N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 maggio 2023

Ordinanza del 10 maggio 2023  della  Corte  di  assise  d'appello  di
Torino nel procedimento penale a carico di B. A.. 
 
Reati e pene  -  Reato  di  omicidio  -  Concorso  di  circostanze  -
  Circostanze attenuanti generiche  e  circostanza  attenuante  della
  provocazione - Preclusione del giudizio  di  prevalenza,  ai  sensi
  dell'art.  69  del  codice  penale,   rispetto   alla   circostanza
  aggravante prevista dall'art. 577,  primo  comma,  numero  1),  del
  codice penale per il delitto di omicidio volontario in relazione al
  fatto commesso contro il coniuge. 
- Codice penale, art. 577, terzo comma. 
(GU n.27 del 5-7-2023 )
 
                CORTE DI ASSISE DI APPELLO DI TORINO 
                            Prima sezione 
 
    La prima sezione della Corte  di  assise  di  appello  di  Torino
composta da: 
        dott.ssa Cristina Domaneschi - Presidente; 
        dott. Gianni Macchioni - Consigliere; 
        sig.ra Chiara Boasso - giudice popolare; 
        sig. Simone Nivoli - giudice popolare; 
        sig. Luca Marino - giudice popolare; 
        sig. Antonio Barletta - giudice popolare; 
        sig. Roberto Audisio - giudice popolare; 
        sig.ra Silvia Fasciana - giudice popolare, 
nel procedimento contro B. A., nata a ... (...) il ..., con domicilio
dichiarato in ... (...) via... n. ..., presente; 
    Difesa di fiducia da avv. Lorenzo Repetti del foro di Alessandria 
 
                       Imputata in primo grado 
 
    Del delitto di cui agli articoli 575 e 577, comma 1, nn. 1) e  2)
c.p. perche', somministrando al marito G. L.  un'intera  boccetta  di
sonnifero (Lormetazepam gocce) e quindi strangolandolo con un  laccio
per scarpe, ne cagionava la morte. 
    Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno del coniuge. 
    Con l'aggravante di aver commesso il fatto col mezzo di  sostanze
venefiche e comunque insidiose. 
    In 
 
                  appellante il p.m. di Alessandria 
 
    Avverso la sentenza della Corte di assise di  Alessandria  del  4
luglio 2022 che pronunciava il seguente dispositivo: 
    Visti gli articoli 521-533-535 c.p.p. 
    Dichiara l'imputata responsabile del delitto a  lei  ascritto  e,
ritenuta l'ipotesi di cui agli articoli 52 e 59 u.c.  ultimo  periodo
c.p., riconosciute le attenuanti generiche, la condanna alla pena  di
anni 4 e mesi  10  di  reclusione  oltre  al  pagamento  delle  spese
processuali e di legge; 
    Visto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e distruzione di  quanto
in sequestro. 
    Motivi 90 giorni. 
 
                       Conclusioni delle parti 
 
    Le parti concordano sull'accoglimento dei  motivi  d'appello  del
p.m., con rinuncia della difesa ai propri motivi, indicando  la  pena
finale in anni 6 mesi 2 giorni 20 di  reclusione,  previa  esclusione
dell'aggravante dell'uso di mezzo  venefico  e  riconoscimento  delle
attenuanti di cui agli articoli 62 n. 1, 62 n. 2 e 62-bis c.p. 
    Le parti chiedono che, in  caso  di  rigetto  della  proposta  di
concordato in ragione del divieto di  prevalenza  previsto  dall'art.
577, comma  3  c.p.p.,  venga  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 577, comma 3  c.p.p.,  nella  parte  in  cui
prevede  che  le  attenuanti  della  provocazione  e  le   attenuanti
generiche   non   possano   essere   ritenute   prevalenti   rispetto
all'aggravante del rapporto di coniugio. 
    All'esito  dell'odierna  Camera  di  consiglio,   la   Corte   ha
pronunciato la seguente ordinanza. 
    La Corte, anche sulla base delle sollecitazioni provenienti dalle
parti, sospesa la Camera di consiglio, ritiene di sollevare questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  577,  comma  3  c.p.  nella
parte in cui prevede  che  le  circostanze  attenuanti  di  cui  agli
articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p.,  diverse  da  quelle  previste  dagli
articoli 62 n. 1, 89,  98  e  114,  concorrenti  con  le  circostanze
aggravanti di cui al primo comma n. 1, non  possano  essere  ritenute
prevalenti rispetto a queste per contrasto con gli articoli 3,  comma
1 e 27, comma 3 della Costituzione. 
    1) La rilevanza della questione: 
        1.1) con sentenza in data 4 luglio 2022 la Corte d'assise  di
Alessandria ha condannato B. A. alla  pena  di  anni  4  mesi  10  di
reclusione per il reato di omicidio colposo ai danni del marito G. L.
ai  sensi  52  e  59  u.  co  c.p.,  cosi'   qualificato   il   fatto
originariamente  contestato  come   omicidio   volontario   aggravato
dall'uso di sostanze venefiche o  comunque  insidiose  e  dall'essere
stato il fatto commesso ai danni del coniuge; 
          1.1.1) dagli atti (segnatamente dichiarazioni  testimoniati
e interrogatorio dell'imputata) risulta quanto segue: 
G. L. e B. A. si sposano nel... ; nel... nasce A.; 
il matrimonio ha  degli  alti  e  bassi;  nel  corso  degli  anni  si
verificano degli episodi di aggressione fisica da parte  del  G.  nei
confronti della moglie, consistenti in  ceffoni,  sberle,  calci;  si
tratta di episodi occasionali, per cui  la  B.  non  ricorre  a  cure
mediche e non sporge denuncia; 
la situazione peggiora  radicalmente  a  far  tempo  dalla  primavera
del... , allorche' G., all'epoca gia'  in  pensione,  secondo  quanto
concordemente  dichiarato  da  tutti  i  testi   escussi,   manifesta
problematiche di natura psichica: si infastidisce per  cose  di  poco
conto, reagendo  violentemente,  molesta  i  vicini  chiedendo  se  i
familiari parlano male di lui, di sera esce di nascosto dalla  camera
matrimoniale  in  mutande  o  anche  completamente  nudo  e  si  reca
nell'appartamento sottostante  ove  abita  la  suocera  di  84  anni,
tentando di entrare,  in  altre  occasioni,  vedendo  la  suocera  in
strada, si affaccia al balcone e si cala i pantaloni. 
    Frequenti sono le  minacce  ed  i  comportamenti  aggressivi  nei
confronti dei familiari: minaccia di spezzare la  schiena  al  figlio
si' da costringerlo su una sedia a rotelle, di  buttarlo  giu'  dalla
finestra, di fargli perdere il lavoro; minaccia di legare  la  moglie
alla macchina e di buttarla «giu' dalle strette»  (si  tratta  di  un
dirupo che da' sul  fiume  lungo  la  strada  che  collega...  a...),
minaccia di sgozzare la suocera. 
    Inoltre, a causa di una gelosia maniacale, segue costantemente la
moglie ovunque vada, nel convincimento che abbia  una  relazione  col
cognato S. N.; si  moltiplicano  anche  le  aggressioni  fisiche  nei
confronti della moglie: la colpisce con gomitate nelle costole, calci
sotto il tavolo, ceffoni; di frequente le impone rapporti sessuali  a
cui ella acconsente «per forza, per timore di essere picchiata». 
    I testi, segnatamente G. A., B. C. (madre della B.), M. S. (amica
della B.), S. N. (cognato della  B.),  S.  N.,  figlia  di  N.  hanno
riferito d'avere ripetutamente constatato lividi  e  tumefazioni  sul
corpo della B.; addirittura il cognato non e' in  grado  di  riferire
con quale frequenza avesse visto i lividi e su quali parti del corpo,
perche' «avveniva cosi' di frequente che L. picchiasse A.  che  ormai
era diventata quasi la normalita'». 
