N. 18 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 giugno 2023
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 20 giugno 2023 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Ambiente - Pesca - Norme della Regione Puglia - Tutela della fauna marina dei ricci di mare - Divieti, riferiti al mare territoriale della Puglia, relativi al prelievo, alla raccolta, alla detenzione, al trasporto, allo sbarco e alla commercializzazione degli esemplari di riccio di mare e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo di tre anni. - Legge della Regione Puglia 18 aprile 2023, n. 6 (Misure di salvaguardia per la tutela del riccio di mare), artt. 1 e 2.(GU n.29 del 19-7-2023 )
Ricorso ex articolo 127 Costituzione nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato (cod. fiscale 80224030587), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e domiciliato (numero fax 06.96.51.40.00, indirizzo PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) nei confronti della Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge regionale 18 aprile 2023, n. 6, recante «Misure di salvaguardia per la tutela del ricco di mare», pubblicata sul B.U.R. Puglia n. 38 del 20 aprile 2023 in virtu' della deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 15 giugno 2023. La Regione Puglia ha emanato la legge regionale in epigrafe indicata, il cui articolo 1 dispone, quale finalita' dell'intervento legislativo, che «con la presente legge la Regione Puglia intende favorire il ripopolamento del riccio di mare nei mari regionali, garantendo un periodo di riposo della specie, preservando la risorsa ittica e scongiurando il rischio di estinzione dovuto ai massicci prelievi». Il successivo articolo 2, rubricato «Termini», dispone poi come segue: «1. Nel mare territoriale della Puglia, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e' vietato il prelievo, la raccolta, la detenzione, il trasporto, lo sbarco e la commercializzazione degli esemplari di riccio di mare (Paracentrotus lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo di tre anni. 2. La commercializzazione del riccio di mare non e' vietata per gli esemplari provenienti (con certificazioni e tracciabilita' secondo legge) da mari territorialmente non appartenenti alla Regione Puglia». Tali disposizioni legislative presentano diversi profili di incostituzionalita': il Consiglio dei Ministri ha pertanto ritenuto di doverla impugnare, ed a tanto in effetti si provvede mediante il presente ricorso. 1. Contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lett. s), Costituzione, nonche' con la legge n. 963/1965 ed il decreto legislativo n. 4/2012, e con il D.M. Risorse agricole, alimentari e forestali del 12 gennaio 1995, quali norme interposte 1.1 Le sovrarichiamate disposizioni regionali contrastano anzitutto con la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» [articolo comma 2, lett. s), Costituzione], che - per costante giurisprudenza costituzionale - e «trasversale» e «prevalente», imponendosi integralmente nei confronti delle Regioni e Province autonome, e per la quale spetta esclusivamente allo Stato la competenza a fissare livelli di tutela ambientale uniformi sull'intero territorio nazionale. La «tutela dell'ambiente» attiene invero ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto, la cui qualificazione nella norma costituzionale surrichiamata legittima esclusivamente lo Stato ad adottare disposizioni di tutela. Il relativo ambito di applicazione della tutela ambientale e per l'appunto «trasversale», in quanto tocca in effetti anche «campi di esperienza» - le cosiddette «materie» in senso proprio - attribuiti alla competenza legislativa regionale. Ne consegue che le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da preciso limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, e le Province autonome, possono adottare nei settori di loro competenza, non essendo ad esse consentito di compromettere il punto di equilibrio fra esigenze contrapposte, per come individuato dalla norma statale (cfr., ex plurimis, sentenza costituzionale n. 197 del 2014, § 3.2). In altri termini, il carattere trasversale della materia «tutela dell'ambiente», se da un lato legittima gli enti territoriali a provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente in relazione a temi che hanno riflessi sulla materia ambientale, dall'altro conferisce alla competenza esclusiva dello Stato il compito di individuare i limiti alla predetta legislazione regionale, ed a stabilire regole omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia del territorio (cfr. sentenza costituzionale n. 249 del 2009). 