N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2023
Ordinanza del 20 giugno 2023 del Tribunale di Cagliari nel procedimento civile promosso da Marcia Maria Bonaria contro Istituto nazionale per l'assicurazione con gli infortuni sul lavoro (INAIL). Patrocinio a spese dello Stato - Spese anticipate dall'erario - Regolazione delle spese secondo il criterio stabilito dall'art. 91 c.p.c. - Vittoria della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato - Previsione che il giudice civile quantifica le somme dovute dal soccombente allo Stato secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del d.P.R. n. 115 del 2002. - Decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni in materia di spese di giustizia), art. 133, come trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.(GU n.39 del 27-9-2023 )
TRIBUNALE DI CAGLIARI Sezione lavoro Il Tribunale di Cagliari, in persona del dott. Riccardo Ponticelli, in funzione di giudice del lavoro, all'esito della trattazione scritta disposta ai sensi dell'art. 127-ter del codice di procedura civile, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 3331/2022 r.a.c.l., promossa da Marcia Maria Bonaria, elettivamente domiciliata in Cagliari, presso lo studio dell'avv. Gianluca Piras, che la rappresenta e difende per procura speciale (ricorrente) contro Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), elettivamente domiciliato in Cagliari, presso gli uffici dell'avvocatura dell'Ente, rappresentato e difeso dall'avv. Giuliana Murino per procura generale alle liti (resistente); In fatto 1. Con ricorso depositato il 29 ottobre 2022, Maria Bonaria Marcia ha agito in giudizio, davanti a questo Tribunale, nei confronti dell'Inail, per interporre opposizione tempestiva ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, avverso la cartella n. 025 2022 00088234 20 000, pacificamente notificata l'8 ottobre 2022, emessa per la riscossione di crediti di pertinenza dell'Inail per euro 308,3 1. Nel ricorso e' indicata anche l'Agenzia delle entrate Riscossione come «litisconsorte necessaria» (cosi' testualmente), benche' pacificamente l'ente non abbia legittimazione in questo giudizio (cfr. Cassazione civ., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514), tanto che contro di esso non e' proposta alcuna domanda, nemmeno in punto di regolazione delle spese processuali. Deve dunque ritenersi che la ricorrente abbia inteso rivolgersi all'agente della riscossione a meri fini di denuntiatio litis, circostanza che rende superfluo accertare l'effettuazione della notifica nei confronti di Agenzia delle entrate Riscossione. L'Inail, costituendosi in giudizio, ha dato atto dell'annullamento in autotutela della cartella in data 8 novembre 2022 ed ha concluso domandando al Tribunale di accertare la cessazione della materia del contendere. Anche la ricorrente, all'udienza del 25 gennaio 2023, ha concluso per la declaratoria di cessazione della materia del contendere. L'ultima udienza e' stata sostituita con il deposito di note scritte, ai sensi dell'art. 127-ter del codice di procedura civile e l'Inail ha depositato note nel termine assegnato. Al Tribunale non resta che prendere atto della cessata materia del contendere e regolare le spese di lite. Maria Bonaria Marcia e' stata ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per delibera del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Cagliari del 24 ottobre 2022, prot. n. 3812/2022 (in copia in atti) e non vi sono ragioni per non confermare l'ammissione provvisoria disposta da quel Consiglio. Il difensore della parte ammessa ha gia' depositato, il 23 gennaio 2023, istanza di liquidazione dei compensi a carico dell'Erario, calcolati con la dimidiazione prescritta dall'art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/ 2002. Nel regolare, con sentenza, le spese processuali tra le parti di lite, non vi sarebbero ragioni, alla luce del principio della soccombenza virtuale, per derogare alle previsioni dell'art. 91 del codice di procedura civile Quindi, il Tribunale dovrebbe condannare l'Inail alla rifusione delle spese di lite in favore della controparte, avendo l'Istituto rinunciato alla pretesa contributiva in corso di causa, cosi' rendendo evidenza della propria soccombenza. Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa, dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi dell'art. 133 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, in seguito anche solo testo unico Spese di Giustizia o T.U.) La giurisprudenza della Suprema Corte ha ormai superato l'orientamento in forza del quale «ove sia pronunziata condanna alle spese di giudizio a carico della controparte del soggetto ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato [...] la somma che, ai sensi dell'art. 133 decreto legislativo n. 115 del 2002, va rifusa in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore del soggetto non abbiente» (cfr. Cassazione pen. , Sez. VI, 8 novembre 2011, n. 46537, richiamata anche da Corte costituzionale, ordinanza n. 270 del 19 novembre 2012; Cassazione civ., Sez. VI - 2, ordinanza n. 18167 del 16 settembre 2016 - Cassazione 21611 del 2017). Costituisce ormai ius receputum l'interpretazione opposta, secondo cui «in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non e' tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli articoli 82 e 130 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, alla luce delle peculiarita' che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalita'». Il principio per ultimo riportato si trova affermato, obiter, in Cassazione civ., Sez. II, ordinanza n. 22017 in data 11 settembre 2018, in un caso in cui si discuteva, peraltro, dell'importo da liquidare in favore dell'avvocato della parte ammessa al beneficio, con decreto dell'autorita' giudiziaria, ed il ragionamento del giudice di legittimita' partiva dall'affermazione, invero condivisibile, che se con la sentenza sono liquidati compensi in favore dell'Erario in misura non dimidiata, con il separato decreto di liquidazione il giudice avrebbe dovuto comunque applicare l'art. 130 testo unico Spese di Giustizia, e ridurre l'importo dovuto a titolo di compenso in favore del difensore (infatti, la sentenza non ha efficacia nei confronti dell'avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per l'assorbente ragione che lo stesso non e' parte del giudizio); incidentalmente, poi, la Corte aveva anche affermato che la liquidazione dei compensi in misura piena in sentenza sarebbe stata comunque conforme a diritto. Successivamente la Cassazione ha avuto modo di consolidare l'orientamento inaugurato nel 2018 (Cassazione. civ., Sez. II, 3 gennaio 2020, n. 19; 8 gennaio 2020, n. 136; 19 gennaio 2021, n. 777) e non piu' solo sotto forma di obiter (Cassazione. civ., Sez.- L, 26 marzo 2019, n. 8387; Cassazione civ., Sez. VI L, 3 maggio 2019, n. 11590). Il Tribunale si confronta quindi con una disciplina la cui interpretazione, nel senso sopra indicato, costituisce oramai diritto vivente, del quale si deve accertare la compatibilita' con i parametri costituzionali di seguito evocati. Il Tribunale ritiene infatti non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 133 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, nella parte in cui stabilisce che, in caso regolazione delle spese secondo il criterio stabilito dall'art. 91 del codice di procedura civile e qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice civile quantifica le somme dovute dal soccombente allo Stato secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli articoli 82 e 130 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. Valga premettere quanto segue. L'istituto del patrocinio a spese dello Stato era stato introdotto per la prima volta in Italia con la legge n. 533 del 1973, articoli da 11 a 16. Il legislatore aveva inteso dettare un particolare regime di difesa gratuita in relazione alle cause in materia di lavoro e di assicurazioni sociali, con carattere transitorio, in attesa dell'approvazione di una nuova organica disciplina sulla difesa dei non abbienti per ogni tipo di controversia. Lo scopo era quello di superare, almeno nell'ambito delle cause di lavoro e previdenza e assistenza sociale, i limiti riscontrati dall'applicazione del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282, sul gratuito patrocinio, ritenuto ormai inadeguato rispetto ai valori fondanti della Costituzione e al precetto contenuto all'art. 24, comma 3, della stessa. Il sistema delineato dal regio decreto n. 3282 cit. si incentrava sulla concezione del patrocinio dei non abbienti come ufficio onorifico ed obbligatorio, gratuitamente assicurato dalla classe forense, oltre che da tutti coloro (ad esempio, consulenti tecnici e notai) che fossero stati chiamati a rendere la propria opera nel processo. Nonostante la gratuita' dell'opera prestata in favore del non abbiente dal difensore, era previsto che in caso di vittoria della parte beneficiata quegli potesse ripetere i propri onorari dalla parte soccombente, nei limiti della soccombenza. L'ammissione al gratuito patrocinio negli affari civili - prevedeva l'art. 11 del regio decreto n. 3282/1923 - avrebbe prodotto, tra i suoi effetti, il seguente: «la difesa gratuita per la causa o per l'affare a riguardo del quale ebbe luogo l'ammissione al beneficio medesimo, salvo il diritto di ripetizione degli onorari dalla parte contraria, condannata nelle spese nelle cause civili [...]». Nel caso di condanna alle spese della parte non ammessa al gratuito patrocinio, questa sarebbe stata tenuta, nei limiti della propria soccombenza, al pagamento sia degli onorari e delle competenze al difensore dell'ammesso al gratuito patrocinio, sia, direttamente verso l'Erario, delle spese prenotate a debito (cosi' recitava l'art. 35 del regio decreto n. 3282/1923: «La condanna nelle spese contro la parte avversa a quella ammessa al beneficio dei poveri, va a favore dell'erario dello Stato, che ne curera' direttamente il rimborso. Laddove pero' il medesimo non venga per questo modo rimborsato e la vittoria della causa o la composizione della lite abbia messa la parte difesa col beneficio del gratuito patrocinio in condizione di poter restituire le spese erogate per essa, questa sara' nel dovere di adempiere a tale rivalsa. Nell'attribuzione delle spese all'erario dello Stato, menzionata di sopra, non entrano gli onorari dei difensori, i quali vanno a loro particolare beneficio»). L'effetto di tale condanna sarebbe stato quello di costituire il soccombente debitore delle spese verso l'Erario e degli onorari verso il difensore della parte non abbiente. Addirittura, la norma