    La B. nell'ultimo  periodo,  e'  «terrorizzata»,  secondo  quanto
confidato alla madre, perche' il marito «usa le  mani  per  qualsiasi
cosa» e ogni volta che c'e' una discussione da' in escandescenze e la
picchia; anche all'amica M. racconta che dal mese di maggio  2021  la
convivenza e' divenuta insopportabile, riferendo  che  il  marito  la
umilia con frasi del tipo «non vali niente, ti ammazzo», la  minaccia
dicendole, con riferimento alla di lei sorella deceduta l'anno prima,
«fra poco vai a fare compagnia anche a lei»; 
        a seguito di tali comportamenti del G. i familiari vivono  in
un clima di costante angoscia e  tensione:  la  moglie  pernotta  sul
divano in salotto per non dormire col marito;  il  figlio  soffre  di
insonnia e trascorre la notte  con  la  porta  chiusa  a  chiave;  la
suocera si asserraglia in casa per porsi al riparo  dalle  incursioni
notturne del genero; 
        G. mostra aggressivita' anche fuori dall'ambito familiare: in
un'occasione,» nel mese di giugno 2021, si adira con la cameriera  al
bar, urlando all'interno del locale; in altra occasione,  sempre  nel
mese di giugno, ha una violenta  discussione  con  un  cliente  della
barberia, che apostrofa come «stronzo e coglione» per il  solo  fatto
che costui e' avverso al vaccino; 
        a fine giugno N. S. apprende  dal  padre  dei  maltrattamenti
subiti dalla zia A. ad opera del marito, indi ne parla col cugino  A.
da cui apprende ulteriori  dettagli,  dopodiche'  si  attiva  tramite
un'amica medico per capire quali siano le possibilita' di intervento;
l'amica le suggerisce di chiamare l'ambulanza e sollecitare  un  TSO;
la S. ne  parla  anche  al  suo  psicologo,  il  quale  consiglia  di
contattare il centro di Igiene Mentale  della  zona  e  segnalare  il
caso; 
        l'... all'ora di pranzo ha luogo un  litigio  tra  G.  ed  il
figlio A.. 
    Secondo quanto riferito da A., il padre  reagisce  con  stizza  a
fronte di una sua vaga risposta sull'orario del pranzo;  A.  risponde
facendogli presente che ultimamente ha delle reazioni esagerate e che
avrebbe bisogno di cure psichiatriche; G. reagisce  con  violenza  e,
afferrata una bottiglia di plastica piena d'acqua, colpisce il figlio
al volto; la B. si frappone tra i due, ma il marito la strattona,  al
che A. spinge il padre contro il tavolo, cagionandogli delle  lesioni
(contusione al  padiglione  auricolare  sinistro  ed  un'escoriazione
nella medesima parte del capo). 
    G. richiede quindi l'intervento  dei  CC.;  ai  CC.,  giunti  sul
posto, riferisce della colluttazione  avuta  col  figlio  ed  afferma
d'essere stato colpito, pur dicendo di non  voler  sporgere  querela,
perche' e' la prima volta che il figlio alza le mani contro  di  lui;
indi viene condotto in ospedale per le cure del caso. 
    Nel frattempo gli operanti apprendono dei  maltrattamenti  subiti
dai familiari ad opera del G. da circa tre mesi, viene anche mostrata
un biglietto che G. ha lasciato sulla scrivania  del  figlio  qualche
giorno prima, ove e' scritto «se non ti fai gli affari tuoi ti faccio
perdere il lavoro». 
    A dire di A., la madre e' «disperata ... chiedeva che fosse preso
un provvedimento riguardo a mio padre piuttosto che cautelare non  so
tenerlo in ospedale ... tenerlo in ospedale di piu' per  cautela  ...
gli e' stato detto noi non possiamo fare niente, deve  venire  domani
mattina a sporgere denuncia». 
    N. S. conferma che la zia era visibilmente spaventata ed  agitata
e continuava a camminare nervosamente avanti e indietro nel giardino:
«Ogni volta che i Carabinieri dicevano che non potevano fare  niente,
che serviva la denuncia per poter muoversi, lei si agitava sempre  di
piu' e diceva: 'Non posso denunciare perche' anche se denuncio poi me
lo rimandate a casa e lui  ci  ammazza  tutti'  e  questa  cosa  l'ha
ripetuta un sacco di volte». 
    A. chiede anche ad uno dei militi, suo conoscente, se  in  quella
situazione possa essere praticato un TSO, ricevendo risposta negativa
poiche' e' stato G. a richiedere l'intervento dei CC. 
    Al termine della visita dei CC.,  A.  si  prepara  un  cambio  di
vestiti perche', visto quanto e' successo, ha deciso  di  passare  la
notte a casa del cugino, indi insieme con la madre va dalla vicina di
casa per informarla dell'accaduto ed invitarla a chiamare i  CC.  nel
caso in cui, al rientro del G., senta qualche segnale di allarme. 
    Nonostante l'agitazione, la B. decide di non andarsene  da  casa,
in quanto sicura che il marito la trovera', poiche' la  segue  sempre
(al supermercato, al cimitero), e, se lei se ne va, fara' a  tutti  i
suoi familiari «qualcosa di brutto». 
    Intanto  G.,  mentre  si  trova  al  Pronto  Soccorso,   contatta
ripetutamente N., tramite chiamate e messaggi  WhatsApp,  per  sapere
cosa sia stato detto ai CC. e  pretende  che  la  moglie  lo  vada  a
prendere; la B e' ancora scossa, quindi sara' il cognato ad andare  a
prendere G. in ospedale per ricondurlo a casa. 
    Durante  il  tragitto  in  auto,  S.  -  secondo  quanto  da  lui
dichiarato - cerca di rasserenare G., ma costui  per  tutta  risposta
gli dice di avere in casa «un coltello da Rambo» che gli servira' per
ammazzare qualcuno e di avere  anche  intenzione  di  procurarsi  una
pistola presso un'armeria di.... 
    All'arrivo del G. a casa, la B. chiede al cognato di rimanere con
loro, perche' preoccupata della situazione di forte tensione  che  si
e' venuta a creare col marito, ma  S.  le  risponde  di  non  potersi
trattenere, in quanto impegnato ed interessato a  seguire  la  finale
degli europei di calcio. 
    B. rimane dunque sola nell'appartamento con il marito. 
    Secondo il racconta della donna, in un primo momento, sembra  che
il marito si sia calmato e le  dice  di  voler  mettere  «una  pietra
sopra» alla vicenda. 
    Tuttavia, dopo circa un'ora,  le  mostra  un  messaggio  WhatsApp
inviato al figlio alle ore 15,23 del seguente tenore: «Dopo quanto e'
avvenuto sono costretto a  dirti  che  e'  arrivata  l'ora  che  devi
andartene da questa famiglia perche' non ne fai piu' parte. Io non ti
ho denunciato per amore paterno, cosa che  ti  saresti  meritato.  Ti
lascio il tempo per organizzarti nella tua fuoriuscita.  (Raccogli  i
tuoi quattro stacchi, computer, e il tuo scooter e poi prendi pura la
porta e non farti piu' vedere. I dottori hanno detto che «mentalmente
sei instabile aggressivo e pericoloso» anche se come padre  mi  sento
triste  devo  purtroppo  condividere  il  loro  (pensiero).  Io   non
infierisco in nessuna maniera ma sappilo che  devi  (andartene).  Tuo
PADRE che ti ha voluto sempre bene.» 
    La B. cerca di far ragionare il  marito,  chiedendogli  che  cosa
intende quando dice  di  non  volere  piu'  A.  in  casa,  ma  l'uomo
ribadisce fermamente che quella non e' piu' la casa del figlio;  indi
la strattona, causandole un livido  (il  GIP  in  sede  di  convalida
dell'arresto dara' atto della presenza  di  un  livido  sul  bicipite
sinistro della B.), e minaccia «poi sistemo pure  tuo  figlio  e  tua
madre». 
