N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2023
Ordinanza del 10 maggio 2023 della Corte di assise d'appello di Torino nel procedimento penale a carico di B. A.. Reati e pene - Reato di omicidio - Concorso di circostanze - Circostanze attenuanti generiche e circostanza attenuante della provocazione - Preclusione del giudizio di prevalenza, ai sensi dell'art. 69 del codice penale, rispetto alla circostanza aggravante prevista dall'art. 577, primo comma, numero 1), del codice penale per il delitto di omicidio volontario in relazione al fatto commesso contro il coniuge. - Codice penale, art. 577, terzo comma.(GU n.27 del 5-7-2023 )
CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI TORINO Prima sezione La prima sezione della Corte di assise di appello di Torino composta da: dott.ssa Cristina Domaneschi - Presidente; dott. Gianni Macchioni - Consigliere; sig.ra Chiara Boasso - giudice popolare; sig. Simone Nivoli - giudice popolare; sig. Luca Marino - giudice popolare; sig. Antonio Barletta - giudice popolare; sig. Roberto Audisio - giudice popolare; sig.ra Silvia Fasciana - giudice popolare, nel procedimento contro B. A., nata a ... (...) il ..., con domicilio dichiarato in ... (...) via... n. ..., presente; Difesa di fiducia da avv. Lorenzo Repetti del foro di Alessandria Imputata in primo grado Del delitto di cui agli articoli 575 e 577, comma 1, nn. 1) e 2) c.p. perche', somministrando al marito G. L. un'intera boccetta di sonnifero (Lormetazepam gocce) e quindi strangolandolo con un laccio per scarpe, ne cagionava la morte. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno del coniuge. Con l'aggravante di aver commesso il fatto col mezzo di sostanze venefiche e comunque insidiose. In appellante il p.m. di Alessandria Avverso la sentenza della Corte di assise di Alessandria del 4 luglio 2022 che pronunciava il seguente dispositivo: Visti gli articoli 521-533-535 c.p.p. Dichiara l'imputata responsabile del delitto a lei ascritto e, ritenuta l'ipotesi di cui agli articoli 52 e 59 u.c. ultimo periodo c.p., riconosciute le attenuanti generiche, la condanna alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali e di legge; Visto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e distruzione di quanto in sequestro. Motivi 90 giorni. Conclusioni delle parti Le parti concordano sull'accoglimento dei motivi d'appello del p.m., con rinuncia della difesa ai propri motivi, indicando la pena finale in anni 6 mesi 2 giorni 20 di reclusione, previa esclusione dell'aggravante dell'uso di mezzo venefico e riconoscimento delle attenuanti di cui agli articoli 62 n. 1, 62 n. 2 e 62-bis c.p. Le parti chiedono che, in caso di rigetto della proposta di concordato in ragione del divieto di prevalenza previsto dall'art. 577, comma 3 c.p.p., venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 577, comma 3 c.p.p., nella parte in cui prevede che le attenuanti della provocazione e le attenuanti generiche non possano essere ritenute prevalenti rispetto all'aggravante del rapporto di coniugio. All'esito dell'odierna Camera di consiglio, la Corte ha pronunciato la seguente ordinanza. La Corte, anche sulla base delle sollecitazioni provenienti dalle parti, sospesa la Camera di consiglio, ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 577, comma 3 c.p. nella parte in cui prevede che le circostanze attenuanti di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., diverse da quelle previste dagli articoli 62 n. 1, 89, 98 e 114, concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma n. 1, non possano essere ritenute prevalenti rispetto a queste per contrasto con gli articoli 3, comma 1 e 27, comma 3 della Costituzione. 1) La rilevanza della questione: 1.1) con sentenza in data 4 luglio 2022 la Corte d'assise di Alessandria ha condannato B. A. alla pena di anni 4 mesi 10 di reclusione per il reato di omicidio colposo ai danni del marito G. L. ai sensi 52 e 59 u. co c.p., cosi' qualificato il fatto originariamente contestato come omicidio volontario aggravato dall'uso di sostanze venefiche o comunque insidiose e dall'essere stato il fatto commesso ai danni del coniuge; 1.1.1) dagli atti (segnatamente dichiarazioni testimoniati e interrogatorio dell'imputata) risulta quanto segue: G. L. e B. A. si sposano nel... ; nel... nasce A.; il matrimonio ha degli alti e bassi; nel corso degli anni si verificano degli episodi di aggressione fisica da parte del G. nei confronti della moglie, consistenti in ceffoni, sberle, calci; si tratta di episodi occasionali, per cui la B. non ricorre a cure mediche e non sporge denuncia; la situazione peggiora radicalmente a far tempo dalla primavera del... , allorche' G., all'epoca gia' in pensione, secondo quanto concordemente dichiarato da tutti i testi escussi, manifesta problematiche di natura psichica: si infastidisce per cose di poco conto, reagendo violentemente, molesta i vicini chiedendo se i familiari parlano male di lui, di sera esce di nascosto dalla camera matrimoniale in mutande o anche completamente nudo e si reca nell'appartamento sottostante ove abita la suocera di 84 anni, tentando di entrare, in altre occasioni, vedendo la suocera in strada, si affaccia al balcone e si cala i pantaloni. Frequenti sono le minacce ed i comportamenti aggressivi nei confronti dei familiari: minaccia di spezzare la schiena al figlio si' da costringerlo su una sedia a rotelle, di buttarlo giu' dalla finestra, di fargli perdere il lavoro; minaccia di legare la moglie alla macchina e di buttarla «giu' dalle strette» (si tratta di un dirupo che da' sul fiume lungo la strada che collega... a...), minaccia di sgozzare la suocera. Inoltre, a causa di una gelosia maniacale, segue costantemente la moglie ovunque vada, nel convincimento che abbia una relazione col cognato S. N.; si moltiplicano anche le aggressioni fisiche nei confronti della moglie: la colpisce con gomitate nelle costole, calci sotto il tavolo, ceffoni; di frequente le impone rapporti sessuali a cui ella acconsente «per forza, per timore di essere picchiata». I testi, segnatamente G. A., B. C. (madre della B.), M. S. (amica della B.), S. N. (cognato della B.), S. N., figlia di N. hanno riferito d'avere ripetutamente constatato lividi e tumefazioni sul corpo della B.; addirittura il cognato non e' in grado di riferire con quale frequenza avesse visto i lividi e su quali parti del corpo, perche' «avveniva cosi' di frequente che L. picchiasse A. che ormai era diventata quasi la normalita'». La B. nell'ultimo periodo, e' «terrorizzata», secondo quanto confidato alla madre, perche' il marito «usa le mani per qualsiasi cosa» e ogni volta che c'e' una discussione