N. 35 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 dicembre 2023

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 22 dicembre 2023 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Usi civici - Energia - Impianti alimentati  da  fonti  rinnovabili  -
  Norme della  Regione  autonoma  Sardegna  -  Modifiche  alla  legge
  regionale n. 12 del 1994 - Mutamento di  destinazione  in  caso  di
  installazione di impianti di energie rinnovabili -  Previsione  che
  per  l'installazione  di  impianti   di   produzione   di   energie
  rinnovabili e' obbligatorio richiedere il parere del comune in  cui
  insistono le aree individuate, il  quale  si  esprime  entro  venti
  giorni, decorsi i quali se ne prescinde - Prevista istituzione, con
  deliberazione  della  Giunta  regionale,  di  un   tavolo   tecnico
  interassessoriale,  a  supporto  degli  uffici  regionali,  per  la
  riforma organica dell'intera materia degli usi civici in  Sardegna,
  con particolare riguardo alla legge regionale  n.  12  del  1994  -
  Previsione della composizione del tavolo tecnico interassessoriale. 
Sanita' pubblica - Servizio sanitario regionale (SSR) -  Norme  della
  Regione autonoma Sardegna - Modifiche alla legge  regionale  n.  24
  del 2020 - Istituzione dell'Azienda regionale della salute (ARES) e
  contestuale liquidazione dell'Azienda per la  tutela  della  salute
  (ATS) -  Previsione  che  il  Commissario  liquidatore  di  ATS  e'
  nominato dalla Giunta regionale. 
Sanita' pubblica - Servizio sanitario regionale (SSR) -  Norme  della
  Regione autonoma Sardegna - Modifiche alla legge  regionale  n.  24
  del 2020 - Istituzione dell'Azienda regionale della salute (ARES) e
  contestuale liquidazione dell'Azienda per la  tutela  della  salute
  (ATS) - Nomina dei direttori sanitari e amministrativi di ARES,  di
  AREUS, delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e
  ospedaliero-universitarie,  nelle  more  dell'aggiornamento   degli
  elenchi regionali degli idonei. 
Sanita' pubblica - Servizio sanitario regionale (SSR) -  Norme  della
  Regione autonoma Sardegna - Previsione che  ciascun  ente  del  SSR
  puo' destinare i risparmi derivanti dalla  mancata  attuazione  del
  piano  triennale  dei  fabbisogni  all'incremento   delle   risorse
  destinate annualmente al trattamento accessorio del personale anche
  oltre il limite previsto dall'art. 23, comma 2, del  d.lgs.  n.  75
  del 2017. 
Sanita' pubblica  -  Autorizzazione  e  accreditamento  di  strutture
  sanitarie - Norme della Regione autonoma Sardegna - Modifiche  alla
  legge regionale n. 1 del 2023  -  Previsione  che  le  risorse  non
  utilizzate di cui al tetto di  spesa  assegnato  per  il  2020  per
  l'assistenza  ospedaliera  possono  essere  redistribuite  tra  gli
  erogatori privati accreditati anche oltre i  limiti  imposti  dalle
  disposizioni di legge nazionali. 
Ambiente - Inquinamento - Norme della  Regione  autonoma  Sardegna  -
  Modifiche alla  legge  regionale  n.  9  del  2006  in  materia  di
  bonifiche ambientali di competenza degli  enti  locali  -  Prevista
  attribuzione ai comuni delle funzioni e dei compiti  amministrativi
  in materia di bonifiche ambientali indicati negli artt. 242  e  249
  del d.lgs. n. 152 del 2006 per i  siti  ricadenti  interamente  nel
  territorio  di  competenza,  e  alle   province   e   alle   citta'
  metropolitane delle medesime funzioni e compiti amministrativi  per
  i siti ricadenti tra piu' comuni della stessa  provincia  o  citta'
  metropolitana oltre  alle  funzioni  e  ai  compiti  amministrativi
  attribuiti alla regione dall'art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
Caccia - Esercizio dell'attivita' venatoria  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Modifiche alla legge regionale n. 23  del  1998
  recante norme  per  la  protezione  della  fauna  selvatica  e  per
  l'esercizio della caccia -  Previsione  che  la  tortora  selvatica
  (streptopelia  turtur)  puo'  essere  cacciata  dal  1°  settembre,
  secondo il piano adottato dalla Conferenza Stato-Regioni. 
Ambiente  -  Polizia  giudiziaria  -  Norme  della  Regione  autonoma
  Sardegna - Investigazione sulle cause  di  incendio  nei  boschi  e
  nelle campagne - Previsione che il Corpo forestale e  di  vigilanza
  ambientale promuove e aggiorna studi sulle cause  recenti  e  sugli
  autori degli incendi nei boschi e nelle  campagne  della  Sardegna,
  anche attraverso l'istituzione e  la  formazione  specialistica  di
  nuclei che svolgono  funzioni  di  investigazione  giudiziaria  sul
  fenomeno - Previsione che la Direzione generale del Corpo forestale
  e di vigilanza ambientale redige un rapporto consuntivo in  materia
  e avanza proposte al Consiglio e alla Giunta regionale sulle misure
  ritenute necessarie ai fini del controllo e del  superamento  delle
  singole cause di incendio. 
Ambiente  -  Polizia  giudiziaria  -  Norme  della  Regione  autonoma
  Sardegna - Modifiche alla legge regionale n. 26 del 1985 in materia
  di  compiti  del  Corpo  forestale  e  di  vigilanza  ambientale  -
  Previsione che il Corpo forestale e di vigilanza ambientale svolge,
  nell'ambito  del  territorio  regionale,   attivita'   di   polizia
  giudiziaria. 
Acque - Acque pubbliche - Norme della  Regione  autonoma  Sardegna  -
  Modifiche alla legge regionale n. 12 del 2007 in materia di  bacini
  di accumulo di competenza regionale - Previsione della proroga  dal
  30 giugno 2018 al 30 settembre 2024 del termine  per  ottenere,  da
  parte  del  proprietario  o  del  gestore,  l'autorizzazione   alla
  prosecuzione   dell'esercizio   degli   sbarramenti   esistenti   -
  Previsione della possibilita' per i proprietari e i  gestori  degli
  sbarramenti esistenti i quali, a seguito di controllo da parte  del
  Corpo forestale e  di  vigilanza  ambientale  regionale,  risultino
  sprovvisti di autorizzazione alla prosecuzione  dell'esercizio,  di
  presentare la  relativa  istanza  la  quale  sospende  l'ordine  di
  demolizione e comporta una riduzione al 10 per cento della sanzione
  pecuniaria prevista. 
Comuni,  province  e  citta'  metropolitane  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Modifiche alla legge regionale n. 7 del 2021 in
  materia di misure di  assetto  territoriale  -  Sostituzione  della
  denominazione "Provincia  del  Nord-Est  Sardegna"  con  "Provincia
  della Gallura Nord-Est Sardegna" -  Conferma  della  circoscrizione
  territoriale della  Provincia  di  Oristano  e  determinazione  dei
  comuni che la compongono - Disciplina  della  successione  tra  gli
  enti interessati e della relativa fase transitoria. 
Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Interventi per il riuso e per il  recupero  con
  incremento volumetrico dei sottotetti esistenti -  Definizione  dei
  sottotetti - Interventi di recupero con incremento volumetrico  dei
  sottotetti esistenti - Determinazione del  volume  urbanistico  nei
  sottotetti oggetto degli interventi - Interventi  di  recupero  dei
  seminterrati, dei piani pilotis e  dei  locali  al  piano  terra  -
  Definizione dei seminterrati e dei piani pilotis -  Interventi  per
  il riuso degli spazi di grande altezza - Esclusione  del  ricalcolo
  del volume urbanistico dell'edificio anche in caso di riutilizzo di
  spazi sottotetto che  originariamente  non  realizzano  cubatura  -
  Interventi nelle strutture  destinate  all'esercizio  di  attivita'
  turistico-ricettive  -  Previsione  per  le   strutture   ricettive
  alberghiere esistenti della possibilita' di chiusura  con  elementi
  amovibili per un periodo non superiore a duecentoquaranta giorni  -
  Disposizioni edilizie in favore dei portatori di handicap  gravi  -
  Previsione che sono consentiti, anche in deroga alle norme previste
  negli strumenti urbanistici vigenti,  purche'  nel  rispetto  delle
  disposizioni  del   codice   civile,   interventi   funzionali   di
  ampliamento  volumetrico  realizzati  in   continuita'   all'unita'
  immobiliare  interessata  per  un  massimo  di  120  metri  cubi  -
  Condizioni di ammissibilita' degli  interventi  -  Previsione  che,
  qualora le unita' immobiliari siano difformi  da  quanto  assentito
  con regolare titolo abilitativo, la richiesta  per  gli  interventi
  suddetti e' ammissibile a condizione che per le  difformita'  siano
  conclusi positivamente i procedimenti di condono o accertamento  di
  conformita'  -  Valorizzazione  degli  immobili  della  borgata  di
  pescatori di Marceddi' -  Previsione  che  l'Assessorato  regionale
  competente  in  materia  di  patrimonio  procede  all'avvio   delle
  procedure  di  regolarizzazione   dell'assetto   occupativo   degli
  immobili. 
Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Modifica dell'art. 39 della legge regionale  n.
  8 del 2015 in materia di demolizione e ricostruzione  -  Previsione
  che  la  ricostruzione  dell'intera   volumetria   e'   assentibile
  unicamente ove il nuovo  fabbricato  determini  un  minore  impatto
  paesaggistico, anche senza il mantenimento  di  sagoma,  prospetti,
  sedime   e   caratteristiche   planivolumetriche   e    tipologiche
  dell'edificio preesistente. 
Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Modifiche ed integrazioni alla legge  regionale
  n. 23 del 1985 in materia di edilizia libera, sanzioni e  piani  di
  risanamento - Previsione che costituiscono interventi  di  edilizia
  libera gli interventi  finalizzati  al  posizionamento  di  pergole
  bioclimatiche. 
- Legge della  Regione  autonoma  Sardegna  23  ottobre  2023,  n.  9
  (Disposizioni   di   carattere   istituzionale,   ordinamentale   e
  finanziario su varie materie), artt. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3
  [recte: 13, comma 1, lettera b)]; 34, comma 1,  lettere  a),  punto
  2), e b); 35, comma 2; 56; 75; 80, comma 1, lettera b); 86; 87; 91,
  commi 1 e 2; 120; 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11;  124,  commi
  1, 2, 3, 4; 125, comma 7; 126, comma 1; 127; 128, comma 1,  lettere
  a) e b); 130; 131; e 133. 
(GU n.4 del 24-1-2024 )
    Ricorso  ai  sensi  dell'art.  127  della  Costituzione  per   il
Presidente del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in  persona
del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e  difeso  in
virtu' di legge dall'Avvocatura generale dello Stato (fax 06/96514000
PEC  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it),  presso  i  cui  uffici  e'
legalmente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro  la  Regione  autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del
Presidente pro tempore della Giunta  regionale,  nella  sua  sede  in
Cagliari,   al   viale   Trento    n.    69    -    indirizzo    PEC:
presidenza@pec.regione.sardegna.it; 
    Per la declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, 34,  comma  1,  lettera  a),
punto 2) e lettera b), 35, comma 2, 56, 75, 80, comma 1, lettera  b),
86, 87, 91, commi 1 e 2, 120, 123 commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124
commi 1, 2, 3, 4,125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma  1  lettere
a) e b), 130, 131 e 133, della legge  della  Regione  autonoma  della
Sardegna n. 9 del 23 ottobre 2023, recante «Disposizioni di carattere
istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie»,  giusta
deliberazione del Consiglio dei ministri  assunta  nella  seduta  del
giorno 19 dicembre 2023. 
 