1.2 Tanto premesso, si osserva che il sovratrascritto articolo 1 individua la finalita' dell'intera legge regionale n. 6/2023 nella tutela della fauna marina dei ricci di mare, restando dunque indiscutibile che l'espresso richiamo all'obiettivo di preservare quella specie animale contro il rischio di estinzione va ricondotto proprio alla piu' generale «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. s), Costituzione, afferente appunto competenza esclusiva statale. Il successivo articolo 2 vieta invero - per un periodo di tre anni dall'entrata in vigore della stessa, e quindi fino al 5 maggio 2026 - il prelievo, la raccolta, la detenzione, il trasporto e la commercializzazione di esemplari di riccio di mare e dei relativi prodotti derivati freschi «nel mare territoriale della Puglia». Il medesimo divieto non opera invece per gli esemplari provenienti, con certificazioni sulla tracciabilita', da mari territorialmente non appartenenti alla Regione Puglia. 1.3 In Italia, la normativa sulla pesca marittima e stata a lungo rappresentata dalla Legge 14 luglio 1965, n. 963, di recente abrogato e sostituito con il decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 («Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96»). Nello specifico settore della materia di pesca di ricci di mare, la relativa disciplina e dipoi recata dal D.M. Risorse agricole, alimentari e forestali del 12 gennaio 1995 (a suo tempo adottato in base all'articolo 32 della ripetuta legge n. 963/1965, e tuttora vigente), il quale fissa con chiarezza quali sono i limiti della relativa attivita' di pesca, sia professionale che sportiva, nei seguenti termini: ai sensi dell'articolo 1, «e' consentita la pesca professionale del riccio di mare con la sola utilizzazione dei seguenti attrezzi da raccolta: asta a specchio e rastrello» (comma 1), «i pescatori subacquei professionali di cui al decreto ministeriale 20 ottobre 1986 possono effettuare la pesca di cui al comma 1 in immersione e solo manualmente» (comma 2), e «la pesca di cui al comma 1 e' altresi' consentita ai pescatori sportivi in apnea solo manualmente» (comma 3); ai sensi dell'articolo 2, il pescatore professionale non puo' catturare giornalmente piu' di mille esemplari, mentre il pescatore sportivo non puo' catturarne (sempre giornalmente) piu' di cinquanta; ai sensi dell'articolo 3, «la taglia minima di cattura del riccio di mare non puo' essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei»; ai sensi dell'articolo 4, «la pesca professionale e sportiva del riccio di mare e' vietata nei mesi di maggio e giugno». Tali essendo i limiti e le condizionalita' cui la pesca dei ricci di mare e assoggettata ai sensi della vigente normativa nazionale, resta del tutto evidente come i variegati ed assoluti divieti introdotti dall'articolo 2 della L.R. Puglia n. 6/2023 (si rimarca, relativi al prelievo, alla raccolta, alla detenzione, al trasporto, allo sbarco ed alla commercializzazione di ricci di mare e dei relativi prodotti derivati freschi), tra l'altro per un consistente periodo di tre anni, limitino oltre misura la relativa attivita', almeno in ambito pugliese. Ai fini che qui occupano, risulta parimenti evidente come la introduzione di siffatti indiscriminati divieti, espressamente posti - ai sensi dell'articolo 1 della medesima legge regionale - a fini di tutela della specie animale di che trattasi (e segnatamente onde «favorire il ripopolamento del riccio di mare nei mari regionali», preservare «la risorsa ittica» e scongiurare «il rischio di estinzione dovuto ai massicci prelievi») - abbiano invaso la competenza statale esclusiva in materia di tutela ambientale, di cui si e detto nei precedenti paragrafi, pervenendo a limitare diverse attivita' relative ai ricci di mare, in maniera ben diversificata rispetto al resto del territorio nazionale. 