era comunemente interpretata nel senso che il diritto del difensore sarebbe sorto anche senza espressa previsione di distrazione. Il difensore avrebbe quindi potuto mettere in esecuzione la sentenza, per la parte relativa alla liquidazione delle spese processuali a carico del soccombente, per conto proprio. In alternativa, avrebbe potuto richiedere, ex art. 40 regio decreto n. 3282, cit., l'iscrizione dei propri onorari e dei propri diritti nel registro delle spese a debito, in modo da ottenerne la riscossione nel modo stabilito per le spese prenotate a debito. Con il diverso sistema inaugurato nel 1973, la novita' piu' saliente era rappresentata dall'assunzione da parte dello Stato di una serie di spese attinenti il processo e del pagamento dei diritti e degli onorari del difensore, da liquidarsi con il provvedimento definitivo del giudizio, sulla base delle tariffe professionali (per una ampia illustrazione di quella disciplina, Cassazione civ., Sez. L, 16 giugno 1979, n. 3406). Il «salto di qualita'», rispetto alla disciplina previgente, si coglieva in particolare dall'art. 14 della legge n. 533/1973, a mente del quale: «L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta la difesa gratuita per la causa in ordine alla quale ebbe luogo l'ammissione al patrocinio medesimo, salvo il diritto dello Stato alla ripetizione degli onorari della parte contraria non ammessa al patrocinio a carico dello Stato e condannata alle spese con sentenza passata in giudicato. Sono anticipate da parte dello Stato le spese effettivamente sostenute da difensori, consulenti tecnici o periti anche di parte, ausiliari del giudice, notai e pubblici funzionari che abbiano all'uopo prestato la propria opera, nonche' le spese e indennita' necessarie per la audizione di testimoni; ed annotati a debito i diritti, le competenze, gli onorari anche per vacazioni ad essi spettanti, con liquidazione da effettuarsi, in osservanza delle leggi e tariffe professionali, dal giudice con il provvedimento che decide la causa». Il primo comma dell'art. 14 cit. rievoca il contenuto dell'art. 11, n. 1, del regio decreto n. 3282/1923, ma diversamente dal sistema delineato dal regio decreto n. 3282/1923, la gratuita' della difesa, secondo la legge n. 533/1973, non avrebbe significato piu', per la classe forense, gratuita' della prestazione, posto che del compenso se ne sarebbe fatto carico lo Stato. E il diritto di «ripetizione» degli onorari dalla parte contraria non ammessa al patrocinio a carico dello Stato e condannata alle spese con sentenza sorgeva cosi' non piu' in favore del difensore, bensi' direttamente in favore dell'Erario (cfr. Cassazione civ., Sez. L, 22 gennaio 1981, n. 530). Tanto nel sistema del gratuito patrocinio, quanto in quello sul patrocinio a spese dello Stato transitoriamente inaugurato dalla legge n. 533/1973 per un settore limitato di affari civili, il compenso spettante al difensore della parte non abbiente (meramente eventuale, nel sistema del 1923, certo, almeno in termini astratti, in quello del 1973) sarebbe coinciso con l'importo liquidato con la sentenza definitiva del giudizio. Con la legge 30 luglio 1990, n. 217, era stata dettata una normativa istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nel procedimento penale ovvero penale militare per la difesa del cittadino non abbiente, imputato, persona offesa da reato, danneggiato inteso a costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria e ancora nei procedimenti civili relativamente all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato (art. 1, con ivi ulteriori delimitazioni e precisazioni dell'ambito applicativo). La legge 29 marzo 2001, n. 134, modificando profondamente il tessuto della legge n. 217/1990, l'aveva trasformata in un testo destinato a contenere la disciplina generale del patrocinio dei non abbienti, nel processo penale, civile ed amministrativo, con contestuale abrogazione della legge sul gratuito patrocinio (regio decreto n. 3282/1923) e delle norme sul patrocinio a spese dello Stato nei processi del lavoro e in materia di previdenza ed assistenza sociale (articoli da 11 a 16 della legge 1973 n. 533). Nel nuovo sistema sopravvivevano previsioni che gia' erano state introdotte nel 1973, come quella contenuta all'art. 15-sexies, comma 2, a mente del quale l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato produce tra gli effetti: «a) la difesa a carico dello Stato per la causa o per l'affare riguardo ai quali ha luogo l'ammissione al beneficio medesimo, salvo il diritto di ripetizione degli onorari dalla parte contraria, condannata nelle spese nelle cause civili e nelle cause penali nelle quali vi sia stata costituzione di parte civile». Si colgono pero' anche importanti elementi di novita' rispetto alla disciplina antesignana del 1973: ad esempio, la liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al beneficio non avveniva piu' con la sentenza definitiva del giudizio ma con separato decreto; gli stessi compensi del difensore non erano piu' sic et simpliciter quantificati in base alle tariffe professionali vigenti, ma partendo dalle stesse, tenuto conto della natura dell'impegno professionale in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale del soggetto difeso, in modo che in ogni caso non risultassero superiori ai valori medi delle tariffe