N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2023

Ordinanza  del 20  giugno  2023  del  Tribunale   di   Cagliari   nel
procedimento civile promosso da Marcia Maria Bonaria contro  Istituto
nazionale per l'assicurazione con gli infortuni sul lavoro (INAIL). 
 
Patrocinio a spese dello  Stato  -  Spese  anticipate  dall'erario  -
  Regolazione delle spese secondo il criterio stabilito dall'art.  91
  c.p.c. - Vittoria della parte ammessa al patrocinio a  spese  dello
  Stato - Previsione che il giudice civile quantifica le somme dovute
  dal soccombente allo Stato secondo i criteri  ordinari,  in  misura
  piena e quindi superiore rispetto  a  quella  dei  compensi  dovuti
  dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt.  82
  e 130 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
- Decreto legislativo 30 maggio  2002,  n.  113  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di spese  di  giustizia),  art.  133,  come
  trasfuso nel decreto del  Presidente  della  Repubblica  30  maggio
  2002, n. 115. 
(GU n.39 del 27-9-2023 )
 
                        TRIBUNALE DI CAGLIARI 
 
 
                           Sezione lavoro 
 
    Il  Tribunale  di  Cagliari,  in  persona  del   dott.   Riccardo
Ponticelli, in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  all'esito  della
trattazione scritta disposta ai sensi dell'art. 127-ter del codice di
procedura civile, ha pronunciato la seguente  ordinanza  nella  causa
iscritta al n. 3331/2022 r.a.c.l., promossa da Marcia Maria  Bonaria,
elettivamente domiciliata in Cagliari,  presso  lo  studio  dell'avv.
Gianluca Piras, che la rappresenta e  difende  per  procura  speciale
(ricorrente) contro Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro (Inail), elettivamente domiciliato in  Cagliari,
presso gli uffici dell'avvocatura dell'Ente, rappresentato  e  difeso
dall'avv.  Giuliana   Murino   per   procura   generale   alle   liti
(resistente); 
 
                              In fatto 
 
    1. Con ricorso depositato  il  29  ottobre  2022,  Maria  Bonaria
Marcia  ha  agito  in  giudizio,  davanti  a  questo  Tribunale,  nei
confronti dell'Inail, per interporre opposizione tempestiva ai  sensi
dell'art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, avverso
la cartella n. 025 2022 00088234 20 000, pacificamente notificata l'8
ottobre 2022, emessa per la  riscossione  di  crediti  di  pertinenza
dell'Inail per euro 308,3 1. 
    Nel ricorso e' indicata anche l'Agenzia delle entrate Riscossione
come  «litisconsorte  necessaria»   (cosi'   testualmente),   benche'
pacificamente l'ente non  abbia  legittimazione  in  questo  giudizio
(cfr. Cassazione civ., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514), tanto che contro
di  esso  non  e'  proposta  alcuna  domanda,  nemmeno  in  punto  di
regolazione delle spese processuali. 
    Deve dunque ritenersi che la ricorrente abbia  inteso  rivolgersi
all'agente della  riscossione  a  meri  fini  di  denuntiatio  litis,
circostanza  che  rende  superfluo  accertare  l'effettuazione  della
notifica nei confronti di Agenzia delle entrate Riscossione. 
    L'Inail,   costituendosi    in    giudizio,    ha    dato    atto
dell'annullamento in autotutela della cartella  in  data  8  novembre
2022  ed  ha  concluso  domandando  al  Tribunale  di  accertare   la
cessazione della materia del contendere. 
    Anche la ricorrente, all'udienza del 25 gennaio 2023, ha concluso
per la declaratoria di cessazione della materia del contendere. 
    L'ultima udienza e' stata sostituita  con  il  deposito  di  note
scritte, ai sensi dell'art. 127-ter del codice di procedura civile  e
l'Inail ha depositato note nel termine assegnato. 
    Al Tribunale non resta che prendere atto  della  cessata  materia
del contendere e regolare le spese di lite. 
    Maria Bonaria Marcia e' stata ammessa al beneficio del patrocinio
a spese dello Stato per  delibera  del  Consiglio  dell'Ordine  degli
avvocati di Cagliari del 24 ottobre  2022,  prot.  n.  3812/2022  (in
copia in atti) e non vi sono ragioni per non confermare  l'ammissione
provvisoria disposta da quel Consiglio. 
    Il difensore della  parte  ammessa  ha  gia'  depositato,  il  23
gennaio  2023,  istanza  di  liquidazione  dei  compensi   a   carico
dell'Erario, calcolati con la dimidiazione prescritta  dall'art.  130
del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/ 2002. 
    Nel regolare, con sentenza, le spese processuali tra le parti  di
lite, non  vi  sarebbero  ragioni,  alla  luce  del  principio  della
soccombenza virtuale, per derogare alle previsioni dell'art.  91  del
codice di procedura civile 
    Quindi, il Tribunale dovrebbe condannare l'Inail  alla  rifusione
delle spese di lite in favore della  controparte,  avendo  l'Istituto
rinunciato  alla  pretesa  contributiva  in  corso  di  causa,  cosi'
rendendo evidenza della propria soccombenza. 
    Il provvedimento che pone a carico della  parte  soccombente  non
ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali  a  favore
della parte ammessa, dispone che il pagamento sia eseguito  a  favore
dello Stato, ai sensi dell'art.  133  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia  di  spese  di  giustizia,  in
seguito anche solo testo unico Spese di Giustizia o T.U.) 
    La  giurisprudenza  della  Suprema  Corte   ha   ormai   superato
l'orientamento in forza del quale «ove sia pronunziata condanna  alle
spese di giudizio a carico della controparte del soggetto ammesso  al
beneficio del patrocinio a spese dello Stato [...] la somma  che,  ai
sensi dell'art. 133 decreto legislativo n. 115 del 2002, va rifusa in
favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al
difensore del soggetto non abbiente» (cfr. Cassazione pen. , Sez. VI,
8 novembre 2011, n. 46537, richiamata anche da Corte  costituzionale,
ordinanza n. 270 del 19 novembre 2012; Cassazione civ., Sez. VI -  2,
ordinanza n. 18167 del  16  settembre  2016 -  Cassazione  21611  del
2017). 
    Costituisce  ormai  ius  receputum   l'interpretazione   opposta,
secondo cui «in tema di  patrocinio  a  spese  dello  Stato,  qualora
risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio,  il  giudice
civile, diversamente da quello penale, non e' tenuto  a  quantificare
in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato  ex  art.
