N. 18 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 giugno 2023

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 20 giugno  2023  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Pesca - Norme della Regione Puglia -  Tutela  della  fauna
  marina dei ricci di mare - Divieti, riferiti al  mare  territoriale
  della Puglia, relativi al prelievo, alla raccolta, alla detenzione,
  al  trasporto,  allo  sbarco  e  alla   commercializzazione   degli
  esemplari di riccio  di  mare  e  dei  relativi  prodotti  derivati
  freschi, per un periodo di tre anni. 
- Legge della  Regione  Puglia  18  aprile  2023,  n.  6  (Misure  di
  salvaguardia per la tutela del riccio di mare), artt. 1 e 2. 
(GU n.29 del 19-7-2023 )
    Ricorso  ex  articolo   127   Costituzione   nell'interesse   del
Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore,  rappresentato  e
difeso ex lege dall'Avvocatura generale  dello  Stato  (cod.  fiscale
80224030587), presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
domiciliato    (numero    fax    06.96.51.40.00,    indirizzo     PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) 
    nei confronti della Regione Puglia,  in  persona  del  Presidente
della  Giunta  Regionale  pro  tempore,  per  la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale  degli  articoli  1  e  2  della  legge
regionale 18 aprile 2023, n. 6, recante «Misure di  salvaguardia  per
la tutela del ricco di mare», pubblicata sul B.U.R. Puglia n. 38  del
20 aprile 2023  in  virtu'  della  deliberazione  del  Consiglio  dei
Ministri in data 15 giugno 2023. 
    La Regione Puglia ha  emanato  la  legge  regionale  in  epigrafe
indicata, il cui articolo 1 dispone, quale finalita'  dell'intervento
legislativo, che «con la presente legge  la  Regione  Puglia  intende
favorire il ripopolamento del riccio  di  mare  nei  mari  regionali,
garantendo un periodo di riposo della specie, preservando la  risorsa
ittica e scongiurando il rischio di  estinzione  dovuto  ai  massicci
prelievi». 
    Il successivo articolo 2, rubricato «Termini», dispone  poi  come
segue: 
      «1. Nel mare territoriale della Puglia, a decorrere dalla  data
di entrata in vigore della presente legge e' vietato il prelievo,  la
raccolta,   la   detenzione,   il   trasporto,   lo   sbarco   e   la
commercializzazione degli esemplari di riccio di mare  (Paracentrotus
lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo  di
tre anni. 
      2. La commercializzazione del riccio di mare non e' vietata per
gli  esemplari  provenienti  (con  certificazioni  e   tracciabilita'
secondo legge) da mari territorialmente non appartenenti alla Regione
Puglia». 
    Tali  disposizioni  legislative  presentano  diversi  profili  di
incostituzionalita': il Consiglio dei Ministri ha  pertanto  ritenuto
di doverla impugnare, ed a tanto in effetti si provvede  mediante  il
presente ricorso. 
1.  Contrasto  con  l'articolo  117,   secondo   comma,   lett.   s),
Costituzione,  nonche'  con  la  legge  n.  963/1965  ed  il  decreto
legislativo n. 4/2012, e con il D.M. Risorse agricole,  alimentari  e
forestali del 12 gennaio 1995, quali norme interposte 
    1.1  Le  sovrarichiamate   disposizioni   regionali   contrastano
anzitutto con la competenza esclusiva statale in materia  di  «tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  [articolo  comma  2,  lett.   s),
Costituzione], che - per costante giurisprudenza costituzionale  -  e
«trasversale» e «prevalente», imponendosi integralmente nei confronti
delle  Regioni  e  Province  autonome,  e   per   la   quale   spetta
esclusivamente allo Stato la competenza a fissare livelli  di  tutela
ambientale uniformi sull'intero territorio nazionale. 
    La «tutela dell'ambiente» attiene invero ad un interesse pubblico
di valore costituzionale primario ed assoluto, la cui  qualificazione
nella norma costituzionale surrichiamata legittima esclusivamente  lo
Stato ad adottare disposizioni di tutela. 