professionali ridotti della meta' (art. 15-quattuordecies»). V'era poi una previsione che sembra invece ricalcare il contenuto di altra che figurava nel vecchio regio decreto n. 3282/1923, art. 40: si tratta dell'art. 15-septies, ove si legge: «Nelle cause riguardanti persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato, gli onorari e le indennita' dovuti all'avvocato sono, a sua domanda, iscritti nel registro delle spese a debito e riscossi nel modo stabilito per le spese stesse, anche nel caso di transazione della lite». Con scarso coordinamento con l'art. 15-sexies, comma 2, lettera a, sopra trascritto, l'art. 15-sexiesdecies prevedeva poi: «1. Il provvedimento che condanna la parte soccombente alla rifusione degli oneri e delle spese processuali dispone che il relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato quando l'altra parte sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 2. Lo Stato cura direttamente il rimborso delle spese di cui al comma 1. Laddove esso non venga tuttavia in tale modo rimborsato e la vittoria della causa o la composizione della lite abbia messo la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato in condizione di potere restituire le spese erogate in suo favore, questa deve adempiere a tale rivalsa. 3. In caso di ammissione al patrocinio a spese parzialmente a carico dello Stato, la rivalsa in favore dello Stato di cui al comma 2 e' effettuata nella misura percentuale corrispondente. 4. Nell'attribuzione delle spese all'erario dello Stato di cui ai commi da 1 a 3 non rientrano gli onorari e le indennita' dovuti al difensore» (1) . Dunque, diversamente rispetto al passato, con la condanna alla rifusione delle spese processuali della parte soccombente diversa da quella ammessa al beneficio, il giudice avrebbe disposto che il pagamento avvenisse in favore dello Stato, escludendo peraltro dalla liquidazione gli onorari e le indennita' dovuti al difensore, che lo Stato avrebbe si' recuperato, ma con il diverso sistema previsto dall'art. 43 disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (implicitamente richiamato dall'art. 15-septies della legge n. 217/1990, come introdotto dalla legge n. 134/2001). Cio' che peraltro si coglie dalla disciplina appena ricostruita e' che, nell'intenzione del legislatore, lo Stato avrebbe recuperato dalla parte soccombente diversa da quella non abbiente gli importi dovuti al difensore della parte beneficiaria del patrocinio gratuito e non anche somme maggiori. Soltanto con il decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), l'art. 133, nel prevedere che «il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato», stabilisce per la prima volta una norma che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (di cui sopra si e' dato conto), consente allo Stato di recuperare dalla parte soccombente il valore dei compensi di avvocato liquidabile secondo i criteri ordinari, ossia quelli oggi fissati dal decreto ministeriale n. 55/2014 per le liquidazioni giudiziali a carico del soccombente, come se la parte vincitrice non fosse ammessa al patrocinio, senza piu' il limite della coincidenza di detto valore con quello dei compensi anticipati dall'Erario all'avvocato della parte gratuitamente difesa. Quindi, fuori dei casi previsti dall'art. 92 del codice di procedura civile, laddove risulti vittoriosa la parte che beneficia del patrocinio a spese dello Stato e il giudice condanni il soccombente alla rifusione delle spese di lite, lo Stato riceve da questo somme maggiori rispetto a quelle che anticipa al difensore del non abbiente per compensi di avvocato. a) La normativa contenuta all'art. 133 del decreto legislativo n. 113/2022, come riprodotto, sotto la stessa numerazione, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, viola ad avviso del Tribunale l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega per rapporto all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998), come modificato dall'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1999). Infatti l'art. 133 cit. attribuisce al giudice della causa in cui e' parte il non abbiente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, al momento della pronuncia del provvedimento decisorio definitivo, quando faccia applicazione dell'art. 91 del codice di procedura civile, il potere/dovere di condannare la controparte soccombente al pagamento di compensi di avvocato, in favore dell'Erario, in misura superiore a quella suscettibile di essere liquidata (ovvero contestualmente liquidata, ex art. 83, comma 3-bis, T.U.) in favore del difensore del non abbiente, con separato decreto, in applicazione degli articoli 82 e 130 del T.U. In tal modo si assegna un vantaggio economico ingiustificato allo Stato, il quale acquista il diritto di percepire importi superiori al pregiudizio/depauperamento patrimoniale connesso all'anticipazione degli onorari del difensore del non abbiente, senza copertura di una siffatta previsione nella legge di delega. Il Governo, nell'esercizio della delega contenuta all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, ha ecceduto i limiti stabiliti dalla legge. E' stato a tal riguardo osservato che il testo unico sulle spese di Giustizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) rientra tra quelli diretti al riordino e all'armonizzazione