133 del decreto del Presidente della Repubblica n.  115  del  2002  e
quelle dovute dallo Stato al difensore del  non  abbiente,  ai  sensi
degli articoli 82 e 130 del medesimo  decreto  del  Presidente  della
Repubblica,  alla  luce  delle  peculiarita'  che  caratterizzano  il
sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del
fatto che, in caso contrario, si verificherebbe  una  disapplicazione
del summenzionato art. 130. In  tal  modo,  si  evita  che  la  parte
soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli
altri soccombenti e  si  consente  allo  Stato,  tramite  l'eventuale
incasso di somme maggiori rispetto  a  quelle  liquidate  al  singolo
difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di  quanto
corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema  nella  sua
globalita'». 
    Il principio per ultimo riportato si trova affermato, obiter,  in
Cassazione civ., Sez. II, ordinanza n. 22017  in  data  11  settembre
2018, in un caso in  cui  si  discuteva,  peraltro,  dell'importo  da
liquidare in favore dell'avvocato della parte ammessa  al  beneficio,
con  decreto  dell'autorita'  giudiziaria,  ed  il  ragionamento  del
giudice   di   legittimita'   partiva    dall'affermazione,    invero
condivisibile, che se con la  sentenza  sono  liquidati  compensi  in
favore dell'Erario in misura non dimidiata, con il  separato  decreto
di liquidazione il giudice avrebbe dovuto comunque  applicare  l'art.
130 testo unico Spese di Giustizia,  e  ridurre  l'importo  dovuto  a
titolo di compenso in favore del difensore (infatti, la sentenza  non
ha efficacia nei  confronti  dell'avvocato  della  parte  ammessa  al
patrocinio a spese dello  Stato,  per  l'assorbente  ragione  che  lo
stesso non e' parte del giudizio);  incidentalmente,  poi,  la  Corte
aveva anche affermato che la  liquidazione  dei  compensi  in  misura
piena in sentenza sarebbe stata comunque conforme a diritto. 
    Successivamente  la  Cassazione  ha  avuto  modo  di  consolidare
l'orientamento inaugurato nel 2018  (Cassazione.  civ.,  Sez.  II,  3
gennaio 2020, n. 19; 8 gennaio 2020, n. 136; 19 gennaio 2021, n. 777)
e non piu' solo sotto forma di obiter (Cassazione. civ., Sez.- L,  26
marzo 2019, n. 8387; Cassazione civ., Sez. VI L, 3  maggio  2019,  n.
11590). 
    Il Tribunale si  confronta  quindi  con  una  disciplina  la  cui
interpretazione, nel senso sopra indicato, costituisce oramai diritto
vivente,  del  quale  si  deve  accertare  la  compatibilita'  con  i
parametri costituzionali di seguito evocati. 
    Il Tribunale ritiene  infatti  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  133  del  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  115/2002,  nella  parte  in  cui
stabilisce che, in caso regolazione delle spese secondo  il  criterio
stabilito dall'art. 91 del  codice  di  procedura  civile  e  qualora
risulti vittoriosa la parte  ammessa  al  patrocinio  a  spese  dello
Stato, il giudice civile quantifica le somme dovute  dal  soccombente
allo Stato secondo i criteri  ordinari,  in  misura  piena  e  quindi
superiore rispetto a  quella  dei  compensi  dovuti  dallo  Stato  al
difensore del non abbiente, ai sensi degli  articoli  82  e  130  del
medesimo decreto del Presidente della Repubblica. 
    Valga premettere quanto segue. 
    L'istituto  del  patrocinio  a  spese  dello  Stato   era   stato
introdotto per la prima volta in Italia con la legge n. 533 del 1973,
articoli da 11 a 16. 
    Il legislatore aveva inteso  dettare  un  particolare  regime  di
difesa gratuita in relazione alle cause in materia  di  lavoro  e  di
assicurazioni  sociali,  con   carattere   transitorio,   in   attesa
dell'approvazione di una nuova organica disciplina sulla  difesa  dei
non abbienti per ogni tipo di controversia. 
    Lo scopo era quello di superare, almeno nell'ambito  delle  cause
di lavoro e previdenza e assistenza  sociale,  i  limiti  riscontrati
dall'applicazione del regio decreto 30 dicembre 1923,  n.  3282,  sul
gratuito patrocinio, ritenuto ormai  inadeguato  rispetto  ai  valori
fondanti della Costituzione e  al  precetto  contenuto  all'art.  24,
comma 3, della stessa. 
    Il sistema delineato dal regio decreto n. 3282 cit. si incentrava
sulla  concezione  del  patrocinio  dei  non  abbienti  come  ufficio
onorifico ed  obbligatorio,  gratuitamente  assicurato  dalla  classe
forense, oltre che da tutti coloro (ad esempio, consulenti tecnici  e
notai) che fossero stati chiamati a  rendere  la  propria  opera  nel
processo. 
    Nonostante la gratuita' dell'opera prestata  in  favore  del  non
abbiente dal difensore, era previsto che in caso  di  vittoria  della
parte beneficiata quegli potesse  ripetere  i  propri  onorari  dalla
parte soccombente, nei limiti della soccombenza. 
    L'ammissione  al  gratuito  patrocinio  negli  affari  civili   -
prevedeva  l'art.  11  del  regio  decreto  n.  3282/1923  -  avrebbe
prodotto, tra i suoi effetti, il seguente: «la difesa gratuita per la
causa o per l'affare a riguardo del quale ebbe luogo l'ammissione  al
beneficio medesimo, salvo il diritto  di  ripetizione  degli  onorari
dalla parte contraria, condannata  nelle  spese  nelle  cause  civili
[...]». 
    Nel caso di condanna  alle  spese  della  parte  non  ammessa  al
gratuito patrocinio, questa sarebbe stata tenuta,  nei  limiti  della
propria  soccombenza,  al  pagamento  sia  degli  onorari   e   delle
competenze al difensore dell'ammesso  al  gratuito  patrocinio,  sia,
direttamente verso l'Erario, delle spese prenotate  a  debito  (cosi'
recitava l'art. 35 del regio decreto n. 3282/1923: «La condanna nelle
spese contro la parte avversa  a  quella  ammessa  al  beneficio  dei
poveri,  va  a  favore  dell'erario  dello  Stato,  che  ne   curera'
direttamente il rimborso. Laddove pero' il  medesimo  non  venga  per
questo modo rimborsato e la vittoria della causa  o  la  composizione
della lite abbia messa la parte difesa  col  beneficio  del  gratuito
patrocinio in condizione di poter restituire  le  spese  erogate  per
essa,  questa  sara'  nel  dovere  di  adempiere  a   tale   rivalsa.