    A questo punto la donna, pensando che  non  ci  sia  ormai  «piu'
niente da fare», in quanto costretta a casa da  sola  con  il  marito
violento, prepara due bibite  di  rum  e  lime,  versando  in  quella
dell'uomo l'intero contenuto della boccetta di sonnifero che  usa  la
madre per dormire (lorazepam, reperito in seguito dagli operanti  sul
tavolo della cucina). 
    Una volta  che  il  marito  si  e'  addormentato,  lo  strangola,
stringendogli il collo con un laccio da scarpe. 
    Indi, alle ore..., la B.  chiama  i  CC.  di...  dicendo  d'avere
ucciso il marito e sollecitando  il  loro  intervento:  «sono  B.  A.
chiamo da..., ho ucciso mio marito, non ce la  facevo  piu'....  l'ho
addormentato e l'ho strangolato, .... sono  io  che  l'ho  ammazzato,
l'ho addormentato e l'ho strangolato ... l'ho fatto  io,  l'ho  fatto
io, mio figlio non c'e' ... venite, non ce la faccio piu'». 
    Giunti sul posto, i CC. rivengono il corpo senza vita  di  G.  su
una sedia a sdraio sul terrazzo; vicino al  cadavere  vi  sono  delle
stringhe da scarpe. 
    L'autopsia confermera' che la causa della morte va individuata in
asfissia  acuta  da   strangolamento,   esercitato   con   un   mezzo
cordoniforme di pochi millimetri;  l'esame  tossicologico  rileva  la
presenza nel corpo  della  vittima  di  lorazepam  in  quantita'  non
letale; 
          1.1.2) nel corso del dibattimento e' stata disposta perizia
psichiatrica che ha concluso  nel  senso  dell'assenza  di  patologie
psichiatriche in capo alla B., rilevando che "nel corso dei  colloqui
non  sono  emersi  elementi  psicopatologici,  quanto  piuttosto  una
sofferenza emotiva  correlata  all'attuale  condizione  esistenziale,
sofferenza che appare congrua e consona alla  situazione  e  comunque
non di  entita'  tale  da  raggiungere  la  soglia  per  un  disturbo
dell'umore".» 
    Viceversa il  consulente  dell'imputata  ritiene  che  l'imputata
abbia agito sotto l'effetto di un disturbo psicotico breve, ovvero un
delirio sorto nel pomeriggio dell'... quando la B.  avrebbe  maturato
il  convincimento  delirante  che  il   marito   fosse   estremamente
pericoloso; giudizio che verra' contestato dal perito. 
    Peraltro, il perito ed il consulente dell'imputata concordano nel
descrivere la «cornice  famigliare  di  riferimento»:  nei  tre  mesi
antecedenti al fatto la B. si era ritrovata in  condizione  di  forte
stress  emotivo  ansia,  tensione,  paura  e  sofferenza  psicologica
derivante dai comportamento maltrattanti, controllanti e bizzarri del
marito; 
          1.1.3) sulla base delle  risultanze  acquisite  ritiene  la
Corte di primo grado che nel caso di specie sia ravvisabile l'ipotesi
della  legittima  difesa  putativa,  per   avere   l'imputata   agito
nell'erronea convinzione di difendere se' e i congiunti dal  pericolo
attuale di un'offesa ingiusta da parte di G. L., soggetto che aveva a
lungo maltrattato l'intero nucleo familiare. 
    Osserva invero la Corte: 
        gli elementi acquisiti confermano che la rappresentazione del
pericolo operata dalla B. non era ne' congetturale ne' generica ma si
riferiva agli eventi strettamente  occorsi  nella  giornata,  la  cui
sequenza dimostra la piena attualita' del delitto di maltrattamenti; 
        in un contesto di continue sopraffazioni, soprusi e violenze,
la minaccia di fare del male  agli  altri  familiari,  unitamente  al
terrore che, se il figlio avesse fatto nuovamente ritorno, vi sarebbe
stato un nuovo scontro, hanno quindi condotto  l'imputata  a  pensare
seriamente «o lui o noi»; da qui la decisione di sedare e strangolare
il marito, onde renderlo innocuo e salvare se' stessa e i propri cari
da ulteriori violenze; 
        il pericolo per l'incolumita' propria e altrui era agli occhi
della B. concreto ed attuale sulla  base  di  specifici  elementi  di
fatto, quali lo scontro fisico tra padre e  figlio  mai  accaduto  in
passato, l'accertata impossibilita' di procedere a TSO e di  ottenere
risposta dai CC, i quali  si  limitano  a  rinviare  all'indomani  la
proposizione della denuncia, di poter contare  sull'aiuto  di  altri.
essendosi il figlio ed il cognato allontanati, il  messaggio  inviato
da G. al figlio al rientro dall'ospedale,  le  minacce  ribadite  nei
confronti del figlio e della suocera; 
        sulla base di tali elementi si deve ritenere  che  l'imputata
versasse in una condizione di errore sulla sussistenza  del  pericolo
per l'incolumita'; 
        sussistono gli altri presupposti della scriminante:  l'offesa
che G. avrebbe potuto arrecare alla moglie era certamente ingiusta  e
la donna ha reagito per difendere l'integrita'  propria  e  dei  suoi
cari; 
        quanto  alla   necessarieta'   dell'offesa,   la   condizione
psicologica ben descritta dagli esperti  nel  corso  dell'istruttoria
dibattimentale ha comportato che la donna versasse  in  errore  anche
relativamente all'esistenza di una valida via  di  fuga  dal  proprio
aguzzino, anche dopo che era riuscita a renderlo inoffensivo  con  il
sonnifero. Secondo il consulente e il perito della Corte, infatti, la
B., vistasi in trappola al rientro del marito e con la certezza  che,
ove fosse fuggita, avrebbe posto  in  pericolo  anche  chi  la  stava
aiutando,  non  si  e'  in  alcun  modo   prefigurata   la   concreta
possibilita'  di  fuggire  per  porsi  in   salvo;   inoltre,   anche
l'impossibilita' di sottoporre il marito a un TSO e la mancata pronta
risposta delle Forze dell'ordine quel  pomeriggio  hanno  sicuramente
contribuito  a  radicare  nell'imputata  il  convincimento  che   non
esistesse alcuna reale alternativa di fuga. 
    Tuttavia, a giudizio della Corte di primo grado, l'errore in  cui
e' incorsa l'imputata e' alla stessa addebitabile a titolo di  colpa,
consistita nell'affrettata ed eccessiva valutazione  da  parte  della
stessa delle circostanze  relative  alla  situazione  di  pericolo  e
all'inesistenza di una via di fuga. Ella infatti, con precipitazione,
consistita nel decidere che  quella  sera  avrebbe  dovuto  risolvere
l'intera  situazione  di  pericolo,  e  imprudenza,   nel   calcolare
l'entita' del pericolo stesso e gli alternativi mezzi di salvezza, ha
errato colposamente nella valutazione della sussistenza dei requisiti
della scriminante in parola. 
    Osserva  la  Corte  di  primo  grado   che   tale   ricostruzione
ermeneutica trova  pieno  avallo  nella  politica  criminale  portata
avanti dal legislatore con le riforme in materia di legittima  difesa
domiciliare, laddove si valorizza la situazione di «grave turbamento»
dell'agente,  e  tutela  delle  donne   vittime   di   maltrattamento
all'interno delle mura domestiche. 
    Osserva  altresi'  la  Corte  che,  in  assenza  della  causa  di
giustificazione della  legittima  difesa  putativa,  la  pena  minima
prevista per l'autore dell'omicidio del coniuge sarebbe di  anni  21,
non  potendo  si  operare  alcuna  diminuzione  per  le   circostanze
attenuanti, e cio' anche quando ad essere imputata sia la vittima del
maltrattamento e non il carnefice. 