1.4 E' appena il caso di ricordare che - anche ai fini del relativo inquadramento costituzionale - la definizione di pesca accolta nell'ordinamento nazionale italiano ripropone quella offerta dal legislatore unionale nel Regolamento UE n. 1380/2013, relativo alla politica comune della pesca. Nel rintracciare i confini della materia, infatti, occorre considerare che il settore della pesca e stato profondamente inciso dalle regole comunitarie, volte fondamentalmente garantire un uso razionale delle risorse ittiche, con conseguente aumento d'attenzione per gli aspetti di tutela ambientale ad essa connessi e un forte ridimensionamento del ruolo delle normative nazionali. Il particolare rapporto tra l'attivita' ittica e l'ambiente - riassumibile nella constatazione che le risorse alieutiche sono si' rinnovabili, ma anche esauribili e pertanto vanno gestite adattando il tasso di prelievo alla loro capacita' di rinnovarsi - si e' tradotto, sul piano normativo, in una serie di regole, nazionali e soprattutto sovranazionali di matrice europea, che operano come limiti in capo agli operatori del settore, e il cui rispetto dovrebbe garantire il mantenimento dell'equilibrio ambientale. Sotto il profilo piu' strettamente costituzionale, la tendenza ad una lettura espansiva della materia di competenza statale esclusiva «tutela dell'ambiente», tale da comprendere anche la regolamentazione di aspetti relativi all'attivita' di pesca, e confermata nella sentenza n. 9 del 2013 della Corte costituzionale, resa in un giudizio per conflitto di attribuzione attivato dalla regione Sardegna nei riguardi del decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 3 aprile 2012 (Ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2012). In detta occasione, codesta Corte, pur riconoscendo in capo alla Regione ricorrente la titolarita' della «competenza primaria nella materia della pesca», ha chiaramente ricondotto l'oggetto del decreto ministeriale in quell'occasione impugnato alla materia «ambiente ed ecosistema» di competenza legislativa esclusiva dello Stato, affermando che «detta competenza si riferisce all'ambiente ed all'ecosistema in termini generali ed onnicomprensivi», sicche' «quando il carattere trasversale della normativa in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema comporta fenomeni di sovrapposizione ad altri ambiti competenziali», la prevalenza deve essere assegnata alla legislazione statale rispetto a quella spettante alle Regioni o alle Province autonome, nelle materie di propria competenza trasversalmente intercettate. Anche nel consimile caso in esame, pertanto, i profili che incidono sulla disciplina della pesca del riccio di mare appaiono strumentali all'obiettivo perseguito di tutela ambientale, consistente proprio nella salvaguardia della specie ittica di che trattasi, e indirettamente dell'ecosistema. 1.5 Occorre aggiuntivamente rimarcare che l'attuale articolo 24 del decreto legislativo n. 4/2012 (in stretta continuita' con quanto precedentemente e similmente previsto dall'articolo 32 della legge n. 963/1965, sulla base del quale - si rimarca - era stato adottato il D.M. del 12 gennaio 1995 piu' innanzi richiamato), prevede da un lato che «il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali [oggi Ministro dell'agricoltura e della sovranita' alimentare, n.d.r.] puo', con proprio decreto, sentita la Commissione consultiva centrale per la pesca marittima, disciplinare la pesca anche in deroga alle discipline regolamentari nazionali, in conformita' alle norme comunitarie, al fine di adeguarla al progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche, e favorirne lo sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa» (comma 1), e dall'altro che lo stesso Ministro «puo', con proprio decreto, sospendere l'attivita' di pesca o disporne limitazioni in conformita' alle disposizioni del regolamento (CE) n. 2371/2002, al fine di conservare e gestire le risorse della pesca» (comma 2). La generale disciplina della pesca, e l'apposizione di sospensioni o limitazioni in conformita' con quanto previsto a livello europeo, in chiave di protezione ambientale delle risorse ittiche, e dunque - all'evidenza - assegnata in maniera esclusiva dalla legge statale alla competenza del Ministero dell'agricoltura e della sovranita' alimentare, e per esso allo Stato. Le descritte previsioni della L.R. Puglia n. 6/2023 eccedono pertanto le competenze costituzionali regionali, violando l'articolo 117, secondo comma, lett. s), Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, materia nella quale ricade la disciplina del fermo di pesca. 2. Contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lett. a), Costituzione, e con l'articolo 2 cod. nav. quale norma interposta 2.1 Le disposizioni regionali qui impugnate sono altresi' invasive della competenza esclusiva dello Stato in materia di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» e «rapporti dello Stato con l'Unione europea», di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. a), Costituzione allorche' si riferiscono - per delimitare il proprio ambito applicativo - al «mare territoriale della Puglia» ed ai «mari territorialmente non appartenenti alla Regione Puglia» (cfr. articolo 2). Alla luce di tali riferimenti, il presupposto alla base della legge regionale in parola e dato dalla astratta configurabilita' di un «mare territoriale regionale», ipoteticamente appartenente o riferibile alla Regione Puglia, quale ambito entro il quale la stessa Regione sarebbe abilitata ad esercitare la propria potesta' normativa. Tuttavia, la individuazione, delimitazione e classificazione dello «spazio marino» sono precluse alla competenza regionale, in quanto soggette anche ad interessi internazionali e a discipline dettate dal diritto dell'Unione europea. La nozione di «mare territoriale regionale» e infatti sconosciuta al nostro ordinamento interno, ed altresi' a quello internazionale, e non e dunque possibile equiparare o assimilare al territorio regionale (per come delimitato dai relativi confini) la fascia marina antistante alle singole coste regionali (di larghezza di 12 miglia, corrispondente all'estensione del mare territoriale ex articolo 2 cod. nav.), che per l'appunto il Codice della navigazione qualifica come «mare territoriale» assoggettato alla sovranita' statale (articolo 2). L'articolo 2 cod. nav. dispone invero in dettaglio quanto segue: primo comma: «Sono soggetti alla sovranita' dello Stato i golfi, i seni e le baie, le cui coste fanno parte del territorio della Repubblica, quando la distanza fra i punti estremi dell'apertura del golfo, del seno o della baia non supera le ventiquattro miglia marine. Se tale distanza e' superiore a ventiquattro miglia marine, e' soggetta alla sovranita' dello Stato la porzione del golfo, del seno o della baia compresa entro la linea retta tirata tra i due punti piu' foranei distanti tra loro ventiquattro miglia marine»; secondo comma: «E' soggetta altresi' alla sovranita' dello Stato la zona di mare dell'estensione di dodici miglia marine lungo le coste continentali ed insulari della Repubblica e lungo le linee rette congiungenti i punti estremi indicati nel comma precedente. Tale estensione su misura dalla linea costiera segnata dalla bassa marea»; terzo comma: «Sono salve le diverse disposizioni che siano stabilite per determinati effetti da leggi o regolamenti ovvero da convenzioni internazionali». 2.2 La specifica questione di costituzionalita' qui sollevata intercetta l'ampia e piu' generale questione relativa alla competenza delle Regioni e degli enti locali sulle acque costiere, appunto entro le dodici miglia. La giurisprudenza costituzionale in argomento e stata per lungo tempo caratterizzata dalle sentenze n. 23 del 1957 e n. 49 del 1958, e piu' di recente dalla sentenza n. 102 del 2008, le quali hanno in effetti delineato una forma di competenza legislativa delle Regioni sul mare territoriale: i relativi giudizi sono stati tutti originati da controversie tra Stato e Regioni sorte in ordine alla possibilita' delle regioni di legiferare in relazione allo sfruttamento, a vario titolo, delle acque costiere (per finalita' di pesca, per prelievo fiscale sugli ormeggi delle imbarcazioni da diporto, e soprattutto in relazione alla ricerca ed alla coltivazione in mare di idrocarburi liquidi e gassosi). Sul versante opposto rispetto alle sentenze che, sia prima che dopo la revisione costituzionale del 2001, hanno avanzato la prospettiva di una competenza regionale sul mare territoriale, nei termini dianzi accennati, si colloca innanzitutto la sentenza n. 21 del 1968, pronunciata sotto la vigenza dell'originario articolo 117 Costituzione. In tale decisione, la Corte ha precisato che «quello dell'esistenza di un mare territoriale regionale altro non e' se non problema di esistenza, fra le competenze regionali, di singole materie aventi un oggetto che implica l'utilizzazione di quel mare». Richiamando la sentenza n. 27 del 1953, la Corte ha pure precisato che l'attribuzione di una competenza in materia di pesca marittima non implica il riconoscimento dell'esistenza di un mare territoriale regionale o la possibilita' di esercitare poteri su quel mare, sia pure limitatamente alla pesca. Con la sentenza n. 21 del 1968, la Corte ha inoltre operato una distinzione tra il mare territoriale e