Nell'attribuzione delle spese all'erario dello Stato,  menzionata  di
sopra, non entrano gli onorari dei difensori, i quali  vanno  a  loro
particolare beneficio»). 
    L'effetto di tale condanna sarebbe stato quello di costituire  il
soccombente debitore delle spese verso l'Erario e degli onorari verso
il difensore della parte non abbiente. 
    Addirittura, la norma era comunemente interpretata nel senso  che
il  diritto  del  difensore  sarebbe  sorto  anche   senza   espressa
previsione di distrazione. 
    Il difensore avrebbe  quindi  potuto  mettere  in  esecuzione  la
sentenza,  per  la  parte  relativa  alla  liquidazione  delle  spese
processuali a carico del soccombente, per conto proprio. 
    In alternativa, avrebbe  potuto  richiedere,  ex  art.  40  regio
decreto n. 3282, cit., l'iscrizione dei propri onorari e  dei  propri
diritti nel registro delle spese a debito, in modo  da  ottenerne  la
riscossione nel modo stabilito per le spese prenotate a debito. 
    Con il diverso sistema  inaugurato  nel  1973,  la  novita'  piu'
saliente era rappresentata dall'assunzione da parte  dello  Stato  di
una serie di spese attinenti il processo e del pagamento dei  diritti
e degli onorari del difensore, da  liquidarsi  con  il  provvedimento
definitivo del giudizio, sulla base delle tariffe professionali  (per
una ampia illustrazione di quella disciplina, Cassazione  civ.,  Sez.
L, 16 giugno 1979, n. 3406). 
    Il «salto di qualita'», rispetto alla disciplina  previgente,  si
coglieva in particolare dall'art. 14 della legge n. 533/1973, a mente
del quale: «L'ammissione al patrocinio a spese dello  Stato  comporta
la difesa gratuita per la causa  in  ordine  alla  quale  ebbe  luogo
l'ammissione al patrocinio medesimo, salvo  il  diritto  dello  Stato
alla ripetizione degli onorari della parte contraria non  ammessa  al
patrocinio a carico dello Stato e condannata alle spese con  sentenza
passata in giudicato. 
    Sono anticipate da parte  dello  Stato  le  spese  effettivamente
sostenute da difensori, consulenti tecnici o periti anche  di  parte,
ausiliari del  giudice,  notai  e  pubblici  funzionari  che  abbiano
all'uopo prestato la propria opera, nonche'  le  spese  e  indennita'
necessarie per la audizione di testimoni;  ed  annotati  a  debito  i
diritti, le competenze, gli  onorari  anche  per  vacazioni  ad  essi
spettanti, con liquidazione da effettuarsi, in osservanza delle leggi
e tariffe professionali, dal giudice con il provvedimento che  decide
la causa». 
    Il primo comma dell'art. 14 cit. rievoca il  contenuto  dell'art.
11, n. 1, del regio decreto n. 3282/1923, ma diversamente dal sistema
delineato dal regio decreto n. 3282/1923, la gratuita' della  difesa,
secondo la legge n. 533/1973, non avrebbe significato  piu',  per  la
classe forense, gratuita' della prestazione, posto che  del  compenso
se ne sarebbe fatto carico lo Stato. 
    E il diritto di «ripetizione» degli onorari dalla parte contraria
non ammessa al patrocinio a carico  dello  Stato  e  condannata  alle
spese con sentenza sorgeva cosi' non piu' in  favore  del  difensore,
bensi' direttamente in favore dell'Erario (cfr. Cassazione civ., Sez.
L, 22 gennaio 1981, n. 530). 
    Tanto nel sistema del gratuito patrocinio, quanto in  quello  sul
patrocinio a spese  dello  Stato  transitoriamente  inaugurato  dalla
legge n. 533/1973 per  un  settore  limitato  di  affari  civili,  il
compenso spettante al difensore della parte non  abbiente  (meramente
eventuale, nel sistema del 1923, certo, almeno in  termini  astratti,
in quello del 1973) sarebbe coinciso con l'importo liquidato  con  la
sentenza definitiva del giudizio. 
    Con la legge 30 luglio  1990,  n.  217,  era  stata  dettata  una
normativa istitutiva del patrocinio a spese dello  Stato  per  i  non
abbienti nel procedimento penale ovvero penale militare per la difesa
del cittadino  non  abbiente,  imputato,  persona  offesa  da  reato,
danneggiato inteso a costituirsi parte  civile,  responsabile  civile
ovvero civilmente obbligato per  la  pena  pecuniaria  e  ancora  nei
procedimenti civili relativamente all'esercizio  dell'azione  per  il
risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato (art.  1,
con  ivi   ulteriori   delimitazioni   e   precisazioni   dell'ambito
applicativo). 
    La legge 29 marzo 2001,  n.  134,  modificando  profondamente  il
tessuto della legge n. 217/1990,  l'aveva  trasformata  in  un  testo
destinato a contenere la disciplina generale del patrocinio  dei  non
abbienti,  nel  processo  penale,  civile  ed   amministrativo,   con
contestuale abrogazione della legge sul  gratuito  patrocinio  (regio
decreto n. 3282/1923) e delle norme  sul  patrocinio  a  spese  dello
Stato  nei  processi  del  lavoro  e  in  materia  di  previdenza  ed
assistenza sociale (articoli da 11 a 16 della legge 1973 n. 533). 
    Nel nuovo sistema sopravvivevano previsioni che gia' erano  state
introdotte nel 1973, come quella contenuta all'art. 15-sexies,  comma
2, a mente del quale l'ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato
produce tra gli effetti: «a) la difesa a carico dello  Stato  per  la
causa o per l'affare riguardo  ai  quali  ha  luogo  l'ammissione  al
beneficio medesimo, salvo il diritto  di  ripetizione  degli  onorari
dalla parte contraria, condannata nelle spese nelle  cause  civili  e
nelle cause penali nelle quali vi sia  stata  costituzione  di  parte
civile». 