da' in escandescenze e la picchia; anche all'amica M. racconta che dal mese di maggio 2021 la convivenza e' divenuta insopportabile, riferendo che il marito la umilia con frasi del tipo «non vali niente, ti ammazzo», la minaccia dicendole, con riferimento alla di lei sorella deceduta l'anno prima, «fra poco vai a fare compagnia anche a lei»; a seguito di tali comportamenti del G. i familiari vivono in un clima di costante angoscia e tensione: la moglie pernotta sul divano in salotto per non dormire col marito; il figlio soffre di insonnia e trascorre la notte con la porta chiusa a chiave; la suocera si asserraglia in casa per porsi al riparo dalle incursioni notturne del genero; G. mostra aggressivita' anche fuori dall'ambito familiare: in un'occasione,» nel mese di giugno 2021, si adira con la cameriera al bar, urlando all'interno del locale; in altra occasione, sempre nel mese di giugno, ha una violenta discussione con un cliente della barberia, che apostrofa come «stronzo e coglione» per il solo fatto che costui e' avverso al vaccino; a fine giugno N. S. apprende dal padre dei maltrattamenti subiti dalla zia A. ad opera del marito, indi ne parla col cugino A. da cui apprende ulteriori dettagli, dopodiche' si attiva tramite un'amica medico per capire quali siano le possibilita' di intervento; l'amica le suggerisce di chiamare l'ambulanza e sollecitare un TSO; la S. ne parla anche al suo psicologo, il quale consiglia di contattare il centro di Igiene Mentale della zona e segnalare il caso; l'... all'ora di pranzo ha luogo un litigio tra G. ed il figlio A.. Secondo quanto riferito da A., il padre reagisce con stizza a fronte di una sua vaga risposta sull'orario del pranzo; A. risponde facendogli presente che ultimamente ha delle reazioni esagerate e che avrebbe bisogno di cure psichiatriche; G. reagisce con violenza e, afferrata una bottiglia di plastica piena d'acqua, colpisce il figlio al volto; la B. si frappone tra i due, ma il marito la strattona, al che A. spinge il padre contro il tavolo, cagionandogli delle lesioni (contusione al padiglione auricolare sinistro ed un'escoriazione nella medesima parte del capo). G. richiede quindi l'intervento dei CC.; ai CC., giunti sul posto, riferisce della colluttazione avuta col figlio ed afferma d'essere stato colpito, pur dicendo di non voler sporgere querela, perche' e' la prima volta che il figlio alza le mani contro di lui; indi viene condotto in ospedale per le cure del caso. Nel frattempo gli operanti apprendono dei maltrattamenti subiti dai familiari ad opera del G. da circa tre mesi, viene anche mostrata un biglietto che G. ha lasciato sulla scrivania del figlio qualche giorno prima, ove e' scritto «se non ti fai gli affari tuoi ti faccio perdere il lavoro». A dire di A., la madre e' «disperata ... chiedeva che fosse preso un provvedimento riguardo a mio padre piuttosto che cautelare non so tenerlo in ospedale ... tenerlo in ospedale di piu' per cautela ... gli e' stato detto noi non possiamo fare niente, deve venire domani mattina a sporgere denuncia». N. S. conferma che la zia era visibilmente spaventata ed agitata e continuava a camminare nervosamente avanti e indietro nel giardino: «Ogni volta che i Carabinieri dicevano che non potevano fare niente, che serviva la denuncia per poter muoversi, lei si agitava sempre di piu' e diceva: 'Non posso denunciare perche' anche se denuncio poi me lo rimandate a casa e lui ci ammazza tutti' e questa cosa l'ha ripetuta un sacco di volte». A. chiede anche ad uno dei militi, suo conoscente, se in quella situazione possa essere praticato un TSO, ricevendo risposta negativa poiche' e' stato G. a richiedere l'intervento dei CC. Al termine della visita dei CC., A. si prepara un cambio di vestiti perche', visto quanto e' successo, ha deciso di passare la notte a casa del cugino, indi insieme con la madre va dalla vicina di casa per informarla dell'accaduto ed invitarla a chiamare i CC. nel caso in cui, al rientro del G., senta qualche segnale di allarme. Nonostante l'agitazione, la B. decide di non andarsene da casa, in quanto sicura che il marito la trovera', poiche' la segue sempre (al supermercato, al cimitero), e, se lei se ne va, fara' a tutti i suoi familiari «qualcosa di brutto». Intanto G., mentre si trova al Pronto Soccorso, contatta ripetutamente N., tramite chiamate e messaggi WhatsApp, per sapere cosa sia stato detto ai CC. e pretende che la moglie lo vada a prendere; la B e' ancora scossa, quindi sara' il cognato ad andare a prendere G. in ospedale per ricondurlo a casa. Durante il tragitto in auto, S. - secondo quanto da lui dichiarato - cerca di rasserenare G., ma costui per tutta risposta gli dice di avere in casa «un coltello da Rambo» che gli servira' per ammazzare qualcuno e di avere anche intenzione di procurarsi una pistola presso un'armeria di.... All'arrivo del G. a casa, la B. chiede al cognato di rimanere con loro, perche' preoccupata della situazione di forte tensione che si e' venuta a creare col marito, ma S. le risponde di non potersi trattenere, in quanto impegnato ed interessato a seguire la finale degli europei di calcio. B. rimane dunque sola nell'appartamento con il marito. Secondo il racconta della donna, in un primo momento, sembra che il marito si sia calmato e le dice di voler mettere «una pietra sopra» alla vicenda. Tuttavia, dopo circa un'ora, le mostra un messaggio WhatsApp inviato al figlio alle ore 15,23 del seguente tenore: «Dopo quanto e' avvenuto sono costretto a dirti che e' arrivata l'ora che devi andartene da questa famiglia perche' non ne fai piu' parte. Io non ti ho denunciato per amore paterno, cosa che ti saresti meritato. Ti lascio il tempo per organizzarti nella tua fuoriuscita. (Raccogli i tuoi quattro stacchi, computer, e il tuo scooter e poi prendi pura la porta e non farti piu' vedere. I dottori hanno detto che «mentalmente sei instabile aggressivo e pericoloso» anche se come padre mi sento triste devo purtroppo condividere il loro (pensiero). Io non infierisco in nessuna maniera ma sappilo che devi (andartene). Tuo PADRE che ti ha voluto sempre bene.» La B. cerca di far ragionare il marito, chiedendogli che cosa intende quando dice di non volere piu' A. in casa, ma l'uomo ribadisce fermamente che quella non e' piu' la casa del figlio; indi la strattona, causandole un livido (il GIP in sede di convalida dell'arresto dara' atto della presenza di un livido sul bicipite sinistro della B.), e minaccia «poi sistemo pure tuo figlio e tua madre». A questo punto la donna, pensando che non ci sia ormai «piu' niente da fare», in quanto costretta a casa da sola con il marito violento, prepara due bibite di