                          Premesse di fatto 
 
    Sul Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n.
54 del 24 ottobre 2023, parte prima, e'  stata  pubblicata  la  legge
regionale n. 9 del  23  ottobre  2023,  intitolata  «Disposizioni  di
carattere  istituzionale,  ordinamentale  e  finanziario   su   varie
materie». 
    Gli  articoli  di  tale   legge   indicati   in   epigrafe   sono
costituzionalmente illegittimi, in quanto eccedono  dalle  competenze
attribuite  alla  Regione  autonoma  della  Sardegna  dallo   Statuto
speciale, adottato con legge costituzionale  n.  3  del  26  febbraio
1948, n. 3, ed invadono le  competenze  riservate  allo  Stato  dalla
Costituzione. 
    Pertanto, esse vengono impugnate con il presente ricorso ex  art.
127 Cost. affinche' ne sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale
e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
                                  I 
  Art. 13, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art.  13,  comma  1,  lettera  b),  della  legge   oggetto   di
impugnazione dispone quanto segue: «1. Alla legge regionale 14  marzo
1994, n. 12 (Norme in materia  di  usi  civici.  Modica  della  legge
regionale  7  gennaio  1977,  n.   1   concernente   l'organizzazione
amministrativa della  Regione  sarda),  sono  apportate  le  seguenti
modiche ed integrazioni: [...] 
        b) dopo l'art. 17 e' aggiunto il seguente: 
          "Art.  17-bis  (Mutamento  di  destinazione  in   caso   di
installazione  di  impianti  di  energie  rinnovabili).  -   1.   Per
l'installazione di impianti di produzione di energie  rinnovabili  e'
obbligatorio richiedere il parere del comune in cui insistono le aree
individuate, il quale si esprime, con delibera del consiglio comunale
a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti  giorni,
decorsi i quali se ne prescinde. 
          2. Con deliberazione della Giunta regionale, adottata entro
novanta  giorni  dall'entrata  in  vigore  della  presente  legge  su
proposta  dell'Assessore  regionale  competente   per   materia,   e'
istituito, senza  nuovi  o  maggiori  oneri  a  carico  del  bilancio
regionale, un tavolo  tecnico  interassessoriale,  a  supporto  degli
Uffici regionali, per la riforma organica dell'intera  materia  degli
usi civici in Sardegna con particolare riguardo alla legge  regionale
n. 12 del 1994. 
          3) Il tavolo tecnico interassessoriale di cui al comma 2 e'
presieduto  dall'Assessore  regionale  dell'agricoltura   e   riforma
agro-pastorale ed e' composto da: 
a) un dirigente per ciascuno degli Assessorati  regionali  competenti
in materia di agricoltura, ambiente, beni culturali, enti locali; 
b) un docente  universitario  competente  nelle  materie  oggetto  di
discussione, nominato dai  vertici  dell'Ateneo  per  ciascuna  delle
Universita' di Cagliari e di Sassari; 
c)  almeno  un  rappresentante  per  ciascun   ordine   professionale
coinvolto in materia di usi civici; 
d) due componenti del Consiglio delle autonomie  locali,  eletti  dal
Consiglio medesimo in modo tale da garantire la parita' di genere; 
e)  i   presidenti   regionali   dell'ANCI,   dell'UPS,   dell'UNCEM,
dell'AICCRE, della Lega delle autonomie e dell'ASEL,  costituenti  il
coordinamento delle associazioni degli enti locali della Sardegna"». 
    Le disposizioni sopra ritrascritte si pongono in contrasto con la
Costituzione, in quanto invadono: 
        per il tramite della «norma interposta»  contenuta  nell'art.
142, comma 1, lettera h),  del  decreto  legislativo  n.  42  del  22
gennaio 2004, la competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia  di  «tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e   dei   beni
culturali», di cui agli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s),  della
Costituzione; 
        per il tramite della «norma interposta»  contenuta  nell'art.
20, comma 8, del decreto legislativo n. 199 dell'8 novembre 2021,  la
competenza  legislativa   esclusiva   dello   Stato   relativa   alla
determinazione dei «principi fondamentali» in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione dell'energia» di cui all'art. 117, comma 3,
della Costituzione; 
        per il tramite delle «norme interposte» contenute nella legge
n. 1766 del 16 giugno 1927, nel regio decreto n. 332 del 26  febbraio
1928 e nella legge  n.  168  del  20  novembre  2017,  la  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento  civile»
di cui all'art. 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. 
    L'esponente Patrocinio non ignora  che  lo  Statuto  speciale  di
autonomia  attribuisce  alla   regione   resistente   la   competenza
legislativa in materia di «edilizia e urbanistica» (art.  3,  lettera
f), «usi civici» (art. 3, lettera  n),  «produzione  e  distribuzione
dell'energia elettrica» (art. 4, lettera e). 
    Tuttavia, tale competenza legislativa deve essere esercitata  «in
armonia con la Costituzione e i principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica»  (art.  3),  cui  si  aggiungono,
nella materia relativa alla «produzione e distribuzione  dell'energia
elettrica», i «principi stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 4). 
    Ebbene, l'odierna Resistente non si e'  attenuta,  nell'esercizio
delle proprie competenze legislative,  ai  suddetti  limiti  previsti
dalle stesse norme dello Statuto speciale di autonomia. 
    Al fine di dimostrarlo, preme segnalare come la  norma  censurata
introduca  una  procedura   semplificata   per   il   «mutamento   di
destinazione» dei terreni soggetti ad «uso civico» nel  caso  in  cui
sia installati impianti per la produzione di  «energie  rinnovabili».
Cio' senza tener conto dei vincoli stabiliti dal decreto  legislativo
n. 42 del 22 gennaio 2004, recante il «Codice dei  beni  culturali  e
del paesaggio», il  quale -  all'art.  142,  comma  1,  lettera  h) -
assoggetta espressamente al «vincolo paesaggistico» le «zone  gravate
da usi civici». 
    Di conseguenza, come  chiarito  da  codesta  ecc.ma  Corte  nelle
sentenze n. 210 del 2014, n. 103 del 2017  e  178  del  2018  non  e'
consentito alle regioni, anche a quelle che godono di speciali  forme
di autonomia, la menomazione degli ambiti  di  tutela  stabiliti  dal
legislatore statale in  favore  delle  «terre  collettive»,  come  e'
invece   accaduto   con   la   disposizione   oggetto    dell'odierna
impugnazione. 
    Come s'e' anticipato, la suddetta  disposizione  eccede  finanche
dalle  competenze  attribuite  alla  Resistente  dallo   Statuto   di
autonomia, atteso che  -  nelle  materie  de  quibus  -  la  potesta'
legislativa regionale  deve  essere  esercitata  in  armonia  con  la
Costituzione,  con  i  principi  dell'ordinamento   giuridico   della
Repubblica,  nel  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica, e quindi anche nel rispetto delle
menzionate disposizioni del decreto legislativo n. 42 del 2004, poste
a «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»  (cfr.
Corte costituzionale, sentenze n. 51 del 2006 e n. 178 del 2018). 
    Di qui, la  violazione  -  per  il  tramite  della  citata  norma
interposta - dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. 
    Peraltro, la disposizione oggetto di censura si pone in contrasto
anche con l'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n.  199  dell'8
novembre  2021,  il  quale  -  in  attuazione  della  direttiva  (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  dicembre
2018 - individua le superfici  e  le  aree  idonee  all'installazione
degli impianti per la produzione delle «energie rinnovabili». 
    Com'e' noto, tale disposizione demanda ad «uno o piu' decreti del
Ministro della transizione ecologica  di  concerto  con  il  Ministro
della cultura, e il Ministro delle politiche agricole,  alimentari  e
forestali,  previa  intesa   in   sede   di   Conferenza   unificata»
l'individuazione di «principi e criteri omogenei per l'individuazione
delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di
impianti a fonti rinnovabili» (comma 1), precisando che - nelle  more
- sono considerate aree idonee: «le aree che non sono ricomprese  nel
perimetro  dei  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi  del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone  gravate  da  usi
civici di cui  all'art.  142.  comma  1.  lettera  h),  del  medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti  a
tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo
decreto legislativo» (comma 8, lettera c)-quater, enfasi aggiunte). 
    Di  conseguenza,  appare  evidente  come  la  norma  oggetto   di
impugnazione si ponga in contrasto con la disposizione statale appena
ritrascritta, dato che essa consente l'installazione di impianti  per
la produzione di energia  rinnovabile  anche  su  aree  (i.e.  quelle
gravate da «usi civici»), che il legislatore statale ha espressamente
qualificato come non idonee all'installazione dei suddetti impianti. 
    Inoltre, per come e' testualmente formulata la norma statale, non
vi e' dubbio che il  vincolo  legislativo  in  questione  costituisca
espressione di un «principio fondamentale» in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione dell'energia»,  la  cui  determinazione  e'
attribuita dall'art. 117, comma 3, della Costituzione alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato. 
    Tale circostanza - unitamente al rilievo per il quale la suddetta
disciplina  nazionale   attua   di   precisi   obblighi   di   natura
comunitaria - rende irrilevante la disposizione contenuta nell'art. 4
dello  Statuto  di  autonomia  che  attribuisce  alla  Resistente  la
competenza legislativa in  materia  di  «produzione  e  distribuzione
dell'energia  elettrica»;   la   stessa   disposizione   statutaria -
infatti - fa espressamente salvi i «principi  stabiliti  dalle  leggi
dello Stato», nonche' tutti i  limiti  all'esercizio  della  potesta'
legislativa regionale previsti dal precedente art.  3,  che  annovera
espressamente anche il «rispetto degli obblighi internazionali» (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 2018). 
    Di  qui,  la   evidente   illegittimita'   costituzionale   della
disposizione impugnata anche per la  violazione -  stante  la  citata
norma interposta - dell'art. 117, comma 3,  della  Costituzione,  che
riserva allo Stato - come s'e'  anticipato -  la  determinazione  dei
principi  fondamentali  in  materia  di  «produzione,   trasporto   e
distribuzione dell'energia». 
    Specifici  limiti  alla  competenza  legislativa  della   Regione
Sardegna derivano, inoltre, dalle disposizioni  statali  indicate  in
premessa che disciplinano  il  regime  dominicale  degli  usi  civici
nonche', in particolare, dalla legge n. 168  del  20  novembre  2017,
recante «Norme in materia di domini collettivi». 
    Ed invero, come recentemente chiarito da  codesta  ecc.ma  Corte,
non  vi  e'  alcun  dubbio  che  la  disciplina   delle   «proprieta'
collettive» e degli «usi civici» rientri nella  sfera  di  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento  civile»
oltre che - naturalmente  -  in  materia  di  «tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni  culturali»  (cfr.  Corte  costituzionale,
sentenza n. 113 del 2018, n. 228 del 2021, n. 236 del 2022). 
    Di conseguenza, la norma impugnata si pone in contrasto  con  gli
evocati  parametri  di  legittimita'  costituzionale  anche   laddove
dispone che «Con deliberazione della Giunta regionale, adottata entro
novanta  giorni  dall'entrata  in  vigore  della  presente  legge  su
proposta  dell'Assessore  regionale  competente   per   materia,   e'
istituito, senza  nuovi  o  maggiori  oneri  a  carico  del  bilancio
regionale, un tavolo  tecnico  interassessoriale,  a  supporto  degli
Uffici regionali, per la riforma organica dell'intera  materia  degli
usi civici in Sardegna» (enfasi aggiunte). 
    Difatti, tale disposizione (e  quindi  tutte  le  norme  ad  essa
conseguenziali)  attrae  la  disciplina  degli  «usi  civici»   entro
l'ambito della competenza legislativa regionale,  senza  tener  conto
che - alla luce della citata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte -
spetta senz'altro allo Stato disciplinare le alienazioni, i mutamenti
di destinazione e la liquidazione degli usi civici,  ai  sensi  degli
articoli 5 e seguenti della legge 16 giugno 1927,  n.  1766,  nonche'
l'eventuale   sclassificazione   dei   beni   che   abbiano   perduto
irreversibilmente l'originaria destinazione agro-silvo-pastorale,  lo
scioglimento delle promiscuita' e le  autorizzazioni  paesaggistiche,
cosi' come stabilito  dalle  menzionate  disposizioni  contenute  nel
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    In altri termini, la disposizione in esame, nella  parte  in  cui
attribuisce agli organi regionali il  compito  di  attendere  ad  una
«riforma organica dell'intera materia degli usi civici»  si  pone  in
evidente contrasto  con  gli  evocati  parametri  costituzionali,  in
quanto invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato sia  in
materia di «ordinamento civile» (art. 117, comma 2, lettera l), della
Costituzione)   sia   in   materia    di    «tutela    dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, comma 2, lettera s),
della Costituzione) 
    D'altro canto, la  disposizione  impugnata,  nell'individuare  la
composizione del tavolo tecnico che  dovra'  procedere  alla  riforma
organica dell'intera materia degli usi  civici,  non  prevede  alcuna
partecipazione di Ministero della cultura, in palese contrasto con il
principio di «leale  collaborazione»  desumibile  dall'art.  5  della
Carta fondamentale. 
    Difatti,  i  lavori  del  citato   tavolo   tecnico   incideranno
senz'altro su profili di competenza  della  suddetta  amministrazione
statale:  in   particolare,   su   quelli   concernenti   i   vincoli
paesaggistici cui sono soggetti gli usi civici,  ai  sensi  dell'art.
142, comma 1, lettera  h),  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    Pertanto,  in  virtu'  del   menzionato   principio   di   «leale
collaborazione»,  il  legislatore  regionale   non   avrebbe   potuto
prescindere dall'introdurre quantomeno delle forme  di  coordinamento
con l'amministrazione centrale competente per materia. 
    Sicche', anche per tali motivi, si confida nella declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma  1,  lettera  b),
della legge regionale n. 9 del 2023, stante la  manifesta  violazione
di tutti i parametri costituzionali sopra indicati. 
 
                                 II 
Art. 34, comma 1, lettera a), punto 2), della legge  regionale  n.  9
                              del 2023 
 
    L'art.  34  della  legge  oggetto  di  impugnazione  -  rubricato
«Modifiche alla  legge  regionale  n.  24  del  2020  in  materia  di
procedure di selezione, funzioni dell'ARES, liquidazione  dell'ATS  e
disposizioni  varie»  -  stabilisce  che  «Alla  legge  regionale  11
settembre 2020, n. 24 (Riforma  del  sistema  sanitario  regionale  e
riorganizzazione sistematica  delle  norme  in  materia.  Abrogazione
della legge regionale n. 10 del 2006, della legge regionale n. 23 del
2014 e della legge regionale n. 17 del 2016 e di ulteriori  norme  di
settore) sono apportate le seguenti modifiche ed integrazioni: 
        a) all'art. 3: [...] 
          2) il comma 6 e' cosi' sostituito: 
"6. Contestualmente  all'istituzione  di  ARES,  l'ATS  e'  posta  in
liquidazione. La gestione liquidatoria di ATS e'  competente  per  la
liquidazione di tutte le posizioni attive e passive  e  di  tutte  le
cause pendenti, dalla data della sua costituzione e di quelle facenti
in precedenza capo alle soppresse aree socio-sanitarie locali e  alle
soppresse aziende sanitarie. Per l'espletamento di tutte le attivita'
la gestione liquidatoria di ATS si avvale, di norma, del personale di
ARES e, ove necessario, di ulteriori figure attraverso la stipula  di
apposite convenzioni. Il Commissario liquidatore di ATS  e'  nominato
dalla   Giunta   regionale.   Agli   oneri   relativi   all'attivita'
liquidatoria di ATS si fa fronte con  risorse  ulteriori  rispetto  a
quanto previsto, con riferimento alla Regione  Sardegna,  dall'intesa
Stato-regioni  concernente  il  riparto  del   fabbisogno   sanitario
standard"» (enfasi aggiunte). 
    La suddetta disposizione - nella parte  in  cui  prevede  che  il
Commissario liquidatore dell'Azienda per la tutela  della  salute  in
Sardegna sia nominato dalla Giunta regionale - si pone in  contrasto,
per il tramite delle «norme interposte» contenute negli articoli 1  e
2 del decreto legislativo n. 171 del 4 agosto 2016, con  l'art.  117,
comma  3,  della  Costituzione  nella  parte  in  cui  riserva   alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato  la  determinazione  dei
principi fondamentali in materia di «tutela della salute» (cfr. Corte
costituzionale, sentenze n. 192 del 2017, n. 54 del 2015, n. 207  del
2010, n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005). 
    Ed invero, il  Commissario  liquidatore  della  suddetta  Azienda
svolge le medesime funzioni del direttore generale  di  una  ASL,  al
quale e' integralmente assimilato; pertanto, la procedura  di  nomina
del medesimo non puo' prescindere dai principi fondamentali stabiliti
dal legislatore statale negli articoli 1 e 2 del  menzionato  decreto
legislativo, adottato - come noto - in attuazione della delega di cui
all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n.  124,
in materia di dirigenza sanitaria (Corte costituzionale, sentenze  n.
87 del 2019, n. 159 del 2018, n. 190 del 2017, n. 124  del  2015,  n.
295 del 2009, n. 449 del 2006 e n. 422 del 2005). 
    In particolare, la legge n. 124 del 2015, intitolata «Deleghe  al
Governo  in  materia  di   riorganizzazione   delle   amministrazioni
pubbliche», all'art. 11, rubricato «Dirigenza sanitaria»,  stabilisce
che: «1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro dodici mesi  dalla
data di entrata in vigore della presente legge, salvo quanto previsto
dall'art. 17, comma 2, uno o piu' decreti legislativi in  materia  di
dirigenza pubblica e  di  valutazione  dei  rendimenti  dei  pubblici
uffici. I decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei seguenti
principi e criteri direttivi: [...] 
        p)  con  riferimento  al  conferimento  degli  incarichi   di
direttore  generale,  di  direttore  amministrativo  e  di  direttore
sanitario, nonche', ove previsto  dalla  legislazione  regionale,  di
direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti  del
Servizio  sanitario  nazionale,  fermo   restando   quanto   previsto
dall'art. 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n.  502,  e
successive modificazioni,  per  quanto  attiene  ai  requisiti,  alla
trasparenza del procedimento e dei risultati, alla  verifica  e  alla
valutazione, definizione dei seguenti principi fondamentali, ai sensi
dell'art. 117 della Costituzione: selezione unica per titoli,  previo
avviso pubblico, dei direttori  generali  in  possesso  di  specifici
titoli  formativi  e  professionali  e   di   comprovata   esperienza
dirigenziale,  effettuata  da  parte  di  una  commissione  nazionale
composta  pariteticamente  da  rappresentanti  dello  Stato  e  delle
regioni, per  l'inserimento  in  un  elenco  nazionale  degli  idonei
istituito presso il Ministero della salute,  aggiornato  con  cadenza
biennale, da cui le regioni e le province autonome  devono  attingere
per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare  nell'ambito
di  una  rosa  di  candidati  costituita  da  coloro  che,   iscritti
nell'elenco  nazionale,  manifestano  l'interesse   all'incarico   da
ricoprire, previo avviso della singola regione o  provincia  autonoma
che procede secondo le modalita' del citato art.  3-bis  del  decreto
legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni;  sistema  di
verifica e di valutazione dell'attivita' dei direttori  generali  che
tenga  conto  del   raggiungimento   degli   obiettivi   sanitari   e
dell'equilibrio  economico  dell'azienda,  anche  in  relazione  alla
garanzia dei livelli essenziali di assistenza  e  dei  risultati  del
programma nazionale valutazione esiti dell'Agenzia  nazionale  per  i
servizi sanitari regionali; decadenza dall'incarico e possibilita' di
reinserimento soltanto all'esito di una nuova selezione nel  caso  di
mancato   raggiungimento   degli   obiettivi,    accertato    decorsi
ventiquattro mesi dalla nomina, o nel  caso  di  gravi  o  comprovati
motivi, o di grave disavanzo o di manifesta  violazione  di  leggi  o
regolamenti o  del  principio  di  buon  andamento  e  imparzialita';
selezione  per  titoli  e  colloquio,  previo  avviso  pubblico,  dei
direttori amministrativi  e  dei  direttori  sanitari,  nonche',  ove
previsti dalla legislazione  regionale,  dei  direttori  dei  servizi
socio-sanitari,  in  possesso  di  specifici  titoli   professionali,
scientifici  e  di  carriera,  effettuata  da  parte  di  commissioni
regionali   composte   da   esperti   di   qualificate    istituzioni
scientifiche, per l'inserimento in appositi elenchi  regionali  degli
idonei, aggiornati con cadenza biennale, da cui i direttori  generali
devono obbligatoriamente attingere per le relative nomine;  decadenza
dall'incarico nel caso di manifesta violazione di leggi o regolamenti
o del principio di buon andamento e imparzialita'; definizione  delle
modalita' per l'applicazione delle norme adottate in attuazione della
presente  lettera  alle  aziende  ospedaliero-universitarie»  (enfasi
aggiunte). 
    In attuazione dei principi e criteri direttivi sopra  trascritti,
il Governo ha adottato il citato decreto legislativo n. 171 del 2016,
il cui art. 1 ha disciplinato la procedura di formazione  dell'elenco
nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle
aziende sanitarie locali, delle aziende  ospedaliere  e  degli  altri
enti del Servizio sanitario nazionale; mentre, il successivo art.  2,
rubricato «Disposizioni relative al conferimento degli  incarichi  di
direttore generale», come modificato dall'art. 4,  comma  1,  lettera
a), del decreto legislativo 26 luglio 2017, n.  126,  cosi'  dispone:
«1.  Le  regioni  nominano  direttori  generali  esclusivamente   gli
iscritti all'elenco nazionale dei direttori generali di cui  all'art.
1. A tale fine, la regione rende noto, con apposito avviso  pubblico,
pubblicato sul sito internet istituzionale della  regione  l'incarico
che intende attribuire, ai fini della manifestazione di interesse  da
parte dei soggetti iscritti nell'elenco nazionale. La valutazione dei
candidati per titoli e colloquio e'  effettuata  da  una  commissione
regionale, nominata dal presidente della regione, secondo modalita' e
criteri definiti dalle regioni,  anche  tenendo  conto  di  eventuali
provvedimenti di accertamento  della  violazione  degli  obblighi  in
materia di trasparenza. La commissione, composta da esperti, indicati
da qualificate  istituzioni  scientifiche  indipendenti  che  non  si
trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno  designato
dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno  dalla
regione,  senza  nuovi  o  maggiori  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica, propone al presidente della regione una rosa di  candidati,
nell'ambito dei quali viene  scelto  quello  che  presenta  requisiti
maggiormente  coerenti  con  le  caratteristiche   dell'incarico   da
attribuire. Nella rosa proposta non possono  essere  inseriti  coloro
che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte
consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima
azienda  ospedaliera  o  il  medesimo  ente  del  Servizio  sanitario
nazionale. 
    2. Il provvedimento di  nomina,  di  conferma  o  di  revoca  del
direttore  generale  e'  motivato  e  pubblicato  sul  sito  internet
istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati,
unitamente al curriculum del nominato,  nonche'  ai  curricula  degli
altri candidati inclusi nella rosa. All'atto della nomina di  ciascun
direttore generale, le regioni definiscono e assegnano, aggiornandoli
periodicamente, gli  obiettivi  di  salute  e  di  funzionamento  dei
servizi con riferimento  alle  relative  risorse,  gli  obiettivi  di
trasparenza, finalizzati a rendere i  dati  pubblicati  di  immediata
comprensione  e  consultazione  per  il  cittadino,  con  particolare
riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale,
da indicare sia in modo aggregato che analitico,  tenendo  conto  dei
canoni valutativi di cui al  comma  3,  e  ferma  restando  la  piena
autonomia gestionale dei direttori stessi. La durata dell'incarico di
direttore generale non puo' essere inferiore a tre anni e superiore a
cinque anni. Alla scadenza dell'incarico, ovvero,  nelle  ipotesi  di
decadenza e di mancata conferma dell'incarico, le  regioni  procedono
alla  nuova  nomina,  previo  espletamento  delle  procedure  di  cui
presente articolo. La nuova nomina, in caso di decadenza e di mancata
conferma, puo' essere  effettuata  anche  mediante  l'utilizzo  degli
altri nominativi inseriti nella rosa di candidati di cui al comma  1,
relativa ad una selezione svolta in una  data  non  antecedente  agli
ultimi tre anni e purche' i candidati  inclusi  nella  predetta  rosa
risultino ancora inseriti nell'elenco nazionale di  cui  all'articolo
1. In caso di commissariamento delle aziende sanitarie locali,  delle
aziende  ospedaliere  e  degli  altri  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale,  il  commissario  e'  scelto  tra  i   soggetti   inseriti
nell'elenco nazionale» (enfasi aggiunte). 
    Dalle disposizioni statali appena trascritte, si evincono  -  per
quanto d'interesse in questa sede - i seguenti principi in materia di
nomina dei direttori generali: 
        a)  la  formazione,  all'esito  di  una  specifica  procedura
selettiva, di «una rosa  di  candidati»,  tra  cui  scegliere  quello
maggiormente idoneo a ricoprire l'incarico; 
        b) la necessita', alla scadenza  dell'incarico  ovvero  nelle
ipotesi di decadenza e/o mancata conferma del medesimo, di  procedere
alla nuova  nomina  previo  espletamento  della  specifica  procedura
selettiva di cui alla precedente lettera a); 
        c) l'eccezionalita' dell'ipotesi in cui alla nuova  nomina  -
in caso di decadenza e/o mancata conferma dell'incarico  -  si  possa
procedere mediante l'utilizzo degli altri nominativi inseriti in  una
«rosa di candidati» relativa ad una selezione precedente, che si  sia
svolta in una data non antecedente agli ultimi tre anni e  purche'  i
suddetti candidati risultino ancora inseriti nell'elenco nazionale di
cui all'art. 1 del decreto legislativo n. 171 del 2016; 
        d) la conclusione della procedura di nomina con l'adozione di
un provvedimento, che deve essere  motivato  e  pubblicato  sul  sito
internet della regione, al quale segue la conclusione  del  contratto
dove sono inseriti gli obiettivi, il cui raggiungimento  e'  valutato
tenuto conto dei criteri stabiliti dall'art. 2, comma 3, del  decreto
legislativo n. 171 del 2016. 
    Ebbene,   la   disposizione   regionale    impugnata    prescinde
integralmente dalla procedura di nomina sopra  delineata;  e  quindi,
per il tramite delle «norme interposte» sopra ritrascritte,  si  pone
in evidente contrasto con l'art. 117, comma  3,  della  Costituzione,
che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato  la
determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela  della
salute», tra i quali rientrano - secondo l'univoca giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte - anche le disposizioni relative alla nomina dei
direttori generali delle ASL (cfr. Corte costituzionale, sentenza  n.
209 del 2021). 
    Peraltro, la deroga  introdotta  dalla  regione  resistente  alle
disposizioni di principio stabilite dal legislatore statale non trova
alcun fondamento  normativo  nello  Statuto  speciale  della  Regione
autonoma della Sardegna e, segnatamente, nell'art. 4, comma 1, che  -
tra le materie di competenza legislativa regionale  -  annovera  alla
lettera h) la materia della «assistenza  e  beneficenza  pubblica»  e
alla lettera i) quella relativa alla «igiene e sanita' pubblica». 
    Difatti, la  costante  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte
(cfr., ad esempio, la sentenza n. 126 del 2017) ha affermato, proprio
con riferimento alle autonomie speciali, che,  in  ambito  sanitario,
non vengono in rilievo le norme dello Statuto speciale, bensi' l'art.
117  della  Costituzione,  in  quanto   la   competenza   legislativa
concorrente in  materia  di  «tutela  della  salute»  assegnata  alle
regioni ordinarie dall'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione,
dopo la riforma costituzionale del 2001  e'  «assai  piu'  ampia»  di
quella prevista dagli Statuti speciali in materia,  tra  l'altro,  di
«assistenza» oltre che di «igiene e sanita'» (cfr.  sentenze  n.  162
del 2007, n. 134 del 2006 e n. 270 del 2005). 
    Ed invero, la formula utilizzata dall'art. 117,  comma  3,  della
Costituzione esprime «l'intento di una piu' netta distinzione fra  la
competenza regionale a legiferare in queste materie e  la  competenza
statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina» (cfr. sentenza n. 282 del 2002). 
    Ne consegue che, trattandosi di competenza legislativa piu' ampia
rispetto a quella prevista  dagli  Statuti  speciali,  non  puo'  che
trovare applicazione la clausola di  favore  contenuta  nell'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Sicche', anche  per
la Regione  autonoma  della  Sardegna,  il  regime  della  competenza
legislativa nella materia de qua e'  quello  fissato  dall'art.  117,
comma 3, della Costituzione, in tema di «tutela della salute». 
    In altri  termini,  lo  Statuto  speciale  non  attribuisce  alla
Resistente prerogative ulteriori rispetto  a  quelle  desumibili  dal
menzionato art. 117, comma 3, della Costituzione, che - nelle materie
di competenza concorrente, tra cui e'  ricompresa  anche  la  «tutela
della salute» - riserva alla legislazione di «cornice» dello Stato la
determinazione dei principi fondamentali, che le regioni sono  tenute
ad osservare nell'esercizio della  propria  potesta'  legislativa  di
«dettaglio». 
    Nel caso di specie,  la  norma  oggetto  di  censura  non  si  e'
attenuta ai menzionati principi fondamentali e,  dunque,  non  potra'
che essere dichiarata costituzionalmente  illegittima  per  i  motivi
sopra indicati ed illustrati. 
 