il fondo o il sottofondo sottostante al mare territoriale, evidenziando come la corrispondente differenziazione del mare si rifaccia ad una varia natura e ad una diversa intensita' dei poteri dello Stato, che attengono alla difesa, alla polizia della navigazione, alla vigilanza doganale, e via enumerando, mentre sul fondo e sul sottofondo marino si esplicano poteri di contenuto e di intensita' uguali per tutta la fascia che va dalla linea della bassa marea fino al limite esterno della piattaforma, con la conseguenza che la disciplina del fondo e del sottofondo non potrebbe che essere rimessa alla potesta' legislativa statale. Infatti, «la condizione giuridica differenziata del mare trova fondamento in una diversita' di funzione dei suoi vari tratti, la' dove una sola e' la funzione del fondo e del sottofondo marino; e la distinzione del mare territoriale della zona contigua e dell'alto mare e' rilevante soltanto nella misura in cui lo e' secondo il diritto internazionale, il quale non fa prevedere, per la piattaforma continentale, l'instaurazione di trattamenti diversi a seconda della sua posizione geografica». A conclusioni analoghe la Corte e giunta piu' recentemente, anche a fronte del mutato quadro costituzionale a decorrere dal 2001. Infatti, con la sentenza n. 39 del 2017, sorta da un ricorso promosso dallo Stato nei confronti di una legge regionale abruzzese che, con la finalita' di tutelare l'ambiente e l'ecosistema, disponeva il divieto delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare poste entro le dodici miglia marine dalla linea di costa, la Corte ha sostanzialmente confermato l'orientamento espresso nel 1968, ribadendo che «sul fondo e sul sottofondo marino si esplicano poteri di contenuto e di intensita' uguali per tutta la fascia che va dalla linea della bassa marea fino al limite esterno della piattaforma, circostanza che non consente di riconoscere alle Regioni una competenza neppure con riguardo alle attivita' che possono esercitarsi sulla porzione di fondo e di sottofondo sottostante al mare territoriale». 2.3 Alla luce delle piu' recenti precisazioni della Corte costituzionale, deve concludersi che non e' ad oggi configurabile una competenza legislativa regionale generalizzata, che si motivi per il mero riferimento al mare territoriale di riferimento delle regioni, non rinvenendosi - a livello nazionale, ne' internazionale - una tale ripartizione dello spazio marittimo. In particolare, non puo' equipararsi al territorio regionale (per come delimitato dai relativi confini) la fascia marina (appunto di larghezza di 12 miglia, corrispondente all'estensione del mare territoriale ex articolo 2 cod. nav.) antistante alle singole coste regionali: come invece surrettiziamente intende fare la normativa pugliese qui oggetto di impugnazione. La nozione di «mare territoriale» e bensi' accolta dal diritto internazionale e interno, ma non puo' essere invocata in ambito interno per una segmentazione della relativa fascia marittima tra plurime autorita' regionali. Il mare, piuttosto, in ambito internazionale e interno, e soggetto ad una ripartizione differenziata in ragione delle diverse esigenze di tutela all'uopo perseguite: a titolo esemplificativo, puo' aversi una perimetrazione rilevante ai fini della pesca, incentrata su aree definite in ambito internazionale [cfr. Allegato 1 al Regolamento (UE) n. 1343/2011, «relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona coperta dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo) e che modifica il regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo"], ovvero una ripartizione rilevante per circoscrivere la competenza dell'autorita' marittima, incentrata in zone marittime, compartimenti e circondari (cfr. articolo 16 cod. nav.). Ma si tratta, in ogni caso, di ripartizioni che non tengono conto di asseriti ed inesistenti «confini marittimi regionali», essendo esse determinate dal particolare obiettivo di interesse generale alla base della loro previsione. In particolare, nel caso della pesca, emerge l'esigenza che una ripartizione delle aree marine sia correlata all'aspetto morfologico ed ecologico del mare, con riferimento alla varieta' di habitat, alle condizioni ambientali e alle comunita' biologiche presenti, che debbono essere valutate unitariamente, in una ottica necessariamente sovraregionale, anche perche' in relazione ad ambiti marini prospicienti le coste di piu' Regioni. Ugualmente, con riguardo alla ripartizione in zone marittime, compartimenti e circondari, essa tiene conto esclusivamente di finalita' amministrative, onde organizzare gli ambiti di intervento dell'autorita' marittima. 