N. 76 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2023
Ordinanza del 3 maggio 2023 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Battista Luisa e altri contro il Ministero della difesa. Impiego pubblico - Trattamento economico - Maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' (RIA), prevista dall'art. 9 del d.P.R. n. 44 del 1990 di approvazione degli accordi del comparto Ministeri - Proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base di tali accordi - Interpretazione dell'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, nel senso che la predetta proroga non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della RIA, fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della legge n. 388 del 2000. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)"), art. 51, comma 3.(GU n.24 del 14-6-2023 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione seconda) Ha pronunciato la seguente sentenza non definitiva sul ricorso numero di registro generale 1852 del 2015, proposto dai signori Luisa Battista, Loreto Battista, Massimo Renato Battisti, Ivano Battista, Anna Maria Belli, Giuseppe Biancari, Arduino Benedetto Bianchi, Enrico Bianchi, Errico Bianchi, Maurizio Bianchi, Vittorio Bianchi, Daniela Bonanni, Giuseppe Carlo Buttarazzi, Guido Buffone, Filippa Camerota, Fernando Carinci, Diego Cenci, Aldo Compagnone, Francesco Ciardi, Massimo Ciccarelli, Mara Cinelli, Gianfranco Conte, Carlo Conte, Cataldo De Lellis, Maria D'Orazio, Enrica D'Orio, Marina Di Rienzo, Romeo Antonio Di Rienzo, Gianfranco Di Folco, Angelo Di Palma, Claudio Di Palma, Antonio Ferazzoli, Vincenzo Ferdinandi, Marcello Fiore, Roberto Fiore, Gerardo Fraioli, Benito Fratini, Maurizio Gabriele, Filomena Gabriele, Mario Gabriele, eredi di Gabriele Rosanna (Daniele Bianchi, Mario Bianchi, Sara Bianchi), Giovanni Gabriele, Maria Luana Germani, Ettore Giannetti, Luciano Giannetti, Daniela Giona, Marcello Giovannone, Alfredo Gravagnone, Lino Grascia, Rita Grimaldi, Bernardo Iafrate, Pina Iafrate, Maria Therese Iafrate, Mauro Iannucci, Carla La Pietra, Mario Magnapera, Lucio Marchione, Loreto Mastrantoni, Franco Miacci, Massimo Mollicone, Bruno Notargiacomo, Antonino Pasquarelli, eredi di Lucio Patriarca (Sara Patriarca, Delia Romano), Rolando Patriarca, Giuseppe Carlo Patrizi, Franco Pellegrini, Domenico Pernaselci, Emilio Petitti, Maria Grazia Poce, Alessio Proia, Anna Veronica Proia, Gianni Quadrini, Bruno Raponi, Bruno Reale, Antonio Reali, Raffaele Ricci, Tiberio Ricozzi, Egidio Salerno, Annita Scappaticci, Maria Rosaria Scappaticci, Rossana Sera, Bruno Simonelli, Lucia Smurro, Marina Tatangelo, Maria Rosanna Trillo', Marisa Tuzi, eredi di Angelo Valeriani (Pierina Chiarlitti, Veronica Valeriani, Federica Valeriani), Emilia Luisa Vano, Benedetto Venditti, Sabatino Venditti, Massimo Verrelli, Mario Riccardo Villani, rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dagli avvocati Bruno Forte e Letizia Ciuffarella, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Maria Cuozzo in Roma, viale G. Mazzini n. 123; contro Ministero della difesa, Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, del 1° settembre 2014, n. 9255, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 il Cons. Francesco Guarracino e udito l'avv. Bruno Forte per la parte appellante; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Fatto e Diritto 1. - Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, n.r.g. 17080 del 2000, il sig. Abalsamo Antonio e altri seicentocinquantasette dipendenti del Ministero della difesa, assumendo che per effetto della proroga al 31 dicembre 1993 dell'efficacia degli accordi di comparto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, disposta dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con legge 14 novembre 1992, n 438, fosse stata prorogata anche l'efficacia degli istituti economici disciplinati dall'art. 9, commi 4 e 5, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica, i quali prevedevano una maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' (R.I.A.) per coloro che avessero maturato, nell'arco della vigenza contrattuale, cinque, dieci o venti anni di servizio, agivano in giudizio per ottenere l'accertamento del loro diritto alle corrispondenti maggiorazioni maturate nel corso degli anni 1991, 1992 e 1993 e la condanna dell'amministrazione intimata al pagamento delle differenze economiche, oltre interessi e rivalutazione, dolendosi che le stesse fossero state disconosciute, in generale, per l'arco temporale 1991/1993 con la circolare del 30 settembre 1992, n. 103, del Ministero del tesoro, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri. 2. - Con sentenza del 1° settembre 2014, n. 9255, il T.A.R. ha respinto il ricorso dando atto della sopravvenienza, nelle