    Il relativo ambito di applicazione della tutela ambientale e  per
l'appunto «trasversale», in quanto tocca in effetti anche  «campi  di
esperienza» - le cosiddette «materie» in senso proprio  -  attribuiti
alla  competenza  legislativa   regionale.   Ne   consegue   che   le
disposizioni legislative statali adottate in tale ambito  fungono  da
preciso limite alla  disciplina  che  le  Regioni,  anche  a  statuto
speciale, e le Province autonome, possono  adottare  nei  settori  di
loro competenza, non essendo ad esse consentito di  compromettere  il
punto di equilibrio fra esigenze contrapposte, per  come  individuato
dalla norma statale (cfr., ex plurimis,  sentenza  costituzionale  n.
197 del 2014, § 3.2). 
    In altri termini, il carattere trasversale della materia  «tutela
dell'ambiente», se da un  lato  legittima  gli  enti  territoriali  a
provvedere attraverso la propria legislazione esclusiva o concorrente
in relazione a temi che  hanno  riflessi  sulla  materia  ambientale,
dall'altro  conferisce  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  il
compito di individuare i limiti alla predetta legislazione regionale,
ed  a  stabilire  regole  omogenee  nel  territorio   nazionale   per
procedimenti e competenze che attengono alla tutela  dell'ambiente  e
alla salvaguardia del territorio (cfr. sentenza costituzionale n. 249
del 2009). 
    1.2 Tanto premesso, si osserva che il sovratrascritto articolo  1
individua la finalita' dell'intera legge regionale  n.  6/2023  nella
tutela  della  fauna  marina  dei  ricci  di  mare,  restando  dunque
indiscutibile che l'espresso  richiamo  all'obiettivo  di  preservare
quella specie animale contro il rischio di estinzione  va  ricondotto
proprio alla piu' generale «tutela dell'ambiente,  dell'ecosistema  e
dei beni culturali» di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. s),
Costituzione, afferente appunto competenza esclusiva statale. 
    Il successivo articolo 2 vieta invero - per  un  periodo  di  tre
anni dall'entrata in vigore della stessa, e quindi fino al  5  maggio
2026 - il prelievo, la raccolta, la detenzione,  il  trasporto  e  la
commercializzazione di esemplari di riccio di  mare  e  dei  relativi
prodotti derivati freschi «nel mare territoriale  della  Puglia».  Il
medesimo divieto non opera invece per gli esemplari provenienti,  con
certificazioni sulla tracciabilita',  da  mari  territorialmente  non
appartenenti alla Regione Puglia. 
    1.3 In Italia, la normativa sulla pesca marittima e stata a lungo
rappresentata dalla Legge 14 luglio 1965, n. 963, di recente abrogato
e sostituito con il decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 («Misure
per il riassetto della normativa in materia di pesca e  acquacoltura,
a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96»). 
    Nello specifico settore della materia di pesca di ricci di  mare,
la relativa disciplina e dipoi  recata  dal  D.M.  Risorse  agricole,
alimentari e forestali del 12 gennaio 1995 (a suo tempo  adottato  in
base all'articolo 32 della ripetuta  legge  n.  963/1965,  e  tuttora
vigente), il quale fissa con chiarezza  quali  sono  i  limiti  della
relativa attivita' di pesca,  sia  professionale  che  sportiva,  nei
seguenti termini: 
      ai sensi dell'articolo 1, «e' consentita la pesca professionale
del riccio di mare con la sola utilizzazione dei seguenti attrezzi da
raccolta: asta a  specchio  e  rastrello»  (comma  1),  «i  pescatori
subacquei professionali di cui al  decreto  ministeriale  20  ottobre
1986 possono effettuare la pesca di cui al comma 1  in  immersione  e
solo manualmente» (comma 2), e  «la  pesca  di  cui  al  comma  1  e'
altresi' consentita ai pescatori sportivi in apnea solo  manualmente»
(comma 3); 
      ai sensi dell'articolo 2, il pescatore professionale  non  puo'
catturare giornalmente piu' di mille esemplari, mentre  il  pescatore
sportivo non puo' catturarne (sempre giornalmente) piu' di cinquanta; 
      ai sensi dell'articolo 3, «la  taglia  minima  di  cattura  del
riccio di mare non puo' essere inferiore a 7 centimetri  di  diametro
totale compresi gli aculei»; 
      ai sensi dell'articolo 4, «la pesca  professionale  e  sportiva
del riccio di mare e' vietata nei mesi di maggio e giugno». 