rum e lime, versando in quella dell'uomo l'intero contenuto della boccetta di sonnifero che usa la madre per dormire (lorazepam, reperito in seguito dagli operanti sul tavolo della cucina). Una volta che il marito si e' addormentato, lo strangola, stringendogli il collo con un laccio da scarpe. Indi, alle ore..., la B. chiama i CC. di... dicendo d'avere ucciso il marito e sollecitando il loro intervento: «sono B. A. chiamo da..., ho ucciso mio marito, non ce la facevo piu'.... l'ho addormentato e l'ho strangolato, .... sono io che l'ho ammazzato, l'ho addormentato e l'ho strangolato ... l'ho fatto io, l'ho fatto io, mio figlio non c'e' ... venite, non ce la faccio piu'». Giunti sul posto, i CC. rivengono il corpo senza vita di G. su una sedia a sdraio sul terrazzo; vicino al cadavere vi sono delle stringhe da scarpe. L'autopsia confermera' che la causa della morte va individuata in asfissia acuta da strangolamento, esercitato con un mezzo cordoniforme di pochi millimetri; l'esame tossicologico rileva la presenza nel corpo della vittima di lorazepam in quantita' non letale; 1.1.2) nel corso del dibattimento e' stata disposta perizia psichiatrica che ha concluso nel senso dell'assenza di patologie psichiatriche in capo alla B., rilevando che "nel corso dei colloqui non sono emersi elementi psicopatologici, quanto piuttosto una sofferenza emotiva correlata all'attuale condizione esistenziale, sofferenza che appare congrua e consona alla situazione e comunque non di entita' tale da raggiungere la soglia per un disturbo dell'umore".» Viceversa il consulente dell'imputata ritiene che l'imputata abbia agito sotto l'effetto di un disturbo psicotico breve, ovvero un delirio sorto nel pomeriggio dell'... quando la B. avrebbe maturato il convincimento delirante che il marito fosse estremamente pericoloso; giudizio che verra' contestato dal perito. Peraltro, il perito ed il consulente dell'imputata concordano nel descrivere la «cornice famigliare di riferimento»: nei tre mesi antecedenti al fatto la B. si era ritrovata in condizione di forte stress emotivo ansia, tensione, paura e sofferenza psicologica derivante dai comportamento maltrattanti, controllanti e bizzarri del marito; 1.1.3) sulla base delle risultanze acquisite ritiene la Corte di primo grado che nel caso di specie sia ravvisabile l'ipotesi della legittima difesa putativa, per avere l'imputata agito nell'erronea convinzione di difendere se' e i congiunti dal pericolo attuale di un'offesa ingiusta da parte di G. L., soggetto che aveva a lungo maltrattato l'intero nucleo familiare. Osserva invero la Corte: gli elementi acquisiti confermano che la rappresentazione del pericolo operata dalla B. non era ne' congetturale ne' generica ma si riferiva agli eventi strettamente occorsi nella giornata, la cui sequenza dimostra la piena attualita' del delitto di maltrattamenti; in un contesto di continue sopraffazioni, soprusi e violenze, la minaccia di fare del male agli altri familiari, unitamente al terrore che, se il figlio avesse fatto nuovamente ritorno, vi sarebbe stato un nuovo scontro, hanno quindi condotto l'imputata a pensare seriamente «o lui o noi»; da qui la decisione di sedare e strangolare il marito, onde renderlo innocuo e salvare se' stessa e i propri cari da ulteriori violenze; il pericolo per l'incolumita' propria e altrui era agli occhi della B. concreto ed attuale sulla base di specifici elementi di fatto, quali lo scontro fisico tra padre e figlio mai accaduto in passato, l'accertata impossibilita' di procedere a TSO e di ottenere risposta dai CC, i quali si limitano a rinviare all'indomani la proposizione della denuncia, di poter contare sull'aiuto di altri. essendosi il figlio ed il cognato allontanati, il messaggio inviato da G. al figlio al rientro dall'ospedale, le minacce ribadite nei confronti del figlio e della suocera; sulla base di tali elementi si deve ritenere che l'imputata versasse in una condizione di errore sulla sussistenza del pericolo per l'incolumita'; sussistono gli altri presupposti della scriminante: l'offesa che G. avrebbe potuto arrecare alla moglie era certamente ingiusta e la donna ha reagito per difendere l'integrita' propria e dei suoi cari; quanto alla necessarieta' dell'offesa, la condizione psicologica ben descritta dagli esperti nel corso dell'istruttoria dibattimentale ha comportato che la donna versasse in errore anche relativamente all'esistenza di una valida via di fuga dal proprio aguzzino, anche dopo che era riuscita a renderlo inoffensivo con il sonnifero. Secondo il consulente e il perito della Corte, infatti, la B., vistasi in trappola al rientro del marito e con la certezza che, ove fosse fuggita, avrebbe posto in pericolo anche chi la stava aiutando, non si e' in alcun modo prefigurata la concreta possibilita' di fuggire per porsi in salvo; inoltre, anche l'impossibilita' di sottoporre il marito a un TSO e la mancata pronta risposta delle Forze dell'ordine quel pomeriggio hanno sicuramente contribuito a radicare nell'imputata il convincimento che non esistesse alcuna reale alternativa di fuga. Tuttavia, a giudizio della Corte di primo grado, l'errore in cui e' incorsa l'imputata e' alla stessa addebitabile a titolo di colpa, consistita nell'affrettata ed eccessiva valutazione da parte della stessa delle circostanze relative alla situazione di pericolo e all'inesistenza di una via di fuga. Ella infatti, con precipitazione, consistita nel decidere che quella sera avrebbe dovuto risolvere l'intera situazione di pericolo, e imprudenza, nel calcolare l'entita' del pericolo stesso e gli alternativi mezzi di salvezza, ha errato colposamente nella valutazione della sussistenza dei requisiti della scriminante in parola. Osserva la Corte di primo grado che tale ricostruzione ermeneutica trova pieno avallo nella politica criminale portata avanti dal legislatore con le riforme in materia di legittima difesa domiciliare, laddove si valorizza la situazione di «grave turbamento» dell'agente, e tutela delle donne vittime di maltrattamento all'interno delle mura domestiche. Osserva altresi' la Corte che, in assenza della causa di giustificazione della legittima difesa putativa, la pena minima prevista per l'autore dell'omicidio del coniuge sarebbe di anni 21, non potendo si operare alcuna diminuzione per le circostanze attenuanti, e cio' anche quando ad essere imputata sia la vittima del maltrattamento e non il carnefice. Quanto alla capacita' di intendere e di volere, la Corte di primo grado, preso atto delle considerazioni del perito, ritiene sia da escludere l'ipotesi di un disturbo psicotico breve, mancandone sia gli elementi fenomenologici sia quelli