    Quanto alla capacita' di intendere e di volere, la Corte di primo
grado, preso atto delle considerazioni del  perito,  ritiene  sia  da
escludere l'ipotesi di un disturbo psicotico  breve,  mancandone  sia
gli elementi fenomenologici sia quelli temporali, sicche'  l'imputata
deve ritenersi soggetto pienamente capace di intendere e di volere al
momento del fatto. 
    Viene ritenuta congrua la pena di anni 5 di  reclusione,  ridotta
per le attenuanti generiche ad anni 4 mesi 10 di reclusione; 
        1.2) avverso la sentenza propongono appello  il  p.m.  ed  il
difensore dell'imputata; 
          1.2.1) il p.m. chiede la riforma della sentenza  impugnata,
lamentando erronea applicazione della  legittima  difesa  putativa  e
manifesta inadeguatezza, per difetto, della pena inflitta. 
    Quanto al primo motivo, l'appellante  osserva  anzitutto  che  la
ricostruzione della Corte in punto scriminante pare determinata dalle
conseguenze sul trattamento sanzionatorio derivanti  dal  divieto  di
prevalenza  delle  attenuanti  sull'aggravante  privilegiata  di  cui
all'art. 577, 1  comma  n.  1  c.p.,  rilevando  che  le  scelte  non
condivise  del  legislatore  non  possono  essere  corrette  con   la
manipolazione  degli  istituti  del  diritto  penale,   ma   se   mai
intervenendo  sull'interpretazione  delle  norma  ovvero   sollevando
questione di costituzionalita'. 
    Cio' premesso, ritiene l'appellante che il racconto della  stessa
imputata su quanto accaduto dopo la  lettura  del  messaggio  che  il
marito aveva inviato  al  figlio  -  «io  ero  fuori  di  me  perche'
continuava a prendersela con mio figlio dicendo che era un fenomeno e
altre cose del genere, in casa avevo un boccettina di gocce  ...  che
prende mia madre come calmante la  sera  ...  nel  bicchiere  di  mio
marito ho versato tutto il flaconcino ce n'era un po' piu'  di  meta'
... dopo ... circa un quarto d'ora mio marito si e'  addormentato  su
una sedia fuori al balcone... io non sapevo cosa fare ma  sapevo  che
la situazione con mio marito non  era  piu'  tollerabile.  Ho  quindi
preso un laccio per scarpe  nella  cassettiera  dell'ingresso  io  ho
strangolato mio marito .... quando gli ho dato il sonnifero  gliel'ho
dato con la speranza di calmarlo,  non  so  dire  se  la  dose  fosse
letale, so pero' che quando l'ho visto li' sulla sedia non ho  capito
piu' niente e ho improvvisamente preso la decisione di  strangolarlo»
- esclude che sussistano  i  presupposti  di  fatto  della  legittima
difesa putativa, quali individuati dalla giurisprudenza della Suprema
Corte. 
    In particolare manca l'attualita' del pericolo, esclusa in radice
dalla procurata sedazione dell'uomo, che avrebbe consentito  alla  B.
di allontanarsi dall'abitazione coniugale,  cercando  rifugio  tra  i
parenti o richiedendo l'ingresso in  una  struttura  d'accoglienza  o
ancora rivolgendosi ai carabinieri  che  nello  stesso  giorno  erano
intervenuti a seguito della lite tra G. ed il padre. 
    Secondo  l'appellante,  l'imputata  deve  dunque  rispondere   di
omicidio volontario. 
    E' riconoscibile l'attenuante della provocazione per accumulo. 
    Ove si tenga conto delle dichiarazioni  dell'imputata,  alla  cui
condotta e' stata asseritamente volta la difesa e tutela  del  figlio
sono allora apprezzabili nella condotta  della  donna,  indottasi  al
delitto per preservare il figlio dalla violenza  paterna  in  regione
della raggiunta insopportabilita' dell'andamento in famiglia  causata
dalle manifestazioni della vittima, quei motivi di particolare valore
morale e sociale rilevanti ai sensi dell'art. 62 n. 1 c.p. 
    Osserva il p.m. che l'amore materno, la tutela dell'unico  figlio
dalle prevaricazioni paterne, il sacrificio  della  propria  liberta'
personale e della vita del coniuge malvagio per  preservare  la  vita
del  figlio  possono  essere  intesi  quali  valori  avvertiti  dalla
prevalente coscienza collettiva ed e' significativo,  in  fatto,  che
l'intera comunita' ove il nucleo familiare risiedeva si  sia  stretta
attorno a quella madre dolente,  come  risulta  dalla  documentazione
prodotta dalla difesa. 
    Sono altresi' riconoscibili le attenuanti generiche,  in  ragione
della condotta preprocessuale ed intraprocessuale dell'imputata. 
    L'appellante condivide le osservazioni della Corte  di  primo  di
grado sul trattamento  sanzionatorio  manifestamente  inadeguato  per
eccesso rispetto al fatto ed alla condotta dell'imputata,  stante  il
divieto di prevalenza delle attenuanti  diverse  da  quelle  previste
dagli articoli 62 n.  1,  89,  88  e  114  c.p.  sull'aggravante  del
rapporto di coniugio e rileva che, ove non siano praticabili  diverse
interpretazioni, la limitazione del bilanciamento delle circostanze e
la preclusione giudiziaria della valutazione del fatto  in  tutta  la
sua ampiezza circostanziale  appare  irragionevole  perche'  comporta
un'indebita parificazione, sotto il profilo sanzionatorio,  di  fatti
di disvalore essenzialmente diverso in ragione del diverso  grado  di
rimproverabilita'  soggettiva,  sicche'  non  resta  che   promuovere
incidente di costituzionalita'; 
          1.2.2) la difesa lamenta: 
1 -  la  mancata  esclusione  dell'elemento  soggettivo  della  colpa
rilevante ai sensi dell'art. 59, 4 comma c.p.; 
2 - la mancata assoluzione dell'imputata per vizio totale di mente; 
3 - l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio; 
        1.3)  all'odierna  udienza  le  parti  hanno  dichiarato   di
concordare sull'accoglimento  dei  motivi  d'appello  del  p.m.,  con
rinuncia della difesa ai motivi  fondanti  la  propria  impugnazione,
indicando la seguente determinazione della pena: 
          qualificato il fatto come omicidio volontario; 
          esclusa l'aggravante di  cui  all'art.  577  n.  2  c.p.  e
riconosciute le attenuanti di cui agli articoli 62 nn. 1 e 2,  62-bis
c.p. prevalenti rispetto all'aggravante del rapporto di coniugio; 
          pena base anni 21 di reclusione; 
          ridotta ex art. 62 n. 1 c.p. ad anni 14 di recl.; 
          ridotta ex art. 62 n. 2 c.p. ad anni 9 mesi 4 di recl.; 
          ulteriormente ridotta ex art. 62-bis c.p. a d anni 6 mesi 2
giorni 20 di recl.; 
        1.4) premesso che la richiesta  di  concordato  formulata  in
udienza e' da risi ammissibile, in ragione della data di proposizione
dell'atto  di  impugnazione,  reputa  la  Corte  che   l'istanza   di
concordato meriti accoglimento, ricorrendo i presupposti  applicativi
degli  istituti  giuridici  coinvolti  ed  essendo  la  pena  congrua
rispetto al fatto. 