                                 III 
  Art. 34, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 34, comma 1, lettera b), della legge impugnata  stabilisce
altresi' che - alla legge regionale 11 settembre 2020, n. 24 -  «dopo
il comma 5 dell'art. 13 e' aggiunto il seguente: 
        "5-bis. In attesa dell'espletamento delle procedure di cui al
comma 2, i direttori sanitari e amministrativi  di  ARES,  di  AREUS,
delle  aziende  sanitarie  locali  e  delle  aziende  ospedaliere   e
ospedaliero-universitarie  sono  nominati  nel  rispetto  di   quanto
previsto dalle lettere a), b) e c) del comma 2.  Ai  dirigenti  cosi'
individuati spetta la retribuzione prevista dalla deliberazione della
Giunta regionale n. 51/31 del 30 dicembre 2021, come modificata dalla
deliberazione della Giunta regionale n. 9/23 del 24 marzo 2022"». 
    Anche tale disposizione, per il tramite delle «norme  interposte»
contenute nell'art. 3 del decreto legislativo n.  171  del  4  agosto
2016,  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  117,  comma   3,   della
Costituzione, nella parte in cui riserva alla competenza  legislativa
esclusiva dello Stato la determinazione dei principi fondamentali  in
materia di «tutela della salute». 
    Ed invero, la norma sopra ritrascritta prevede  che,  nelle  more
dell'aggiornamento degli elenchi regionali degli  idonei,  l'incarico
di direttore sanitario e direttore amministrativo  sia  affidato  con
nomina diretta senza alcuna  procedura  selettiva,  sia  pure  tra  i
soggetti in possesso dei requisiti previsti dall'art.  13,  comma  2,
lettere a), b) e c), della legge n. 24 del 2020. 
    Tale disposizione, quindi, si pone in  palese  contrasto  con  il
menzionato art. 3 del decreto legislativo n. 171  del  2016,  secondo
cui «Il direttore generale, nel rispetto dei principi di  trasparenza
di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33,  come  modificato
dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, e di cui  all'art.  1,
comma 522, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nomina il  direttore
amministrativo, il direttore sanitario e, ove  previsto  dalle  leggi
regionali,  il  direttore  dei  servizi  socio  sanitari,  attingendo
obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei,  anche  di  altre
regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione
per titoli e colloquio, effettuati da una commissione nominata  dalla
regione, senza nuovi o maggiori oneri  per  la  finanza  pubblica,  e
composta  da  esperti   di   qualificate   istituzioni   scientifiche
indipendenti  che  non  si  trovino  in   situazioni   di   conflitto
d'interessi,  di  comprovata  professionalita'  e  competenza   nelle
materie oggetto degli incarichi, di cui uno designato dalla  regione.
La commissione valuta i titoli formativi e professionali, scientifici
e di carriera presentati dai  candidati,  secondo  specifici  criteri
indicati nell'avviso  pubblico,  definiti,  entro  centoventi  giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con Accordo  in
sede di Conferenza permanente peri rapporti tra lo Stato, le  regioni
e le Province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  fermi  restando  i
requisiti previsti per il direttore  amministrativo  e  il  direttore
sanitario dall'art. 3, comma 7,  e  dall'art.  3-bis,  comma  9,  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.   502,   e   successive
modificazioni» (enfasi aggiunte). 
    Peraltro, la suddetta disciplina si completa con quanto stabilito
nel  successivo  art.  5,  laddove  e'  stabilito  che   «Fino   alla
costituzione dell'elenco nazionale e degli elenchi regionali di  cui,
rispettivamente,  agli  articoli  1  e  3,  si  applicano,   per   il
conferimento degli incarichi  di  direttore  generale,  di  direttore
amministrativo, di direttore sanitario e, ove  previsto  dalle  leggi
regionali, di direttore dei  servizi  socio-sanitari,  delle  aziende
sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli altri  enti  del
Servizio sanitario nazionale, e per la valutazione degli  stessi,  le
procedure vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto. Nel caso in cui non e' stato costituito l'elenco  regionale,
per il conferimento degli incarichi di direttore  amministrativo,  di
direttore  sanitario  e,  ove  previsto  dalle  leggi  regionali,  di
direttore dei servizi socio-sanitari, le regioni attingono agli altri
elenchi regionali gia' costituiti» (enfasi aggiunte). 
    Come codesta ecc.ma Corte ha recentemente chiarito,  le  suddette
diposizioni statali rappresentano norme di principio  in  materia  di
«tutela della salute», essendo evidentemente ispirate dall'intento di
circoscrivere la scelta dei dirigenti  de  quibus  ai  «candidati  in
possesso di comprovati titoli e capacita' professionali, iscritti  in
appositi elenchi, allo scopo di affrancare la dirigenza sanitaria  da
condizionamenti di carattere politico e di  privilegiare  criteri  di
selezione che assicurino effettive capacita' gestionali e  un'elevata
qualita' manageriale» (cfr., ad esempio, sentenza n. 155 del 2022). 
    In altri termini, non vi e' dubbio  che,  nella  materia  «tutela
della  salute»,  rientrino  tra  i  principi  fondamentali,  la   cui
determinazione  e'  riservata  allo  Stato,  anche  le   disposizioni
relative  alle  procedure  di  accesso  alla  dirigenza  sanitaria  e
amministrativa, in quanto esse si collocano  in  una  prospettiva  di
miglioramento  del  «rendimento»  e  della  «qualita'»  del  servizio
offerto,  oltreche'   dell'imparzialita'   e   del   buon   andamento
dell'attivita' amministrativa (cfr. Corte costituzionale, sentenze n.
209 del 2021, n. 87 del 2019, n. 159 del 2018, n. 190  del  2017,  n.
124 del 2015, n. 295 del 2009, n. 449 del 2006 e n. 422 del 2005). 
    Pertanto, la  norma  regionale  impugnata  si  pone  in  evidente
contrasto con le menzionate disposizioni  di  principio  dettate  dal
legislatore statale,  in  quanto  consente  -  sia  pure  nelle  more
dell'aggiornamento degli elenchi regionali degli  idonei  -  che  gli
incarichi di direttore sanitario  e  direttore  amministrativo  siano
affidati senza il previo esperimento di una procedura  selettiva  tra
gli aspiranti. 
    Peraltro, anche  in  questo  caso,  la  deroga  introdotta  dalla
Regione resistente  alle  disposizioni  di  principio  stabilite  dal
legislatore  statale  non  trova  alcun  fondamento  normativo  nello
Statuto  speciale  della   Regione   autonoma   della   Sardegna   e,
segnatamente,  nell'art.  4,  comma  1,  che  -  tra  le  materie  di
competenza legislativa  regionale  -  annovera  alla  lettera  h)  la
materia della «assistenza e beneficenza pubblica» e alla  lettera  i)
quella relativa alla «igiene e sanita' pubblica». 
    Difatti, come s'e' detto nel precedente capo del  presente  atto,
la costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., ad esempio,
la sentenza n. 126 del 2017) ha affermato,  proprio  con  riferimento
alle autonomie speciali, che, in ambito  sanitario,  non  vengono  in
rilievo le norme dello Statuto  speciale,  bensi'  l'art.  117  della
Costituzione, in quanto la formula utilizzata  dal  comma  3  esprime
«l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza  regionale
a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei  principi  fondamentali  della  disciplina»  (cfr.
sentenza n. 282 del 2002). 
    Di conseguenza, trattandosi di competenza legislativa piu'  ampia
rispetto a quella prevista  dagli  Statuti  speciali,  non  puo'  che
trovare applicazione la clausola di  favore  contenuta  nell'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 
    In  definitiva,  lo  Statuto  speciale   non   attribuisce   alla
Resistente prerogative ulteriori rispetto  a  quelle  desumibili  dal
menzionato art. 117, comma 3, della Costituzione, che - nelle materie
di competenza concorrente, tra cui e'  ricompresa  anche  la  «tutela
della salute» - riserva alla legislazione di «cornice» dello Stato la
determinazione dei principi fondamentali, che le regioni sono  tenute
ad osservare nell'esercizio della  propria  potesta'  legislativa  di
«dettaglio». 
    Nel caso di specie, la norma censurata  non  si  e'  attenuta  ai
menzionati principi  fondamentali,  la  cui  osservanza  e'  peraltro
espressamente imposta dallo stesso inciso con cui si apre  il  citato
art.  4   dello   Statuto   speciale   di   autonomia   (cfr.   Corte
costituzionale, sentenze n. 155 del 2022, n. 159 del 2018, n. 430 del
2007 e n. 448 del 2006); sicche', per  i  motivi  sopra  indicati  ed
illustrati, essa non potra' che essere dichiarata  costituzionalmente
illegittima. 
 
                                 IV 
        Art. 35, comma 2, della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 35 della legge oggetto di  impugnazione  stabilisce  -  al
comma 2 - che «Nel  rispetto  del  tetto  di  spesa  fissato  per  il
personale degli enti del Servizio sanitario regionale (SSR)  e  ferma
restando la compatibilita' finanziaria, ciascun  ente  del  SSR  puo'
destinare i risparmi derivanti dalla  mancata  attuazione  del  piano
triennale  dei  fabbisogni  all'incremento  delle  risorse  destinate
annualmente al trattamento accessorio del personale  anche  oltre  il
limite previsto dall'art. 23, comma 2,  del  decreto  legislativo  25
maggio 2017, n. 75 [...], sulla base degli  indirizzi  regionali.  Le
disposizioni  di  cui  al  presente  comma  [...]   hanno   carattere
temporaneo e si applicano fino al termine  dello  stato  emergenziale
che si considera concluso con la saturazione dei piani  triennali  di
fabbisogno di personale». 
    La  suddetta  disposizione  -  per  il   tramite   della   «norma
interposta» contenuta nell'art. 23, comma 2, del decreto  legislativo
n. 75  del  2017  -  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  117  della
Costituzione nella parte in cui riserva alla  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato sia la materia «ordinamento civile»  (comma  2,
lettera l) sia la determinazione dei principi fondamentali in materia
di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»  (comma  3),  anche  in
relazione   al   principio   dell'equilibrio   di   bilancio   e   di
sostenibilita' del debito pubblico, stabilito dagli articoli 81 e 97,
comma 1, della Carta fondamentale. 
    Difatti, la citata norma interposta stabilisce che «1. Al fine di
perseguire la progressiva armonizzazione  dei  trattamenti  economici
accessori del personale delle  amministrazioni  di  cui  all'art.  1,
comma  2  del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.   165,   la
contrattazione collettiva nazionale, per  ogni  comparto  o  area  di
contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al  comma  2,
la graduale convergenza dei medesimi trattamenti  anche  mediante  la
differenziata   distribuzione,   distintamente   per   il   personale
dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie  destinate
all'incremento  dei  fondi  per  la  contrattazione  integrativa   di
ciascuna amministrazione. 
    2. Nelle more  di  quanto  previsto  dal  comma  1,  al  fine  di
assicurare la semplificazione amministrativa, la  valorizzazione  del
merito, la qualita' dei  servizi  e  garantire  adeguati  livelli  di
efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa, assicurando al
contempo l'invarianza della spesa, a decorrere dal 1°  gennaio  2017,
l'ammontare  complessivo  delle  risorse  destinate  annualmente   al
trattamento accessorio del personale, anche di livello  dirigenziale,
di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,  comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non  puo'  superare
il  corrispondente  importo  determinato  per  l'anno  2016»  (enfasi
aggiunte). 
    Come si evince dal tenore  letterale  delle  disposizioni  appena
ritrascritte,   l'intervento   normativo   statale   interviene   sul
trattamento accessorio destinato agli impiegati pubblici su tutto  il
territorio nazionale ed e' quindi sussumibile - anzitutto - entro  la
materia «ordinamento civile». 
    Ed invero, come chiarito ormai da tempo da codesta ecc.ma  Corte,
attengono alla materia de qua, rientrante - quindi - nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato, non solo le norme che disciplinano
la costituzione del rapporto di pubblico impiego e la  mobilita'  dei
dipendenti pubblici (cfr. sentenze n. 32/2017; n. 175 del 2016; n. 17
del 2014; n. 130 del 2013; n. 69 del 2011), ma anche quelle  relative
al trattamento giuridico ed economico del personale  in  esame  (cfr.
sentenze n. 175 del 2017; n. 160 del 2017; n. 121 del  2017;  n.  257
del 2016; n. 251 del 2016; n. 175 del 2016; n. 269 del 2014;  n.  211
del 2014; n. 61 del 2014; n. 19 del 2014; n. 286 del 2013; n. 265 del
2013; n. 225 del 2013; n. 218 del 2013; n. 36 del  2013;  n.  18  del
2013). 
    Inoltre, l'art. 23, comma 2, del decreto legislativo  n.  75  del
2017 persegue espressamente la finalita' di assicurare  «l'invarianza
della spesa» destinata al pubblico  impiego  con  decorrenza  dal  1°
gennaio 2017; e quindi, essa reca anche un principio fondamentale  in
materia di «coordinamento della  finanza  pubblica»,  che  vincola  -
appunto -  le  regioni  a  non  incrementare  le  spese  relative  al
personale  del  Servizio   sanitario   regionale   oltre   i   limiti
espressamente stabiliti dal legislatore statale. 
    Si tratta quindi di una diposizione che - come gia' ripetutamente
affermato da codesta ecc.ma  Corte  -  puo'  legittimamente  limitare
«l'autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore  della
tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione  del
servizio sanitario [...] alla  luce  degli  obiettivi  della  finanza
pubblica e del contenimento della spesa», in quanto  impongono  «alle
regioni vincoli  alla  spesa  corrente  per  assicurare  l'equilibrio
unitario della finanza pubblica complessiva, in  connessione  con  il
perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi
comunitari» (cfr. sentenza n. 91 del 2012, enfasi aggiunte). 
    In altri termini, trattandosi di una  disposizione  espressamente
volta a  garantire  l'attuazione  del  principio  dell'equilibrio  di
bilancio e  di  sostenibilita'  del  debito  pubblico,  di  cui  agli
articoli 81 e 97, comma 1, della Costituzione, essa si impone a tutti
gli enti regionali,  ivi  compresi  a  quelli  che  - come  l'odierna
Resistente - godono di uno speciale regime di autonomia  (cfr.  Corte
costituzionale, sentenza n. 226 del 2021). 
    Nella specie, peraltro,  la  deroga  introdotta  dal  legislatore
regionale non trova alcun fondamento giuridico  nello  Statuto  della
Regione autonoma della  Sardegna,  dato  che  l'art.  3  -  il  quale
peraltro fa  sempre  salva  l'osservanza  della  Costituzione  e  dei
principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, nonche' il  rispetto
degli obblighi internazionali,  degli  interessi  nazionali  e  delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica -
attribuisce alla competenza legislativa regionale lo «stato giuridico
ed economico del personale» alle dipendenze della regione (lett.  a);
e quindi, non puo' evidentemente giustificare l'intervento  normativo
in  esame,  che  -  come  anticipato  -  interviene  sul  trattamento
economico di un'altra  categoria  di  personale,  ossia  quello  alle
dipendenze degli enti del servizio sanitario. 
    Si  confida,  pertanto,  nella  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 35, comma 2, della legge regionale  n.
9 del 2023. 
 