delle norme legislative e regolamentari nelle materie elencate dalle leggi annuali di semplificazione, secondo quanto previsto dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge di delega (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 174 del 2005). Ai fini che qui interessano, la materia delle spese di giustizia e' prevista dalla stessa legge n. 50 del 1999, precisamente nell'allegato 1, numeri 9, 10 e 11. Per tutti i testi unici della specie suddetta, i criteri e i principi direttivi sono individuati nell'elenco del comma 2 dello stesso art. 7, come modificato dall'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340, anche mediante il rinvio ai criteri fissati dall'art. 20 della legge n. 59 del 1997. Il legislatore delegante ha fissato i limiti di intervento del Governo nell'effettuazione dell'opera di riordino e armonizzazione della disciplina esistente attraverso criteri direttivi finalizzati a tale obiettivo, non occorrendo criteri direttivi di merito specifici per ciascuna materia delegata. La Corte costituzionale ha gia' affermato che il coordinamento puo' essere non solo formale se l'obiettivo e', come nella specie, quello della coerenza logica e sistematica della normativa riordinata (Corte costituzionale, sentenze n. 52 e 53 del 2005). Nel riordinare la materia di interesse, il legislatore delegato ha quindi la possibilita', entro certi limiti, di innovare il sistema normativo, in funzione degli obiettivi assegnatigli. L'art. 76 della Costituzione «non osta all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante; va escluso, infatti, che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera «scansione linguistica» delle previsioni dettate dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attivita' di "riempimento" che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata» (cosi', ex plurimis, sentenze n. 199 del 2003 e n. 308 del 2002). Ad avviso di questo Giudice, l'intervento normativo del Governo si e' spinto oltre il mandato assegnato dal legislatore delegante. Come sopra si e' avuto modo di osservare, attraverso la ricostruzione diacronica dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato, prima del decreto legislativo n. 113/2002, art. 133 (e del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 in cui e' trasfuso), mai era stato previsto dalla legge che lo Stato potesse recuperare dalla parte soccombente importi maggiori rispetto a quelli anticipati per compensi all'avvocato del non abbiente. Nel caso di specie, la scelta del legislatore delegato, in forza dell'art. 133 cit., di prevedere che l'Erario possa recuperare, dalla parte soccombente nel giudizio civile, una somma, a titolo di rifusione dei compensi di avvocato, superiore rispetto alla somma anticipata o anticipabile, non si spiega con nessuna esigenza di coordinamento e semplificazione della disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato e addirittura finisce per snaturare la funzione (indennitaria) propria della condanna al rimborso delle spese processuali descritta dall'art. 91 del codice di procedura civile. Non e' infatti possibile affermare che il Governo, nell'esercizio della delega conferita per effetto dell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, abbia inteso semplicemente allineare la disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato e di anticipazione dei compensi di avvocato da parte dell'Erario a quella contenuta all'art. 91 del codice di procedura civile. Benche' nel vigente ordinamento non sussista la regola per cui gli onorari che il cliente e' tenuto a pagare al proprio avvocato, per la difesa processuale, in base al rapporto di prestazione d'opera professionale, debbano necessariamente coincidere, in caso di vittoria della causa, con quelli che la parte soccombente e' tenuta a rifondere alla controparte stessa, e' innegabile che il fondamento della condanna del soccombente alle spese risiede nell'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte vittoriosa costretta a svolgere attivita' processuale per il riconoscimento di un suo diritto e che il provvedimento di condanna debba avere ad oggetto, pertanto, soltanto le spese ripetibili, suscettibili di essere sopportate dalla parte (sul punto e' chiara la giurisprudenza di legittimita', quando esclude il diritto del contumace vittorioso alla rifusione delle spese di lite: si vedano tra le piu' recenti Cassazione civ., Sez. III, 14 marzo 2023, n. 7361; Cassazione civ., Sez. VI - III, 19 giugno 2018, n. 16174. Anche la giurisprudenza della Cassazione che si e' pronunciata in materia di condanna del soccombente alla rifusione dell'i.v.a. relativa all'importo degli onorari difensivi, quale accessorio delle spese processuali liquidate in favore della parte vittoriosa del giudizio, seppur implicitamente, si basa sulla stessa impostazione, escludendo che la parte soccombente possa essere tenuta alla rifusione dell'i.v.a quando il vincitore e' nelle condizioni di portarla in detrazione - cfr. Cassazione civ., Sez. I, 21 luglio 1988, n. 4720; Sez. II, 1° aprile 1995, n. 3843, e successive). Infatti, se la regolamentazione delle spese di lite e' processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed e' anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione) e se il «normale complemento» dell'accoglimento della domanda e' costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa (Corte Costituzionale, sentenze n. 303 del 1986 e n. 77 del 2018), da cio' si deve ricavare che una condanna alla rifusione di spese di lite che sicuramente non sono state anticipate o che sicuramente sono superiori al valore dei compensi anticipabili dalla parte vittoriosa (o per conto di essa, nel caso, che qui interessa, del patrocinio a spese dello Stato) trascenderebbe irragionevolmente e in maniera sproporzionata la finalita' perseguita attraverso la disciplina ricavabile dall'art. 91 del codice di procedura civile Inoltre, il fatto che possa non esservi corrispondenza tra la misura dei compensi dovuti dal cliente al proprio avvocato e quella degli onorari quantificati nella sentenza che condanna la controparte alla rifusione delle spese processuali e' giustificato dal diverso fondamento dell'obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d'opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalita' (Cassazione civ., Sez. VI-II, 17 ottobre 2018, n. 25992). Nel caso del patrocinio a spese dello Stato, tuttavia, il non abbiente non ha alcun potere di contrattazione del compenso del proprio difensore. Piu' precisamente, l'ammissione al patrocinio a carico dello Stato esclude ogni rapporto d'incarico professionale tra la parte in favore della quale e' stato emesso il relativo provvedimento ed il difensore nominato, sia in caso di vittoria, sia in caso di soccombenza, in quanto il rapporto si costituisce esclusivamente tra il difensore nominato e lo Stato (ex plurimis, Cassazione civ., Sez. VI - II, 27 gennaio 2015, n. 1539) e neppure tra questi due soggetti esistono margini di autonomia per la negoziazione del compenso, che viene liquidato dall'autorita' giudiziaria al compimento della prestazione professionale e all'esito del giudizio (art. 83 testo unico, Spese di Giustizia) sulla base di criteri legali predeterminati (artt. 82 e 130 T.U.). Ai sensi dell'art. 91 del codice di procedura civile gli onorari che il soccombente deve rimborsare alla parte vittoriosa della causa corrispondono al valore standard di mercato (secondo i parametri legali) della prestazione difensiva resa in favore di quest'ultima, la quale non puo' ambire ad ottenere la rifusione di importi maggiori, non giustificati alla luce del principio di causalita' (cfr. Cassazione civ., Sez. I, 4 marzo 2016, n. 4269), salvo che cio' non dipenda da fatti contingenti ed estranei al pronunciamento giudiziale (si pensi per esempio al caso in cui l'avvocato decida di non riscuotere i compensi dalla parte assistita, che pur abbia vinto il giudizio e abbia ottenuto la condanna del soccombente alla rifusione in proprio favore delle spese processuali). Nel caso di specie, invece, in forza della previsione contenuta all'art. 133 testo unico Spese di Giustizia, si assiste ad un ribaltamento del rapporto, nel senso che gli onorari liquidati con decreto in favore del difensore del non abbiente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, anticipati dall'Erario, sono inferiori al valore degli onorari ripetibili dell'Erario dalla parte soccombente, tenuta alla rifusione ai sensi dell'art. 91 del codice di procedura civile. Se, infatti, in forza dell'art. 82, comma 1, testo unico, spese di Giustizia, «l'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorita' giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennita', tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa», e poi, ai sensi dell'art. 130 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, nel processo civile gli importi spettanti al difensore sono ulteriormente ridotti della meta', questa opera di contenimento dei compensi (entro i medi) e di dimidiazione degli stessi non opera allorquando, in applicazione dell'art. 133 testo unico e fuori dai casi di compensazione ex art. 92 del codice di procedura civile., il Giudice condanni il soccombente alla rifusone delle spese processuali in favore dell'Erario, dovendo con sentenza quantificare i compensi secondo i criteri ordinari (senza piu' il limite dei valori medi e, soprattutto, senza dimidiazione). b) La normativa contenuta all'art. 133 del decreto legislativo n,113/2022, come riprodotto, sotto la stessa numerazione, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 viola, ad avviso del Tribunale, anche gli articoli 3, 23 e 53 e 111, comma 2, della Costituzione, perche' il potere di assegnare allo Stato somme maggiori rispetto a quelle dallo stesso anticipate a titolo di compensi di avvocato, attribuito all'autorita' giudiziaria nell'esercizio della funzione giurisdizionale, si traduce in una funzione impositiva di un obbligo di natura tributaria. Da cio' consegue una inevitabile confusione tra l'espletamento della funzione giurisdizionale, che esige garanzie di terzieta' ed imparzialita' rispetto agli interessi in gioco (art. 111, comma 2, della Costituzione), e l'espletamento di un potere prettamente riferibile allo Stato Amministrazione, con conseguente perdita della posizione di terzieta' propria del giudice. L'imposizione a carico del soccombente, con sentenza, del pagamento di somme in misura superiore all'importo anticipato dall'Erario a titolo di compensi di avvocato e' poi sganciata da ogni verifica sulla capacita' contributiva del soggetto obbligato e conduce anche ad una