    Si colgono pero' anche importanti elementi  di  novita'  rispetto
alla disciplina antesignana del 1973: ad esempio, la liquidazione dei
compensi del difensore della parte ammessa al beneficio non  avveniva
piu' con la sentenza definitiva del giudizio ma con separato decreto;
gli stessi compensi del difensore non erano piu' sic  et  simpliciter
quantificati in base alle tariffe professionali vigenti, ma  partendo
dalle stesse, tenuto conto della natura dell'impegno professionale in
relazione all'incidenza degli atti assunti  rispetto  alla  posizione
processuale del soggetto  difeso,  in  modo  che  in  ogni  caso  non
risultassero superiori ai valori  medi  delle  tariffe  professionali
ridotti della meta' (art. 15-quattuordecies»). 
    V'era poi una previsione che sembra invece ricalcare il contenuto
di altra che figurava nel vecchio regio decreto  n.  3282/1923,  art.
40: si tratta  dell'art.  15-septies,  ove  si  legge:  «Nelle  cause
riguardanti persone ammesse al patrocinio a spese  dello  Stato,  gli
onorari e le indennita' dovuti  all'avvocato  sono,  a  sua  domanda,
iscritti nel registro delle  spese  a  debito  e  riscossi  nel  modo
stabilito per le spese stesse, anche nel caso  di  transazione  della
lite». 
    Con scarso coordinamento con l'art. 15-sexies, comma  2,  lettera
a, sopra trascritto, l'art. 15-sexiesdecies prevedeva poi: 
      «1. Il provvedimento che condanna  la  parte  soccombente  alla
rifusione degli oneri  e  delle  spese  processuali  dispone  che  il
relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato  quando  l'altra
parte sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 
      2. Lo Stato cura direttamente il rimborso delle spese di cui al
comma 1. Laddove esso non venga tuttavia in tale modo rimborsato e la
vittoria della causa o la composizione  della  lite  abbia  messo  la
parte ammessa al patrocinio a spese  dello  Stato  in  condizione  di
potere restituire  le  spese  erogate  in  suo  favore,  questa  deve
adempiere a tale rivalsa. 
      3. In caso di ammissione al patrocinio a spese  parzialmente  a
carico dello Stato, la rivalsa in favore dello Stato di cui al  comma
2 e' effettuata nella misura percentuale corrispondente. 
    4. Nell'attribuzione delle spese all'erario dello Stato di cui ai
commi da 1 a 3 non rientrano gli onorari e le  indennita'  dovuti  al
difensore» (1) . 
    Dunque, diversamente rispetto al passato, con  la  condanna  alla
rifusione delle spese processuali della parte soccombente diversa  da
quella ammessa al beneficio,  il  giudice  avrebbe  disposto  che  il
pagamento avvenisse in favore dello Stato, escludendo peraltro  dalla
liquidazione gli onorari e le indennita' dovuti al difensore, che  lo
Stato avrebbe si' recuperato, ma  con  il  diverso  sistema  previsto
dall'art. 43 disposizioni  di  attuazione  del  codice  di  procedura
civile (implicitamente richiamato dall'art. 15-septies della legge n.
217/1990, come introdotto dalla legge n. 134/2001). 
    Cio' che peraltro si coglie dalla disciplina  appena  ricostruita
e' che, nell'intenzione del legislatore, lo Stato avrebbe  recuperato
dalla parte soccombente diversa da quella non  abbiente  gli  importi
dovuti al difensore della parte beneficiaria del patrocinio  gratuito
e non anche somme maggiori. 
    Soltanto con il decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  di   spese   di
giustizia),  come  riprodotto  nel  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), l'art.
133, nel prevedere che «il provvedimento  che  pone  a  carico  della
parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle  spese
processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia
eseguito a favore dello Stato», stabilisce per  la  prima  volta  una
norma che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza della  Suprema
Corte (di cui sopra  si  e'  dato  conto),  consente  allo  Stato  di
recuperare dalla parte soccombente il valore dei compensi di avvocato
liquidabile secondo i criteri ordinari, ossia quelli oggi fissati dal
decreto ministeriale n. 55/2014  per  le  liquidazioni  giudiziali  a
carico del soccombente, come se la parte vincitrice non fosse ammessa
al patrocinio, senza piu' il limite della coincidenza di detto valore
con quello dei compensi  anticipati  dall'Erario  all'avvocato  della
parte gratuitamente difesa. 
    Quindi, fuori dei  casi  previsti  dall'art.  92  del  codice  di
procedura civile, laddove risulti vittoriosa la parte  che  beneficia
del  patrocinio  a  spese  dello  Stato  e  il  giudice  condanni  il
soccombente alla rifusione delle spese di lite, lo  Stato  riceve  da
questo somme maggiori rispetto a quelle che anticipa al difensore del
non abbiente per compensi di avvocato. 
    a) La normativa contenuta all'art. 133 del decreto legislativo n.
113/2022, come riprodotto, sotto la stessa numerazione,  dal  decreto
del Presidente della Repubblica n.  115/2002,  viola  ad  avviso  del
Tribunale l'art. 76 della Costituzione, per  eccesso  di  delega  per
rapporto all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50  (Delegificazione
e testi unici di  norme  concernenti  procedimenti  amministrativi  -
legge di semplificazione 1998), come  modificato  dall'art.  1  della
legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per  la  delegificazione
di norme e per la semplificazione di  procedimenti  amministrativi  -
legge di semplificazione 1999). 
    Infatti l'art. 133 cit. attribuisce al giudice della causa in cui
e' parte il non abbiente ammesso al patrocinio a spese  dello  Stato,
al momento della pronuncia del  provvedimento  decisorio  definitivo,
quando faccia applicazione  dell'art.  91  del  codice  di  procedura
civile, il potere/dovere di condannare la controparte soccombente  al
pagamento di compensi di avvocato, in favore dell'Erario,  in  misura
superiore  a  quella  suscettibile  di   essere   liquidata   (ovvero
contestualmente liquidata, ex art. 83, comma 3-bis, T.U.)  in  favore
del difensore del non abbiente, con separato decreto, in applicazione
degli articoli 82 e 130 del T.U. 
    In tal modo si assegna un vantaggio economico ingiustificato allo
Stato, il quale acquista il diritto di percepire importi superiori al
pregiudizio/depauperamento  patrimoniale  connesso  all'anticipazione
degli onorari del difensore del non abbiente, senza copertura di  una
siffatta previsione nella legge di delega. 