                                  V 
             Art. 56 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 56 della legge  impugnata  -  rubricato  «Disposizioni  in
materia di tetti  di  spesa  per  prestazioni  sanitarie  erogate  da
privati accreditati» - interviene sul testo dell'art.  5,  comma  12,
della legge regionale n. 1 del 2023, prevedendo che  le  risorse  non
utilizzate di cui al  tetto  di  spesa  assegnato  per  il  2020  per
l'assistenza  ospedaliera  possono  essere  redistribuite   tra   gli
erogatori  privati  accreditati  che  abbiano  prodotto  un'attivita'
ospedaliera eccedente  il  budget  assegnato  nell'anno  2021  e  per
incrementare il tetto di spesa dell'assistenza ospedaliera  nell'anno
2023, «anche oltre i  limiti  imposti  dalle  disposizioni  di  legge
nazionali che prevedono  la  riduzione  dell'acquisto  di  volumi  di
prestazioni  sanitarie  da  privati  accreditati   per   l'assistenza
specialistica   ambulatoriale   e   per   l'assistenza    ospedaliera
finalizzate alla contrazione  della  spesa  pubblica,  in  quanto  la
regione provvede con proprie risorse  al  finanziamento  della  spesa
sanitaria» (enfasi aggiunte). 
    Tale  disposizione  -  per  il  tramite  della  norma  interposta
contenuta nell'art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.
95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135  -
si  pone  in  palese  contrasto  con  l'art.  117,  comma  3,   della
Costituzione nella parte in cui riserva allo Stato la  determinazione
dei principi fondamentali in materia di «coordinamento della  finanza
pubblica»  anche  in   relazione   al   gia'   menzionato   principio
dell'equilibrio di bilancio e di sostenibilita' del debito  pubblico,
sancito dagli articoli 81 e 97, comma 1, della Carta fondamentale. 
    Difatti, la norma interposta  appena  citata  stabilisce  che  «A
decorrere  dall'anno  2013  il   tetto   della   spesa   farmaceutica
ospedaliera di cui all'art. 5, comma 5, del decreto-legge 1°  ottobre
2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29  novembre
2007, n. 222, e' rideterminato nella misura del 3,5 per  cento  e  si
applicano le disposizioni dei commi da 5 a 10», che  disciplinano  le
modalita' di calcolo del «tetto»  e  introducono  le  misure  per  il
monitoraggio ed il contenimento della suddetta voce di spesa. 
    Nella sentenza n. 203 del 2016,  codesta  ecc.ma  Corte  -  nello
scrutinio   di   legittimita'   costituzionale    della    menzionata
disposizione statale - ha chiarito che le risorse destinate a coprire
la spesa sanitaria costituiscono un limite invalicabile non solo  per
l'amministrazione,  ma  anche  per  gli  operatori  privati,  il  cui
superamento  giustifica  l'adozione  delle   necessarie   misure   di
riequilibrio finanziario (cfr., in tale  senso,  anche  Consiglio  di
Stato, Ad. plen., n. 3 e n. 4 del 2012). 
    In altri termini, le norme statali che  individuano  le  suddette
misure   di   riequilibrio   costituiscono    altrettanti    principi
fondamentali in materia di «coordinamento  della  finanza  pubblica»,
atteso che esse perseguono espressamente la «finalita' di far  fronte
all'elevato  e  crescente  deficit  della  sanita'  e  alle  esigenze
ineludibili di bilancio e di contenimento della spesa pubblica. 
    Tale  finalita',  in  quanto  imposta  dai  vincoli  di  bilancio
derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall'Italia  in  sede
europea, si impone peraltro anche all'odierna Resistente, dato che  -
in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» ed  in  materia  di
«igiene e sanita'» - l'art. 4 dello  Statuto  speciale  di  autonomia
condiziona espressamente  l'esercizio  delle  competenze  legislative
regionali al rispetto dei vincoli derivanti dalla  Costituzione,  dai
principi   dell'ordinamento   giuridico   statale,   dagli   obblighi
internazionali, dagli interessi nazionali, dalle  norme  fondamentali
delle  riforme  economico-sociali  della  Repubblica,   nonche'   dai
principi stabiliti nelle leggi dello  Stato.  Si  confida,  pertanto,
nella declaratoria di illegittimita' costituzionale  anche  dell'art.
56 della legge censurata, stante l'evidente violazione dei  parametri
appena richiamati. 
 
                                 VI 
            L'art. 75 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 75 della legge censurata - rubricato «Modifiche alla legge
regionale n. 9  del  2006  in  materia  di  bonifiche  ambientali  di
competenza degli enti locali» - attribuisce ai «comuni le funzioni  e
i compiti amministrativi in materia di bonifiche ambientali  indicati
negli articoli 242 e 249 del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.
152 [...],  per  i  siti  ricadenti  interamente  nel  territorio  di
competenza, e  alle  province  e  citta'  metropolitane  le  medesime
funzioni e compiti amministrativi  per  i  siti  ricadenti  tra  piu'
comuni della stessa provincia o citta' metropolitana, ovvero: 
        a)   la   convocazione   della   conferenza    di    servizi,
l'approvazione del piano della caratterizzazione  e  l'autorizzazione
all'esecuzione dello stesso, di cui all'art. 242, commi 3 e  13,  del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [...]; 
        b)  la   convocazione   della   conferenza   di   servizi   e
l'approvazione del documento di analisi di rischio, di  cui  all'art.
242, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006; 
        c) l'approvazione del piano di monitoraggio, di cui  all'art.
242, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006; 
        d)   la   convocazione   della   conferenza    di    servizi,
l'approvazione del progetto operativo degli interventi di bonifica  o
di  messa  in  sicurezza  e  delle  eventuali  ulteriori  misure   di
riparazione   e   di   ripristino   ambientale   e   l'autorizzazione
all'esecuzione dello stesso, di cui all'art. 242, commi 7 e  13,  del
decreto legislativo n. 152 del 2006; 
        e)  l'approvazione  del  progetto   di   bonifica   di   aree
contaminate di ridotte dimensioni, di cui all'art. 249 e all'allegato
4 del decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    La garanzia finanziaria,  di  cui  all'art.  242,  comma  7,  del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e' prestata in favore del comune,
della  provincia  o   della   citta'   metropolitana   titolare   del
procedimento per la corretta esecuzione  ed  il  completamento  degli
interventi  autorizzati.  Il  comune,  la  provincia  o   la   citta'
metropolitana provvedono anche alla verifica e all'accettazione della
garanzia finanziaria. 
    Sono conferiti, inoltre, alle province e citta' metropolitane  le
funzioni e i compiti amministrativi attribuiti alla regione dall'art.
250 del decreto legislativo n. 152 del 2006» (enfasi aggiunte). 
    Le disposizioni sopra ritrascritte - per il tramite delle  «norme
interposte»  contenute  negli  articoli  249   e   250   del   codice
dell'ambiente e nell'art. 22 del decreto-legge  10  agosto  2023,  n.
104, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n.  136
- si pongono in evidente contrasto con l'art. 117, comma  2,  lettera
s), della Costituzione  che  attribuisce  allo  Stato  la  competenza
legislativa  esclusiva   in   materia   di   "tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali». 
    In particolare, ai sensi dell'art. 22 del  decreto-legge  n.  104
del 2023, «Le regioni  possono  conferire,  con  legge,  le  funzioni
amministrative di cui agli articoli 194, comma 6,  lettera  a),  208,
242 e 242-bis del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152,  agli
enti locali di cui all'art. 114 della Costituzione, tenendo conto  in
particolare  del  principio  di  adeguatezza.   La   medesima   legge
disciplina i poteri di indirizzo,  coordinamento  e  controllo  sulle
funzioni da parte della regione, il  supporto  tecnico-amministrativo
agli enti cui sono trasferite le funzioni e  l'esercizio  dei  poteri
sostitutivi da parte della regione  in  caso  di  verificata  inerzia
nell'esercizio delle  medesime.  Sono  fatte  salve  le  disposizioni
regionali, vigenti alla data di  entrata  in  vigore  della  presente
disposizione,  che  hanno  trasferito  le   funzioni   amministrative
predette». 
    Ebbene, l'art. 75 della legge  oggetto  di  censura  prevede  una
«delega»  in  favore  degli  enti  locali  anche  per   le   funzioni
amministrative individuate  dagli  articoli  249  e  250  del  codice
dell'ambiente,  non  espressamente  contemplate  dall'art.   22   del
decreto-legge n. 104 del 2023. 
    Di qui, la violazione per il tramite di tali  «norme  interposte»
della citata disposizione costituzionale, posto che, anche di recente
con  la  sentenza  n.  160  del  2023,  codesta   ecc.ma   Corte   ha
espressamente escluso la possibilita', per le regioni, di  attribuire
le funzioni in materia di  bonifiche  di  siti  inquinati  agli  enti
locali in difformita' da quanto  espressamente  previsto  nel  codice
dell'ambiente, stante la natura  «unitaria»  e  «primaria»  del  bene
tutelato (cfr. sentenza n. 189 del 2021). 
    In altri termini, la potesta' legislativa  esclusiva  statale  di
cui all'art. 117, comma 2, lettera s), esprime  ineludibili  esigenze
di protezione dell'ambiente, che sarebbero inevitabilmente vanificate
ove  si  attribuisse  alle  regioni  «la   facolta'   di   rimetterne
indiscriminatamente la cura a  un  ente  territoriale  di  dimensioni
minori, in  deroga  alla  valutazione  di  adeguatezza  compiuta  dal
legislatore statale con l'individuazione del livello regionale» (cfr.
sentenze n. 268 del 2017 e n. 641 del 1987). 
    Peraltro, nella  specie,  l'intervento  normativo  regionale  non
trova alcun fondamento nello Statuto speciale della Regione  autonoma
della Sardegna, il quale - da un lato - attribuisce  alla  competenza
legislativa  regionale  esclusivamente  la  materia  delle   «piccole
bonifiche» (art. 3, lettera d) e - dall'altro - prevede espressamente
che tale competenza legislativa deve pur sempre essere esercitata  in
«armonia con la Costituzione»  e  con  «i  principi  dell'ordinamento
giuridico della Repubblica», nonche'  nel  «rispetto  degli  obblighi
internazionali»,  degli  «interessi   nazionali»   e   delle   «norme
fondamentali delle riforme economico-sociali», quali sono  senz'altro
le citate norme contenute nel codice dell'ambiente. 
    Si insiste, pertanto, anche per la declaratoria di illegittimita'
costituzionale del citato art. 75 della  legge  regionale  impugnata,
stante la violazione degli evocati parametri  normativi,  cosi'  come
interpretati dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. 
 
                                 VII 
  Art. 80, comma 1, lettera b) della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 80, comma 1, lettera b), della legge regionale in oggetto,
sostituisce il comma 1 dell'art. 49, della legge regionale 29  luglio
1998, n. 23 «Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  e  per
l'esercizio della caccia in Sardegna», come  modificato  dall'art.  1
della legge regionale 7 febbraio 2002, n. 5, con il seguente: «1.  Ai
fini  dell'attivita'  venatoria  nel  territorio  della  Sardegna  e'
consentito abbattere esemplari di fauna selvatica di cui all'art.  48
nel periodo compreso tra la terza domenica  di  settembre  ed  il  31
gennaio dell'anno successivo, a condizione che le  specie  non  siano
cacciate durante il periodo della nidificazione, ne' durante le varie
fasi della riproduzione e della dipendenza e, qualora  si  tratti  di
specie migratorie, non vengano  cacciate  durante  il  periodo  della
riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione,  con  le
seguenti eccezioni: 
        [...] 
        b) Tortora selvatica (Streptopelia turtur) dal 1°  settembre,
secondo il piano adottato dalla conferenza Stato-regioni; ...». 
    La norma sopra riportata prevede che la specie tortora  selvatica
(«Streptopelia turtur»)  possa  essere  cacciata  «dal  1°  settembre
secondo  il   piano   adottato   dalla   Conferenza   Stato-regioni»,
diversamente dalla data indicata per la medesima specie dall'art. 18,
comma 1, lettera a) della legge n. 157 del 1992, c.d. «legge  quadro»
sulla caccia, ovvero dalla terza  domenica  di  settembre  al  31  di
dicembre. 
    La questione e' stata gia' affrontata  da  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale con la sentenza n. 18 -  20  dicembre  2002,  n.  536,
proprio in riferimento all'art. 49 della  L.R.  Sardegna  n.  23  del
1998. 
    Nella  citata  pronuncia,  infatti,  codesta  ecc.ma   Corte   ha
stabilito che l'indicazione delle specie cacciabili  e  del  relativo
periodo di caccia (di  cui  alla  legge  quadro  n.  157  del  1992),
servisse a garantire uno standard minimo e uniforme di  tutela  della
fauna su tutto il territorio nazionale, in linea  con  la  competenza
esclusiva dello Stato in materia  ambientale  di  cui  all'art.  117,
comma 2, lettera s), nel cui ambito puo' essere ricondotta la  tutela
della fauna, che il legislatore regionale non puo' derogare,  neppure
in forza della speciale competenza statutaria in materia di  «caccia»
prevista  dall'art.  3,  primo  comma,  lettera  i)   dello   Statuto
regionale. 
    L'attuale  formulazione  dell'articolo  in  esame,  invece,   non
definendo il periodo di cacciabilita'  della  tortora  selvatica  nel
perimetro fissato dal citato art. 18 della legge n. 157 del  1992  (e
rimandando,  anzi,  l'individuazione  del  termine  finale   ad   una
disposizione del  piano  adottato  dalla  Conferenza  Stato-regioni),
interviene  in  deroga  al  parametro  interposto,  ponendo  cosi'  i
descritti rilievi di incostituzionalita'. 
    La norma impugnata deroga al suddetto standard di tutela uniforme
che deve essere  rispettato  nell'intero  territorio  nazionale,  ivi
compreso quello delle regioni a statuto speciale e viola, pertanto, i
limiti stabiliti dallo Statuto della Regione Sardegna (art. 3,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  26   febbraio   1948,   n.   3)
all'esercizio della  potesta'  legislativa  in  materia  di  «caccia»
(lett. i), tra  cui  quelli  derivanti  dall'osservanza  delle  norme
fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica e degli
obblighi internazionali. 
    La deroga stabilita dalla Regione  Sardegna,  infatti,  oltre  ad
incidere sul «nucleo minimo di salvaguardia  della  fauna  selvatica,
nel quale deve includersi  -  accanto  all'elencazione  delle  specie
cacciabili - la disciplina delle modalita' di caccia, nei  limiti  in
cui prevede misure indispensabili per assicurare la  sopravvivenza  e
la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure  va
ascritta la disciplina che, anche in  funzione  di  adeguamento  agli
obblighi comunitari, delimita  il  periodo  venatorio»  (Corte  cost.
sentenza  n.  323/1998),  non  appare  compatibile  nemmeno  con   la
normativa dell'Unione europea in materia di  protezione  della  fauna
selvatica la quale richiede che gli Stati membri provvedano «a che le
specie a cui si applica la  legislazione  sulla  caccia  non  vengano
cacciate durante il periodo della riproduzione e durante  il  ritorno
al luogo di nidificazione» (art. 7, par.  4,  direttiva  2009/147/CER
del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009). 
    Alla stregua di quanto sopra e per  i  motivi  ivi  indicati,  va
pertanto dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  80,
primo  comma,  lettera  b)  della  legge  regionale  n.  9/2023   per
violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  in
relazione al parametro  interposto  di  cui  all'art.  18,  comma  1,
lettera a), della legge n. 157 del 1992 e per inosservanza dei limiti
all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia  di
«caccia» sanciti dall'art. 3, primo comma, dello  Statuto  regionale,
derivanti  dal  rispetto  delle   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale e degli obblighi internazionali. 
 