    Tali essendo i limiti e le condizionalita' cui la pesca dei ricci
di mare e assoggettata ai sensi della  vigente  normativa  nazionale,
resta del  tutto  evidente  come  i  variegati  ed  assoluti  divieti
introdotti dall'articolo 2 della L.R. Puglia n. 6/2023  (si  rimarca,
relativi al prelievo, alla raccolta, alla detenzione,  al  trasporto,
allo sbarco ed alla  commercializzazione  di  ricci  di  mare  e  dei
relativi prodotti derivati freschi), tra l'altro per  un  consistente
periodo di tre anni, limitino oltre  misura  la  relativa  attivita',
almeno in ambito pugliese. 
    Ai fini che qui occupano,  risulta  parimenti  evidente  come  la
introduzione di siffatti indiscriminati divieti, espressamente  posti
- ai sensi dell'articolo 1 della medesima legge regionale - a fini di
tutela della specie animale di  che  trattasi  (e  segnatamente  onde
«favorire il ripopolamento del riccio di mare  nei  mari  regionali»,
preservare  «la  risorsa  ittica»  e  scongiurare  «il   rischio   di
estinzione  dovuto  ai  massicci  prelievi»)  -  abbiano  invaso   la
competenza statale esclusiva in materia di tutela ambientale, di  cui
si e detto nei precedenti paragrafi, pervenendo  a  limitare  diverse
attivita' relative ai ricci di mare,  in  maniera  ben  diversificata
rispetto al resto del territorio nazionale. 
    1.4 E' appena il caso di  ricordare  che  -  anche  ai  fini  del
relativo inquadramento  costituzionale  -  la  definizione  di  pesca
accolta nell'ordinamento nazionale italiano ripropone quella  offerta
dal legislatore unionale nel Regolamento UE  n.  1380/2013,  relativo
alla politica comune della pesca. 
    Nel  rintracciare  i  confini  della  materia,  infatti,  occorre
considerare che il settore della pesca e stato  profondamente  inciso
dalle regole comunitarie, volte  fondamentalmente  garantire  un  uso
razionale delle risorse ittiche, con conseguente aumento d'attenzione
per gli aspetti di tutela ambientale ad  essa  connessi  e  un  forte
ridimensionamento del ruolo delle normative nazionali. 
    Il particolare rapporto tra l'attivita'  ittica  e  l'ambiente  -
riassumibile nella constatazione che le risorse alieutiche  sono  si'
rinnovabili, ma anche esauribili e pertanto vanno  gestite  adattando
il tasso di prelievo  alla  loro  capacita'  di  rinnovarsi  -  si e'
tradotto, sul piano normativo, in una serie di  regole,  nazionali  e
soprattutto sovranazionali  di  matrice  europea,  che  operano  come
limiti in capo agli operatori del settore, e il cui rispetto dovrebbe
garantire il mantenimento dell'equilibrio ambientale. 
    Sotto il profilo piu' strettamente costituzionale, la tendenza ad
una lettura espansiva della materia di competenza  statale  esclusiva
«tutela dell'ambiente», tale da comprendere anche la regolamentazione
di aspetti  relativi  all'attivita'  di  pesca,  e  confermata  nella
sentenza n. 9  del  2013  della  Corte  costituzionale,  resa  in  un
giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  attivato  dalla   regione
Sardegna nei  riguardi  del  decreto  del  Ministro  delle  politiche
agricole, alimentari e forestali  del  3  aprile  2012  (Ripartizione
della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di
pesca 2012). 