ingiustificata disparita' di trattamento all'interno della categoria delle parti del processo civile, poiche' solo quelle soccombenti e non beneficiarie di una pronuncia di compensazione ex art. 92 del codice di procedura civile sono chiamate a contribuire alla spesa generale connessa all'istituzione del patrocinio a spese dello Stato, con un prelievo speciale. E' convinzione del Tribunale che l'attribuzione in favore dell'Erario di una somma corrispondente al valore «pieno» degli onorari liquidabili per la difesa del non abbiente, di fronte ad un'anticipazione limitata ad un importo senz'altro inferiore, costituisca (per la differenza) una imposizione avente natura non di tassa (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 102 del 2008), in quanto il prelievo non e' collegato alla fruizione di un servizio pubblico da parte del soggetto obbligato (il quale non e' infatti il beneficiario della difesa gratuita per la quale e' imposto invece l'esborso), ma di imposta, in quanto prelievo coattivo finalizzato al concorso alle pubbliche spese (detta finalizzazione e' stata esplicitata dalla Corte di cassazione nelle sentenze, sopra citate, con le quali viene giustificata la liquidazione degli onorari a carico del soccombente, ai sensi dell'art. 133 testo unico, spese di Giustizia, in misura superiore a quanto anticipato per lo stesso titolo dallo Stato). In base alla giurisprudenza della Corte costituzionale (si vedano le sentenze n. 269 e n. 236 del 2017 e la n. 59 del 2018), una fattispecie deve ritenersi «di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese». Nel caso di specie, la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente, con sentenza passata in giudicato, determina senz'altro una definitiva e significativa decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo. La decurtazione non riguarda un rapporto sinallagmatico. Le risorse recuperate, per la quota che eccede il ristoro delle spese processuali anticipate dall'Erario a titolo di compensi di difesa della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, oltre a non inserirsi in un rapporto di tipo sinallagmatico, non hanno alcuna funzione indennitaria e si giustificano, secondo la ormai consolidata e lineare giurisprudenza di legittimita' formatasi e consolidatasi a partire dal 2018 (di cui sopra si e' fatta menzione), con l'obiettivo di finanziare in generale l'istituzione del patrocinio per i non abbienti, in altre indistinte cause. Il prelievo tributario peraltro finisce per gravare su un soggetto selezionato non in ragione della capacita' contributiva, ma della soccombenza in causa. E benche' sia noto che «il concetto di capacita' contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e piu' evolute forme di capacita', che ben possono denotare una forza o una potenzialita' economica» (Corte Costituzionale, sentenza n. 288 del 2019) e che «nella conformazione degli istituti processuali, nella quale rientra la disciplina delle spese del processo, il legislatore gode di ampia discrezionalita', con il solo limite della manifesta irragionevolezza» (cosi', tra le tante, Corte costituzionale, sentenza n. 268 del 2020), nel caso di specie, anche adottando la nozione ampia di capacita' contributiva, non pare che questa possa estendersi fino a cogliere detto requisito nella circostanza meramente accidentale, costituita dal risparmio di spesa da cui altrimenti il soccombente trarrebbe giovamento, per essere tenuto alla rifusione di onorari liquidati in misura inferiore rispetto all'ordinario. Si tratta infatti di una mera ricaduta pratica, in sede di applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato, in relazione all'esito del giudizio che conduce alla soccombenza nel confronto con la parte non abbiente, che non puo' apprezzarsi come fatto economico espressivo di capacita' di contribuzione. L'irragionevolezza di addossare un prelievo forzoso a carico del soccombente senza alcuna attinenza con la sua capacita' economica e' particolarmente evidente nei giudizi in cui siano parti solo persone fisiche ammesse al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, nell'ambito dei quali e' pur sempre consentita la condanna alla rifusione delle spese di lite anche della parte ammessa soccombente in favore dell'altra risultata vittoriosa (Cassazione civ., Sez. VI, 13 novembre 2020, n. 25653): l'imposta (per tale intendendosi, si ripete, la condanna al pagamento di somme per compensi di avvocato per la misura superiore al limite di cio' che e' anticipato/anticipabile dallo Stato) in questo caso ricadrebbe senz'altro su una parte che si trova in una condizione di privazione delle risorse economiche necessarie per affrontare la difesa in giudizio e, quindi, priva di capacita' contributiva suscettibile di giustificare il maggior prelievo. Inoltre, l'imposizione di cui si discute puo' colpire soltanto alcuni soccombenti, escludendone altri, e cio' ove il giudice ravvisi la presenza dei presupposti stabiliti dall'art. 92 del codice di procedura civile per la compensazione, parziale o integrale, delle spese processuali, senza alcuna attinenza, ancora una volta, con la valutazione della capacita' contributiva del soggetto obbligato (e, anzi, la compensazione delle spese processuali realizzerebbe comunque, per il soccombente che ne fosse beneficiato, un risparmio