  questo  Consiglio  nei  suddetti
precedenti, dal quale non vi sarebbero altre ragioni per discostarsi,
il ricorso di primo  grado  sarebbe  almeno  in  parte  da  ritenersi
fondato. 
    21. - In definitiva, per le esposte ragioni, in parziale  riforma
della sentenza appellata, il ricorso di  primo  grado  va  dichiarato
inammissibile  quanto  alla  domanda  proposta  dalla   sig.ra   Rita
Grimaldi. 
    Per il resto il giudizio va  sospeso  e  va  rimessa  alla  Corte
costituzionale, ai sensi dell'art. 1  della  legge  costituzionale  9
febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  51,  comma  3,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per contrasto con gli  articoli
3, 24, comma  1,  102,  111,  commi  1  e  2,  117,  comma  1,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione al  parametro  interposto  di
cui all'art. 6  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione  Seconda),
non definitivamente  decidendo  sull'appello  in  epigrafe,  dichiara
inammissibile il ricorso di primo grado  relativamente  alla  domanda
proposta dalla sig.ra Rita Grimaldi, compensando, nei suoi confronti,
le spese del doppio grado del giudizio. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  in  relazione
agli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, e 117, comma  1,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Carta
dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  la  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma  3,  della  legge  23
dicembre 2000, n. 388. 
    Sospende il giudizio in corso e ordina  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura della  Segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei Deputati. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  8
novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: 
      Oberdan Forlenza, Presidente; 
      Francesco Frigida, consigliere; 
      Carla Ciuffetti, consigliere; 
      Francesco Guarracino, consigliere, estensore; 
      Maria Stella Boscarino, consigliere. 
 
                       Il Presidente: Forlenza 
 
 
                                              L'estensore: Guarracino