    In detta occasione, codesta Corte, pur riconoscendo in capo  alla
Regione ricorrente la titolarita' della  «competenza  primaria  nella
materia della pesca», ha chiaramente ricondotto l'oggetto del decreto
ministeriale in quell'occasione impugnato alla materia  «ambiente  ed
ecosistema»  di  competenza  legislativa   esclusiva   dello   Stato,
affermando  che  «detta  competenza  si  riferisce  all'ambiente   ed
all'ecosistema  in  termini  generali  ed  onnicomprensivi»,  sicche'
«quando il carattere trasversale della normativa in  tema  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema comporta fenomeni di  sovrapposizione
ad altri ambiti competenziali», la prevalenza deve  essere  assegnata
alla legislazione statale rispetto a quella spettante alle Regioni  o
alle  Province  autonome,  nelle  materie   di   propria   competenza
trasversalmente intercettate. 
    Anche nel consimile  caso  in  esame,  pertanto,  i  profili  che
incidono sulla disciplina della pesca del  riccio  di  mare  appaiono
strumentali   all'obiettivo   perseguito   di   tutela    ambientale,
consistente proprio nella salvaguardia della  specie  ittica  di  che
trattasi, e indirettamente dell'ecosistema. 
    1.5 Occorre aggiuntivamente rimarcare che l'attuale  articolo  24
del decreto legislativo n. 4/2012 (in stretta continuita' con  quanto
precedentemente e similmente previsto dall'articolo 32 della legge n.
963/1965, sulla base del quale - si rimarca - era stato  adottato  il
D.M. del 12 gennaio 1995 piu' innanzi richiamato), prevede da un lato
che «il Ministro delle  politiche  agricole  alimentari  e  forestali
[oggi  Ministro  dell'agricoltura  e  della  sovranita'   alimentare,
n.d.r.] puo', con proprio decreto, sentita la Commissione  consultiva
centrale per la pesca  marittima,  disciplinare  la  pesca  anche  in
deroga alle discipline regolamentari nazionali, in  conformita'  alle
norme comunitarie, al fine di adeguarla al progresso delle conoscenze
scientifiche  e  delle  applicazioni  tecnologiche,  e  favorirne  lo
sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa» (comma
1), e dall'altro che lo stesso Ministro «puo', con  proprio  decreto,
sospendere l'attivita' di pesca o disporne limitazioni in conformita'
alle disposizioni del regolamento  (CE)  n.  2371/2002,  al  fine  di
conservare e gestire le risorse della pesca» (comma 2). 
    La  generale  disciplina  della   pesca,   e   l'apposizione   di
sospensioni o  limitazioni  in  conformita'  con  quanto  previsto  a
livello europeo, in chiave di  protezione  ambientale  delle  risorse
ittiche, e dunque - all'evidenza -  assegnata  in  maniera  esclusiva
dalla legge statale alla competenza del Ministero dell'agricoltura  e
della sovranita' alimentare, e per esso allo Stato. 
    Le descritte previsioni della  L.R.  Puglia  n.  6/2023  eccedono
pertanto le competenze costituzionali regionali, violando  l'articolo
117, secondo comma, lett.  s),  Costituzione,  che  attribuisce  allo
Stato la competenza esclusiva in materia di  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema, materia nella quale ricade la disciplina  del  fermo
di pesca. 