temporali, sicche' l'imputata deve ritenersi soggetto pienamente capace di intendere e di volere al momento del fatto. Viene ritenuta congrua la pena di anni 5 di reclusione, ridotta per le attenuanti generiche ad anni 4 mesi 10 di reclusione; 1.2) avverso la sentenza propongono appello il p.m. ed il difensore dell'imputata; 1.2.1) il p.m. chiede la riforma della sentenza impugnata, lamentando erronea applicazione della legittima difesa putativa e manifesta inadeguatezza, per difetto, della pena inflitta. Quanto al primo motivo, l'appellante osserva anzitutto che la ricostruzione della Corte in punto scriminante pare determinata dalle conseguenze sul trattamento sanzionatorio derivanti dal divieto di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante privilegiata di cui all'art. 577, 1 comma n. 1 c.p., rilevando che le scelte non condivise del legislatore non possono essere corrette con la manipolazione degli istituti del diritto penale, ma se mai intervenendo sull'interpretazione delle norma ovvero sollevando questione di costituzionalita'. Cio' premesso, ritiene l'appellante che il racconto della stessa imputata su quanto accaduto dopo la lettura del messaggio che il marito aveva inviato al figlio - «io ero fuori di me perche' continuava a prendersela con mio figlio dicendo che era un fenomeno e altre cose del genere, in casa avevo un boccettina di gocce ... che prende mia madre come calmante la sera ... nel bicchiere di mio marito ho versato tutto il flaconcino ce n'era un po' piu' di meta' ... dopo ... circa un quarto d'ora mio marito si e' addormentato su una sedia fuori al balcone... io non sapevo cosa fare ma sapevo che la situazione con mio marito non era piu' tollerabile. Ho quindi preso un laccio per scarpe nella cassettiera dell'ingresso io ho strangolato mio marito .... quando gli ho dato il sonnifero gliel'ho dato con la speranza di calmarlo, non so dire se la dose fosse letale, so pero' che quando l'ho visto li' sulla sedia non ho capito piu' niente e ho improvvisamente preso la decisione di strangolarlo» - esclude che sussistano i presupposti di fatto della legittima difesa putativa, quali individuati dalla giurisprudenza della Suprema Corte. In particolare manca l'attualita' del pericolo, esclusa in radice dalla procurata sedazione dell'uomo, che avrebbe consentito alla B. di allontanarsi dall'abitazione coniugale, cercando rifugio tra i parenti o richiedendo l'ingresso in una struttura d'accoglienza o ancora rivolgendosi ai carabinieri che nello stesso giorno erano intervenuti a seguito della lite tra G. ed il padre. Secondo l'appellante, l'imputata deve dunque rispondere di omicidio volontario. E' riconoscibile l'attenuante della provocazione per accumulo. Ove si tenga conto delle dichiarazioni dell'imputata, alla cui condotta e' stata asseritamente volta la difesa e tutela del figlio sono allora apprezzabili nella condotta della donna, indottasi al delitto per preservare il figlio dalla violenza paterna in regione della raggiunta insopportabilita' dell'andamento in famiglia causata dalle manifestazioni della vittima, quei motivi di particolare valore morale e sociale rilevanti ai sensi dell'art. 62 n. 1 c.p. Osserva il p.m. che l'amore materno, la tutela dell'unico figlio dalle prevaricazioni paterne, il sacrificio della propria liberta' personale e della vita del coniuge malvagio per preservare la vita del figlio possono essere intesi quali valori avvertiti dalla prevalente coscienza collettiva ed e' significativo, in fatto, che l'intera comunita' ove il nucleo familiare risiedeva si sia stretta attorno a quella madre dolente, come risulta dalla documentazione prodotta dalla difesa. Sono altresi' riconoscibili le attenuanti generiche, in ragione della condotta preprocessuale ed intraprocessuale dell'imputata. L'appellante condivide le osservazioni della Corte di primo di grado sul trattamento sanzionatorio manifestamente inadeguato per eccesso rispetto al fatto ed alla condotta dell'imputata, stante il divieto di prevalenza delle attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 62 n. 1, 89, 88 e 114 c.p. sull'aggravante del rapporto di coniugio e rileva che, ove non siano praticabili diverse interpretazioni, la limitazione del bilanciamento delle circostanze e la preclusione giudiziaria della valutazione del fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale appare irragionevole perche' comporta un'indebita parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, di fatti di disvalore essenzialmente diverso in ragione del diverso grado di rimproverabilita' soggettiva, sicche' non resta che promuovere incidente di costituzionalita'; 1.2.2) la difesa lamenta: 1 - la mancata esclusione dell'elemento soggettivo della colpa rilevante ai sensi dell'art. 59, 4 comma c.p.; 2 - la mancata assoluzione dell'imputata per vizio totale di mente; 3 - l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio; 1.3) all'odierna udienza le parti hanno dichiarato di concordare sull'accoglimento dei motivi d'appello del p.m., con rinuncia della difesa ai motivi fondanti la propria impugnazione, indicando la seguente determinazione della pena: qualificato il fatto come omicidio volontario; esclusa l'aggravante di cui all'art. 577 n. 2 c.p. e riconosciute le attenuanti di cui agli articoli 62 nn. 1 e 2, 62-bis c.p. prevalenti rispetto all'aggravante del rapporto di coniugio; pena base anni 21 di reclusione; ridotta ex art. 62 n. 1 c.p. ad anni 14 di recl.; ridotta ex art. 62 n. 2 c.p. ad anni 9 mesi 4 di recl.; ulteriormente ridotta ex art. 62-bis c.p. a d anni 6 mesi 2 giorni 20 di recl.; 1.4) premesso che la richiesta di concordato formulata in udienza e' da risi ammissibile, in ragione della data di proposizione dell'atto di impugnazione, reputa la Corte che l'istanza di concordato meriti accoglimento, ricorrendo i presupposti applicativi degli istituti giuridici coinvolti ed essendo la pena congrua rispetto al fatto. In particolare: e' corretta la qualificazione del fatto come omicidio volontario e non e' ravvisabile la scriminante della legittima difesa per le ragioni indicate nell'appello del p.m.; e' corretta l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 577 n. 2 c.p., poiche', secondo quanto emerso dalla consulenza tossicologica, la quantita' di sonnifero somministrato non sarebbe stata sufficiente a cagionare la morte; e' riconoscibile l'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., per le ragioni indicate dal p.m. appellante, avendo l'imputata agito sotto la spinta dell'amore materno ovvero nell'intento di salvaguardare l'incolumita' dell'unico figlio, messa in pericolo dallo scontro fisico tra il G. ed