    In particolare: 
        e'  corretta  la  qualificazione  del  fatto  come   omicidio
volontario e non e' ravvisabile la scriminante della legittima difesa
per le ragioni indicate nell'appello del p.m.; 
        e' corretta l'esclusione dell'aggravante di cui all'art.  577
n.  2  c.p.,  poiche',  secondo  quanto   emerso   dalla   consulenza
tossicologica, la quantita' di sonnifero  somministrato  non  sarebbe
stata sufficiente a cagionare la morte; 
        e' riconoscibile l'attenuante di cui all'art. 62 n.  1  c.p.,
per le ragioni indicate dal p.m. appellante, avendo l'imputata  agito
sotto  la  spinta   dell'amore   materno   ovvero   nell'intento   di
salvaguardare l'incolumita'  dell'unico  figlio,  messa  in  pericolo
dallo scontro fisico  tra  il  G.  ed  il  figlio  e  dal  successivo
comportamento del G., consistito nel cacciare il figlio di casa,  nel
manifestare l'irremovibilita' della propria decisione  nonostante  le
suppliche della moglie e  nel  proferire  nei  confronti  del  figlio
minacce di morte; 
        e' riconoscibile l'attenuante di cui all'art. 62 n.  2  c.p.,
ricorrendo l'ipotesi della provocazione cd «per accumulo»: l'imputata
ha agito in stato di ira, in conseguenza del  fatto  ingiusto  altrui
ovvero della condotta maltrattante del marito protrattasi nel  tempo,
culminata nel cacciare di casa l'unico figlio, manifestando anche nei
suoi confronti fermi propositi omicidiari (il rapporto di  causalita'
psicologica  tra  le  condotte  maltrattanti  del  G.,   e   l'azione
delittuosa posta in essere, emerge con chiarezza dalla  ricostruzione
cronologica  degli  accadimenti  e  dal   contesto   nel   quale   si
inquadravano, caratterizzato da una serie ripetuta nel tempo di  atti
contrari a norme  giuridiche  e  a  regole  primarie  di  convivenza,
idonei, sul piano  causale,  a  potenziare  per  accumulo  la  carica
afflittiva). 
    L'attenuante in questione puo' concorrere con l'attenuante di cui
all'art. 62 n. 1 c.p.,  aderendo  all'orientamento  giurisprudenziale
richiamato dal p.m. appellante, secondo  cui  lo  stesso  fatto  puo'
determinare, da una parte,  in  quanto  offensivo  di  un  sentimento
nobile ed  elevato,  motivi  di  spinta  all'azione  approvati  dalla
coscienza etica collettiva e, dall'altra,  in  quanto  ingiusto,  uno
stato d'ira con il conseguente  concorso  delle  attenuanti  previste
dagli articoli 62 n. 1 e 2 c.p.; 
        sono  riconoscibili  le  attenuanti  generiche,  valutati  il
comportamento   dell'imputata   successivo   al   reato,   consistito
nell'allertare immediatamente  le  forze  dell'ordine  ammettendo  la
propria  responsabilita',  lasciando  accanto  al  cadavere  i  lacci
utilizzati  per  lo  strangolamento,   si'   da   escludere   ipotesi
alternative sulla morte del marito,  l'ottima  condotta  processuale,
consistita nel rendere confessione avanti all'A. G. fornendo tutti  i
dettagli utili alla  ricostruzione  del  fatto  e  nell'agevolare  la
celerita' del dibattimento, consentendo all'acquisizione  degli  atti
del fascicolo del p.m., nonche' la vita anteatta totalmente immune da
precedenti penali e giudiziari. 
    La pena indicata dalle parti e' congrua rispetto al fatto,  quale
ricostruito nella sentenza di primo  grado  (ricostruzione  condivisa
dal p.m. appellante, il quale ne contesta soltanto la  qualificazione
giuridica), considerate  le  circostanze  del  fatto  sopradescritte,
ovvero l'essere l'imputata vittima di gravi maltrattamenti, la  quale
ha agito spinta dall'amore materno, sacrificando la propria  liberta'
personale pur di salvare l'incolumita' del figlio. 
    Rileva tuttavia la Corte che alla pena indicata  dalle  parti  si
perviene operando la massima  diminuzione  anche  in  relazione  alle
attenuanti di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., benche' l'art.
577 ultimo comma c.p. preveda che le attenuanti diverse da quelle  di
cui agli articoli 62 n. 1, 89, 98 e  114  c.p.,  non  possono  essere
ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti di cui all'art.  577,  1
comma n. 1, tra cui rientra il rapporto di coniugio tra la vittima  e
l'autore dell'omicidio, ricorrente nel caso di specie. 
    E'   noto   che,   secondo   il   piu'    recente    orientamento
giurisprudenziale  della  Corte  di  cassazione  «nel  concordato  in
appello le parti non sono vincolate a criteri di determinazione della
pena con la conseguenza che il giudice puo' sindacare  esclusivamente
la  congruita'  della  pena  finale  concordata  senza  che  rilevino
eventuali errori di calcolo nei passaggi intermedi» sicche'  «qualora
il giudice recepisca la pena indicata,  l'entita'  della  stessa  non
potra' piu' essere oggetto di contestazione, se non nel caso di  pena
illegale» (Cass. 23614/22). 
    Pacifico, dunque, che, anche in caso di  concordato,  il  giudice
d'appello e' tenuto a verificare se la pena indicata dalle parti  sia
«pena legale», alla luce dei criteri fissati nella recente  pronuncia
della Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. 877/2023). 
    Le Sezioni Unite hanno chiarito che pena  legale  e'  quella  del
genere e della specie predeterminati dal  legislatore,  comminata  da
una norma vigente al momento del fatto, determinata dal  giudice  nel
rispetto della cornice edittale; conseguentemente e'  pena  illegale,
«quella che si colloca al di fuori  del  sistema  sanzionatorio  come
delineato dal codice penale perche' e' diversa per genere per  specie
o per quantita' da quella positivamente prevista». 
    Quanto alle ipotesi di pena illegale per quantita', che e' quella
che rileva nel caso di specie, deve farsi riferimento sia alla misura
stabilita per ciascuna pena dagli articoli 23 e seguenti  del  codice
penale,  nonche',  a  fronte  del  concorso   di   piu'   circostanze
aggravanti, dagli articoli 65 e seguenti del codice  penale,  ed,  in
presenza del concorso di piu' reati, dagli articoli  71  e  seguenti,
dello stesso codice, sia ai limiti edittali minimi e massimi  fissati
in astratto da ciascuna norma penale incriminatrice. 
    La contestazione di circostanze, siano esse ad efficacia comune o
ad efficacia speciale o ad efficacia non proporzionale, incide  sulla
determinazione della pena in astratto  legale,  a  seconda  dei  casi
aumentando  o  diminuendo  la  pena  edittale  prevista  dalla  norma
incriminatrice. 
    Ne consegue che «in caso di concorso di circostanze eterogenee, a
prescindere dal concreto  esito  del  giudizio  di  bilanciamento,  i
valori estremi astratti che connotano la legalita' della pena,  entro
i quali il giudice puo' esercitare la sua  valutazione  discrezionale
concreta, sono rappresentati dal minimo della pena  prevista  per  la
fattispecie attenuata e  dal  massimo  della  pena  prevista  per  la
fattispecie  aggravata»,  sempre  nel  rispetto  dei  limiti  editali
previsti dagli articoli 23 e ss. per le diverse tipologie di  pene  e
dagli articoli 65 e ss. c.p. 
    Da qui il principio di diritto secondo cui «la pena determinata a
seguito dell'erronea applicazione del giudizio  di  comparazione  tra
circostanze eterogenee concorrenti e' illegale soltanto nel  caso  in
cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli articoli 23
e seguenti, 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i  limiti  edittali
previsti,  per  le  singole  fattispecie  di   reato,   dalle   norme
incriminatrici che si assumono violate, a nulla  rilevando  il  fatto
che i passaggi intermedi che portano alla  sua  determinazione  siano
computati in violazione di legge» (Cass. 877/23 cit.). 
    In applicazione di tale principio, nel caso  di  specie  la  pena
indicata  dalle  parti  deve  ritenersi  pena  illegale,  in   quanto
inferiore al minimo edittale previsto dalla legge per il  delitto  di
omicidio ai danni  del  coniuge,  in  caso  di  riconoscimento  delle
attenuanti di cui agli articoli 62 nn. 1 e 2, 62-bis c.p.. 
    Stante il divieto  di  prevalenza  delle  attenuanti  diverse  da
quelle di cui di cui agli articoli  62  n.  1,  98,  89  e  114  c.p.
sull'aggravante  del  rapporto  di  coniugio,  la  pena  minima,  pur
riconoscendo le tre attenuanti sopraindicate, e' pari ad anni  14  di
reclusione. 