2.  Contrasto  con  l'articolo  117,   secondo   comma,   lett.   a),
Costituzione, e con l'articolo 2 cod. nav. quale norma interposta 
    2.1  Le  disposizioni  regionali  qui  impugnate  sono   altresi'
invasive  della  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
«politica estera e rapporti internazionali dello Stato»  e  «rapporti
dello Stato con l'Unione europea», di cui all'articolo  117,  secondo
comma,  lett.  a),  Costituzione  allorche'  si  riferiscono  -   per
delimitare il proprio ambito  applicativo  -  al  «mare  territoriale
della Puglia» ed ai  «mari  territorialmente  non  appartenenti  alla
Regione Puglia» (cfr. articolo 2). 
    Alla luce di tali riferimenti, il  presupposto  alla  base  della
legge regionale in parola e dato dalla astratta  configurabilita'  di
un  «mare  territoriale  regionale»,  ipoteticamente  appartenente  o
riferibile alla Regione Puglia, quale ambito entro il quale la stessa
Regione  sarebbe  abilitata  ad  esercitare   la   propria   potesta'
normativa.   Tuttavia,    la    individuazione,    delimitazione    e
classificazione dello «spazio marino» sono precluse  alla  competenza
regionale, in quanto soggette anche ad interessi internazionali  e  a
discipline dettate dal diritto dell'Unione europea. 
    La nozione di «mare territoriale regionale» e infatti sconosciuta
al nostro ordinamento interno, ed altresi' a quello internazionale, e
non  e  dunque  possibile  equiparare  o  assimilare  al   territorio
regionale (per come delimitato dai relativi confini) la fascia marina
antistante alle singole coste regionali (di larghezza di  12  miglia,
corrispondente all'estensione del mare  territoriale  ex  articolo  2
cod. nav.), che per l'appunto il Codice della  navigazione  qualifica
come  «mare  territoriale»  assoggettato  alla   sovranita'   statale
(articolo 2). 
    L'articolo 2 cod. nav. dispone invero in dettaglio quanto segue: 
      primo comma: «Sono  soggetti  alla  sovranita'  dello  Stato  i
golfi, i seni e le baie, le cui  coste  fanno  parte  del  territorio
della  Repubblica,  quando  la   distanza   fra   i   punti   estremi
dell'apertura del  golfo,  del  seno  o  della  baia  non  supera  le
ventiquattro  miglia  marine.  Se  tale  distanza  e'   superiore   a
ventiquattro miglia marine, e' soggetta alla sovranita'  dello  Stato
la porzione del golfo, del seno o della baia compresa entro la  linea
retta  tirata  tra  i  due  punti  piu'  foranei  distanti  tra  loro
ventiquattro miglia marine»; 
      secondo comma: «E'  soggetta  altresi'  alla  sovranita'  dello
Stato la zona di mare dell'estensione di dodici miglia  marine  lungo
le coste continentali ed insulari della Repubblica e lungo  le  linee
rette congiungenti i punti estremi  indicati  nel  comma  precedente.
Tale estensione su misura dalla linea costiera  segnata  dalla  bassa
marea»; 
      terzo comma: «Sono salve  le  diverse  disposizioni  che  siano
stabilite per determinati effetti da leggi o  regolamenti  ovvero  da
convenzioni internazionali». 
    2.2 La specifica questione  di  costituzionalita'  qui  sollevata
intercetta l'ampia e piu' generale questione relativa alla competenza
delle Regioni e degli enti locali sulle acque costiere, appunto entro
le dodici miglia. 
    La giurisprudenza costituzionale in argomento e stata  per  lungo
tempo caratterizzata dalle sentenze n. 23 del 1957 e n. 49 del  1958,
e piu' di recente dalla sentenza n. 102 del 2008, le quali  hanno  in
effetti delineato una forma di competenza legislativa  delle  Regioni
sul mare territoriale: i relativi giudizi sono stati tutti  originati
da controversie tra Stato e Regioni sorte in ordine alla possibilita'
delle regioni di legiferare in relazione allo sfruttamento,  a  vario
titolo, delle acque costiere (per finalita' di  pesca,  per  prelievo
fiscale sugli ormeggi delle imbarcazioni da diporto, e soprattutto in
relazione alla ricerca ed alla coltivazione in  mare  di  idrocarburi
liquidi e gassosi). 