il figlio e dal successivo comportamento del G., consistito nel cacciare il figlio di casa, nel manifestare l'irremovibilita' della propria decisione nonostante le suppliche della moglie e nel proferire nei confronti del figlio minacce di morte; e' riconoscibile l'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 c.p., ricorrendo l'ipotesi della provocazione cd «per accumulo»: l'imputata ha agito in stato di ira, in conseguenza del fatto ingiusto altrui ovvero della condotta maltrattante del marito protrattasi nel tempo, culminata nel cacciare di casa l'unico figlio, manifestando anche nei suoi confronti fermi propositi omicidiari (il rapporto di causalita' psicologica tra le condotte maltrattanti del G., e l'azione delittuosa posta in essere, emerge con chiarezza dalla ricostruzione cronologica degli accadimenti e dal contesto nel quale si inquadravano, caratterizzato da una serie ripetuta nel tempo di atti contrari a norme giuridiche e a regole primarie di convivenza, idonei, sul piano causale, a potenziare per accumulo la carica afflittiva). L'attenuante in questione puo' concorrere con l'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 c.p., aderendo all'orientamento giurisprudenziale richiamato dal p.m. appellante, secondo cui lo stesso fatto puo' determinare, da una parte, in quanto offensivo di un sentimento nobile ed elevato, motivi di spinta all'azione approvati dalla coscienza etica collettiva e, dall'altra, in quanto ingiusto, uno stato d'ira con il conseguente concorso delle attenuanti previste dagli articoli 62 n. 1 e 2 c.p.; sono riconoscibili le attenuanti generiche, valutati il comportamento dell'imputata successivo al reato, consistito nell'allertare immediatamente le forze dell'ordine ammettendo la propria responsabilita', lasciando accanto al cadavere i lacci utilizzati per lo strangolamento, si' da escludere ipotesi alternative sulla morte del marito, l'ottima condotta processuale, consistita nel rendere confessione avanti all'A. G. fornendo tutti i dettagli utili alla ricostruzione del fatto e nell'agevolare la celerita' del dibattimento, consentendo all'acquisizione degli atti del fascicolo del p.m., nonche' la vita anteatta totalmente immune da precedenti penali e giudiziari. La pena indicata dalle parti e' congrua rispetto al fatto, quale ricostruito nella sentenza di primo grado (ricostruzione condivisa dal p.m. appellante, il quale ne contesta soltanto la qualificazione giuridica), considerate le circostanze del fatto sopradescritte, ovvero l'essere l'imputata vittima di gravi maltrattamenti, la quale ha agito spinta dall'amore materno, sacrificando la propria liberta' personale pur di salvare l'incolumita' del figlio. Rileva tuttavia la Corte che alla pena indicata dalle parti si perviene operando la massima diminuzione anche in relazione alle attenuanti di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., benche' l'art. 577 ultimo comma c.p. preveda che le attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 62 n. 1, 89, 98 e 114 c.p., non possono essere ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti di cui all'art. 577, 1 comma n. 1, tra cui rientra il rapporto di coniugio tra la vittima e l'autore dell'omicidio, ricorrente nel caso di specie. E' noto che, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione «nel concordato in appello le parti non sono vincolate a criteri di determinazione della pena con la conseguenza che il giudice puo' sindacare esclusivamente la congruita' della pena finale concordata senza che rilevino eventuali errori di calcolo nei passaggi intermedi» sicche' «qualora il giudice recepisca la pena indicata, l'entita' della stessa non potra' piu' essere oggetto di contestazione, se non nel caso di pena illegale» (Cass. 23614/22). Pacifico, dunque, che, anche in caso di concordato, il giudice d'appello e' tenuto a verificare se la pena indicata dalle parti sia «pena legale», alla luce dei criteri fissati nella recente pronuncia della Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. 877/2023). Le Sezioni Unite hanno chiarito che pena legale e' quella del genere e della specie predeterminati dal legislatore, comminata da una norma vigente al momento del fatto, determinata dal giudice nel rispetto della cornice edittale; conseguentemente e' pena illegale, «quella che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale perche' e' diversa per genere per specie o per quantita' da quella positivamente prevista». Quanto alle ipotesi di pena illegale per quantita', che e' quella che rileva nel caso di specie, deve farsi riferimento sia alla misura stabilita per ciascuna pena dagli articoli 23 e seguenti del codice penale, nonche', a fronte del concorso di piu' circostanze aggravanti, dagli articoli 65 e seguenti del codice penale, ed, in presenza del concorso di piu' reati, dagli articoli 71 e seguenti, dello stesso codice, sia ai limiti edittali minimi e massimi fissati in astratto da ciascuna norma penale incriminatrice. La contestazione di circostanze, siano esse ad efficacia comune o ad efficacia speciale o ad efficacia non proporzionale, incide sulla determinazione della pena in astratto legale, a seconda dei casi aumentando o diminuendo la pena edittale prevista dalla norma incriminatrice. Ne consegue che «in caso di concorso di circostanze eterogenee, a prescindere dal concreto esito del giudizio di bilanciamento, i valori estremi astratti che connotano la legalita' della pena, entro i quali il giudice puo' esercitare la sua valutazione discrezionale concreta, sono rappresentati dal minimo della pena prevista per la fattispecie attenuata e dal massimo della pena prevista per la fattispecie aggravata», sempre nel rispetto dei limiti editali previsti dagli articoli 23 e ss. per le diverse tipologie di pene e dagli articoli 65 e ss. c.p. Da qui il principio di diritto secondo cui «la pena determinata a seguito dell'erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti e' illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli articoli 23 e seguenti, 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti, per le singole fattispecie di reato, dalle norme incriminatrici che si assumono violate, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge» (Cass. 877/23 cit.). In applicazione di tale principio, nel caso di specie la pena indicata dalle parti deve ritenersi pena illegale, in quanto inferiore al minimo edittale previsto dalla legge per il delitto di omicidio ai danni del coniuge, in caso di riconoscimento delle attenuanti di cui agli articoli 62 nn. 1 e 2, 62-bis c.p.. Stante il divieto di prevalenza delle attenuanti diverse da quelle di cui di cui