di spesa, che tuttavia non verrebbe considerato come espressione di capacita' contributiva). Non e' dato superare i profili di illegittimita' segnalati attraverso la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata, che consente di evitare il giudizio davanti alla Corte costituzionale allorquando all'operatore sia offerta un'opzione ermeneutica in armonia con il dettato costituzionale. Nel caso di specie, lo strumento interpretativo non permette di individuare alcuna soluzione rispettosa dei principi costituzionali per i quali viene denunciata la violazione. Come sopra evidenziato, l'evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, depositaria della funzione di nomofilachia, rende evidenza di una esegesi ormai stabilizzata della norma, nel senso indicato, e qualsiasi interpretazione contraria - suscettibile di tradursi nella condanna del soccombente, in favore dello Stato, al rimborso di una somma a titolo di compensi di avvocato contenuta nei limiti di quanto lo Stato anticipa al difensore della parte vincitrice ammessa al beneficio del patrocinio gratuito - sarebbe verosimilmente destinata ad essere cassata all'esito del giudizio di legittimita' (sul limite, rappresentato dal diritto vivente, alla possibilita' di praticare una interpretazione adeguatrice della norma, si richiama, tra le tante, la sentenza della Corte costituzionale n. 125 del 2022). Per le ragioni che precedono, non reputa questo giudice che possa andare esente da dubbi di costituzionalita' l'art. 133 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, come trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 La questione di legittimita' costituzionale appare altresi' rilevante, giacche' senza una pronuncia di illegittimita' della norma denunciata, la sua applicazione consentirebbe all'Erario, all'esito di questo giudizio, di ottenere la liquidazione a carico della parte soccombente (in questo caso l'Inail secondo i principi della soccombenza virtuale, avendo l'Istituto rinunciato in autotutela, ma solo in corso di causa, alla pretesa creditoria consacrata nella cartella impugnata) di una somma, a titolo di compensi di avvocato, superiore rispetto a quella che lo Stato e' destinato ad anticipare al difensore della parte non abbiente (la parte ricorrente, vincitrice secondo il criterio della soccombenza virtuale). Infatti, applicando in sentenza i parametri non superiori ai medi per ciascuna fase, per le cause in materia di previdenza di valore compreso fino ad euro 1.100,00 in base a quanto stabilito dal decreto ministeriale n. 55/2014, per il caso di pronuncia a carico del soccombente, secondo la valutazione che ordinariamente verrebbe compiuta (si tratta infatti di una causa di complessita' non superiore alla media) si otterrebbe l'importo complessivo massimo di euro 678,00 (oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.), che l'art. 133 testo unico, spese di Giustizia imporrebbe di attribuire in misura piena all'Erario; applicando gli stessi parametri, tenuto conto della natura dell'impegno professionale e dell'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della ricorrente, e dimidiando gli stessi per la meta', come imposto dall'art. 130 testo unico, spese di Giustizia, si otterrebbe l'importo massimo di euro 339,00 (oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.). Il presente procedimento, non potendo essere definito indipendentemente dalla risoluzione della segnalata questione di legittimita' costituzionale, deve essere, conseguentemente, sospeso. (1) 1 Lo scarso coordinamento tra le norme inserite dalla legge n. 134/2001 nel corpo della legge n. 217/1990 e' stato messo in rilievo anche nella relazione illustrativa che accompagna il testo unico Spese di Giustizia, nella nota in calce all'art. 131, ove si legge: «[ ... ] Relativamente al comma 4, si segnala: - alla lettera a), per quanto attiene gli avvocati, al momento della liquidazione paga lo Stato, salvo recupero. Questa previsione, contenuta nella lettera a) dell'articolo originario, e' stata ritenuta prevalente rispetto a quelle, incompatibili, dettate dagli articoli 15-septies e art. 15-sexiesdecies, comma 4. La presenza di questi ultimi articoli, ripresi dalla vecchia disciplina, puo' spiegarsi con il difetto di coordinamento dei nuovi principi con la disciplina preesistente. Con il r.d del 1923, l'avvocato poteva agire direttamente - il che sempre faceva - o domandare l'iscrizione a debito, perche' venisse recuperato insieme alle altre spese (norma desueta). Ora la differenza fondamentale e' che e' pagato subito dall'erario [...]»
P.Q.M. Il Tribunale, visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87: 1. solleva, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 76, 3, 23, 53 e 111, comma 2, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 133 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, come trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115; 2. ordina la sospensione della presente causa; 3. ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale in Roma; 4. ordina la notificazione del presente provvedimento al Presidente del Consiglio dei ministri ed alle parti di causa; 5. ordina la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 6. manda alla cancelleria per gli adempimenti. Cagliari, 20 giugno 2023 Il Giudice: Ponticelli