    Il Governo, nell'esercizio  della  delega  contenuta  all'art.  7
della legge 8 marzo 1999, n. 50, ha ecceduto i limiti stabiliti dalla
legge. 
    E' stato a tal riguardo osservato che il testo unico sulle  spese
di Giustizia (decreto del Presidente  della  Repubblica n.  115/2002)
rientra tra quelli diretti al  riordino  e  all'armonizzazione  delle
norme legislative e regolamentari nelle materie elencate dalle  leggi
annuali di semplificazione,  secondo  quanto  previsto  dall'art.  7,
comma  1,  lettera  b),   della   legge   di   delega   (cfr.   Corte
costituzionale, sentenza n. 174 del 2005). 
    Ai fini che qui interessano, la materia delle spese di  giustizia
e'  prevista  dalla  stessa  legge  n.  50  del  1999,   precisamente
nell'allegato 1, numeri 9, 10 e 11. 
    Per tutti i testi unici della specie  suddetta,  i  criteri  e  i
principi direttivi sono individuati nell'elenco  del  comma  2  dello
stesso art. 7, come modificato dall'art. 1 della  legge  24  novembre
2000, n. 340, anche mediante il rinvio ai criteri  fissati  dall'art.
20 della legge n. 59 del 1997. 
    Il legislatore delegante ha fissato i limiti  di  intervento  del
Governo nell'effettuazione dell'opera di  riordino  e  armonizzazione
della disciplina esistente attraverso criteri direttivi finalizzati a
tale obiettivo, non occorrendo criteri direttivi di merito  specifici
per ciascuna materia delegata. 
    La Corte costituzionale ha gia' affermato  che  il  coordinamento
puo' essere non solo formale se l'obiettivo e',  come  nella  specie,
quello della coerenza logica e sistematica della normativa riordinata
(Corte costituzionale, sentenze n. 52 e 53 del 2005). 
    Nel riordinare la materia di interesse, il  legislatore  delegato
ha quindi la possibilita', entro certi limiti, di innovare il sistema
normativo, in funzione degli obiettivi assegnatigli. 
    L'art. 76 della Costituzione «non osta  all'emanazione  di  norme
che rappresentino un coerente sviluppo  e,  se  del  caso,  anche  un
completamento delle scelte espresse  dal  legislatore  delegante;  va
escluso, infatti, che le  funzioni  del  legislatore  delegato  siano
limitate ad una mera «scansione linguistica» delle previsioni dettate
dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le  situazioni
giuridiche da regolamentare e di effettuare  le  conseguenti  scelte,
nella fisiologica attivita' di "riempimento" che lega i  due  livelli
normativi, rispettivamente, della legge di delegazione  e  di  quella
delegata» (cosi', ex plurimis, sentenze n. 199 del 2003 e n. 308  del
2002). 
    Ad avviso di questo Giudice, l'intervento normativo  del  Governo
si e' spinto oltre il mandato assegnato dal legislatore delegante. 
    Come  sopra  si  e'  avuto  modo  di  osservare,  attraverso   la
ricostruzione diacronica dell'istituto del patrocinio a  spese  dello
Stato, prima del decreto legislativo n. 113/2002,  art.  133  (e  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002  in  cui  e'
trasfuso), mai era stato previsto dalla legge che  lo  Stato  potesse
recuperare dalla parte soccombente importi maggiori rispetto a quelli
anticipati per compensi all'avvocato del non abbiente. 
    Nel caso di specie, la scelta del legislatore delegato, in  forza
dell'art. 133 cit., di prevedere che l'Erario possa recuperare, dalla
parte soccombente  nel  giudizio  civile,  una  somma,  a  titolo  di
rifusione dei compensi di avvocato,  superiore  rispetto  alla  somma
anticipata o anticipabile, non si  spiega  con  nessuna  esigenza  di
coordinamento  e  semplificazione  della  disciplina  in  materia  di
patrocinio a spese dello Stato e addirittura finisce per snaturare la
funzione (indennitaria) propria  della  condanna  al  rimborso  delle
spese processuali descritta dall'art.  91  del  codice  di  procedura
civile. 
    Non e' infatti possibile affermare che il Governo, nell'esercizio
della delega conferita per effetto dell'art. 7 della  legge  8  marzo
1999, n. 50, abbia inteso semplicemente allineare  la  disciplina  in
materia di patrocinio a spese dello  Stato  e  di  anticipazione  dei
compensi di avvocato da parte dell'Erario a quella contenuta all'art.
91 del codice di procedura civile. 
    Benche' nel vigente ordinamento non sussista la  regola  per  cui
gli onorari che il cliente e' tenuto a pagare  al  proprio  avvocato,
per la difesa processuale, in base al rapporto di prestazione d'opera
professionale,  debbano  necessariamente  coincidere,  in   caso   di
vittoria della causa, con quelli che la parte soccombente e' tenuta a
rifondere alla controparte stessa, e' innegabile  che  il  fondamento
della condanna del soccombente alle spese  risiede  nell'esigenza  di
evitare una diminuzione patrimoniale alla parte vittoriosa  costretta
a svolgere attivita' processuale per  il  riconoscimento  di  un  suo
diritto e che il provvedimento di condanna debba  avere  ad  oggetto,
pertanto,  soltanto  le  spese  ripetibili,  suscettibili  di  essere
sopportate dalla parte (sul punto  e'  chiara  la  giurisprudenza  di
legittimita', quando esclude il diritto del contumace vittorioso alla
rifusione delle  spese  di  lite:  si  vedano  tra  le  piu'  recenti
Cassazione civ., Sez. III, 14 marzo 2023, n. 7361;  Cassazione  civ.,
Sez. VI - III, 19 giugno 2018,  n.  16174.  Anche  la  giurisprudenza
della Cassazione che si e' pronunciata in  materia  di  condanna  del
soccombente alla rifusione  dell'i.v.a.  relativa  all'importo  degli
onorari difensivi, quale accessorio delle spese processuali liquidate
in favore della parte vittoriosa del giudizio, seppur implicitamente,
si  basa  sulla  stessa  impostazione,  escludendo   che   la   parte
soccombente possa essere tenuta alla rifusione dell'i.v.a  quando  il
vincitore e' nelle  condizioni  di  portarla  in  detrazione  -  cfr.
Cassazione civ., Sez. I, 21 luglio 1988, n. 4720; Sez. II, 1°  aprile
1995, n. 3843, e successive). 