    Una recente pronuncia della Suprema Corte  ha  chiarito  che  nel
caso in cui tra le circostanze attenuanti da portare in bilanciamento
ve ne siano una o piu' per le quali  il  divieto  di  prevalenza  non
opera, il giudizio di bilanciamento va  scisso  in  piu'  momenti  ed
operato  in  modo  differenziato,  nel  senso  che   dapprima   vanno
considerate le attenuanti  soggette  al  divieto  di  prevalenza  che
neutralizzano l'aumento di pena per  l'aggravante,  poi,  sulla  pena
cosi'  ottenuta,  va  apportata  la  diminuzione  di  pena   per   la
circostanza attenuante non soggetta a divieto  di  prevalenza  (Cass.
42568/22; principio espresso con riferimento al concorso tra recidiva
reiterata, attenuante del  vizio  parziale  di  mente  ed  attenuanti
generiche). 
    Quindi, nel caso di specie, le  riconosciute  attenuanti  di  cui
agli articoli 62 n. 2 e 62-bis c.p., per le quali opera il divieto di
prevalenza, elidono l'aggravante del rapporto di coniugio, sicche' la
pena edittale a cui fare  riferimento  e'  quello  dell'omicidio  non
aggravato, ovvero da 21 a 24 anni di reclusione. 
    Determinata la pena base nel minimo edittale, ovvero anni  21  di
reclusione, va operata la diminuzione per l'attenuante di  motivi  di
particolare valore morale e sociale, per cui non opera il divieto  di
prevalenza, sicche' la pena minima e' di anni 14 di reclusione. 
    La diversa interpretazione prospettata dalle parti,  secondo  cui
il riconoscimento di una delle attenuanti non soggette a  divieto  di
prevalenza fa venir meno il divieto anche per le altre attenuanti che
ad esso sarebbero soggette, stante il carattere unitario del giudizio
di  bilanciamento,  non  puo'  essere  condivisa,   in   quanto   non
compatibile col tenore letterale dell'art. 577 ultimo comma c.p. 
    Tale interpretazione si fonda su principi statuiti dalla  Suprema
Corte in relazione a fattispecie in cui la legge prevede  un  divieto
di bilanciamento con le  aggravanti  per  le  attenuanti  diverse  da
quelle di cui agli articoli 98 e 114 c.p., disponendo che, in caso di
riconoscimento di dette attenuanti, le diminuzioni si  operano  sulle
quantita' di pena determinata tenendo conto delle aggravanti. 
    Trattasi all'evidenza di ipotesi diversa da  quella  che  qui  ci
occupa, in quanto la previsione normativa, caratterizzata un  divieto
assoluto  di  bilanciamento  delle  circostanze  diverse  da   quelle
riguardanti l'infermita' di mente  o  la  minima  partecipazione  che
operano in  diminuzione  sulla  pena  per  il  reato  aggravato,  non
consente  soluzioni  alternative  ad  un  giudizio   unitario   delle
circostanze attenuanti concorrenti: una volta elisa l'aggravante  per
effetto dell'attenuante non soggetta  a  divieto,  non  e'  possibile
operare la diminuzione per le altre attenuanti  sulla  pena  prevista
per il reato aggravato. 
    Da qui il principio espresso dalla Suprema Corte sulla necessita'
di un  giudizio  unitario,  «non  risultando  ipotizzabile  praticare
l'esclusione del giudizio di bilanciamento per talune  attenuanti  in
associazione alla formulazione dello stesso per le attenuanti di  cui
agli articoli 98  e  114  c.p.»  (cosi'  Cass.  33792/2015  sull'art.
590-bis c.p. previgente). 
    Ma nelle ipotesi in cui il  legislatore  per  talune  circostanze
limita il giudizio di bilanciamento  alla  sola  equivalenza,  e'  la
previsione  normativa  ad  impone  la  scissione  del   giudizio   di
bilanciamento,  agevolmente  praticabile,  in  caso  di  concorso  di
attenuanti eterogenee, operando la diminuzione per  l'attenuante  non
soggetta a divieto sulla pena prevista per il reato non aggravato. 
    Estendere a tali casi il principio invocato dalle parti,  secondo
cui in presenza di un'attenuante non soggetta a divieto verrebbe meno
il divieto di prevalenza  per  tutte  le  altre  attenuanti,  sarebbe
contrario al  dettato  normativo  che  preclude  la  possibilita'  di
operare diminuzioni di pena in relazione  ad  attenuanti  diverse  da
quelle espressamente indicate. 
    Ritiene, pertanto, la Corte, che nel caso  di  specie  alla  pena
concordata, reputata congrua  rispetto  al  fatto,  possa  pervenirsi
soltanto a seguito di un giudizio  di  prevalenza  di  tutte  le  tre
attenuanti sull'aggravante del rapporto di coniugio, allo  stato  non
consentito dal divieto di cui all'art. 577  ultimo  comma  c.p.  (ne'
opera il limite di cui all'art. 67, 1 comma  n.  1  c.p.,  attesa  la
prevalenza delle attenuanti sull'aggravante  che  determina  la  pena
dell'ergastolo). 
    Da  qui  la  rilevanza  della  questione   di   costituzionalita'
dell'art. 577 c.p. ultimo comma nella parte in  cui  prevede  che  le
circostanze di cui agli articoli 62 n. 2 e 62-bis  c.p.,  concorrenti
con le circostanze aggravanti di cui al primo comma n. 1, non possano
essere ritenute prevalenti rispetto a queste. 
    2) La non manifesta infondatezza della questione: 
        per cio' che riguarda la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' che si intende sollevare,  si  osserva
quanto segue: 
          2.1) in generale, la Corte costituzionale ha affermato  che
le deroghe al regime ordinario di bilanciamento tra circostanze  sono
costituzionalmente ammissibili e rientrano nell'ambito  delle  scelte
discrezionali del legislatore, ma sempre che  non  «trasmodino  nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017
e n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88  del  2019),  non
potendo in alcun caso giungere «a  determinare  un'alterazione  degli
equilibri  costituzionalmente  imposti  sulla  strutturazione   della
responsabilita' penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012). 
    Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di  illegittimita'
costituzionale  delle  norme  derogatorie  al  regime  ordinario   di
bilanciamento hanno riguardato «circostanze espressive  di  un  minor
disvalore  del  fatto  dal  punto  di  vista  della  sua   dimensione
offensiva», in quanto riferite  ad  attenuanti  a  effetto  speciale:
cosi' la  «lieve  entita'»  nel  delitto  di  produzione  e  traffico
illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la  «particolare
tenuita'» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014);  la
«minore gravita'» nel delitto di violenza sessuale (sentenza  n.  106
del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuita'»  nei  delitti
di bancarotta e ricorso abusivo  al  credito  (sentenza  n.  205  del
2017). 
    In un caso la dichiarazione di illegittimita' ha avuto ad oggetto
il divieto di prevalenza  di  una  circostanza  -  l'essersi  il  reo
adoperato per evitare che il delitto  di  produzione  e  traffico  di
stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori - diretta a premiare
l'imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74  del
2016). 
    Piu' recentemente l'esito di incostituzionalita' ha riguardato la
circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89
cod. pen., espressiva non gia' di una minore offensivita' del  fatto,
quanto  piuttosto  della   ridotta   rimproverabilita'   dell'autore,
derivante dal minor grado di discernimento (sentenza n. 73 del 2020). 
    In  epoca   ancora   piu'   recente,   la   Corte   ha   ritenuto
l'incostituzionalita' del  divieto  di  prevalenza  della  diminuente
prevista  dall'art.  116,   secondo   comma   c.p.   sulla   recidiva
qualificata, rilevando che tale divieto frustra irragionevolmente gli
effetti  che  l'attenuante  mira  ad  attuare,  compromettendone   la
necessaria funzione  di  riequilibrio  sanzionatorio,  posto  che  la
scelta del legislatore di sanzionare con  la  pena  prevista  per  un
delitto doloso il reo, al quale viene mosso un rimprovero  di  colpa,
trova un bilanciamento proprio nella previsione di cui all'art.  116,
secondo comma, cod. pen. (sentenza n. 55 del 2021). 