more del giudizio, della norma di interpretazione autentica, e percio' munita di effetti retroattivi, di cui all'art. 51, comma 3, della l. 23 dicembre 2000, n. 388, da cui discende che l'ultrattivita' delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 44 del 1990 non modifica la data del 31 dicembre 1990 gia' stabilita per la maturazione dell'anzianita' di servizio prescritta ai fini della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita', e, rammentato che la prospettata questione di illegittimita' della norma per contrasto coi principi di uguaglianza, di adeguatezza e di proporzionalita' della retribuzione (art. 3, comma 1; art. 36, comma 1; art. 38, comma 2, della Costituzione) era stata gia' dichiarata manifestamente infondata (Corte costituzionale n. 299 del 1999 e n. 374 del 2000), ha ritenuto priva di fondamento la questione (prospettata da alcuni ricorrenti in corso di causa) del possibile contrasto della stessa disposizione con l'art. 1 del protocollo addizionale (n. 1) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), ovvero dell'art. 8 della Convenzione medesima. 3. - Con ricorso in appello la sig.ra Battista Luisa e altri novantuno ricorrenti hanno impugnato la sentenza di primo grado criticandola per la pretesa natura tautologica della motivazione sull'assenza di violazione dell'art. 1 del protocollo addizionale (n. 1) della CEDU, per l'erroneita' della conclusione relativa all'inapplicabilita' al caso di specie della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e per l'omesso esame della denunciata violazione anche dell'art. 6, par. 1, della CEDU. A sostegno dell'accoglimento delle domande proposte in primo grado propugnano un'interpretazione adeguatrice delle norme interne ai principi e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e in subordine chiedono si sollevi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per contrasto tanto con gli articoli 24, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione che, ex articoli 111 e 117, comma 1, della Costituzione, con gli articoli 6, par. 1, e 8 della CEDU e l'art. 1 del protocollo addizionale (n. 1) della stessa CEDU - in quanto la norma interferirebbe con la funzione giurisdizionale e il diritto di agire e di difendersi in giudizio - nonche' per contrasto con gli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione, in quanto, ribaltando con effetti retroattivi una consolidata interpretazione giurisprudenziale, essa colliderebbe coi principi della necessaria ragionevolezza delle scelte legislative, del divieto di ingiustificate disparita' di trattamento, della tutela dell'affidamento e della certezza del diritto. 4. - Il Ministero della difesa, il Ministero dell'economia e finanze e la Presidenza del Consiglio dei ministri si sono costituiti in giudizio senza formulare difese scritte. 5. - Constatato che nel ricorso di primo grado non erano specificate la posizione di ciascun ricorrente rispetto alla maturazione dell'anzianita' di servizio necessaria per beneficiare della maggiorazione della R.I.A. e le spettanze rivendicate da ognuno e che la ricostruzione del dato non era possibile sulla base della documentazione del fascicolo di primo grado, gia' andato smarrito, con ordinanza collegiale del 26 aprile 2022, n. 3122, gli appellanti sono stati onerati della produzione di specifiche e documentate precisazioni sulle rispettive loro situazioni e pretese dando loro avviso, anche ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., che l'eventuale inammissibilita' del ricorso di primo grado (che potrebbe derivare dalla mancata indicazione per ciascuno della relativa posizione di status e delle spettanze rivendicate rispetto a tale posizione: cfr. C.d.S., sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3625) costituisce una questione rilevabile d'ufficio anche in appello perche' attinente a una condizione dell'azione (C.d.S., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 421; sez. III, 13 agosto 2018, n. 4914). 6. - Gli appellanti hanno eseguito l'incombente in data 27 giugno 2022 e alla pubblica udienza dell'8 novembre 2022 la causa e' stata trattenuta in decisione. 7. - In via preliminare occorre prendere atto che, secondo le stesse ipotesi di calcolo prodotte dalla parte appellante, la sig.ra Rita Grimaldi non rivendica alcuna somma a titolo di maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' (doc. 5 dep. 27 giugno 2022), con la conseguenza che, nei suoi confronti, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile per difetto di interesse. 8. - Per gli altri appellanti la produzione dei fogli matricolari, che e' stata ammessa in relazione alle vicende del fascicolo originale del primo grado, attesta le anzianita' di servizio (per la sig.ra Luisa Battista, ad esempio, la data di decorrenza economica del servizio al 29 giugno 1983 e quindi il compimento dei dieci anni di servizio prima del 31 dicembre 1993). 