    Sul versante opposto rispetto alle sentenze che,  sia  prima  che
dopo  la  revisione  costituzionale  del  2001,  hanno  avanzato   la
prospettiva di una competenza regionale sul  mare  territoriale,  nei
termini dianzi accennati, si colloca innanzitutto la sentenza  n.  21
del 1968, pronunciata sotto la vigenza dell'originario  articolo  117
Costituzione. In tale decisione, la Corte ha  precisato  che  «quello
dell'esistenza di un mare territoriale regionale altro non e' se  non
problema di  esistenza,  fra  le  competenze  regionali,  di  singole
materie aventi un oggetto che implica l'utilizzazione di quel  mare».
Richiamando la sentenza n. 27 del 1953, la Corte  ha  pure  precisato
che l'attribuzione di una competenza in materia  di  pesca  marittima
non implica il riconoscimento dell'esistenza di un mare  territoriale
regionale o la possibilita' di esercitare poteri su  quel  mare,  sia
pure limitatamente alla pesca. 
    Con la sentenza n. 21 del 1968, la Corte ha inoltre  operato  una
distinzione tra il mare territoriale  e  il  fondo  o  il  sottofondo
sottostante al mare territoriale, evidenziando come la corrispondente
differenziazione del mare si rifaccia ad una varia natura  e  ad  una
diversa intensita' dei poteri dello Stato, che attengono alla difesa,
alla polizia  della  navigazione,  alla  vigilanza  doganale,  e  via
enumerando, mentre sul fondo e sul  sottofondo  marino  si  esplicano
poteri di contenuto e di intensita' uguali per tutta la fascia che va
dalla  linea  della  bassa  marea  fino  al  limite   esterno   della
piattaforma, con la conseguenza che la disciplina  del  fondo  e  del
sottofondo non potrebbe che essere rimessa alla potesta'  legislativa
statale. Infatti, «la condizione  giuridica  differenziata  del  mare
trova fondamento in una diversita' di funzione dei suoi vari  tratti,
la' dove una sola e' la funzione del fondo e del sottofondo marino; e
la distinzione del mare territoriale della zona contigua e  dell'alto
mare e' rilevante soltanto nella misura  in  cui  lo  e'  secondo  il
diritto internazionale, il quale non fa prevedere, per la piattaforma
continentale, l'instaurazione di trattamenti diversi a seconda  della
sua posizione geografica». 
    A conclusioni analoghe la Corte e giunta piu' recentemente, anche
a fronte del mutato quadro costituzionale a decorrere dal 2001. 
    Infatti, con la sentenza n. 39 del  2017,  sorta  da  un  ricorso
promosso dallo Stato nei confronti di una legge  regionale  abruzzese
che,  con  la  finalita'  di  tutelare  l'ambiente  e   l'ecosistema,
disponeva il  divieto  delle  attivita'  di  prospezione,  ricerca  e
coltivazione di idrocarburi liquidi e  gassosi  nelle  zone  di  mare
poste entro le dodici miglia marine dalla linea di costa, la Corte ha
sostanzialmente  confermato   l'orientamento   espresso   nel   1968,
ribadendo che «sul fondo e sul sottofondo marino si esplicano  poteri
di contenuto e di intensita' uguali per tutta la fascia che va  dalla
linea della bassa marea fino al  limite  esterno  della  piattaforma,
circostanza  che  non  consente  di  riconoscere  alle  Regioni   una
competenza  neppure  con  riguardo   alle   attivita'   che   possono
esercitarsi sulla porzione di fondo e di  sottofondo  sottostante  al
mare territoriale». 