agli articoli 62 n. 1, 98, 89 e 114 c.p. sull'aggravante del rapporto di coniugio, la pena minima, pur riconoscendo le tre attenuanti sopraindicate, e' pari ad anni 14 di reclusione. Una recente pronuncia della Suprema Corte ha chiarito che nel caso in cui tra le circostanze attenuanti da portare in bilanciamento ve ne siano una o piu' per le quali il divieto di prevalenza non opera, il giudizio di bilanciamento va scisso in piu' momenti ed operato in modo differenziato, nel senso che dapprima vanno considerate le attenuanti soggette al divieto di prevalenza che neutralizzano l'aumento di pena per l'aggravante, poi, sulla pena cosi' ottenuta, va apportata la diminuzione di pena per la circostanza attenuante non soggetta a divieto di prevalenza (Cass. 42568/22; principio espresso con riferimento al concorso tra recidiva reiterata, attenuante del vizio parziale di mente ed attenuanti generiche). Quindi, nel caso di specie, le riconosciute attenuanti di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., per le quali opera il divieto di prevalenza, elidono l'aggravante del rapporto di coniugio, sicche' la pena edittale a cui fare riferimento e' quello dell'omicidio non aggravato, ovvero da 21 a 24 anni di reclusione. Determinata la pena base nel minimo edittale, ovvero anni 21 di reclusione, va operata la diminuzione per l'attenuante di motivi di particolare valore morale e sociale, per cui non opera il divieto di prevalenza, sicche' la pena minima e' di anni 14 di reclusione. La diversa interpretazione prospettata dalle parti, secondo cui il riconoscimento di una delle attenuanti non soggette a divieto di prevalenza fa venir meno il divieto anche per le altre attenuanti che ad esso sarebbero soggette, stante il carattere unitario del giudizio di bilanciamento, non puo' essere condivisa, in quanto non compatibile col tenore letterale dell'art. 577 ultimo comma c.p. Tale interpretazione si fonda su principi statuiti dalla Suprema Corte in relazione a fattispecie in cui la legge prevede un divieto di bilanciamento con le aggravanti per le attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 114 c.p., disponendo che, in caso di riconoscimento di dette attenuanti, le diminuzioni si operano sulle quantita' di pena determinata tenendo conto delle aggravanti. Trattasi all'evidenza di ipotesi diversa da quella che qui ci occupa, in quanto la previsione normativa, caratterizzata un divieto assoluto di bilanciamento delle circostanze diverse da quelle riguardanti l'infermita' di mente o la minima partecipazione che operano in diminuzione sulla pena per il reato aggravato, non consente soluzioni alternative ad un giudizio unitario delle circostanze attenuanti concorrenti: una volta elisa l'aggravante per effetto dell'attenuante non soggetta a divieto, non e' possibile operare la diminuzione per le altre attenuanti sulla pena prevista per il reato aggravato. Da qui il principio espresso dalla Suprema Corte sulla necessita' di un giudizio unitario, «non risultando ipotizzabile praticare l'esclusione del giudizio di bilanciamento per talune attenuanti in associazione alla formulazione dello stesso per le attenuanti di cui agli articoli 98 e 114 c.p.» (cosi' Cass. 33792/2015 sull'art. 590-bis c.p. previgente). Ma nelle ipotesi in cui il legislatore per talune circostanze limita il giudizio di bilanciamento alla sola equivalenza, e' la previsione normativa ad impone la scissione del giudizio di bilanciamento, agevolmente praticabile, in caso di concorso di attenuanti eterogenee, operando la diminuzione per l'attenuante non soggetta a divieto sulla pena prevista per il reato non aggravato. Estendere a tali casi il principio invocato dalle parti, secondo cui in presenza di un'attenuante non soggetta a divieto verrebbe meno il divieto di prevalenza per tutte le altre attenuanti, sarebbe contrario al dettato normativo che preclude la possibilita' di operare diminuzioni di pena in relazione ad attenuanti diverse da quelle espressamente indicate. Ritiene, pertanto, la Corte, che nel caso di specie alla pena concordata, reputata congrua rispetto al fatto, possa pervenirsi soltanto a seguito di un giudizio di prevalenza di tutte le tre attenuanti sull'aggravante del rapporto di coniugio, allo stato non consentito dal divieto di cui all'art. 577 ultimo comma c.p. (ne' opera il limite di cui all'art. 67, 1 comma n. 1 c.p., attesa la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante che determina la pena dell'ergastolo). Da qui la rilevanza della questione di costituzionalita' dell'art. 577 c.p. ultimo comma nella parte in cui prevede che le circostanze di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma n. 1, non possano essere ritenute prevalenti rispetto a queste. 2) La non manifesta infondatezza della questione: per cio' che riguarda la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' che si intende sollevare, si osserva quanto segue: 2.1) in generale, la Corte costituzionale ha affermato che le deroghe al regime ordinario di bilanciamento tra circostanze sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ma sempre che non «trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso giungere «a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita' penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012). Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di illegittimita' costituzionale delle norme derogatorie al regime ordinario di bilanciamento hanno riguardato «circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva», in quanto riferite ad attenuanti a effetto speciale: cosi' la «lieve entita'» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la «particolare tenuita'» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); la «minore gravita'» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuita'» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017). In un caso la dichiarazione di illegittimita' ha avuto ad oggetto il divieto di prevalenza di una circostanza - l'essersi il reo adoperato per evitare che il delitto di produzione e traffico di stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori - diretta a premiare l'imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74 del 2016). Piu' recentemente l'esito di incostituzionalita' ha riguardato la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen., espressiva non gia' di una minore offensivita' del fatto, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilita' dell'autore, derivante dal minor grado di discernimento (sentenza n. 73 del 2020). In epoca ancora piu' recente, la Corte ha ritenuto l'incostituzionalita' del divieto di prevalenza della diminuente