    Cio' premesso, ritiene questa Corte che  l'art.  577  c.p.  nella
parte in cui preclude il giudizio di prevalenza dell'aggravante della
provocazione rispetto all'aggravante  del  rapporto  di  coniugio  si
ponga in contrasto con l'art. 3, comma 1 Cost. e con l'art. 27, comma
3 Cost. 
    Come e' noto, il divieto di cui all'art. 577 ultimo comma c.p. e'
stato introdotto dall'art. 11, legge n. 69/2019 recante «Modifiche al
codice penale, al codice di procedura penale ed altre disposizioni in
materia di tutela delle vittime di violenza domestica e  di  genere»,
denominata «codice rosso». 
    Trattasi di normativa specificamente  mirata  alla  tutela  delle
vittime  di  violenza  in  ambito  familiare  o  comunque  legate  al
colpevole da una relazione affettiva: da qui l'ampliamento  dei  casi
di omicidio punibili con l'ergastolo, l'ampliamento delle  aggravanti
dell'omicidio che comportano una pena da 24 a 30 anni di reclusione e
l'introduzione del divieto di prevalenza delle attenuanti diverse  da
quelle di cui agli articoli 62 n. 1, 89, 98,  114  c.p.  in  caso  di
omicidio contro l'ascendente o del discendente, il  coniuge,  l'altra
parte  dell'unione  civile  o  comunque  contro  persona  stabilmente
convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva. 
    La ratio  dell'inasprimento  di  pena  risponde  all'esigenza  di
punire piu' severamente condotte agevolate dal  rapporto  di  fiducia
tra vittima e colpevole o comunque ritenute piu'  odiose  in  ragione
del legame tra la vittima ed il colpevole. 
    Ma la lettura unitaria delle  norme  introdotte  dalla  legge  n.
69/2019 rende evidente che le  modifiche  sostanziali  e  processuali
tendono  a  rafforzare  la  risposta  dell'ordinamento  ai   fenomeni
criminali caratterizzati dal collegamento tra l'azione omicidiaria ed
un rapporto di prevaricazione e di forza tra le parti della relazione
familiare o affettiva, si'  da  assicurare  tutela  alla  parte  piu'
vulnerabile. 
    Nel caso di specie ricorre la situazione diametralmente opposta a
quella che giustifica l'inasprimento sanzionatorio  introdotto  dalla
legge  n.  69/2019,  poiche'  il  colpevole   e'   la   vittima   dei
maltrattamenti, la cui  condotta  omicidiaria  e'  stata  determinata
dallo stato di esasperazione conseguente ai maltrattamenti, aggravato
dalla constatazione dell'esito infruttuoso della richiesta  di  aiuto
rivolta agli organi istituzionalmente deputati alla protezione  della
vittima medesima. 
    Si  rammenta  che  i  CC.  intervenuti  l'...,  a  fronte   delle
dichiarazioni rese dalla B. e dal figlio sul comportamento del  G.  e
pur preso atto dell'evidente stato di agitazione e della disperazione
manifestato dalla donna, secondo quanto  concordemente  riferito  dai
testi, si sono limitati a  rinviare  all'indomani  (l'...  cadeva  di
domenica)  la   verbalizzazione   della   denuncia,   escludendo   la
possibilita'  di   un   intervento   che,   nell'immediato,   potesse
scongiurare il pericolo di ulteriori aggressioni fisiche da parte del
G.. 
    Il  divieto  generalizzato  introdotto   dal   legislatore,   che
impedisce di calibrare la risposta sanzionatoria tenendo conto  delle
specifiche circostanze del fatto, nei casi  quale  quello  in  esame,
finisce con l'incidere negativamente sul  soggetto  vulnerabile  alla
cui tutela il divieto e' mirato. 
    Ne' puo'  ritenersi  ragionevole  la  valorizzazione  del  legame
familiare o affettivo tra la vittima e l'imputato, nei  casi  in  cui
sia la vittima a «tradire» detto legame imponendo all'altra parte  un
regime di vita insostenibile, si' da portarla all'esasperazione. 
    E' palese la minore rimproverabilita' della condotta  omicidiaria
posta in essere dal coniuge vittima dei maltrattamenti rispetto  alla
condotta omicidiaria posta in essere da chi  dei  maltrattamenti  sia
l'autore o comunque si avvalga di una posizione di forza rispetto  al
coniuge. 
    Da qui - secondo questa Corte - i profili di  incostituzionalita'
dell'art. 577 c.p. 
    Il  principio  di  proporzionalita'  della  pena  rispetto   alla
gravita' del reato, da tempo  affermato  dalla  Corte  costituzionale
sulla base di una lettura congiunta  degli  articoli  3  e  27  della
Costituzione, «esige che la pena sia adeguatamente calibrata non solo
al concreto contenuto di offensivita' del  fatto  di  reato  per  gli
interessi protetti ma anche  al  disvalore  soggettivo  espresso  dal
fatto medesimo. E il  quantum  di  disvalore  soggettivo  dipende  in
maniera determinante non solo dal contenuto della volonta'  criminosa
(dolosa o colposa) e dal grado del dolo e della colpa, ma anche della
eventuale  presenza  di  fattori  che  hanno  influito  sul  processo
motivazionale dell'autore  rendendolo  piu'  o  meno  rimproverabile»
(Corte cost. 73/2020). 
    Al fine di assicurare l'effettiva proporzionalita' della pena  si
richiede  dunque,  in  via  generale,  che   «al   minor   grado   di
rimproverabilita' soggettiva corrisponda una pena inferiore a  quella
che sarebbe applicabile a parita' di disvalore oggettivo  dal  fatto,
in modo da assicurare altresi' che la pena appaia una risposta  oltre
che non sproporzionata, il piu' possibile individualizzata  e  dunque
calibrata sulla situazione del singolo condannato in  attuazione  del
mandato costituzionale di personalita' della  responsabilita'  penale
di cui all'art. 27, primo  comma  Cost.»  (Corte  cost.  n.  222/2018
richiamata da Corte cost. n. 73/2020). 
    L'attenuante  della  provocazione,  riconoscibile  nel  caso   di
specie,  esprime  proprio  la  ridotta  rimproverabilita'  soggettiva
dell'autore, che  deriva  dall'avere  agito  sotto  l'effetto  di  un
impulso emotivo incontenibile che provoca la perdita  dei  poteri  di
autocontrollo, conseguente al comportamento ingiusto della vittima. 
    L'inderogabile divieto di prevalenza posto dall'art. 577 c.p. non
pare dunque compatibile con l'esigenza  di  rango  costituzionale  di
determinazione di una pena proporzionata e calibrata sulle condizioni
soggettive dell'imputato, esigenza che deve considerarsi espressiva -
secondo quanto ribadito dalla Corte  costituzionale  nella  sent.  n.
73/2020 che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 69, ultimo comma
c.p.  nella  parte  in  cui  prevede   il   divieto   di   prevalenza
dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. in caso di  concorso  con  la
recidiva di cui all'art. 99, 4 comma c.p.  -  di  «precisi  equilibri
costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita'
penale». 
    Tale divieto infatti non consente al  giudice  di  stabilire  nei
confronti del soggetto che  abbia  agito  in  particolari  condizioni
emotive incidenti sulla capacita' di autocontrollo attribuibili  alla
condotta della vittima, una pena  inferiore  a  quella  che  dovrebbe
essere inflitta per un reato di pari gravita' oggettiva  ma  commesso
da persona che abbia agito in condizioni  emotive  non  alterate  dal
comportamento ingiusto altrui. 