                                VIII 
             Art. 86 della legge regionale n. 9 del 2033 
 
    L'art. 86, rubricato «Investigazione sulle cause di incendio  nei
boschi e nelle campagne», prevede, al comma  1,  l'istituzione  e  la
formazione specialistica di nuclei, all'interno della  struttura  del
Corpo  forestale  regionale,   che   svolgano   anche   funzioni   di
«investigazione giudiziaria» sul fenomeno degli  incendi  boschivi  e
nelle campagne, sulla base delle quali, come prevede il comma  2,  il
Corpo forestale redige ogni anno  un  rapporto  consuntivo  e  avanza
proposte al Consiglio  e  alla  Giunta  della  regione  sulle  misure
ritenute necessarie ai fini del controllo  e  del  superamento  delle
singole cause di incendio. 
    La norma in argomento non appare compatibile con  il  riparto  di
competenze  legislative  tra  Stato  e  Regione  Sardegna,  che   non
contempla la possibilita' di attribuire con legge regionale  funzioni
investigative/di polizia giudiziaria. 
    L'ambito di autonomia legislativa prevista  dallo  Statuto  della
Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla  la  possibilita'  di
legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale
penale,  nel  cui  novero  si  inseriscono  le  funzioni  di  polizia
giudiziaria, la quale,  per  contro,  e'  attribuita  in  termini  di
esclusivita', ex art. 117, comma 2, lettera h), e lettera.  l),  allo
Stato (in ragione della sua essenzialita', per garantire  unitarieta'
all'ordinamento giuridico nazionale). 
    La potesta' legislativa esclusiva della  regione  in  materia  di
«polizia locale urbana e rurale» (art. 3, lettera c], dello  Statuto)
puo' riguardare l'esercizio dei compiti di polizia amministrativa, ma
non estendersi fino alla disciplina delle «funzioni di investigazione
giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi. 
    Codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare che  la
competenza  a  riconoscere  la  qualifica  di   agente   di   polizia
giudiziaria e' «riservata a leggi e regolamenti che  debbono  essere,
in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di  fonte
statale" (sentenza n. 185 del 1999)» (sentenze n. 82 del  2018  e  n.
167 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 8 del 2017 e n. 35  del
2011); cio', perche' le funzioni in esame ineriscono  all'ordinamento
processuale  penale,  che  configura  la  polizia  giudiziaria  «come
soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in  cui
si esprime  la  funzione  giurisdizionale  (il  pubblico  ministero)»
(cosi', in particolare, le sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011). 
    Ne deriva quindi, che solo leggi dello Stato  possono  attribuire
funzioni  di  polizia  giudiziaria  agli  appartenenti  ad   enti   e
istituzioni all'uopo indicate (come in termini esemplificativi e  non
esaustivi prevede l'art. 57 del codice di procedura penale). 
    Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati,  l'art.
86  della  legge  regionale  in  argomento  appare  illegittimo   per
violazione dell'art. 117, comma 2, lettera  h)  e  lettera  l)  della
Costituzione, sia in via autonoma e sia  in  relazione  ai  parametri
interposti offerti dagli articoli 55 e 57, commi 1  e  2,  codice  di
procedura penale, dagli articoli da 133 a 141 TULPS e  dall'art.  254
del regolamento di esecuzione TULPS e  per  inosservanza  dei  limiti
all'esercizio della potesta' legislativa della regione in materia  di
«polizia locale urbana e rurale» sanciti dall'art.  3,  primo  comma,
dello  Statuto  regionale,  derivanti  dal  rispetto   dei   principi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica. 
 
                                 IX 
             Art. 87 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 87, rubricato «Modifiche alla legge regionale  n.  26  del
1985 in materia  di  compiti  del  Corpo  forestale  e  di  vigilanza
ambientale», prevede che al Corpo forestale di vigilanza  ambientale,
istituito nell'ambito del  territorio  regionale  dall'art.  1  della
legge regionale 5 novembre 1985, n. 26, siano attribuite: 
        a) «attivita' di  polizia  giudiziaria  e  amministrativa  ai
sensi della vigente normativa nazionale e vigila sul  rispetto  della
normativa  regionale,  nazionale  e  internazionale  concernente   la
salvaguardia delle risorse forestali, agroambientali e paesaggistiche
e la tutela del patrimonio naturalistico regionale, e sulla sicurezza
agroalimentare, prevenendo e reprimendo gli illeciti connessi»; 
        b) «le funzioni e i compiti gia' espletati in campo nazionale
dal soppresso Corpo forestale dello Stato». 
    In relazione al punto sub a), benche' i settori nei quali  andra'
a svolgersi l'attivita' di vigilanza da  parte  del  Corpo  forestale
regionale potrebbero  apparire  coerenti  con  alcune  delle  materie
attribuite alla Regione Sardegna ai sensi del suo  Statuto  (art.  3,
lettera c] e d]), rilievi di incostituzionalita'  sorgono  in  ordine
all'attribuzione delle funzioni di polizia  giudiziaria  al  relativo
personale. 
    L'ambito di autonomia legislativa prevista  dallo  Statuto  della
Regione Sardegna (articoli 3 e 4) non contempla  la  possibilita'  di
legiferare in tema di sicurezza pubblica e di ordinamento processuale
penale,  nel  cui  novero  si  inseriscono  le  funzioni  di  polizia
giudiziaria, la quale,  per  contro,  e'  attribuita  in  termini  di
esclusivita', ex art. 117, comma 2, lettera h), e  lettera  l),  allo
Stato (in ragione della sua essenzialita', per garantire  unitarieta'
all'ordinamento giuridico nazionale). 
    La potesta' legislativa esclusiva della  regione  in  materia  di
«polizia locale urbana e rurale» (art. 3, lettera c], dello  Statuto)
puo' riguardare l'esercizio dei compiti di polizia amministrativa, ma
non estendersi fino alla disciplina delle «funzioni di investigazione
giudiziaria» sul fenomeno degli incendi boschivi. 
    Codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto occasione di affermare che  la
competenza  a  riconoscere  la  qualifica  di   agente   di   polizia
giudiziaria e' «riservata a leggi e regolamenti che  debbono  essere,
in quanto attinenti alla sicurezza pubblica, esclusivamente di  fonte
statale" (sentenza n. 185 del 1999)» (sentenze n. 82 del  2018  e  n.
167 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 8 del 2017 e n. 35  del
2011); cio', perche' le funzioni in esame ineriscono  all'ordinamento
processuale  penale,  che  configura  la  polizia  giudiziaria  «come
soggetto ausiliario di uno dei soggetti del rapporto triadico in  cui
si esprime  la  funzione  giurisdizionale  (il  pubblico  ministero)»
(cosi', in particolare, le sentenze n. 8 del 2017 e n. 35 del 2011). 
    Ne deriva quindi, che solo leggi dello Stato  possono  attribuire
funzioni  di  polizia  giudiziaria  agli  appartenenti  ad   enti   e
istituzioni all'uopo indicate (come in termini esemplificativi e  non
esaustivi prevede l'art. 57 del codice di procedura penale ). 
    Alla stregua di quanto sopra e per i motivi ivi indicati,  l'art.
87 della legge regionale in argomento, nella parte in cui attribuisce
al Corpo forestale e di vigilanza ambientale della  regione  funzioni
di polizia giudiziaria, appare illegittimo per  violazione  dell'art.
117, comma 2, lettera h) e lettera l), della Costituzione, sia in via
autonoma e sia in relazione ai  parametri  interposti  offerti  dagli
articoli 55 e 57, commi 1 e 2,  codice  di  procedura  penale,  dagli
articoli da 133 a 141  TULPS  e  dall'art.  254  del  regolamento  di
esecuzione TULPS e per inosservanza dei  limiti  all'esercizio  della
potesta' legislativa della regione  in  materia  di  «polizia  locale
urbana e rurale» sanciti dall'art.  3,  primo  comma,  dello  Statuto
regionale,  derivanti  dal  rispetto  dei  principi  dell'ordinamento
giuridico della Repubblica. 
    In riferimento al punto sub b), che il legislatore  regionale  ha
inteso porre come norma di chiusura rispetto  alle  attribuzioni  del
Corpo forestale regionale, si osserva che l'estensione delle funzioni
del soppresso Corpo forestale dello Stato al  Corpo  forestale  e  di
vigilanza  ambientale  della  Regione  sarda  non  puo'   avere   una
connotazione  di  esclusivita',  in  quanto  le  funzioni  del  Corpo
forestale dello Stato sono state acquisite dall'Arma dei carabinieri,
ai sensi del decreto legislativo n. 177 del 2016 (e  conseguentemente
attribuite ai propri reparti di specialita', presenti  nella  Regione
Sardegna, come  il  Centro  anticrimine  natura  di  Cagliari  ed  il
relativo Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e
forestale, il Nucleo CITES di Cagliari  e  i  distaccamenti  di  tali
strutture presso altri comuni del territorio regionale). 
    Inoltre, non tutte le  funzioni  del  soppresso  Corpo  forestale
dello  Stato,  ancorche'  esercitate  dai  Reparti   di   specialita'
dell'Arma dei carabinieri, sono attribuibili tramite legge  regionale
al Corpo forestale regionale, avuto riguardo ai limiti delle potesta'
legislativa, previsti dallo Statuto della Regione Sardegna, di cui ai
citati articoli 3 e 4 della legge Costituzionale n. 3 del 1948. 
    In particolare, non puo' essere compresa  tra  queste,  l'insieme
delle funzioni di controllo previste per il disciolto Corpo forestale
dello Stato, dalla legge n. 150 del 1992  in  tema  di  contrasto  al
commercio illegale, nonche' di controllo del commercio internazionale
e della detenzione di esemplari di fauna e  di  flora  minacciati  di
estinzione, ai sensi della Convenzione di  Washington  sul  commercio
internazionale  delle  specie  di  fauna  e   flora   minacciate   di
estinzione, piu' comunemente conosciuta come CITES,  ora  attribuite,
ai sensi dell'art. 7, comma 2 del decreto legislativo 177  del  2016,
all'Arma dei carabinieri,  trattandosi  di  funzioni  in  materia  di
tutela ambientale nella quale la Regione Sardegna non e' titolare  di
competenze legislative in base  agli  articoli  3  e  4  del  proprio
Statuto approvato con legge costituzionale n. 3 del 1948. 
    La tutela  dell'ambiente,  intesa  anche  come  conservazione  di
specie animali e vegetali in pericolo di estinzione, rientra  infatti
tra le materie di competenza esclusiva dello Stato a mente  dell'art.
117, comma 2, lettera s), Cost. e non e' prevista dallo Statuto della
Regione Sardegna tra le discipline in cui  il  legislatore  regionale
puo' intervenire. 
    Quindi, solo una legge statale puo'  eventualmente  disporre  sul
tema dei controlli CITES, in modifica di altra  precedente  legge  di
pari rango (nello specifico caso, la citata legge  n.  150  del  1992
che, tra l'altro, gia' coinvolge, nel  proprio  impianto  generale  i
Corpi Forestali regionali, cfr. art. 5 comma 1). 
    E' evidentemente inutile, poi, discettare di eventuali competenze
legislative Statutarie, come quelle previste dall'art.  3,  comma  1,
lettera  c):  «polizia  locale  urbana  e  rurale»  e   lettera   d):
«agricoltura e foreste» laddove, come nel caso di specie, il  ricorso
del Governo muova «da  una  prospettiva  di  radicale  esclusione  di
qualsivoglia competenza regionale statutaria» (Corte cost.,  sentenza
21 giugno  2019,  n.  153)  in  ragione  del  contenuto  della  norma
impugnata e della natura del parametro evocato (sentenza n.  103  del
2017), riconducibile, nel caso di specie, alla  tutela  dell'ambiente
ai sensi dell'art. 117,  comma  2  lettera  s),  Cost.,  risolvendosi
l'eventuale eccezione della regione in un  profilo  che  attiene  non
gia'  all'aspetto  preliminare  della  questione,  bensi'  a   quello
successivo del merito (Corte cost.,  sentenza,  16  luglio  2014,  n.
199). 
    La  medesima  legge  n.  150  del  1992  dando  attuazione   alla
Convenzione sul  commercio  internazionale  delle  specie  animali  e
vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo  1973,
di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, ed al  regolamento  (CEE)
n. 3626/82, e successive modificazioni, si pone, poi, come esecuzione
di obblighi assunti  a  livello  internazionale  rispetto  ai  quali,
sempre  in  relazione  all'art.  117,  comma  2,  lettera  a)   della
Costituzione, lo Stato ha competenza esclusiva. 
    Infine, si evidenzia che l'attribuzione delle funzioni svolte dal
disciolto Corpo forestale dello Stato a quello della Regione Sardegna
presuppone il possesso della qualifica di ufficiali/agenti di polizia
giudiziaria del relativo personale, che,  come  gia'  argomentato  in
relazione al punto sub  a)  del  presente  motivo,  non  puo'  essere
concessa  con  legge  regionale,  in  quanto  l'ambito  di  autonomia
legislativa prevista dallo Statuto della Regione Sardegna (articoli 3
e 4) non contempla la possibilita' di legiferare in tema di sicurezza
pubblica e di ordinamento  processuale  penale,  nel  cui  novero  si
inseriscono le funzioni di polizia giudiziaria, la quale, per contro,
e' attribuita in termini di  esclusivita',  ex  art.  117,  comma  2,
lettera  h),  e  lettera  l),  allo  Stato  (in  ragione  della   sua
essenzialita', per garantire  unitarieta'  all'ordinamento  giuridico
nazionale). 
    Alla  stregua   di   quanto   sopra,   va   pertanto   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 87 della legge regionale n.
9 del 2023 per violazione: 
        dell'art. 117, comma 2, lettera  a)  Cost.  in  relazione  ai
parametri interposti della Convenzione sul  commercio  internazionale
delle specie animali e vegetali  in  via  di  estinzione,  firmata  a
Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19  dicembre  1975,  n.
874, ed al regolamento (CEE) n. 3626/82; 
        dell'art. 117, comma 2, lettera  s)  Cost.  in  relazione  ai
parametri interposti di cui alla legge n. 150 del 1992, e al  decreto
legislativo 177 del 2016; 
        dell'art. 117, comma 2, lettera h)  e  lettera  l)  Cost.  in
relazione ai parametri interposti di cui agli articoli 55 e 57, commi
1 e 2, codice di procedura penale, dagli articoli da 133 a 141  TULPS
e dall'art. 254 del regolamento di esecuzione TULPS; 
        e per inosservanza dei limiti  all'esercizio  della  potesta'
legislativa della regione in materia  di  «polizia  locale  urbana  e
rurale» e «agricoltura e foreste» sanciti dall'art. 3,  primo  comma,
dello  Statuto  regionale,  derivanti  dal  rispetto  degli  obblighi
internazionali, delle norme fondamentali di riforma economico-sociale
e dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. 
 
                                  X 
        Art. 91, commi 1 e 2 della legge regionale 9 del 2023 
 
    L'art. 91, commi 1 e 2, della legge  regionale  in  oggetto,  nel
modificare l'art. 5 della legge 31 ottobre 2007, n. 12, in materia di
bacini di accumulo di competenza regionale: 
        proroga dal 30 giugno 2018 al 30 settembre  2024  il  termine
per  ottenere,   da   parte   del   proprietario   o   del   gestore,
l'autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio  degli  sbarramenti
esistenti alla data di entrata in vigore della legge; 
        consente  ai  proprietari  o  ai  gestori  degli  sbarramenti
esistenti che, a seguito di controllo da parte del Corpo forestale  e
di  vigilanza   ambientale   regionale,   risultino   sprovvisti   di
autorizzazione alla prosecuzione  dell'esercizio,  di  presentare  la
suddetta istanza, secondo  quanto  previsto  dall'allegato  A,  entro
sessanta (e non piu' trenta) giorni dalla  notifica  del  verbale  di
accertamento della violazione, aggiungendo che detta  istanza,  oltre
ad avere effetto  sospensivo  dell'ordine  di  demolizione,  comporta
anche una riduzione della sanzione pecuniaria al 10%  e  puo'  essere
presentata anche qualora la sanzione sia gia' stata  applicata  entro
sessanta giorni dall'entrata in vigore della disposizione. 
    In  sostanza,  l'art.  91  della  legge  regionale  9  del  2023,
disponendo la proroga al 30  settembre  2024  della  possibilita'  di
presentare istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell'esercizio
degli  sbarramenti  esistenti,  permette  di  sanare  le   violazioni
commesse da parte dei proprietari o dei gestori degli sbarramenti che
risultino sprovvisti di autorizzazione e di presentare detta istanza,
anche a seguito di controllo  da  parte  del  Corpo  forestale  e  di
vigilanza ambientale regionale, entro sessanta giorni dalla  notifica
del verbale di accertamento della violazione  e  persino  qualora  la
sanzione sia gia' stata applicata (in tal caso entro sessanta  giorni
dall'entrata in vigore della disposizione),  con  effetto  sospensivo
dell'ordine di demolizione e  di  riduzione  al  10%  della  sanzione
pecuniaria irrogata. 
    Tale disposizione opera estensivamente rispetto  alla  precedente
legge  regionale  del  2007,  introducendo  cosi'  delle  ipotesi  di
sanatoria di opere realizzate in difformita' dagli atti di assenso e,
in  particolare,  di  sbarramenti  realizzati   in   mancanza   delle
autorizzazioni previste dalla  normativa  vigente  al  momento  della
costruzione, ovvero in difformita' rispetto ai progetti approvati. 
    La regione non puo' invocare le competenze legislative attribuite
dallo Statuto, in particolare l'art. 3, primo comma,  lettera  d)  in
materia di «agricoltura e  foreste,  piccole  bonifiche  e  opere  di
miglioramento agrario e fondiario» e l'art. 4, primo  comma,  lettera
c),  in  materia  di  «opere  di  grande  e  media  bonifica   e   di
trasformazione  fondiaria»,  in  quanto  la  prima   (esclusiva)   e'
sottoposta al rispetto  dei  principi  dell'ordinamento  giuridico  e
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica (art.  3,  comma  1)  e  la  seconda  (concorrente)  deve,
comunque, attenersi ai principi stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato
(art. 4, comma 1). 
    I limiti cui e' subordinato il legittimo esercizio della potesta'
legislativa (esclusiva e concorrente) della Regione  Sardegna,  sopra
richiamati e sanciti dallo  Statuto  stesso,  appaiono  nella  specie
violati in relazione al parametro interposto di cui all'art. 167  del
codice dei beni culturali. 
    A tale riguardo giova  richiamare  la  sentenza  n.  201  del  28
settembre 2021 con la quale codesta ecc.ma  Corte  costituzionale  ha
dichiarato l'illegittimita' dell'art. 11 della  legge  della  Regione
Veneto  23  giugno   2020,   n.   23   che,   nel   disciplinare   la
regolarizzazione degli  sbarramenti  di  ritenuta  e  dei  bacini  di
accumulo di competenza regionale esistenti e  realizzati  in  assenza
delle  prescritte  autorizzazioni,  aveva  previsto  la  facolta'  di
presentare istanza di regolarizzazione entro sei mesi dall'entrata in
vigore della legge. 
    Codesta ecc.ma Corte ha evidenziato nella richiamata sentenza che
«Con tale disposizione, il legislatore veneto ha  consentito  che  le
opere di cui al precedente art. 10 - vale a dire le  opere  che  "non
siano state denunciate ovvero siano state realizzate  in  difformita'
dai progetti approvati" - siano regolarizzate  previa  presentazione,
da parte del proprietario  o  del  gestore,  del  progetto  esecutivo
completo dello stato di fatto e comprensivo della  certificazione  di
idoneita' statica. L'approvazione  del  progetto  e'  riservata  alla
Giunta regionale, che vi provvede  all'esito  del  procedimento  gia'
descritto nello scrutinio delle  precedenti  censure.  Il  dubbio  di
legittimita' costituzionale discende dal fatto che, disciplinando  la
norma impugnata opere esistenti alla data di entrata in vigore  della
legge regionale, la stessa si porrebbe in contrasto  con  l'art.  167
del codice  beni  culturali,  che  dispone  un  generale  divieto  di
sanatoria per gli interventi non autorizzati su  beni  paesaggistici,
salvi i limitati casi di cui  al  comma  4,  estranei  alla  presente
fattispecie e che necessitano, comunque, del previo parere vincolante
della soprintendenza». 
    Conseguentemente, richiamato  l'orientamento  di  codesta  ecc.ma
Corte secondo cui «l'autorizzazione paesaggistica  ...,  deve  essere
annoverata tra  gli  "istituti  di  protezione  ambientale  uniformi,
validi in tutto il territorio nazionale"» (sentenze n. 238 del 2013 e
n. 101 del 2010), la cui osservanza si  impone  anche  alla  potesta'
legislativa (esclusiva e concorrente) della  Regione  autonoma  della
Sardegna, in forza dei limiti sopra richiamati, l'art. 91 della legge
regionale impugnata va  ritenuto  costituzionalmente  illegittimo  in
quanto,   derogando   alla   normativa   statale   in   materia    di
regolarizzazione delle opere,  anche  sotto  il  profilo  paesistico,
invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella  materia
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». 
    Alla stregua di quanto sopra indicato, la disposizione  in  esame
appare illegittima  per  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione, in relazione al parametro  interposto
di cui all'art. 167 del codice dei beni culturali, e per inosservanza
dei limiti all'esercizio della  potesta'  legislativa  della  regione
sanciti dall'art. 3 primo comma, e dall'art.  4,  primo  comma  dello
Statuto   regionale,   derivanti   dal    rispetto    dei    principi
dell'ordinamento giuridico e  delle  norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale della Repubblica, nonche'  dei  principi  stabiliti
dalle leggi dello Stato. 
 