prevista dall'art. 116, secondo comma c.p. sulla recidiva qualificata, rilevando che tale divieto frustra irragionevolmente gli effetti che l'attenuante mira ad attuare, compromettendone la necessaria funzione di riequilibrio sanzionatorio, posto che la scelta del legislatore di sanzionare con la pena prevista per un delitto doloso il reo, al quale viene mosso un rimprovero di colpa, trova un bilanciamento proprio nella previsione di cui all'art. 116, secondo comma, cod. pen. (sentenza n. 55 del 2021). Cio' premesso, ritiene questa Corte che l'art. 577 c.p. nella parte in cui preclude il giudizio di prevalenza dell'aggravante della provocazione rispetto all'aggravante del rapporto di coniugio si ponga in contrasto con l'art. 3, comma 1 Cost. e con l'art. 27, comma 3 Cost. Come e' noto, il divieto di cui all'art. 577 ultimo comma c.p. e' stato introdotto dall'art. 11, legge n. 69/2019 recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale ed altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», denominata «codice rosso». Trattasi di normativa specificamente mirata alla tutela delle vittime di violenza in ambito familiare o comunque legate al colpevole da una relazione affettiva: da qui l'ampliamento dei casi di omicidio punibili con l'ergastolo, l'ampliamento delle aggravanti dell'omicidio che comportano una pena da 24 a 30 anni di reclusione e l'introduzione del divieto di prevalenza delle attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 62 n. 1, 89, 98, 114 c.p. in caso di omicidio contro l'ascendente o del discendente, il coniuge, l'altra parte dell'unione civile o comunque contro persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva. La ratio dell'inasprimento di pena risponde all'esigenza di punire piu' severamente condotte agevolate dal rapporto di fiducia tra vittima e colpevole o comunque ritenute piu' odiose in ragione del legame tra la vittima ed il colpevole. Ma la lettura unitaria delle norme introdotte dalla legge n. 69/2019 rende evidente che le modifiche sostanziali e processuali tendono a rafforzare la risposta dell'ordinamento ai fenomeni criminali caratterizzati dal collegamento tra l'azione omicidiaria ed un rapporto di prevaricazione e di forza tra le parti della relazione familiare o affettiva, si' da assicurare tutela alla parte piu' vulnerabile. Nel caso di specie ricorre la situazione diametralmente opposta a quella che giustifica l'inasprimento sanzionatorio introdotto dalla legge n. 69/2019, poiche' il colpevole e' la vittima dei maltrattamenti, la cui condotta omicidiaria e' stata determinata dallo stato di esasperazione conseguente ai maltrattamenti, aggravato dalla constatazione dell'esito infruttuoso della richiesta di aiuto rivolta agli organi istituzionalmente deputati alla protezione della vittima medesima. Si rammenta che i CC. intervenuti l'..., a fronte delle dichiarazioni rese dalla B. e dal figlio sul comportamento del G. e pur preso atto dell'evidente stato di agitazione e della disperazione manifestato dalla donna, secondo quanto concordemente riferito dai testi, si sono limitati a rinviare all'indomani (l'... cadeva di domenica) la verbalizzazione della denuncia, escludendo la possibilita' di un intervento che, nell'immediato, potesse scongiurare il pericolo di ulteriori aggressioni fisiche da parte del G.. Il divieto generalizzato introdotto dal legislatore, che impedisce di calibrare la risposta sanzionatoria tenendo conto delle specifiche circostanze del fatto, nei casi quale quello in esame, finisce con l'incidere negativamente sul soggetto vulnerabile alla cui tutela il divieto e' mirato. Ne' puo' ritenersi ragionevole la valorizzazione del legame familiare o affettivo tra la vittima e l'imputato, nei casi in cui sia la vittima a «tradire» detto legame imponendo all'altra parte un regime di vita insostenibile, si' da portarla all'esasperazione. E' palese la minore rimproverabilita' della condotta omicidiaria posta in essere dal coniuge vittima dei maltrattamenti rispetto alla condotta omicidiaria posta in essere da chi dei maltrattamenti sia l'autore o comunque si avvalga di una posizione di forza rispetto al coniuge. Da qui - secondo questa Corte - i profili di incostituzionalita' dell'art. 577 c.p. Il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla gravita' del reato, da tempo affermato dalla Corte costituzionale sulla base di una lettura congiunta degli articoli 3 e 27 della Costituzione, «esige che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo e della colpa, ma anche della eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore rendendolo piu' o meno rimproverabile» (Corte cost. 73/2020). Al fine di assicurare l'effettiva proporzionalita' della pena si richiede dunque, in via generale, che «al minor grado di rimproverabilita' soggettiva corrisponda una pena inferiore a quella che sarebbe applicabile a parita' di disvalore oggettivo dal fatto, in modo da assicurare altresi' che la pena appaia una risposta oltre che non sproporzionata, il piu' possibile individualizzata e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato in attuazione del mandato costituzionale di personalita' della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma Cost.» (Corte cost. n. 222/2018 richiamata da Corte cost. n. 73/2020). L'attenuante della provocazione, riconoscibile nel caso di specie, esprime proprio la ridotta rimproverabilita' soggettiva dell'autore, che deriva dall'avere agito sotto l'effetto di un impulso emotivo incontenibile che provoca la perdita dei poteri di autocontrollo, conseguente al comportamento ingiusto della vittima. L'inderogabile divieto di prevalenza posto dall'art. 577 c.p. non pare dunque compatibile con l'esigenza di rango costituzionale di determinazione di una pena proporzionata e calibrata sulle condizioni soggettive dell'imputato, esigenza che deve considerarsi espressiva - secondo quanto ribadito dalla Corte costituzionale nella sent. n. 73/2020 che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 69, ultimo comma c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. in caso di concorso con la recidiva di cui all'art. 99, 4 comma c.p. - di «precisi equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita' penale». Tale divieto infatti non consente al giudice di stabilire nei confronti del soggetto che abbia agito in particolari condizioni emotive incidenti sulla capacita' di autocontrollo attribuibili alla condotta della vittima, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravita' oggettiva ma commesso da persona che abbia agito in condizioni emotive non alterate dal comportamento ingiusto altrui. Col che si verifica una indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di fatti di disvalore essenzialmente diverso, in ragione del diverso grado di rimproverabilita' soggettiva che li connota, con un risultato che la Corte costituzionale ha gia' riconosciuto contrario all'art. 3 Cost., nonche' alla finalita' rieducativa ed all'esigenza di personalizzazione della pena di cui all'art. 27 Cost. (anche su questo punto v. Corte cost. n. 73/2020). Nel caso di specie l'irragionevolezza di tale parificazione e' tanto piu' evidente se si considera che la limitazione del giudizio di bilanciamento nei casi in cui il colpevole sia la vittima della violenza domestica e ad essa abbia reagito in modo non consentito dall'ordinamento si pone in netto contrasto con il fine di tutela delle vittime di violenza domestica, dichiaratamente perseguito dal legislatore con la legge n. 69/2019 ed a a cui tende il divieto introdotto dall'art. 577, 3 comma c.p. Ne' rileva la natura di circostanza comune dell'attenuante della provocazione, considerato che, come gia' sottolineato dalla Corte costituzionale con riferimento all'attenuante di cui all'art. 89 c.p., della stessa natura dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 c.p., l'entita' concreta della diminuzione dipende dall'entita' della pena base, ben potendo tale diminuzione tradursi rispetto ai delitti piu' gravi, quale e' quello di specie, in vari anni di reclusione in meno; 2.2) ritiene questa Corte che le considerazioni sopra svolte in merito alla contrarieta' ai principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 27 Cost. del divieto di prevalenza sancito dall'art. 577, 3 comma c.p. possano valere anche con riferimento alle attenuanti generiche concorrenti con l'aggravante di cui all'art. 577, 1 comma n. 1 c.p.. Le circostanze attenuanti atipiche rappresentano uno strumento di individualizzazione della risposta sanzionatoria li' dove sussistano - in positivo - elementi del fatto o della personalita', tali da rendere necessaria la mitigazione, non previsti espressamente da altra disposizione di legge. Le Sezioni Unite della Suprema Corte nella recente sentenza 20808/2019 hanno ribadito che «le attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati ma che appaiono in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena», precisando che «la ragion d'essere della previsione normativa recata dall'art. 62-bis cod. pen. e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile (Cass., S.U. 20808/2019). L'«individualizzazione» della pena, in modo da tener conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, a cui mira l'istituto delle attenuanti generiche, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale. L'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento - contribuisce, da un lato, a rendere quanto piu' possibile «personale» la responsabilita' penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma, e nello stesso tempo, e' strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile «finalizzata» nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost. La preclusione introdotta dalla legge n. 69/2019, derogatoria al principio generale che governa la complessa attivita' commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27, terzo comma, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze (Corte cost. n. 183/2011), espropria il giudice del potere di valutare adeguatamente le peculiarita' del caso concreto e pervenire cosi' alla definizione del trattamento sanzionatorio piu' conforme alle esigenze di risocializzazione e di rieducazione del reo. Ne' i dubbi di costituzionalita' possono ritenersi superati, considerando che la preclusione limita solo parzialmente tale potere, il quale continua ad avere un ampio ambito di esplicazione, attraverso la possibilita' di spaziare tra il minimo e il massimo edittale, con l'integrazione delle diminuzioni per le altre circostanze eventualmente esistenti, poiche' in caso di reati puniti con pena elevata anche nel minimo, quale l'omicidio, l'impossibilita' di operare la diminuzione conseguente al riconoscimento delle attenuanti puo' determinare in concreto (come avverrebbe nel caso di specie) l'applicazione di una pena sproporzionata per eccesso rispetto al fatto ed alla personalita' dell'imputato, dunque avvertita come ingiusta dal condannato (oltreche' dalla collettivita') vanificandone la finalita' rieducativa prevista dall'art. 27, terzo comma, Cost. (v. Corte cost. n. 185/2015). Inoltre l'impossibilita' di valorizzare in modo adeguato elementi positivi emersi a favore dell'imputato, univocamente indicativi di ridotta capacita' a delinquere, quali il contesto in cui si inserisce il fatto, il carattere dell'imputato medesimo, la vita anteatta, il comportamento successivo al reato, determina una parificazione della risposta sanzionatoria in situazioni personali tra loro differenti, irragionevole in quanto fondata sulla oggettiva sussistenza del legame familiare tra vittima e colpevole, senza tenere conto dei casi in cui detto legame e' gravemente compromesso dal comportamento ingiusto della vittima che ha dato causa alla condotta omicidiaria; col che viene a crearsi una disparita' ingiustificata rispetto al trattamento riservato alla generalita' degli autori di reato. Da qui il contrasto col principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. In conclusione, quindi, l'art. 577, comma 3 c.p. appare in contrasto con il principio di uguaglianza e di proporzionalita' della sanzione penale: la pena che andrebbe irrogata all'imputata, stante il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e della provocazione, non assolverebbe ne' a una funzione rieducativa del colpevole ne' a quella special-preventiva, dal momento che le conferirebbe una pericolosita' sociale sproporzionata rispetto all'effettiva dinamica della condotta omicida ed allo stato di sofferenza in cui e' maturata.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 ss. legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli articoli 3 e 27, commi 1 e 3 Cost. - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 577, comma 3 c.p. nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza, ai sensi dell'art. 69 c.p., delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro il coniuge, dall'art. 577, comma 1 n. 1 del codice penale; Sospende il giudizio sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; Dispone che la cancelleria trasmetta alla Corte costituzionale gli atti del presente giudizio, con la prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni; Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Torino, 10 maggio 2023 Il Presidente: Domaneschi