    Infatti,  se  la  regolamentazione  delle  spese   di   lite   e'
processualmente  accessoria  alla  pronuncia  del  giudice   che   la
definisce in quanto tale ed e' anche funzionalmente servente rispetto
alla  realizzazione  della  tutela   giurisdizionale   come   diritto
costituzionalmente garantito (art. 24 della  Costituzione)  e  se  il
«normale complemento» dell'accoglimento della domanda  e'  costituito
proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze  in  favore
della parte vittoriosa (Corte Costituzionale,  sentenze  n.  303  del
1986 e n. 77 del 2018), da cio' si deve  ricavare  che  una  condanna
alla rifusione di spese  di  lite  che  sicuramente  non  sono  state
anticipate o che sicuramente sono superiori al  valore  dei  compensi
anticipabili dalla parte vittoriosa (o per conto di essa,  nel  caso,
che qui interessa, del patrocinio a spese dello Stato) trascenderebbe
irragionevolmente e in maniera sproporzionata la finalita' perseguita
attraverso la  disciplina  ricavabile  dall'art.  91  del  codice  di
procedura civile 
    Inoltre, il fatto che possa non  esservi  corrispondenza  tra  la
misura dei compensi dovuti dal cliente al proprio avvocato  e  quella
degli onorari quantificati nella sentenza che condanna la controparte
alla rifusione delle spese processuali e'  giustificato  dal  diverso
fondamento dell'obbligo  di  pagamento  degli  onorari  che,  per  il
cliente, riposa nel contratto di prestazione d'opera e, per la  parte
soccombente, nel  principio  di  causalita'  (Cassazione  civ.,  Sez.
VI-II, 17 ottobre 2018, n. 25992). 
    Nel caso del patrocinio a spese dello  Stato,  tuttavia,  il  non
abbiente non ha alcun  potere  di  contrattazione  del  compenso  del
proprio difensore. 
    Piu' precisamente, l'ammissione  al  patrocinio  a  carico  dello
Stato esclude ogni rapporto d'incarico professionale tra la parte  in
favore della quale e' stato emesso il relativo  provvedimento  ed  il
difensore  nominato,  sia  in  caso  di  vittoria,  sia  in  caso  di
soccombenza, in quanto il rapporto si costituisce esclusivamente  tra
il difensore nominato e lo Stato (ex plurimis, Cassazione civ.,  Sez.
VI - II, 27 gennaio 2015, n. 1539) e neppure tra questi due  soggetti
esistono margini di autonomia per la negoziazione del  compenso,  che
viene  liquidato  dall'autorita'  giudiziaria  al  compimento   della
prestazione professionale e all'esito del  giudizio  (art.  83  testo
unico,  Spese  di   Giustizia)   sulla   base   di   criteri   legali
predeterminati (artt. 82 e 130 T.U.). 
    Ai sensi dell'art. 91 del codice di procedura civile gli  onorari
che il soccombente deve rimborsare alla parte vittoriosa della  causa
corrispondono al valore standard  di  mercato  (secondo  i  parametri
legali) della prestazione difensiva resa in favore  di  quest'ultima,
la quale  non  puo'  ambire  ad  ottenere  la  rifusione  di  importi
maggiori, non giustificati alla  luce  del  principio  di  causalita'
(cfr. Cassazione civ., Sez. I, 4 marzo 2016, n. 4269), salvo che cio'
non dipenda  da  fatti  contingenti  ed  estranei  al  pronunciamento
giudiziale (si pensi per esempio al caso in cui l'avvocato decida  di
non riscuotere i compensi dalla parte assistita, che pur abbia  vinto
il giudizio  e  abbia  ottenuto  la  condanna  del  soccombente  alla
rifusione in proprio favore delle spese processuali). 
    Nel caso di specie, invece, in forza della  previsione  contenuta
all'art. 133 testo  unico  Spese  di  Giustizia,  si  assiste  ad  un
ribaltamento del rapporto, nel senso che gli  onorari  liquidati  con
decreto  in  favore  del  difensore  del  non  abbiente,  ammesso  al
patrocinio  a  spese  dello  Stato,  anticipati   dall'Erario,   sono
inferiori al valore degli onorari ripetibili dell'Erario dalla  parte
soccombente, tenuta alla rifusione ai sensi dell'art. 91  del  codice
di procedura civile. 
    Se, infatti, in forza dell'art. 82, comma 1, testo  unico,  spese
di Giustizia, «l'onorario e le  spese  spettanti  al  difensore  sono
liquidati  dall'autorita'  giudiziaria  con  decreto  di   pagamento,
osservando la tariffa professionale in modo che, in  ogni  caso,  non
risultino  superiori  ai  valori  medi  delle  tariffe  professionali
vigenti relative ad onorari,  diritti  ed  indennita',  tenuto  conto
della natura dell'impegno professionale, in  relazione  all'incidenza
degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della  persona
difesa», e poi, ai sensi  dell'art.  130  dello  stesso  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  115/2002,  nel  processo  civile  gli
importi spettanti  al  difensore  sono  ulteriormente  ridotti  della
meta', questa opera di contenimento dei compensi (entro i medi) e  di
dimidiazione degli stessi  non  opera  allorquando,  in  applicazione
dell'art. 133 testo unico e fuori dai casi di compensazione  ex  art.
92  del  codice  di  procedura  civile.,  il  Giudice   condanni   il
soccombente  alla  rifusone  delle  spese   processuali   in   favore
dell'Erario, dovendo con sentenza quantificare i compensi  secondo  i
criteri  ordinari  (senza  piu'  il  limite  dei   valori   medi   e,
soprattutto, senza dimidiazione). 
    b) La normativa contenuta all'art. 133  del  decreto  legislativo
n,113/2022, come riprodotto, sotto la stessa numerazione, dal decreto
del Presidente della Repubblica n.  115/2002  viola,  ad  avviso  del
Tribunale, anche gli articoli 3, 23  e  53  e  111,  comma  2,  della
Costituzione,  perche'  il  potere  di  assegnare  allo  Stato  somme
maggiori rispetto a  quelle  dallo  stesso  anticipate  a  titolo  di
compensi   di   avvocato,   attribuito   all'autorita'    giudiziaria
nell'esercizio della funzione  giurisdizionale,  si  traduce  in  una
funzione impositiva di un obbligo di natura tributaria. 