                                 XI 
            Art. 120 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 120 della legge regionale  in  oggetto  apporta  modifiche
alla legge regionale n. 7  del  2021  che  regola  il  nuovo  assetto
territoriale delle province e delle citta' metropolitane. 
    La norma della legge regionale n. 9 del 2023, in particolare,  al
comma 1, lettera a], modifica la denominazione della  «Provincia  del
Nord-Est Sardegna» in «Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna», al
comma 1, lettera c], punto 2, e lettera  d],  punto  2,  conferma  la
circoscrizione territoriale della Provincia di Oristano  determinando
la composizione dei comuni, e alla lettera f] disciplina, sostituendo
l'art. 23 della legge regionale  n.  7  del  2021,  gli  «adempimenti
inerenti all'istituzione della  Citta'  metropolitana  di  Sassari  e
delle Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra,  del
Sulcis  Iglesiente  e  del  Medio  Campidano,  alla  conferma   della
circoscrizione territoriale  di  Oristano,  e  alle  modifiche  delle
circoscrizioni territoriali della Citta' metropolitana di Cagliari  e
della Provincia di Nuoro», la successione tra gli enti interessati  e
la relativa fase transitoria. 
    Con la  norma  del  collegato  alla  finanziaria  il  legislatore
regionale e' intervenuto,  cosi',  nuovamente  sul  procedimento  per
l'istituzione e il funzionamento delle sei province (Oristano, Nuoro,
Ogliastra,  Sulcis  Iglesiente,  Medio  Campidano,  Gallura-Nord  Est
Sardegna) e delle due citta'  metropolitane  (oltre  a  Cagliari,  la
Citta' metropolitana di Sassari che sostituisce la Rete metropolitana
di Sassari) sostituendo interamente l'art. 23 della  legge  regionale
n. 7 del 2021 che riguarda la fase transitoria e di  successione  dai
vecchi ai nuovi enti, e stabilendo tempi, modalita' e  procedure  nel
passaggio al nuovo assetto. 
    La  disciplina  apportata  dall'art.  120  riguarda   sostanziali
variazioni   dell'assetto   territoriale,    senza    prevedere    il
coinvolgimento  delle  popolazioni  interessate  alla  riforma  delle
circoscrizioni territoriali delle province sarde e cio' in violazione
delle norme di seguito indicate: 
        art.   43,   comma   2,   dello   Statuto   speciale   (legge
costituzionale n. 3/1948) che dispone: «Con legge  regionale  possono
essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle province,  in
conformita'  alla  volonta'  delle  popolazioni  di  ciascuna   delle
province interessate espressa con referendum»; 
        art. 133 Cost. che al comma 2 prescrive «La regione,  sentite
le popolazioni interessate, puo' con sue leggi istituire nel  proprio
territorio  nuovi  comuni  e  modificare  le  loro  circoscrizioni  e
denominazioni»; 
        art. 15 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL)
che dispone «A norma degli articoli 117 e 133 della Costituzione,  le
regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei  comuni
sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla  legge
regionale ...». 
    Non puo' invocarsi, invece, da parte della  regione  la  potesta'
legislativa esclusiva di cui all'art. 3, comma 1, lettera  b),  dello
Statuto in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative
circoscrizioni», in quanto la  modifica  della  circoscrizione  delle
province e' regolata dalla norma speciale di cui  all'art.  43  dello
Statuto medesimo e, comunque, la potesta' legislativa  della  regione
deve essere esercitata nel  rispetto  delle  sopra  richiamate  norme
dell'ordinamento     nazionale     che     costituiscono     principi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica (art. 3, comma  1,  dello
Statuto). 
    Codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  si  e'  pronunciata   con
sentenza n. 68/2022 sul ricorso  governativo  proposto  in  relazione
all'art. 6 della precedente legge regionale n. 7/2021 e ha dichiarato
inammissibili, per contraddittorieta' ed inidoneita'  dell'intervento
invocato, le questioni di legittimita' costituzionale,  promosse  dal
Governo in riferimento all'art.  43,  secondo  comma,  dello  Statuto
speciale, dell'art. 6 della legge regionale Sardegna n.  7/2021  che,
nello stabilire un nuovo assetto complessivo degli enti di area vasta
attraverso l'istituzione o la  soppressione  di  taluni,  prevede  un
referendum solo successivamente all'entrata in vigore della riforma e
prevede un referendum consultivo quando una delibera  consiliare  sia
intervenuta ma non abbia raggiunto l'unanimita'. 
    Nella predetta pronuncia codesta ecc.ma Corte ha evidenziato  che
ogni considerazione di merito era preclusa dalla circostanza  che  il
ricorso ha omesso di estendere la censura all'intera legge regionale,
approvata  in   asserita   lesione   del   procedimento   rinforzato,
limitandosi in modo contraddittorio a impugnare il solo art. 6. 
    Nel disciplinare, a distanza di due  anni,  mediante  l'art.  120
della legge regionale n. 9/2023, le nuove circoscrizioni  provinciali
(comma 1, lettera a], che modifica la denominazione della  «Provincia
del  Nord-Est  Sardegna»  in  «Provincia   della   Gallura   Nord-Est
Sardegna», comma 1, lettera c], punto 2, e lettera d], punto  2,  che
conferma la circoscrizione territoriale della Provincia  di  Oristano
determinando la composizione dei comuni),  gli  adempimenti  inerenti
all'istituzione  della  Citta'  metropolitana  di  Sassari  e   delle
Provincia della Gallura Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra, del Sulcis
Iglesiente e del Medio Campidano, alla conferma della  circoscrizione
territoriale di  Oristano,  e  alle  modifiche  delle  circoscrizioni
territoriali della Citta' metropolitana di Cagliari e della Provincia
di Nuoro, la successione tra gli enti interessati e la relativa  fase
transitoria (comma 1, lettera f], che sostituisce l'art. 23, legge n.
7 del 2021), il legislatore regionale ha proceduto ad  una  novazione
normativa che risulta idonea a rendere nuovamente attuale la  lesione
del  parametro  di  legittimita'  rappresentato  dall'art.  43  dello
Statuto sardo  e  tempestivo  l'interesse  ad  un  pronunciamento  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale. 
    Tanto   piu'   avuto   riguardo   al   pregresso   pronunciamento
referendario della popolazione sarda avvenuto nel 2012,  mediante  il
quale era stata espressa  la  volonta'  di  abrogare:  (a)  la  legge
regionale n.  4/1997  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,
recante disposizioni in materia di «Riassetto generale delle Province
e procedure ordinarie  per  l'istituzione  di  nuove  Province  e  la
modificazione  delle  circoscrizioni  provinciali»;  (b)   la   legge
regionale 10/2002, recante disposizioni in  materia  di  «Adempimenti
conseguenti  alla  istituzione  di  nuove   Province,   norme   sugli
amministratori locali e modifiche  alla  legge  regionale  2  gennaio
1997, n. 4»; (c)  la  deliberazione  del  Consiglio  regionale  della
Sardegna del 31 marzo 1999, contenente  la  «Previsione  delle  nuove
circoscrizioni provinciali della Sardegna, ai sensi dell'art. 4 della
legge regionale 2 gennaio 1997, n. 4»; (d) la legge  regionale  sarda
12 luglio 2001, n. 9 recante disposizioni in materia di  «Istituzione
delle   Province   di   Carbonia-Iglesias,   del   Medio   Campidano,
dell'Ogliastra e di Olbia Tempio»; (e) nonche'  le  quattro  province
«storiche»  della  Sardegna  (ossia:  Cagliari,  Sassari,   Nuoro   e
Oristano). 
    Alla stregua di quanto sopra e per  i  motivi  ivi  indicati,  va
pertanto dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  120
della legge regionale in oggetto, in particolare del comma 1  lettera
a], lettera c] punto 2, e lettera d] punto 2, nonche' lettera f], per
violazione dell'art. 133, comma  2,  della  Costituzione,  anche  con
riferimento  al  parametro  interposto  dell'art.  15   del   decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e per  violazione  dell'art.  43,
comma  2,  dello  Statuto  speciale  della  Regione  Sardegna  (legge
costituzionale  n.  3/1948),  in  quanto  non  e'  stata  sentita  la
popolazione  interessata  alle  variazioni  apportate  agli   assetti
territoriali dalle disposizioni in esame. 
 