9. - Nel merito, la pretesa degli appellanti di poter beneficiare della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' prevista dall'art. 9, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, di approvazione degli accordi del comparto Ministeri in virtu' della proroga al 31 dicembre 1993 dell'efficacia di questi ultimi disposta dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, e' stata giudicata infondata dal T.A.R. poiche', nelle more del giudizio, il legislatore era intervenuto in materia con l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) disponendo che «L'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1º gennaio 1988 - 31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, gia' stabilita per la maturazione delle anzianita' di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge». 10. - Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della suddetta norma, la quale, sebbene formulata in termini astratti, appare in realta' preordinata a condizionare, con l'efficacia propria delle disposizioni interpretative, l'esito dei giudizi ancora in corso in quella materia. 11. - Infatti, all'epoca il dibattito giurisprudenziale sull'estensione della proroga al 31 dicembre 1993 degli accordi del comparto Ministeri anche agli istituti economici in questione era stato ormai risolto in senso favorevole al personale dipendente. 12. - In particolare, fu osservato da C.d.S., sez. IV, 17 ottobre 2000, n. 5522 (ma gia', tra le altre, C.d.S., sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1858; Comm. Spec. Imp. 13 luglio 1998, n. 412): «III.1. L'art. 9, comma 4, dell'accordo sindacale per il personale del comparto Ministeri del 26 settembre 1989, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, prevede che "al personale che, alla data del 1° gennaio 1990, abbia acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio, o che maturi detto quinquennio nell'arco della vigenza contrattuale, compete dalle date suddette una maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' nelle sotto indicate misure annue lorde: prima, seconda e terza qualifica funzionale £. 300.000"»; quarta, quinta e sesta qualifica funzionale £. 400.000; settima, ottava e nona qualifica funzionale £. 500.000". Il successivo comma 5 aggiunge che «le misure delle maggiorazioni di cui al comma 4 sono, con le stesse decorrenze stabilite nel medesimo comma 4, raddoppiate e quadruplicate nei confronti del personale che, nell'arco della vigenza contrattuale, abbia o maturi, rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni». Bisogna dunque stabilire l'esatta interpretazione della espressione «arco di vigenza contrattuale» entro cui si deve maturare il quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire la maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' ed in particolare se esso coincida con la scadenza originaria dell'accordo, fissata dal comma 2 dell'art. 1 del predetto accordo al 31 dicembre 1990 ovvero con la data del 31 dicembre 1993, per effetto dell'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. III.2. Orbene il Collegio e' dell'avviso che tale norma, disponendo per un verso che «resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93 e successive modificazioni ed integrazioni» e, per altro verso, che «i nuovi accordi avranno effetto dal 1° gennaio 1994», abbia inteso effettivamente prorogare al 31 dicembre 1993 la intera disciplina dell'accordo contrattuale approvato col citato decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44 con l'intento precipuo di contenere la spesa pubblica derivante dalle dinamiche salariali del pubblico impiego, congelando per tre anni la disciplina contrattuale in vigore. Evidentemente l'applicazione di quest'ultima e' stata ritenuta dal legislatore sicuramente meno onerosa per la finanza pubblica di quella che sarebbe derivata dall'applicazione dei nuovi accordi contrattuali, i cui effetti sono stati rinviati al 1° gennaio 1994. Dunque l'espressione «arco di vigenza contrattuale» cui fanno riferimento i commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990 n. 44 comprende il periodo tra il 1° gennaio 1988 ed il 31 dicembre 1993. III. 3. Per completezza sul punto deve anche aggiungersi che il piu' volte richiamato art. 