    Da cio' consegue una inevitabile  confusione  tra  l'espletamento
della funzione giurisdizionale, che esige garanzie  di  terzieta'  ed
imparzialita' rispetto agli interessi in gioco (art.  111,  comma  2,
della  Costituzione),  e  l'espletamento  di  un  potere  prettamente
riferibile allo Stato Amministrazione, con conseguente perdita  della
posizione di terzieta' propria del giudice. 
    L'imposizione  a  carico  del  soccombente,  con  sentenza,   del
pagamento  di  somme  in  misura  superiore  all'importo   anticipato
dall'Erario a titolo di compensi di avvocato e' poi sganciata da ogni
verifica  sulla  capacita'  contributiva  del  soggetto  obbligato  e
conduce  anche  ad  una  ingiustificata  disparita'  di   trattamento
all'interno della categoria delle parti del processo civile,  poiche'
solo quelle soccombenti  e  non  beneficiarie  di  una  pronuncia  di
compensazione ex art. 92 del codice di procedura civile sono chiamate
a  contribuire  alla  spesa  generale  connessa  all'istituzione  del
patrocinio a spese dello Stato, con un prelievo speciale. 
    E'  convinzione  del  Tribunale  che  l'attribuzione  in   favore
dell'Erario di una  somma  corrispondente  al  valore  «pieno»  degli
onorari liquidabili per la difesa del  non  abbiente,  di  fronte  ad
un'anticipazione  limitata  ad  un  importo   senz'altro   inferiore,
costituisca (per la differenza) una imposizione avente natura non  di
tassa (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 102 del 2008), in quanto
il prelievo non e' collegato alla fruizione di un  servizio  pubblico
da  parte  del  soggetto  obbligato  (il  quale  non  e'  infatti  il
beneficiario della difesa gratuita per la  quale  e'  imposto  invece
l'esborso), ma di imposta, in quanto prelievo coattivo finalizzato al
concorso  alle  pubbliche  spese  (detta  finalizzazione   e'   stata
esplicitata dalla Corte di cassazione nelle sentenze,  sopra  citate,
con le quali viene  giustificata  la  liquidazione  degli  onorari  a
carico del soccombente, ai sensi dell'art. 133 testo unico, spese  di
Giustizia, in misura superiore a  quanto  anticipato  per  lo  stesso
titolo dallo Stato). 
    In base alla giurisprudenza della Corte costituzionale (si vedano
le sentenze n. 269 e n. 236 del 2017  e  la  n.  59  del  2018),  una
fattispecie deve ritenersi «di natura  tributaria,  indipendentemente
dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si  riscontrino
tre  indefettibili  requisiti:  la  disciplina  legale  deve   essere
diretta, in via prevalente, a procurare una  definitiva  decurtazione
patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non  deve
integrare una modifica di un  rapporto  sinallagmatico;  le  risorse,
connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla
suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche
spese». 
    Nel  caso  di  specie,  la  condanna  al  pagamento  delle  spese
processuali  della  parte  soccombente,  con  sentenza   passata   in
giudicato,  determina  senz'altro  una  definitiva  e   significativa
decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo. 
    La decurtazione non riguarda un rapporto sinallagmatico. 
    Le risorse recuperate, per la quota che eccede il  ristoro  delle
spese processuali anticipate dall'Erario  a  titolo  di  compensi  di
difesa della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese  dello
Stato, oltre a non inserirsi in un rapporto di  tipo  sinallagmatico,
non hanno alcuna funzione indennitaria e si giustificano, secondo  la
ormai consolidata e lineare giurisprudenza di legittimita'  formatasi
e consolidatasi a  partire  dal  2018  (di  cui  sopra  si  e'  fatta
menzione), con l'obiettivo di finanziare  in  generale  l'istituzione
del patrocinio per i non abbienti, in altre indistinte cause. 
    Il  prelievo  tributario  peraltro  finisce  per  gravare  su  un
soggetto selezionato non in ragione della capacita' contributiva,  ma
della soccombenza in causa. 
    E benche' sia noto che «il concetto di capacita' contributiva non
necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali  come
il patrimonio e il reddito,  potendo  rilevare  anche  altre  e  piu'
evolute forme di capacita', che ben possono denotare una forza o  una
potenzialita' economica» (Corte Costituzionale, sentenza n.  288  del
2019) e che «nella conformazione degli  istituti  processuali,  nella
quale rientra la disciplina delle spese del processo, il  legislatore
gode di ampia discrezionalita', con il solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza»  (cosi',  tra  le  tante,   Corte   costituzionale,
sentenza n. 268 del 2020), nel caso di  specie,  anche  adottando  la
nozione ampia di capacita' contributiva, non pare  che  questa  possa
estendersi  fino  a  cogliere  detto  requisito   nella   circostanza
meramente accidentale, costituita  dal  risparmio  di  spesa  da  cui
altrimenti il soccombente trarrebbe  giovamento,  per  essere  tenuto
alla rifusione di onorari  liquidati  in  misura  inferiore  rispetto
all'ordinario. Si tratta infatti di una  mera  ricaduta  pratica,  in
sede di applicazione della normativa sul  patrocinio  a  spese  dello
Stato,  in  relazione  all'esito  del  giudizio  che   conduce   alla
soccombenza nel confronto con la parte non  abbiente,  che  non  puo'
apprezzarsi  come  fatto  economico  espressivo   di   capacita'   di
contribuzione. 
    L'irragionevolezza di addossare un prelievo forzoso a carico  del
soccombente senza alcuna attinenza con la sua capacita' economica  e'
particolarmente evidente nei giudizi in cui siano parti solo  persone
fisiche ammesse al beneficio del  patrocinio  a  spese  dello  Stato,
nell'ambito dei quali e'  pur  sempre  consentita  la  condanna  alla
rifusione delle spese di lite anche della parte  ammessa  soccombente
in favore dell'altra risultata vittoriosa (Cassazione civ., Sez.  VI,
13 novembre 2020, n. 25653): l'imposta  (per  tale  intendendosi,  si
ripete, la condanna al pagamento di somme per  compensi  di  avvocato
per   la   misura   superiore   al   limite   di    cio'    che    e'
anticipato/anticipabile  dallo  Stato)  in  questo  caso   ricadrebbe
senz'altro su una parte che si trova in una condizione di  privazione
delle risorse economiche  necessarie  per  affrontare  la  difesa  in
giudizio e, quindi, priva di capacita' contributiva  suscettibile  di
giustificare il maggior prelievo. 