    2.3  Alla  luce  delle  piu'  recenti  precisazioni  della  Corte
costituzionale, deve concludersi che non e' ad oggi configurabile una
competenza legislativa regionale generalizzata, che si motivi per  il
mero riferimento al mare territoriale di riferimento  delle  regioni,
non rinvenendosi - a livello nazionale, ne' internazionale - una tale
ripartizione  dello  spazio  marittimo.  In  particolare,  non   puo'
equipararsi al territorio regionale (per come delimitato dai relativi
confini) la  fascia  marina  (appunto  di  larghezza  di  12  miglia,
corrispondente all'estensione del mare  territoriale  ex  articolo  2
cod. nav.) antistante  alle  singole  coste  regionali:  come  invece
surrettiziamente intende fare la normativa pugliese  qui  oggetto  di
impugnazione. 
    La nozione di «mare territoriale» e bensi'  accolta  dal  diritto
internazionale e interno, ma  non  puo'  essere  invocata  in  ambito
interno per una segmentazione della  relativa  fascia  marittima  tra
plurime  autorita'  regionali.  Il   mare,   piuttosto,   in   ambito
internazionale  e   interno,   e   soggetto   ad   una   ripartizione
differenziata in ragione delle diverse esigenze  di  tutela  all'uopo
perseguite: a titolo esemplificativo, puo' aversi una  perimetrazione
rilevante ai fini della pesca, incentrata su aree definite in  ambito
internazionale [cfr. Allegato 1 al  Regolamento  (UE)  n.  1343/2011,
«relativo a talune disposizioni  per  la  pesca  nella  zona  coperta
dall'accordo  CGPM   (Commissione   generale   per   la   pesca   nel
Mediterraneo) e che modifica il regolamento  (CE)  n.  1967/2006  del
Consiglio, relativo alle  misure  di  gestione  per  lo  sfruttamento
sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo"],  ovvero
una  ripartizione   rilevante   per   circoscrivere   la   competenza
dell'autorita' marittima, incentrata in zone marittime, compartimenti
e circondari (cfr. articolo 16 cod. nav.).  Ma  si  tratta,  in  ogni
caso,  di  ripartizioni  che  non  tengono  conto  di   asseriti   ed
inesistenti «confini marittimi regionali», essendo  esse  determinate
dal particolare obiettivo di interesse generale alla base della  loro
previsione. 
    In particolare, nel caso della pesca, emerge l'esigenza  che  una
ripartizione delle aree marine sia correlata all'aspetto  morfologico
ed ecologico del mare, con riferimento alla varieta' di habitat, alle
condizioni ambientali  e  alle  comunita'  biologiche  presenti,  che
debbono essere valutate unitariamente, in una ottica  necessariamente
sovraregionale,  anche  perche'  in  relazione   ad   ambiti   marini
prospicienti le coste di piu' Regioni. 
    Ugualmente, con riguardo alla  ripartizione  in  zone  marittime,
compartimenti  e  circondari,  essa  tiene  conto  esclusivamente  di
finalita' amministrative, onde organizzare gli ambiti  di  intervento
dell'autorita' marittima. 
    2.4 Cio' posto, a fronte di ripartizioni  del  mare  territoriale
che prescindono dall'elemento regionale  (come  appunto  nel  settore
della «pesca», secondo la richiamata normativa  unionale  del  2011),
non e possibile configurare un «mare territoriale regionale», e non e
pertanto ammissibile l'esercizio della potesta' legislativa regionale
che si giustifichi (come nella fattispecie che  qui  occupa)  per  il
mero riferimento ad un «ambito marittimo regionale»  in  nessun  modo
predefinito o legittimato a livello statale o internazionale. 
    Ne' le regioni potrebbero autodeterminare i  limiti  territoriali
per l'esercizio della propria potesta' legislativa,  introducendo  la
(si  rimarca,  inesistente  a  livello  nazionale  e  internazionale)
nozione giuridica di «mare territoriale regionale»:  non  costituendo
la Regione un ente sovrano, i  limiti  di  esistenza  della  potesta'
regionale non potrebbero che essere posti da fonti sovraordinate, che
- allo stato - non operano alcuna  ripartizione  regionale  del  mare
territoriale. 