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, non contiene alcun elemento testuale in virtu' del quale possa affermarsi che il legislatore abbia inteso escludere il beneficio di cui ai comma 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44 dalla proroga dell'accordo, solo per esso rendendo fissa la data del 31 dicembre 1990 quale termine entro cui poteva utilmente maturarsi il quinquennio di effettivo servizio. Invero, poiche' la proroga in esame incide su posizione soggettive gia' consolidate sotto il vigore della precedente disciplina, il legislatore solo con una norma espressa avrebbe potuto escludere l'applicazione del beneficio dalla predetta proroga. Del resto in tale senso milita anche una interpretazione sistematica dell'espressione «resta ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto», nel senso che non vi e' motivo per escludere dalla proroga il piu' volte richiamato beneficio previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990 n. 44, dal momento che la disciplina pattizia contenuta in tale regolamento rappresenta un unicum indivisibile (che in ogni caso il legislatore ha voluto tenere fermo proprio in funzione di contenimento della spesa pubblica). III.4. Cosi' risolta la prima questione, ritiene il Collegio che occorre verificare se il beneficio in argomento subisca gli effetti del blocco salariale introdotto da 3° comma dell'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. Esso dispone testualmente che «per l'anno 1993 non trovano applicazione le norme che comunque comportano incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia dell'attribuzione di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera, corrispondenti a quelli di funzioni superiori, ove queste non siano effettivamente esercitate». Non puo' dubitarsi al riguardo che il beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita' comporta effettivamente una maggiorazione della retribuzione collegata al mero compimento di un certo tempo e cioe' di un quinquennio di effettivo servizio: esso integra, pertanto, gli estremi dell'automatismo stipendiale, i cui effetti sono stati espressamente bloccati per l'anno 1993. Al riguardo occorre precisare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 245 del 18 luglio 1997, ha ritenuto costituzionalmente legittimo tale blocco, trattandosi di una misura eccezionale, giustificata dalle superiori esigenze di equilibrio del bilancio statale, e temporanea, esaurendo i propri effetti nell'anno 1993. IV. Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che il quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire il beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita', previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, possa essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990 (per effetto della proroga sancita dal comma 1 dell'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), ma entro il 31 dicembre 1992 (per effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabilito dal successivo comma 3 dello stesso art. 7)». 13. - Ancora qualche anno dopo, in C.d.S., sez. VI, 23 novembre 2004, n. 7672, fu dato atto che «[s]econdo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, il quinquennio utile per conseguire il beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianita', previsto dai commi 4 e 5 dell'art. 9, decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44, poteva essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990, per effetto della proroga sancita dal comma 1, del precitato art. 7, decreto-legge n. 384 del 1992, ma entro il 31 dicembre 1992, per effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabilito dal successivo comma 3 del piu' volte menzionato art. 7 (cfr., fra le tante, C. Stato, sez. VI, 26.7.2001, n. 4120; sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6310; sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1858)». 14. - La norma contenuta nell'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 e' intervenuta a superare il diritto vivente per negare il beneficio a coloro che avessero maturato le anzianita' necessarie per il computo delle maggiorazioni successivamente alla data del 31 dicembre 1990 anche per chi avesse gia' un giudizio in corso, facendo salva solo l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi alla data della sua entrata in vigore. 15. - Nella sentenza n. 12 del 2018 la Corte costituzionale ha ribadito che "non puo' essere consentito di «risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie [...], violando i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi» (sentenza n. 94 del 2009, punto 7.6 del Considerato in diritto; in senso conforme, sentenze n. 85 del 2013 e n. 374 del 2000)" e che "il principio costituzionale della parita' delle parti e' violato «quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco» (sentenza n. 191 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, sentenza n. 186 del 2013)". Ivi ha poi ricordato che "[c] on riguardo al sindacato sulle leggi retroattive, questa Corte ha ripetutamente affermato la corrispondenza tra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU (ex plurimis, sentenza n. 191 del 2014). La Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), chiamata a decidere se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il diritto dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che, in linea di principio, non e' precluso al potere legislativo regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato che «il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia» e ha aggiunto che «l'esigenza della parita' fra le parti implica l'obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte» (ex plurimis, sentenze 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia, paragrafo 58)". Ha inoltre rammentato che «la Corte EDU ha escluso che una misura di carattere finanziario possa integrare un motivo imperativo di interesse generale quando il suo impatto sia di scarsa entita' (sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia, paragrafi 37 e 38)». 16. - Nella sentenza n. 174 del 2019, che si pone in linea di continuita' con la sentenza n. 12 del 2018 citata, la Corte ha soggiunto che "la retroattivita' deve trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del 2017, punto 4.3.1. del Considerato in diritto)" e che "[i] limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei principi costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 170 del 2013, punto 4.3. del Considerato in diritto)". 17. - Nei ricordati precedenti la Corte costituzionale ha conferito rilievo, tra gli elementi sintomatici di un uso distorto della funzione legislativa, al metodo e alla tempistica dell'intervento legislativo, che vede lo Stato o l'amministrazione pubblica parti di un processo gia' radicato e si colloca a notevole distanza dall'entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica. 18. - Nel caso di cui ci si occupa, l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) e' stato adottato otto anni dopo la norma da interpretare, contenuta nell'art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 384 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438 del 1992. A quella data, tuttavia, come si e' in precedenza dettagliatamente esposto, il dibattito giurisprudenziale sull'estensione della proroga era stato ormai gia' risolto in senso favorevole al personale dipendente con piu' pronunce di questo Consiglio rese nel biennio 1999-2000, tutte anteriori alla legge n. 388 del 2000. A quella data, inoltre, pendeva ancora un certo numero di ricorsi collettivi (come quello che ha originato la presente causa) di pubblici dipendenti che rivendicavano il beneficio, destinati presumibilmente a essere definiti applicando gli stessi principi di diritto indicati da quella giurisprudenza. La norma di interpretazione autentica si rivolge, percio', a una platea circoscritta di destinatari e, non emergendo altri motivi per la sua adozione che ragioni finanziarie di contenimento della spesa pubblica, appare preordinata a definire l'esito di specifici giudizi ancora in corso. Come nei citati precedenti della Corte costituzionale, puo' prospettarsi allora anche nel caso in esame una lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, nonche' delle disposizioni che assicurano a tutti l'effettiva tutela giurisdizionale dei propri diritti. 19. - Per tali motivi non appare manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in relazione al parametro interposto di cui all'art. 6 della CEDU. 20. - La rilevanza della questione discende dal fatto che in base all'orientamento gia' espresso da questo Consiglio nei suddetti precedenti, dal quale non vi sarebbero altre ragioni per discostarsi, il ricorso di primo grado sarebbe almeno in parte da ritenersi fondato. 21. - In definitiva, per le esposte ragioni, in parziale riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile quanto alla domanda proposta dalla sig.ra Rita Grimaldi. Per il resto il giudizio va sospeso e va rimessa alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per contrasto con gli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in relazione al parametro interposto di cui all'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), non definitivamente decidendo sull'appello in epigrafe, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado relativamente alla domanda proposta dalla sig.ra Rita Grimaldi, compensando, nei suoi confronti, le spese del doppio grado del giudizio. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Sospende il giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorita' amministrativa. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Oberdan Forlenza, Presidente; Francesco Frigida, consigliere; Carla Ciuffetti, consigliere; Francesco Guarracino, consigliere, estensore; Maria Stella Boscarino, consigliere. Il Presidente: Forlenza L'estensore: Guarracino