    Inoltre, l'imposizione di cui si discute  puo'  colpire  soltanto
alcuni soccombenti, escludendone altri, e cio' ove il giudice ravvisi
la presenza dei presupposti stabiliti  dall'art.  92  del  codice  di
procedura civile per la compensazione, parziale  o  integrale,  delle
spese processuali, senza alcuna attinenza, ancora una volta,  con  la
valutazione della capacita' contributiva del soggetto  obbligato  (e,
anzi,  la  compensazione  delle   spese   processuali   realizzerebbe
comunque, per il soccombente che ne fosse beneficiato,  un  risparmio
di spesa, che tuttavia non verrebbe considerato come  espressione  di
capacita' contributiva). 
    Non e'  dato  superare  i  profili  di  illegittimita'  segnalati
attraverso   la   strada   dell'interpretazione    costituzionalmente
orientata, che consente di evitare il  giudizio  davanti  alla  Corte
costituzionale  allorquando  all'operatore  sia  offerta   un'opzione
ermeneutica in armonia con il dettato costituzionale. 
    Nel caso di specie, lo strumento interpretativo non  permette  di
individuare alcuna soluzione rispettosa dei  principi  costituzionali
per i quali viene denunciata la violazione. 
    Come sopra evidenziato, l'evoluzione della  giurisprudenza  della
Suprema  Corte  di  cassazione,   depositaria   della   funzione   di
nomofilachia, rende evidenza di una esegesi ormai stabilizzata  della
norma, nel senso indicato, e qualsiasi  interpretazione  contraria  -
suscettibile di tradursi nella condanna del  soccombente,  in  favore
dello Stato, al rimborso  di  una  somma  a  titolo  di  compensi  di
avvocato  contenuta  nei  limiti  di  quanto  lo  Stato  anticipa  al
difensore della parte vincitrice ammessa al beneficio del  patrocinio
gratuito  -  sarebbe  verosimilmente  destinata  ad  essere   cassata
all'esito del giudizio di legittimita' (sul limite, rappresentato dal
diritto vivente, alla possibilita' di praticare  una  interpretazione
adeguatrice della norma, si richiama, tra le tante, la sentenza della
Corte costituzionale n. 125 del 2022). 
    Per le ragioni che precedono, non reputa questo giudice che possa
andare esente da dubbi di costituzionalita' l'art.  133  del  decreto
legislativo 30 maggio 2002, n. 113, come  trasfuso  nel  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  appare  altresi'
rilevante, giacche' senza una pronuncia di illegittimita' della norma
denunciata, la sua applicazione consentirebbe  all'Erario,  all'esito
di questo giudizio, di ottenere la liquidazione a carico della  parte
soccombente  (in  questo  caso  l'Inail  secondo  i  principi   della
soccombenza virtuale, avendo l'Istituto rinunciato in autotutela,  ma
solo in corso di causa,  alla  pretesa  creditoria  consacrata  nella
cartella impugnata) di una somma, a titolo di compensi  di  avvocato,
superiore rispetto a quella che lo Stato e' destinato  ad  anticipare
al  difensore  della  parte  non  abbiente  (la   parte   ricorrente,
vincitrice secondo il criterio della soccombenza virtuale). 
    Infatti, applicando in sentenza i parametri non superiori ai medi
per ciascuna fase, per le cause in materia di  previdenza  di  valore
compreso fino ad euro 1.100,00 in base a quanto stabilito dal decreto
ministeriale n. 55/2014, per  il  caso  di  pronuncia  a  carico  del
soccombente,  secondo  la  valutazione  che  ordinariamente  verrebbe
compiuta  (si  tratta  infatti  di  una  causa  di  complessita'  non
superiore alla media) si otterrebbe l'importo complessivo massimo  di
euro 678,00 (oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.), che  l'art.  133
testo unico, spese di Giustizia imporrebbe di  attribuire  in  misura
piena all'Erario; applicando gli stessi parametri, tenuto conto della
natura dell'impegno professionale e dell'incidenza degli atti assunti
rispetto alla posizione processuale della  ricorrente,  e  dimidiando
gli stessi per la meta', come  imposto  dall'art.  130  testo  unico,
spese di Giustizia, si otterrebbe l'importo massimo  di  euro  339,00
(oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.). 
    Il   presente   procedimento,   non   potendo   essere   definito
indipendentemente dalla  risoluzione  della  segnalata  questione  di
legittimita' costituzionale, deve essere, conseguentemente, sospeso. 

(1) 1 Lo scarso coordinamento tra le norme inserite  dalla  legge  n.
    134/2001 nel corpo della legge n.  217/1990  e'  stato  messo  in
    rilievo anche nella  relazione  illustrativa  che  accompagna  il
    testo unico Spese di Giustizia, nella nota in calce all'art. 131,
    ove si legge: «[ ... ] Relativamente al comma 4,  si  segnala:  -
    alla lettera a), per quanto  attiene  gli  avvocati,  al  momento
    della  liquidazione  paga  lo  Stato,  salvo   recupero.   Questa
    previsione, contenuta nella lettera a) dell'articolo  originario,
    e' stata ritenuta prevalente rispetto  a  quelle,  incompatibili,
    dettate dagli articoli 15-septies e art.  15-sexiesdecies,  comma
    4. La presenza di questi ultimi articoli, ripresi  dalla  vecchia
    disciplina, puo' spiegarsi con il difetto  di  coordinamento  dei
    nuovi principi con la disciplina preesistente.  Con  il  r.d  del
    1923, l'avvocato poteva agire direttamente - il che sempre faceva
    - o domandare l'iscrizione a debito, perche'  venisse  recuperato
    insieme alle altre  spese  (norma  desueta).  Ora  la  differenza
    fondamentale e' che e' pagato subito dall'erario [...]» 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale, visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87: 
      1. solleva, in quanto rilevante e non manifestamente infondata,
in relazione agli articoli 76, 3,  23,  53  e  111,  comma  2,  della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
133 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, come trasfuso nel
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115; 
      2. ordina la sospensione della presente causa; 
      3.  ordina  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale in Roma; 
      4.  ordina  la  notificazione  del  presente  provvedimento  al
Presidente del Consiglio dei ministri ed alle parti di causa; 
      5.  ordina  la  comunicazione  della  presente   ordinanza   ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
      6. manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
        Cagliari, 20 giugno 2023 
 
                       Il Giudice: Ponticelli