                                 XII 
Articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2,  3,  4,
125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1  lettere  a)  e  b),  133,
                 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    Gli articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2,
3, 4, 125 comma 7, 126 comma 1, 127, 128 comma 1 lettere a) e  b),  e
133 del capo XI «Norme in materia di recupero del patrimonio edilizio
e urbanistica» della legge regionale in oggetto, sono illegittimi per
i motivi di seguito indicati. 
    In primo luogo non si puo' trascurare che l'art. 3, primo  comma,
lettera f), dello Statuto riconosce alla  Regione  Sardegna  potesta'
legislativa primaria nella materia  dell'«edilizia  ed  urbanistica»,
entro la quale si collocano le disposizioni sopra indicate. 
    Occorre,  tuttavia,  rammentare  che  la   potesta'   legislativa
primaria  della  regione  deve  esplicarsi   «in   armonia   con   la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli  interessi
nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle  riforme  economico
sociali della Repubblica», secondo quanto stabilito dal  citato  art.
3, comma 1, dello Statuto regionale. 
    Di  seguito,  pertanto  verranno   evidenziati   i   profili   di
illegittimita' costituzionale che assumono rilievo - anche attraverso
il  richiamo  a  norme  statali  interposte  -  in  quanto  integrano
violazioni dei parametri statutari sopra ricordati. 
    Cio' premesso, con specifico riferimento alla legge in oggetto si
evidenzia quanto segue. 
    L'art. 123, comma 5, ai fini dell'ammissibilita' degli interventi
di cui ai commi 2 e 3  (riuso  dei  sottotetti  esistenti  per  scopo
abitativo), specifica la definizione di «sottotetti» di cui al  comma
1 («...gli spazi e i volumi compresi tra l'estradosso della  chiusura
orizzontale superiore, anche non  calpestabile,  dell'ultimo  livello
agibile  e  l'intradosso  delle  falde  della  copertura   a   tetto,
localizzati all'interno della sagoma dell'edificio»)  e  al  comma  4
(«in presenza di un  unico  livello  agibile»)  stabilendo  che  «...
costituiscono quindi sottotetti: 
        a) gli spazi e i volumi delimitati inferiormente  dall'ultimo
solaio  di  chiusura  di   un   volume   urbanisticamente   rilevante
(residenziale  o  con   altra   destinazione   compatibile   con   la
destinazione  della  zona  omogenea)  e  il   solaio   di   copertura
dell'immobile   o    dell'unita'    immobiliare,    indipendentemente
dall'attuale destinazione di tale spazio  o  volume  come  desumibile
dall'ultimo titolo edilizio rilasciato per lo stesso; 
        b) le terrazze coperte e aperte su uno, due,  tre  o  quattro
lati, non rilevanti ai fini volumetrici dalle vigenti disposizioni di
legge regionali e regolamenti comunali; 
        c) gli spazi e i volumi  delimitati  da  altezza  di  imposta
delle falde nulla.». 
    Le  previsioni  di  cui  alle  lettere  b)  e  c)  consentono  di
considerare sottotetti e, quindi, di  «chiudere»  spazi  che  possono
anche non essere limitati lateralmente, cioe'  completamente  aperti,
sebbene coperti. 
    In questo caso,  appare  evidente  come  la  chiusura  (laterale)
determini un aumento di cubatura residenziale prima non esistente, di
imprevedibile e  incontrollabile  consistenza,  con  un  possibile  e
generalizzato aumento  di  carico  urbanistico  conseguente  a  nuova
cubatura residenziale e abitanti  insediabili,  con  possibilita'  di
squilibrare  gli  standard  minimi  urbanistici  degli  strumenti  di
pianificazione generale. 
    Il comma 6 del medesimo articolo consente  ulteriori  ampliamenti
volumetrici, anche esterni all'involucro  geometrico  del  sottotetto
esistente, realizzabili anche in zona A (territorio  con  agglomerati
urbani che rivestono carattere storico, artistico  o  di  particolare
pregio ambientale) ai sensi del comma 7. 
    Il  successivo  comma  11  prevede  che  il  volume  urbanistico,
determinato  dal   volume   geometrico   del   sottotetto,   misurato
all'esterno delle pareti perimetrali e all'intradosso del  solaio  di
copertura, e' ammesso anche  mediante  il  superamento  degli  indici
volumetrici  e  dei  limiti  di  altezza   previsti   dalle   vigenti
disposizioni comunali e regionali. 
    Analoghe deroghe agli standards urbanistici sono previste per gli
interventi di  riuso  dei  seminterrati  e  dei  piani  pilots  negli
immobili destinati ad uso abitativo dall'art. 124, commi 1, 2, 3,  4;
a tal fine il comma 1, lettere a) e b), definisce «a) seminterrati: i
piani siti alla base dell'edificio e  realizzati  parzialmente  fuori
terra, quando la superficie delle pareti perimetrali comprese  al  di
sopra della linea di  terra  e'  superiore  al  50  per  cento  della
superficie totale delle stesse pareti perimetrali; 
    b) piani pilotis: le superfici aperte,  a  piano  terra  o  piano
rialzato,  delimitate  da  colonne  portanti,   la   cui   estensione
complessiva e' non inferiore ai due terzi della superficie coperta;». 
    L'art. 125, comma 7 stabilisce che «In caso di  realizzazione  di
spazi di grande altezza in edili esistenti, mediante  la  demolizione
parziale di solaio intermedio, e' escluso  il  ricalcolo  del  volume
urbanistico dell'edificio o della porzione di edificio, anche in caso
di riutilizzo di spazi sottotetto che originariamente non  realizzano
cubatura, a condizione che non si realizzino mutamenti  nella  sagoma
dell'edificio o nella porzione di edificio»,  non  considerando  come
cubatura  il  riutilizzo  di  sottotetti  che   precedentemente   non
costituivano volume urbanistico. 
    L'art.  126,  comma  1,  prevede,  per  le  strutture   ricettive
alberghiere esistenti,  la  possibilita'  di  chiusura  con  elementi
amovibili, anche a tenuta,  delle  verande  e  tettoie  coperte  gia'
legittimamente  autorizzate,  per  un   periodo   non   superiore   a
duecentoquaranta giorni;  la  disposizione  appare  ampliativa  e  in
contrasto con l'art. 6, comma  1,  lettera  e-bis)  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 (testo unico  dell'edilizia),
che per le opere temporanee prevede, invece, un  periodo  massimo  di
centottanta giorni. 
    L'art.  127,  rubricato  «Disposizioni  edilizie  in  favore  dei
portatori di  handicap  gravi»,  consente  interventi  funzionali  di
ampliamento  volumetrico   realizzati   in   continuita'   all'unita'
immobiliare interessata per un  massimo  di  centoventi  metri  cubi,
anche in deroga  alle  norme  previste  negli  strumenti  urbanistici
vigenti, purche' nel rispetto delle disposizioni del  codice  civile;
anche in questo caso, stante la genericita' e indeterminatezza  della
previsione, valgono le considerazioni sopra espresse in  ordine  agli
ampliamenti  volumetrici  in  deroga   agli   strumenti   urbanistici
generali. 
    L'art. 128 indica  le  condizioni  di  non  ammissibilita'  degli
interventi di cui agli articoli da 123 a 127. 
    La fattispecie  descritta  alla  lettera  a)  del  comma  1,  che
considera  ammissibili  gli  ampliamenti  volumetrici  di  cui   agli
articoli da 123 a 127  anche  qualora  le  unita'  immobiliari  siano
difformi da quanto  assentito  con  regolare  titolo  abilitativo  ma
condonate o condonabili, ripropone, nella sostanza,  la  disposizione
di cui all'art. 11, comma  1,  lettera  a),  della  precedente  legge
regionale  18   gennaio   2021,   n.   1,   disposizione   dichiarata
incostituzionale con sentenza n. 24 del 28 gennaio 2022. 
    Si  segnala  peraltro,  sul  punto,  che,  se  e'  vero  che   e'
espressamente previsto dalla norma in  commento  che  gli  interventi
dagli articoli da  123  a  127  (ampliamenti  volumetrici)  non  sono
ammessi negli immobili privi di titolo abilitativo, la medesima norma
ammette ampliamenti, nei  casi  di  difformita'  rispetto  al  titolo
abilitativo originario, anche nell'ipotesi  di  immobili  oggetto  di
condono  edilizio  (oltre  quindi   i   casi   di   accertamento   di
conformita'), possibilita' questa espressamente  esclusa  da  codesta
ecc.ma  Corte  (sentenza  n.  24/2022)  nei   casi   di   ampliamento
volumetrico in deroga. 
    Infatti, mentre il condono ha per effetto la sanatoria  non  solo
formale  ma  anche  sostanziale  dell'abuso   a   prescindere   dalla
conformita' delle opere realizzate  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia (sentenza n.  50  del  2017,  punto  5  del  Considerato  in
diritto), il titolo  in  sanatoria  presuppone  la  conformita'  alla
disciplina urbanistica  e  edilizia  vigente  sia  al  momento  della
realizzazione dell'immobile sia al momento della presentazione  della
domanda (sentenza n. 107 del 2017,  punto  7.2.  del  Considerato  in
diritto). 
    Discende  da  cio'  «il  carattere  generale   del   divieto   di
concessione di premialita' volumetriche  per  gli  immobili  abusivi,
espressivo della  scelta  fondamentale  del  legislatore  statale  di
disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio
in ipotesi tassative» (sentenza n. 24/2022). 
    Inoltre, la lettera b) del comma 1 del medesimo art. 128  prevede
che la  disposizione,  ampiamente  derogatoria  e  straordinaria  per
quanto sopra  specificato,  sia  applicabile  a  tutti  gli  immobili
esistenti alla data di entrata in vigore della legge, escludendo solo
quelli  «completati   successivamente»:   in   tal   modo   risultano
assentibili cubature aggiuntive per una vastissima platea di immobili
senza alcun riferimento alla pianificazione generale e alla dotazione
minima degli standard minimi urbanistici. 
    L'art. 133 della legge in oggetto disciplina  la  «Valorizzazione
degli immobili della borgata di pescatori di Marceddi'» attraverso un
programma integrato di riordino urbano di cui all'art. 40 della legge
regionale n. 8 del 2015. 
    Nonostante la borgata in questione risulti  caratterizzata  dalla
presenza  di  edificazioni  abusive  non  sanabili,  la  disposizione
prevede che - a seguito dell'approvazione  del  richiamato  programma
integrato -  l'Assessorato  regionale  competente   in   materia   di
patrimonio «procede, nel rispetto della normativa vigente,  all'avvio
delle procedure di  regolarizzazione  dell'assetto  occupativo  degli
immobili». 
    Infatti, i programmi integrati di cui  all'art.  40  della  legge
regionale n.  8  del  2015  consentono  ampliamenti  volumetrici  del
quaranta per cento, incrementabili ulteriormente del trenta per cento
nei casi espressamente previsti. 
    Si ritiene che tale previsione  confermi,  ancora  una  volta,  i
gravi effetti di un  ampliamento  di  volumetrie  tanto  rilevante  e
generalizzato sull'ordinato ed equilibrato sviluppo  del  territorio,
al di fuori dalle logiche della pianificazione generale  ed  unitaria
voluta dal legislatore nazionale ed il cui rispetto  anche  da  parte
delle regioni  ad  autonomia  speciale  e'  stato,  a  piu'  riprese,
richiamato dalla giurisprudenza costituzionale. 
    In relazione all'art.  133,  peraltro,  fermo  restando  che  del
programma integrato di cui  all'art.  40  della  legge  regionale  n.
8/2015 non potra' fare parte «l'edilizia spontanea» e quindi abusiva,
residuano i profili di illegittimita' della disposizione  riguardanti
la possibilita' di ampliamenti volumetrici, nella fattispecie fino al
40%, senza che vengano esclusi gli immobili regolarizzati  attraverso
condoni edilizi (non di accertamento di conformita'), come  affermato
nella sopra citata  sentenza  n.  24/2022,  ed  il  mero  rimando  al
generico «incremento» della dotazione degli standards  urbanistici  e
non al pieno rispetto  di  quelli  minimi  previsti  dalla  normativa
statale (decreto ministeriale n. 1444/1968). 
    Dalle disposizioni sopra richiamate emerge  come  gli  interventi
ivi  previsti  possano  causare  una  distorsione  e,  comunque,  una
profonda  alterazione  degli  standard  urbanistici,  previsti  dalla
normativa nazionale (decreto  del  Ministro  dei  lavori  pubblici  2
aprile 1968, n.  1444),  ponendosi  in  contrasto  con  il  principio
fondamentale di pianificazione urbanistica unitaria del territorio  e
del suo necessario rispetto la cui osservanza  si  impone,  in  forza
dell'art. 3, comma 1, dello Statuto, anche alla potesta'  legislativa
primaria  della  regione  autonoma  in   materia   di   «edilizia   e
urbanistica». 
    Questo  principio  fondamentale   trova   espressione   nell'art.
41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 che,  nel  prevedere
l'osservanza di limiti inderogabili nella formazione degli  strumenti
urbanistici, presuppone la necessaria sussistenza del  sistema  della
pianificazione del territorio; corollario di detto principio  e'  che
tutti i singoli interventi di trasformazione devono rinvenire la loro
base  in  un  presupposto  atto  di  pianificazione  (limitato  dagli
standard urbanistici di cui agli articoli 3, 4, 5, 7 e 8 del  decreto
ministeriale n. 1444 del 1968) e devono rispettarne le prescrizioni. 
    Solo attraverso una visione integrata di una determinata porzione
di territorio e' infatti possibile garantirne un ordinato sviluppo. 
    Quanto  precede  non  implica  che  le   previsioni   dei   piani
urbanistici siano assolutamente inderogabili. 
    Infatti, lo stesso testo unico dell'edilizia di  cui  al  decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno  2001,  n.  380  disciplina,
all'art. 14, un complesso procedimento di rilascio  del  permesso  di
costruire in deroga, per particolari e specifici interventi,  la  cui
realizzazione e' diretta a soddisfare un interesse  pubblico  che  si
ritiene prevalente, a determinate  condizioni,  rispetto  all'assetto
generale definito dal piano. 
    Inoltre, l'ordinamento nazionale  riconosce  ipotesi  di  deroghe
generali, relative a  determinate  tipologie  di  interventi  edilizi
(art. 2-bis del testo unico), deroghe che anche  le  regioni  possono
introdurre  con   legge,   nell'esercizio   della   loro   competenza
concorrente in materia di «governo del territorio». 
    Interventi regionali di questo tipo, tuttavia,  sono  ammissibili
soltanto nel rispetto del citato principio fondamentale della materia
e,   dunque,   solo   in   quanto   essi   presentino   i   caratteri
dell'eccezionalita'  e  della  temporaneita'  e   siano   diretti   a
perseguire  obiettivi  specifici,  senza  tuttavia  che  assurgano  a
disciplina stabile, vanificando il principio del necessario  rispetto
della pianificazione urbanistica. 
    Con riferimento agli articoli sopra indicati e,  in  particolare,
all'obbligo di rispettare il dettato normativo nazionale  di  cui  al
citato art. 7 del  decreto  ministeriale  n.  1444/1968  in  tema  di
incrementi volumetrici (recepiti in Sardegna dall'art. 4 del  decreto
dell'Assessore  regionale  22  dicembre  1983  n.  2266/U,  rubricato
«Limiti di densita' edilizia per le diverse zone»), si osserva che  i
limiti di densita' edilizia delle diverse zone territoriali  omogenee
sono posti a presidio del «primario interesse  generale  all'ordinato
sviluppo urbano» (Consiglio di Stato, Sez. IV,  sentenza  5  novembre
2018, n. 6250). 
    Inoltre, come ribadito  da  codesta  ecc.ma  Corte  (sentenza  n.
217/2020), i limiti fissati dal  decreto  ministeriale  n.  1444/1968
(compresi densita', altezze, distanze), trovano il proprio fondamento
nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto  1942,  n.
1150 (legge urbanistica), ed hanno efficacia vincolante  anche  verso
il legislatore delle regioni autonome (Corte cost., sentenza  n.  232
del 2005), salvo quanto previsto oggi dall'art. 2-bis del decreto del
Presidente della Repubblica n. 380  del  2001,  costituendo  principi
fondamentali della materia. 
    Il richiamato art. 2-bis del testo unico  dell'edilizia  prevede,
al comma 1, che  le  leggi  regionali  possano  derogare  al  decreto
ministeriale n. 1444/1968, ma solo «nell'ambito della  definizione  o
revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a  un  assetto
complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali»  (requisito
nel caso di specie non rispettato dalla regione). 
    Lo  stesso  legislatore  statale,  al  successivo  comma   1-bis,
prevede, poi, che tale  principio  debba  orientare  i  comuni  nella
definizione dei limiti di densita' edilizia, altezza e  distanza  dei
fabbricati negli ambiti urbani consolidati del territorio. 
    Si  tratta  di  una  norma  che  recepisce  gli   assunti   della
giurisprudenza costituzionale, secondo cui le leggi regionali possono
derogare  alle  limitazioni  fissate  nel  decreto  ministeriale   n.
1444/1968, ma solo a condizione che  le  deroghe  siano  recepite  da
strumenti urbanistici attuativi (funzionali a conformare  un  assetto
complessivo e unitario di determinate  zone  del  territorio)  e  non
riguardino singoli edifici (per tutte, sentenze n. 41 del 2017  e  n.
231 del 2016) come, del resto,  gia'  previsto  dall'art.  9,  ultimo
comma, del decreto ministeriale n. 1444/1968. 
    Codesta ecc.ma Corte con la sentenza n. 217/2020, nel ribadire  i
suesposti principi, ha aggiunto, altresi', che «se gli articoli 7,  8
e 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 fossero derogabili,  le
leggi  regionali  potrebbero  prevedere  ampliamenti   senza   limiti
percentuali determinati, salvo il controllo di  ragionevolezza  (dato
che i limiti posti dall'art. 5, comma 14, del decreto-legge n. 70 del
2011 riguardano il caso di assenza di leggi regionali, e cio' sarebbe
in evidente contrasto  con  la  segnalata  finalita'  di  tutela  del
primario interesse generale all'ordinato sviluppo  urbano  presidiato
dal principio fondamentale della legge statale». 
    Le norme in commento, al contrario,  prevedono  una  deroga  alle
densita' massime, che  prescinde  del  tutto  da  una  pianificazione
attuativa e si collega solo ai titoli edilizi  previsti  dal  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001, violando  l'art.  2-bis,
comma 1, del testo unico. 
    Il  principio  del  primario  interesse   generale   all'ordinato
sviluppo urbano presidiato dal  principio  fondamentale  della  legge
statale non e' rispettato nel caso di  iniziative  singole,  puntuali
scoordinate nel territorio, che incrementano senza alcun controllo ed
a regime le cubature urbanistiche  esistenti  anche  oltre  i  limiti
massimi previsti dalla  pianificazione  territoriale  e  dal  decreto
ministeriale n. 1444/1968. 
    Solo attraverso una  revisione  di  strumenti  urbanistici,  come
richiesto dall'art. 2-bis, decreto del Presidente della Repubblica n.
380/2001, si ha la  possibilita'  di  valutare  limiti  dimensionali,
effetti  sul   territorio,   cubature   preesistenti   e   incrementi
volumetrici per il perseguimento di obiettivi di riduzione di consumo
di  suolo  e  di  rigenerazione  urbana,  in  ambiti  predefiniti   e
compiutamente disciplinati anche attraverso differenziati  limiti  di
densita' edilizia, ancorche' superiori a quelli massimi o  attraverso
sistemi  di  perequazione  o  di  rivalutazione  delle   possibilita'
edificatorie  previste  nel  territorio  in  base   agli   incrementi
volumetrici prevedibili. 
    Soddisfare fabbisogni abitativi con il recupero volumetrico e  il
suo ampliamento impone una riconsiderazione della  edificabilita'  in
aree  libere  o  non  completamente  sature  al  fine  di  perseguire
riduzioni del consumo di suolo; cio' e' possibile solo attraverso una
revisione della pianificazione che, per un verso, puo' incrementare i
limiti di densita' edilizia massimi ove  ritenuti  compatibili  anche
per finalita' di rigenerazione urbana e, contestualmente,  ridurre  o
annullare quelli di aree ancora non edificate. 
    Ne consegue pertanto che, nella realizzazione degli interventi di
riqualificazione  del  patrimonio  edilizio  in  cui   si   intendano
utilizzare  anche   incrementi   volumetrici,   occorre   tenere   in
considerazione i seguenti principi: 
        diretta precettivita' delle disposizioni contenute all'art. 7
del decreto ministeriale n. 1444/1968, la  cui  verifica  compete  in
primo luogo al progettista abilitato  che,  ai  sensi  dell'art.  20,
comma 1, del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,
deve asseverare la conformita' del progetto alla normativa  incidente
sulla disciplina dell'attivita' edilizia; 
        possibilita' di derogare a tali disposizioni, non  attraverso
interventi  puntuali   ma   unicamente   nell'ambito   di   strumenti
urbanistici  attuativi  in  cui  siano  approvate  anche   specifiche
previsioni volumetriche. 
    Per quanto concerne poi  l'art.  126  della  legge  regionale  in
oggetto,  relativo  agli  «Interventi   nelle   strutture   destinate
all'esercizio di attivita' turistico-ricettive»  si  aggiunge  quanto
segue in ordine alla temporaneita' degli interventi consentiti  dalla
disposizione regionale in questione. 
    In particolare, sul punto, si rammenta che gli  unici  interventi
realizzabili temporaneamente, previsti  dal  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, sono disciplinati dall'art. 6, comma 1,
lettera e-bis), che disciplina le opere stagionali e quelle dirette a
soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, come nel caso
espressamente previsto dalla norma in questione. 
    Detti interventi, ai sensi dell'art. 6, comma 1,  lettera  e-bis,
sopra citato, del testo unico, sono di edilizia libera, in quanto non
di particolare rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio e devono
essere rimossi entro un termine non superiore a centottanta giorni. 
    Decorso  tale  termine,  l'opera  non  puo'   piu'   considerarsi
stagionale  o  temporanea  e  rientra  nelle  diverse  tipologie   di
interventi, per i quali non e' prevista dal  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001 la temporaneita'  e  per  i  quali  vige
l'osservanza di tutti  i  limiti  urbanistici  ed  edilizi  previsti,
indipendentemente dal titolo necessario (sia esso SCIA o permesso  di
costruire). 
    Invero,   diversamente    opinando,    potrebbero    individuarsi
tempistiche per il mantenimento temporaneo degli interventi  soggetti
a permesso di costruire o SCIA anche per  anni  e  disimpegnarli  dal
rispetto dei parametri previsti dalle norme solo  perche',  comunque,
si tratta di una permanenza temporanea. 
    Si fa d'altro canto presente che  la  disposizione  regionale  in
esame non prevede che gli interventi siano soggetti a  SCIA  o  altro
titolo abilitativo richiesto ne', tantomeno, disciplina  gli  effetti
dell'eventuale mantenimento delle opere oltre  il  termine  temporale
indicato. 
    Tutte  le  sopraindicate  disposizioni  si  pongono,  dunque,  in
contrasto con i criteri relativi agli standard urbanistici,  previsti
dalla normativa nazionale (decreto del Ministro dei lavori pubblici 2
aprile 1968, n. 1444) ed in contrasto con il  principio  fondamentale
di pianificazione urbanistica  unitaria  del  territorio  e  del  suo
necessario rispetto. 
    Sotto distinto ma concorrente parametro codesta ecc.ma  Corte  ha
poi rilevato che «Nel consentire i richiamati interventi  edilizi  in
deroga alla pianificazione urbanistica per un tempo  indefinito,  per
effetto delle reiterate proroghe ... le citate  previsioni  finiscono
per danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti  e,
primariamente,  nel  suo  aspetto  paesaggistico  e  ambientale,   in
violazione dell'art. 9 Cost.» (sentenza n. 219 del 23 novembre 2021). 
    Lo stesso principio e' stato recentemente ribadito  con  sentenza
n. 229 del 15 novembre 2022 secondo la quale «reiterate  proroghe  di
una disciplina eccezionale e transitoria, volta ad apportare  deroghe
alla pianificazione urbanistica  al  fine  di  consentire  interventi
edilizi   di   carattere   straordinario,    possono    compromettere
l'imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre  ad  un
assetto coerente i molteplici interessi che  afferiscono  al  governo
del territorio ed intersecano allo stesso tempo l'ambito della tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera  s,
Cost.)». 
    Alla stregua di tutto quanto  sopra,  ed  in  considerazione  dei
rilievi esposti, gli articoli 123, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6,  7  e  11,
124 commi 1, 2, 3, 4, 125 comma 7, 126 comma  1,  127,  128  comma  1
lettere  a)  e  b),  133,  appaiono  illegittimi  in  ragione   della
violazione degli articoli 9 comma 2, 117, secondo comma lettera s), e
comma  terzo  (principi  fondamentali  della  materia  «governo   del
territorio») della  Costituzione  anche  in  relazione  ai  parametri
interposti sopra indicati (art. 41-quinquies,  commi  8  e  9,  della
legge 17 agosto 1942, n. 1150,  decreto  ministeriale  n.  1444/1968,
art. 14, 2-bis e 6 comma 1 lettera e-bis del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.   380/2001)   che   rilevano   quali   principi
dell'ordinamento  giuridico   e   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale della Repubblica il cui  rispetto  si  impone  alla
regione autonoma ai sensi dell'art. 3, comma 1, dello Statuto. 
    Inoltre, le medesime disposizioni confliggono con il principio di
leale collaborazione  ex  art.  120  Cost.,  per  mancata  osservanza
dell'obbligo della pianificazione concertata e condivisa,  prescritta
dalle norme statali in quanto idonea a garantire l'ordinato  sviluppo
urbanistico e ad individuare le  trasformazioni  compatibili  con  le
prescrizioni statali del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
 