    Col che si verifica una indebita parificazione sotto  il  profilo
sanzionatorio  di  fatti  di  disvalore  essenzialmente  diverso,  in
ragione del diverso grado  di  rimproverabilita'  soggettiva  che  li
connota, con  un  risultato  che  la  Corte  costituzionale  ha  gia'
riconosciuto contrario  all'art.  3  Cost.,  nonche'  alla  finalita'
rieducativa ed all'esigenza di personalizzazione della  pena  di  cui
all'art. 27 Cost. (anche su questo punto v. Corte cost. n. 73/2020). 
    Nel caso di specie l'irragionevolezza di  tale  parificazione  e'
tanto piu' evidente se si considera che la limitazione  del  giudizio
di bilanciamento nei casi in cui il colpevole sia  la  vittima  della
violenza domestica e ad essa abbia reagito  in  modo  non  consentito
dall'ordinamento si pone in netto contrasto con  il  fine  di  tutela
delle vittime di violenza domestica, dichiaratamente  perseguito  dal
legislatore con la legge n. 69/2019 ed  a  a  cui  tende  il  divieto
introdotto dall'art. 577, 3 comma c.p. 
    Ne' rileva la natura di circostanza comune dell'attenuante  della
provocazione, considerato che, come  gia'  sottolineato  dalla  Corte
costituzionale con riferimento  all'attenuante  di  cui  all'art.  89
c.p., della stessa natura dell'attenuante di cui  all'art.  62  n.  2
c.p., l'entita' concreta della diminuzione dipende dall'entita' della
pena base, ben potendo tale diminuzione tradursi rispetto ai  delitti
piu' gravi, quale e' quello di specie, in vari anni di reclusione  in
meno; 
          2.2) ritiene  questa  Corte  che  le  considerazioni  sopra
svolte in merito alla contrarieta' ai principi costituzionali di  cui
agli articoli  3  e  27  Cost.  del  divieto  di  prevalenza  sancito
dall'art. 577, 3 comma c.p. possano valere anche con riferimento alle
attenuanti generiche concorrenti con  l'aggravante  di  cui  all'art.
577, 1 comma n. 1 c.p.. 
    Le circostanze attenuanti atipiche rappresentano uno strumento di
 individualizzazione della risposta sanzionatoria li' dove sussistano
- in positivo - elementi del fatto  o  della  personalita',  tali  da
rendere necessaria la  mitigazione,  non  previsti  espressamente  da
altra disposizione di legge. 
    Le Sezioni Unite  della  Suprema  Corte  nella  recente  sentenza
20808/2019 hanno ribadito  che  «le  attenuanti  generiche  hanno  la
funzione di  adeguare  la  pena  al  caso  concreto,  permettendo  la
valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non  tipizzati  ma
che appaiono in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di
pena», precisando che «la ragion d'essere della previsione  normativa
recata dall'art. 62-bis cod. pen. e' quella di consentire al  giudice
un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione
prevista  dalla  legge,  in  considerazione  di   peculiari   e   non
codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che  di
esso si e' reso responsabile (Cass., S.U. 20808/2019). 
    L'«individualizzazione»  della  pena,  in  modo  da  tener  conto
dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli  casi,
a cui mira  l'istituto  delle  attenuanti  generiche,  si  pone  come
naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali  tanto  di
ordine  generale  (principio   di   uguaglianza)   quanto   attinenti
direttamente alla materia penale. 
    L'adeguamento delle risposte  punitive  ai  casi  concreti  -  in
termini  di  uguaglianza  e/o  differenziazione  di   trattamento   -
contribuisce, da un lato, a rendere quanto piu' possibile «personale»
la responsabilita' penale, nella prospettiva  segnata  dall'art.  27,
primo  comma,  e  nello  stesso   tempo,   e'   strumento   per   una
determinazione della pena quanto piu' possibile  «finalizzata»  nella
prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    La preclusione introdotta dalla legge n. 69/2019, derogatoria  al
principio generale che governa la complessa  attivita'  commisurativa
della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione
della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo
finalisticamente  indirizzato  dall'art.  27,  terzo  comma,   Cost.,
diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo  dell'applicazione
delle circostanze (Corte cost. n. 183/2011), espropria il giudice del
potere di valutare adeguatamente le peculiarita' del caso concreto  e
pervenire cosi' alla definizione del trattamento  sanzionatorio  piu'
conforme alle esigenze di risocializzazione  e  di  rieducazione  del
reo. 
    Ne' i dubbi  di  costituzionalita'  possono  ritenersi  superati,
considerando che la preclusione limita solo parzialmente tale potere,
il  quale  continua  ad  avere  un  ampio  ambito  di   esplicazione,
attraverso la possibilita' di spaziare tra il  minimo  e  il  massimo
edittale,  con  l'integrazione  delle  diminuzioni   per   le   altre
circostanze eventualmente esistenti, poiche' in caso di reati  puniti
con pena elevata anche nel minimo, quale l'omicidio, l'impossibilita'
di  operare  la  diminuzione  conseguente  al  riconoscimento   delle
attenuanti puo' determinare in concreto (come avverrebbe nel caso  di
specie)  l'applicazione  di  una  pena  sproporzionata  per   eccesso
rispetto  al  fatto  ed  alla  personalita'   dell'imputato,   dunque
avvertita   come   ingiusta   dal   condannato    (oltreche'    dalla
collettivita')  vanificandone  la  finalita'   rieducativa   prevista
dall'art. 27, terzo comma, Cost. (v. Corte cost. n. 185/2015). 
    Inoltre l'impossibilita' di valorizzare in modo adeguato elementi
positivi emersi a favore dell'imputato,  univocamente  indicativi  di
ridotta capacita' a delinquere, quali il contesto in cui si inserisce
il fatto, il carattere dell'imputato medesimo, la vita  anteatta,  il
comportamento successivo al reato, determina una parificazione  della
risposta sanzionatoria in situazioni personali tra  loro  differenti,
irragionevole in  quanto  fondata  sulla  oggettiva  sussistenza  del
legame familiare tra vittima e colpevole, senza tenere conto dei casi
in cui detto  legame  e'  gravemente  compromesso  dal  comportamento
ingiusto della vittima che ha dato causa alla  condotta  omicidiaria;
col che viene a crearsi una  disparita'  ingiustificata  rispetto  al
trattamento riservato alla generalita' degli autori di reato. 
    Da  qui  il  contrasto  col  principio  di  uguaglianza   sancito
dall'art. 3 Cost. 
    In conclusione, quindi,  l'art.  577,  comma  3  c.p.  appare  in
contrasto con il principio di uguaglianza e di proporzionalita' della
sanzione penale: la pena che andrebbe irrogata  all'imputata,  stante
il divieto di prevalenza delle  circostanze  attenuanti  generiche  e
della provocazione, non assolverebbe ne' a una  funzione  rieducativa
del colpevole ne' a quella special-preventiva,  dal  momento  che  le
conferirebbe  una  pericolosita'  sociale   sproporzionata   rispetto
all'effettiva dinamica  della  condotta  omicida  ed  allo  stato  di
sofferenza in cui e' maturata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli  134  della  Costituzione,  23  ss.  legge  n.
87/1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata - in  relazione
agli articoli  3  e  27,  commi  1  e  3  Cost.  -  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 577, comma 3 c.p.  nella  parte
in cui impedisce il giudizio di prevalenza,  ai  sensi  dell'art.  69
c.p., delle circostanze  attenuanti  generiche  e  della  circostanza
attenuante della provocazione rispetto  alla  circostanza  aggravante
prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto
commesso contro il coniuge, dall'art. 577, comma 1 n.  1  del  codice
penale; 
    Sospende il giudizio sino all'esito del giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; 
    Dispone che la cancelleria trasmetta  alla  Corte  costituzionale
gli  atti  del  presente  giudizio,  con  la  prova  delle   avvenute
notificazioni e comunicazioni; 
    Manda alla cancelleria per quanto di competenza. 
        Torino, 10 maggio 2023 
 
                      Il Presidente: Domaneschi