    Appare pertinente sottolineare che, anche con riguardo ai confini
territoriali degli enti regionali e degli enti locali, la loro stessa
modifica e assoggettata  a  procedimenti  legislativi  rinforzati  ai
sensi dell'articolo 132  Costituzione,  rientranti  nella  competenza
statale: a dimostrazione dell'indisponibilita', per l'ente  regionale
e per gli enti pubblici, dei limiti territoriali entro cui esercitare
le proprie potesta' pubbliche. 
    E'  invero  appena  il  caso  di  evidenziare  che  un  implicito
riconoscimento di un «mare territoriale regionale»  avrebbe  ricadute
non solo sulle previste competenze dell'Amministrazione  centrale  in
materia di gestione  della  risorsa,  ma  anche  confliggere  con  la
competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di  pesca,  sulle
acque unionali che ricomprendono, come noto,  le  acque  territoriali
dei Paesi membri. Prerogativa che trova giustificazione nel fatto che
la risorsa da gestire, non puo'  avere  una  connotazione  geografica
specifica, atteso che per e sua natura non stanziale ma mobile. 
    2.5 Alla luce delle considerazioni che  precedono,  pertanto,  la
L.R. Puglia n. 6/2023 in parola, e segnatamente gli articoli  1  e  2
qui  oggetto  di  impugnazione,   allorche'   fanno   riferimento   a
ripartizioni territoriali del mare di pertinenza della stessa Regione
Puglia per segnarne l'ambito di operativita', si  pone  in  manifesto
disaccordo con la esclusiva competenza statale di cui alla  lett.  a)
del secondo comma dell'articolo 117 Costituzione. 
    Non pare al riguardo sovrabbondante  ricordare  che,  secondo  la
sentenza costituzionale n. 299 del 2010, «i "rapporti internazionali"
e  la  "politica  estera"  (art.  117,  secondo  comma,  lettera   a,
Costituzione)  sono  (.)  rispettivamente,  "riferibili   a   singole
relazioni, dotate di  elementi  di  estraneita'  rispetto  al  nostro
ordinamento"  ed   alla   "attivita'   internazionale   dello   Stato
unitariamente considerata in rapporto alle sue finalita'  ed  al  suo
indirizzo" (sentenze n. 258 e n. 131 del 2008;  n.  211  del  2006)»:
situazioni  che  certamente  ricorrono  nella  presente  fattispecie,
allorche' - come si e  illustrato  - la  nomenclatura  giuridica  del
«mare territoriale» deriva  da  principi  di  diritto  internazionale
acquisiti nella normativa nazionale (e segnatamente  nell'articolo  2
del Codice  della  navigazione,  che  al  diritto  internazionale  fa
espresso rinvio al terzo comma), rispetto ai quali le norme regionali
qui denunciate, con il loro riferimento alla definizione di un  «mare
territoriale regionale», si pongono in manifesto contrasto. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Per tutto quanto sopra dedotto e considerato  il  Presidente  del
Consiglio dei Ministri, come  in  epigrafe  rappresentato,  difeso  e
domiciliato, ricorre alla Ecc.ma Corte  costituzionale  affinche'  la
stessa voglia dichiarare - in accoglimento delle suesposte  censure -
la illegittimita' costituzionale degli articoli 1  e  2  della  legge
regionale Puglia 18 aprile 2023, n. 6, per le ragioni e  nei  termini
dettagliati nel presente ricorso. 
    Si deposita la seguente documentazione: 
      1) copia autentica  dell'estratto  del  verbale  relativo  alla
deliberazione del Consiglio dei ministri  del  15  giugno  2023,  con
allegata relazione; 
      2) copia della legge della Regione Puglia 18 aprile 2023, n. 6. 
          Roma, 19 giugno 2023 
 
            Gli Avvocati dello Stato: Galluzzo - Caselli