                                XIII 
          Articolo 130 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    L'art. 130 (Modifica dell'art. 39 della legge regionale n. 8  del
2015  in  materia  di  demolizione  e  ricostruzione)  introduce  una
modifica alla disciplina  degli  interventi  di  ricostruzione  nelle
fasce costiere tutelate ope legis, inserendo  l'inciso  al  comma  15
dell'art. 39 della legge regionale n. 8 del 2015  volto  a  precisare
che gli stessi sono assentibili, qualora si tratti di  aree  tutelate
ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c)  e  d),  e  142  del
codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  «anche   senza   il
mantenimento  di  sagoma,   prospetti,   sedime   e   caratteristiche
planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente». 
    In particolare, la  disposizione  prevede  che  la  ricostruzione
dell'intera  volumetria  e'  assentibile  unicamente  ove  il   nuovo
fabbricato determini  un  minore  impatto  paesaggistico  secondo  le
indicazioni impartite  dall'amministrazione  regionale  con  apposite
linee guida adottate dalla  Giunta  regionale  con  deliberazione  n.
18/15 del 5 aprile 2016 e, qualora l'edificio ricada  in  ipotesi  di
esclusione o in aree tutelate ai sensi degli articoli 136,  comma  1,
lettere c) e d), e 142 del decreto legislativo n. 42/2004 (codice dei
beni culturali e del paesaggio),  «anche  senza  il  mantenimento  di
sagoma,  prospetti,  sedime  e  caratteristiche  planivolumetriche  e
tipologiche dell'edificio preesistente». 
    Come noto, analoga norma, l'art. 14, comma 1, lettera  h),  della
L.R. Sardegna n. 1/2021,  e'  stata  dichiarata  illegittima  con  la
sentenza n. 24/2022 nella parte in cui aggiungeva all'art. 39,  comma
15, della L.R. Sardegna n. 8/2015 (la medesima disposizione che  oggi
si  intende  modificare)  l'inciso  «senza  l'obbligo  del   rispetto
dell'ubicazione,  della  sagoma  e  della  forma  del  fabbricato  da
demolire». 
    Su tale inciso vertono le censure proposte nell'odierno giudizio,
riferite alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello
Stato nella materia della tutela dell'ambiente e dei beni  culturali,
oltre che alla violazione sostanziale dell'art. 9, comma 2, Cost. che
affida alla «Repubblica» (e, quindi, anche alla regione, ex art.  114
Cost.) la «tutela del paesaggio» e del giudicato costituzionale. 
    L'art.  130  della  legge  regionale  n.  9  del  2023   riguarda
interventi di demolizione e ricostruzione di edifici nella fascia  di
300 metri dalla linea  di  battigia,  peraltro  tutelata  in  maniera
pregnante ai sensi dell'art. 142, lettera a), del decreto legislativo
n. 42/2004, oltre che alla stregua del  vigente  piano  paesaggistico
regionale. 
    La previsione in esame esenta  gli  interventi  disciplinati  dal
novellato art.  39,  comma  15,  della  legge  regionale  n.  8/2015,
dall'obbligo  del  rispetto  dell'ubicazione,  della  sagoma,   delle
caratteristiche planivolumetriche e della  forma  del  fabbricato  da
demolire. 
    Ne' pone  rimedio  al  vulnus  arrecato  ai  valori  tutelati  la
precisazione che il nuovo  fabbricato  deve  determinare  «un  minore
impatto    paesaggistico    secondo    le    indicazioni    impartite
dall'amministrazione regionale  con  apposite  linee  guida  adottate
dalla Giunta regionale con atto n. 18 del 5 aprile 2016». 
    Il legislatore regionale ha travalicato i limiti  della  potesta'
legislativa sancita dallo Statuto speciale in materia di «edilizia  e
urbanistica»   (art.   3,   comma   1,   lettera   f),    modificando
unilateralmente - e per di piu' in senso  deteriore -  la  disciplina
della fascia costiera, bene  paesaggistico  assoggettato  a  rigorosa
tutela,  per  la  peculiarita'  delle  caratteristiche   naturali   e
ambientali. 
    Con tale previsione normativa, pertanto, la regione: 
      non rispetta i  limiti  fissati  dal  decreto  ministeriale  n.
1444/1968 in tema di incrementi volumetrici, che trovano  il  proprio
fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto
1942, n. 1150 (legge urbanistica) ed hanno efficacia vincolante anche
verso il legislatore  delle  regioni  autonome  costituendo  principi
fondamentali della materia posti a presidio del  «primario  interesse
generale all'ordinato sviluppo urbano»  (Cons.  di  Stato,  Sez.  IV,
sentenza 5 novembre 2018, n. 6250), salvo quanto  previsto  dall'art.
2-bis, comma 1, del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380
del 2001, che ammette deroghe  da  parte  delle  leggi  regionali  al
decreto  ministeriale  n.  1444/1968,  ma  solo  «nell'ambito   della
definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque  funzionali
a  un  assetto  complessivo  e  unitario   o   di   specifiche   aree
territoriali» (condizione nel caso di specie non rispettata); 
        interviene  autonomamente  e  unilateralmente  a  dettare  la
disciplina di beni soggetti a  tutela  paesaggistica,  materia  nella
quale,  e'  utile  precisare,  la  Regione  Sardegna  non  ha  alcuna
competenza legislativa. 
    Conclusivamente, le modifiche apportate dall'art. 130 della legge
regionale in esame all'art. 39, comma 15, della legge regionale n.  8
del 2015,  nella  misura  in  cui  consentono  la  demolizione  e  la
ricostruzione, anche senza  il  mantenimento  di  sagoma,  prospetti,
sedime e caratteristiche  planivolumetriche  e  tipologiche  di  beni
soggetti a tutela paesaggistica, oltre  a  violare  gli  articoli  9,
comma 2, e 117, comma secondo, lettera s)  e  comma  terzo  (principi
fondamentali  della   materia   «governo   del   territorio»)   della
Costituzione,  in  relazione  ai   parametri   interposti   dell'art.
41-quinquies, della legge 17 agosto  1942,  n.  1150  e  del  decreto
ministeriale n. 1444/1968, art. 2-bis, decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001 che rilevano quali  principi  dell'ordinamento
giuridico  della  Repubblica  e   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale il cui rispetto si impone alla regione autonoma  ai
sensi dell'art.  3,  comma  1,  dello  Statuto,  appaiono  in  palese
contrasto,   altresi',   anche   con   la   pronuncia   della   Corte
costituzionale  n.  24/2022,  tanto  da  determinare  un   vizio   di
violazione  del  giudicato   costituzionale   ex   art.   136   della
Costituzione. 
 
                                 XIV 
            Art. 131 della legge regionale n. 9 del 2023 
 
    La novella introdotta dall'art. 131, della legge regionale  n.  9
del 2023, aggiunge all'elenco degli interventi soggetti ad  «edilizia
libera», previsti dall'art. 15, comma 1 della legge regionale  n.  23
del 1985, la lettera f-bis (pergole bioclimatiche). 
    L'introduzione, da parte del  legislatore  sardo,  delle  pergole
bioclimatiche  nel  medesimo  regime  dell'edilizia  libera  di   cui
all'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, non appare legittimo per le seguenti considerazioni. 
    Sul punto, infatti, occorre far riferimento alle disposizioni  di
cui al decreto ministeriale 2 marzo 2018, recante  «Approvazione  del
glossario contenente l'elenco non esaustivo  delle  principali  opere
edilizie realizzabili in regime  di  attivita'  edilizia  libera,  ai
sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016,
n. 222». 
    Il richiamato decreto ministeriale: 
        alla voce n. 46, qualifica il «pergolato» come  arredo  delle
aree di pertinenza degli edifici per cui e' consentita installazione,
a condizione che sia di limitate dimensioni e non stabilmente infisso
al suolo; 
        alla voce n. 50, qualifica la  «pergola»  come  arredo  delle
aree di pertinenza degli edifici; e'  consentita  installazione  (non
sono indicati termini quantitativi e qualitativi). 
    Le «pergole» e i «pergolati»  hanno  la  funzione  di  supportare
piante rampicanti, per fornire soltanto  ombreggiamento  allo  spazio
sottostante, senza pero' offrire riparo dalle precipitazioni piovose,
ed hanno struttura  di  sostegno  puntiforme,  cioe'  senza  elementi
strutturali a  pareti;  riprendendo  la  definizione  adottata  dalla
giurisprudenza amministrativa (cfr., sul punto, Consiglio di Stato n.
5541 del 2018 e n. 4001 del 2018) si tratta, in  buona  sostanza,  di
«(...) un manufatto leggero, amovibile e non  infisso  al  pavimento,
non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da  qualsiasi  lato,
ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche  parziale  con
materiali di qualsiasi natura, e avente  nella  parte  superiore  gli
elementi indispensabili per sorreggere  le  piante  che  servano  per
ombreggiare:  in  altri  termini,   la   pergola   e'   configurabile
esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno  per  piante
rampicanti e viti (...)». 
    Un'ulteriore sentenza del Consiglio di Stato (n. 4177 del  2018),
che sembrerebbe liberalizzare le «pergole  bioclimatiche»,  riguarda,
in  realta',  strutture  metalliche  aperte  su  tutti  i   lati,   e
soprastante protezione  a  «carattere  retrattile  delle  lamelle  di
alluminio»; tale configurazione qualifica l'opera  come  qualcosa  di
diverso da una tettoia perche' l'opera e' aperta su tutti i lati. 
    Le «pergole bioclimatiche», quindi, non risultano menzionate  nel
Glossario per l'edilizia libera di  cui  al  decreto  ministeriale  2
marzo 2018, ma la  legge  regionale  n.  9  del  2023,  qualifica  le
medesime come «(...) pergole aperte almeno su tre lati,  coperte  con
elementi  retraibili  tipo  teli  o  lamelle  anche   orientabili   e
motorizzabili, per consentire  il  controllo  dell'apertura  e  della
chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate». 
    Tuttavia,   secondo   gli   insegnamenti   della   giurisprudenza
amministrativa (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sentenza n. 5645
del 2019), quando una pergola non e'  aperta  su  tutti  i  lati,  e'
qualificabile come «tettoia» e, di  norma,  come  tale,  richiede  il
permesso   di   costruire,   in   quanto   costruzione    comportante
trasformazione permanente del suolo. 
    Per tale motivo, la definizione di «pergola bioclimatica»,  quale
opera rientrante nell'edilizia libera secondo  l'impostazione  datane
dal novellato art. 15 della legge regionale Sardegna n. 23 del  1985,
ad opera dell'art. 131 della legge  regionale  n.  9  del  2023,  non
risulterebbe coerente con la normativa nazionale recata  dal  decreto
del  Presidente  della   Repubblica   n.   380   del   2001   e   con
l'interpretazione della giurisprudenza. 
    A supporto di tale tesi, si puo' citare il caso di una  struttura
frangisole costituita da lamelle in alluminio poggiante su  travi  in
legno ancorate al muro, sanzionata dal giudice penale per assenza  di
permesso di costruire (cfr., sul punto, Cassazione  penale,  sentenza
n. 27575 del 2015). 
    Devesi rappresentare che nel Glossario per l'edilizia libera sono
puntualmente menzionate, altresi', le «pergotende» che, notoriamente,
sono costituite da strutture di  copertura  di  terrazzi  e  lastrici
solari, di superficie anche non modesta, formate da elementi montanti
verticali ed elementi orizzontali  di  raccordo,  sormontate  da  una
copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto  o  altro  materiale
impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando
in tal modo la fruibilita' della struttura e della superficie da essa
coperta (cfr., sul punto, Consiglio di Stato,  sentenza  n.  306  del
2017, da cui e' desunta tale definizione). 
    Tali  «pergotende»  si  distinguono   dalle   «tettoie»   perche'
presentano  una  struttura  alquanto  piu'  leggera;  infatti,  nella
medesima  voce  n.  50  del  Glossario  per  l'edilizia  libera  sono
menzionate, pure, le installazioni di «tende» e di «coperture leggere
di arredo», a loro  volta  non  puntualmente  identificabili  con  la
tipologia delle «tettoie»  (cfr.,  sul  punto,  Consiglio  di  Stato,
sentenza n. 5645 del 2019). 
    Ad ogni modo,  le  «pergole  bioclimatiche»  non  possono  essere
assimilabili alle «pergotende» in quanto non si  servono  di  «tende»
(ossia di un materiale  leggero),  finendo  col  ricadere,  pertanto,
nella tipologia della «tettoia», che, per l'appunto, non compare  nel
glossario. 
    In giurisprudenza la definizione di «tettoia», e' quella  di  una
copertura sostenuta da pilastri o  comunque  da  strutture  verticali
discontinue, aderente o meno al muro di  un  edificio,  in  grado  di
assolvere sempre e comunque alla funzione di  riparare  e  proteggere
l'area di cui costituisce copertura (cfr., sul  punto,  Consiglio  di
Stato, sentenza n. 5645 del 2019 e  n.  825  del  2015);  la  mancata
menzione di «tettoia» nel  Glossario  per  l'edilizia  libera  lascia
forzatamente, a tutt'oggi, al giudice il potere-dovere di  accertare,
caso per  caso,  la  riconducibilita'  della  realizzazione  di  tale
tipologia di manufatto al regime del permesso  di  costruire  di  cui
all'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380  del
2001, oppure ai regimi della  segnalazione  certificata  d'inizio  di
attivita' (SCIA)  normati  dall'art.  22  del  medesimo  decreto  del
Presidente della Repubblica, sebbene appaia scontato ritenere che per
la sua realizzazione risulti, comunque, necessario un qualche  titolo
abilitante, non ricadendo, essa, nell'ambito dell'edilizia libera. 
    Ad ogni modo, si' e' affermata una giurisprudenza che ritiene che
le «tettoie», consistendo nell'aggiunta di  un  elemento  strutturale
dell'edificio, modifichino  il  suo  prospetto,  e  percio'  la  loro
costruzione  necessiti  del  preventivo  rilascio  del  permesso   di
costruire, non essendo assentibile con semplice denuncia d'inizio  di
attivita', anche in ragione della perdurante modifica dello stato dei
luoghi e del loro utilizzo durevole nel tempo, diretto  a  soddisfare
esigenze di carattere  permanente  (cfr.,  sul  punto,  Consiglio  di
Stato, sentenze n. 5645 del 2019 e n. 319 del 2015). 
    Pertanto,  non  sussiste  dubbio  in  merito  al  fatto  che   la
previsione di  aggiungere  le  suddette  «pergole  bioclimatiche»  al
novero delle fattispecie riconducili all'ambito dell'edilizia  libera
da parte della Regione Sardegna invada le competenze statali  di  cui
all'art. 117, comma 3, Cost., in materia di «governo del territorio»,
ponendosi in contrasto con  i  principi  fondamentali  della  materia
desumibili dalla normativa statale interposta recata dall'art. 6  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    Le  disposizioni  regionali  introdotte,  peraltro,  non  trovano
copertura nello  Statuto  speciale  sardo  che  prevede  la  potesta'
legislativa esclusiva della  regione,  tra  l'altro,  in  materia  di
«edilizia ed urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f). 
    Giova, a tal fine, rammentare che, ai sensi del  menzionato  art.
3, comma  1,  dello  Statuto  speciale  della  Regione  Sardegna,  la
potesta' legislativa regionale deve svolgersi, pur sempre  «[...]  in
armonia con la Costituzione e i principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e col rispetto ... delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica». 
    Codesta ecc.ma Corte ha piu' volte chiarito (da ultimo,  sentenza
n. 24/2022) che a queste norme fondamentali «devono essere  anzitutto
ricondotte - nei limiti e per i motivi che  saranno  illustrati -  le
previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n.  380,  recante  "Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in  materia  edilizia.  (Testo  A)".  Come  piu'  volte
affermato dalla  Corte,  "[...]  le  norme  fondamentali  di  riforma
economico-sociale  sono  tali,  infatti,  per  il   loro   "contenuto
riformatore" e per la loro "attinenza a settori  o  beni  della  vita
economico-sociale di  rilevante  importanza"  (sentenza  n.  229  del
2017)». 
    Gli  interessi  sottesi  alla  relativa   disciplina   postulano,
giocoforza, una uniformita'  di  trattamento  sull'intero  territorio
nazionale (sentenze n. 170 del 2001, n. 477 del 2000  e  n.  323  del
1998; sentenza n. 229 del 2017), circostanza  che  sarebbe  frustrata
nel  caso  in  cui  ogni  singola  regione  assoggettasse  a   titolo
abilitativo diverso le stesse tipologie di manufatti. 
    Ad amplius, si osserva che la  Regione  Sardegna  ha  ampie  zone
costiere ed una forte vocazione turistica, ed in  tale  contesto  una
previsione come quella proposta dalla  novella  introdotta  dall'art.
131 della legge regionale  n.  9  del  2023  potrebbe  comportare  il
rischio  di  incidere  fortemente  sul  paesaggio  urbano   alterando
marcatamente i prospetti degli edifici; se le  pergole  bioclimatiche
verranno collocate  in  aderenza  agli  edifici,  ne  cambieranno  il
prospetto e, pertanto, non potranno giocoforza  ricadere  nell'ambito
dell'edilizia libera. 
    Anche le «pergole bioclimatiche»  aperte  su  tutti  i  lati  non
potranno ricadere nell'ambito dell'edilizia libera quando coperte  da
lamelle «anche orientabili», in quanto possono costituire stabilmente
un piano chiuso, configurandosi, di fatto, come una tettoia. 
    Alla stregua di quanto sopra e per  i  motivi  ivi  indicati,  va
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131 della  legge
regionale in oggetto per contrasto con l'art. 117, comma 3 Cost.,  in
relazione  ai  principi  fondamentali  della  materia  «governo   del
territorio» (per il tramite del parametro interposto del decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001   -   testo   unico
dell'edilizia, art. 6) che rilevano quali  principi  dell'ordinamento
giuridico e norme fondamentali  di  riforma  economico-sociale  della
Repubblica il cui rispetto si impone alla regione autonoma  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, dello Statuto. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  chiede  che  codesta
ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente
illegittimi,  e  conseguentemente  annullare,  per  i  motivi   sopra
indicati ed illustrati, gli articoli 13, commi 1, lettera b), 2 e  3,
34, comma 1, lettera a), punto 2) e lettera b), 35, comma 2, 56,  75,
80, comma 1, lettera b), 86, 87, 91, commi 1 e 2, 120, 123, commi  1,
2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11, 124 commi 1, 2, 3, 4, 125 comma 7,  126  comma
1, 127, 128 comma 1 lettere a) e b), 130,  131  e  133,  della  legge
della Regione autonoma della Sardegna  n.  9  del  23  ottobre  2023,
recante «Disposizioni di  carattere  istituzionale,  ordinamentale  e
finanziario su varie materie», giusta deliberazione del Consiglio dei
ministri assunta nella seduta del giorno 19 dicembre 2023. 
    Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno: 
        1. l'attestazione relativa  all'approvazione,  da  parte  del
Consiglio dei ministri nella riunione del giorno  19  dicembre  2023,
della determinazione di impugnare la  legge  della  Regione  autonoma
della Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9, secondo  i  termini  e  per  le
motivazioni di cui alla  allegata  relazione  del  Ministro  per  gli
affari regionali e le autonomie; 
        2. la copia della legge regionale  impugnata  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della Sardegna n. 54  del
24 ottobre 2023. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
        Roma, 20 dicembre 2023 
 
              Gli Avvocati dello Stato: Feola - Fedeli