2.4 Cio' posto, a fronte di ripartizioni del mare territoriale che prescindono dall'elemento regionale (come appunto nel settore della «pesca», secondo la richiamata normativa unionale del 2011), non e possibile configurare un «mare territoriale regionale», e non e pertanto ammissibile l'esercizio della potesta' legislativa regionale che si giustifichi (come nella fattispecie che qui occupa) per il mero riferimento ad un «ambito marittimo regionale» in nessun modo predefinito o legittimato a livello statale o internazionale. Ne' le regioni potrebbero autodeterminare i limiti territoriali per l'esercizio della propria potesta' legislativa, introducendo la (si rimarca, inesistente a livello nazionale e internazionale) nozione giuridica di «mare territoriale regionale»: non costituendo la Regione un ente sovrano, i limiti di esistenza della potesta' regionale non potrebbero che essere posti da fonti sovraordinate, che - allo stato - non operano alcuna ripartizione regionale del mare territoriale. Appare pertinente sottolineare che, anche con riguardo ai confini territoriali degli enti regionali e degli enti locali, la loro stessa modifica e assoggettata a procedimenti legislativi rinforzati ai sensi dell'articolo 132 Costituzione, rientranti nella competenza statale: a dimostrazione dell'indisponibilita', per l'ente regionale e per gli enti pubblici, dei limiti territoriali entro cui esercitare le proprie potesta' pubbliche. E' invero appena il caso di evidenziare che un implicito riconoscimento di un «mare territoriale regionale» avrebbe ricadute non solo sulle previste competenze dell'Amministrazione centrale in materia di gestione della risorsa, ma anche confliggere con la competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di pesca, sulle acque unionali che ricomprendono, come noto, le acque territoriali dei Paesi membri. Prerogativa che trova giustificazione nel fatto che la risorsa da gestire, non puo' avere una connotazione geografica specifica, atteso che per e sua natura non stanziale ma mobile. 2.5 Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, la L.R. Puglia n. 6/2023 in parola, e segnatamente gli articoli 1 e 2 qui oggetto di impugnazione, allorche' fanno riferimento a ripartizioni territoriali del mare di pertinenza della stessa Regione Puglia per segnarne l'ambito di operativita', si pone in manifesto disaccordo con la esclusiva competenza statale di cui alla lett. a) del secondo comma dell'articolo 117 Costituzione. Non pare al riguardo sovrabbondante ricordare che, secondo la sentenza costituzionale n. 299 del 2010, «i "rapporti internazionali" e la "politica estera" (art. 117, secondo comma, lettera a, Costituzione) sono (.) rispettivamente, "riferibili a singole relazioni, dotate di elementi di estraneita' rispetto al nostro ordinamento" ed alla "attivita' internazionale dello Stato unitariamente considerata in rapporto alle sue finalita' ed al suo indirizzo" (sentenze n. 258 e n. 131 del 2008; n. 211 del 2006)»: situazioni che certamente ricorrono nella presente fattispecie, allorche' - come si e illustrato - la nomenclatura giuridica del «mare territoriale» deriva da principi di diritto internazionale acquisiti nella normativa nazionale (e segnatamente nell'articolo 2 del Codice della navigazione, che al diritto internazionale fa espresso rinvio al terzo comma), rispetto ai quali le norme regionali qui denunciate, con il loro riferimento alla definizione di un «mare territoriale regionale», si pongono in manifesto contrasto.
P. Q. M. Per tutto quanto sopra dedotto e considerato il Presidente del Consiglio dei Ministri, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato, ricorre alla Ecc.ma Corte costituzionale affinche' la stessa voglia dichiarare - in accoglimento delle suesposte censure - la illegittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge regionale Puglia 18 aprile 2023, n. 6, per le ragioni e nei termini dettagliati nel presente ricorso. Si deposita la seguente documentazione: 1) copia autentica dell'estratto del verbale relativo alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2023, con allegata relazione; 2) copia della legge della Regione Puglia 18 aprile 2023, n. 6. Roma, 19 giugno 2023 Gli Avvocati dello Stato: Galluzzo - Caselli