N. 18 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 gennaio 2024

Ordinanza del 1° gennaio 2024 del Tribunale di Siena nei procedimenti
civili riuniti promossi da GSK Vaccines Srl contro Lorenzo Quercioli,
Francesco Paolo Macri' e Massimo Marucci . 
 
Lavoro - Contratto di lavoro a tempo  determinato  -  Conversione  in
  contratto  a   tempo   indeterminato   a   causa   dell'illegittima
  apposizione  del  termine  (o  di   nullita'   del   contratto   di
  somministrazione) - Facolta'  per  il  lavoratore  illegittimamente
  assunto a termine di optare per una tutela  indennitaria  in  luogo
  della riammissione al lavoro - Mancata previsione. 
- Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al  Governo  in  materia  di
  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di   enti,   di   congedi,
  aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di  servizi  per
  l'impiego,  di  incentivi  all'occupazione,  di  apprendistato,  di
  occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro  sommerso  e
  disposizioni in tema  di  lavoro  pubblico  e  di  controversie  di
  lavoro), art. 32. 
In subordine: Lavoro - Tutela del lavoratore in caso di licenziamento
  illegittimo - Indennita' in sostituzione della  reintegrazione  nel
  posto di lavoro - Applicabilita' al lavoratore a tempo  determinato
  nel caso  di  declaratoria  di  nullita'  del  termine  apposto  al
  contratto di lavoro subordinato (o di  nullita'  del  contratto  di
  somministrazione) - Mancata previsione. 
- Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della  liberta'  e
  dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e  dell'attivita'
  sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), art. 18. 
(GU n.9 del 28-2-2024 )
 
                          TRIBUNALE DI SIENA 
                           Sezione lavoro 
 
    Il Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro; 
    sciogliendo la riserva assunta all'udienza 9 ottobre 2023; 
    nella causa iscritta  al  n.  636/2022  rgl  promossa  dalla  GSK
Vaccines  S.r.l.,  datrice  di  lavoro  opponente,   contro   Lorenzo
Quercioli, lavoratore opposto, ex articoli 615, 618-bis del codice di
procedura civile, a mezzo ricorso depositato il  21  settembre  2022,
contenente  le  seguenti  conclusioni  (ricorso,  p.  4,   letterali,
sintesi): 
      «(...)  accertare  e  dichiarare  l'inesistenza   del   diritto
dell'istante  precettante  sig.  Quercioli  Lorenzo  a  procedere  ad
esecuzione forzata per  il  credito  vantato-intimato  come  recitato
nell'atto di precetto euro 30.755,10 "quale  importo  dell'indennita'
sostitutiva (pari a euro 2.050,34 r.g.f. x 15 mensilita')" oltre  ...
interessi»  e  per  le  spese  di  precetto,  in  forza  del   titolo
esecutivo-dispositivo della sentenza Corte  di  appello  di  Firenze,
sez. lav. n. 388/2022)(...). 
    Il  lavoratore  opposto,  Lorenzo  Quercioli,  si  costituiva  in
giudizio,  contestando  la  fondatezza   dell'opposizione   chiedendo
(conclusioni: memoria difensiva, p. 8, letterali): 
      «respingere l'opposizione proposta da G.S.K. Vaccines S.r.l. in
persona  del  proprio  legale  rappresentante  pro  tempore,  e   per
l'effetto 
        condannare la azienda opponente al  pagamento  di  euro  euro
30.755,10  (trentamilasettecentocinquantacinque/10)   quale   importo
dell'indennita' sostitutiva (pari a 2.050,34 r.g.f. x 15  mensilita')
oltre ad euro 94,79  quali  interessi  legali  dalla  richiesta  alla
notifica del precetto, oltre ad euro 315,00 per  redazione  precetto;
euro 47,25 per rimborso forfetario al 15% su euro 315,00; euro  14,49
quale 4% per C.A.P. su euro 362,25; euro 82,88 quale I.V.A.  su  euro
376,74; 
        e,  pertanto,  della  complessiva  somma  di  euro  31.309,51
(trentunomilatrecentonove/51), oltre alle  successive  occorrende,  o
quella diversa somma che sara' ritenuta di giustizia e ragione (...)» 
    Successivamente riunite alla causa n. 636/2022 rgl le opposizioni
del tutto analoghe proposte dalla GSK con analoghe  contestazioni  di
altri lavoratori opposti, Francesco Paolo Macri' e Massimo Marucci, e
le   medesime   formazioni   difensive,   opposizioni   rappresentate
rispettivamente  dalle  cause  nn.  637  e  638/2022  rgl,   connesse
parzialmente per soggetto, per identita' di  questioni  rilevanti  ai
fini della decisione e diverse per le somme precettate dai creditori. 
    Il titolo esecutivo fatto  valere  dai  tre  lavoratori  opposti,
Lorenzo Quercioli, Francesco Paolo Macri' e  Massimo  Marucci  e'  il
dispositivo della sentenza della Corte di  appello  di  Firenze  sez.
lav. n. 388/2022  (produzione  GSK,  1)(sub  2:  copia  dell'atto  di
precetto con titolo esecutivo notificato a GSK Vaccines S.r.l.). 
    Vediamone il  contenuto:  «La  Corte,  definitivamente  decidendo
quale giudice di rinvio, ogni altra domanda ed  eccezione  disattesa,
cosi' dispone: 
      (...) 2) Quanto alle posizioni dei lavoratori Marucci e Macri',
dichiarata la nullita' dei contratti di somministrazione in forza dei
quali la prestazione di Marucci e Macri' e' stata  impiegata  da  GSK
Vaccines S.r.l. (gia' denominata  Novartis  Vaccines  and  diagnostic
S.r.l.) dal 9 giugno 2009 al 31 dicembre 2009,  dichiara  l'esistenza
in atto tra i lavoratori Marucci e Macri' e GSK Vaccines  S.r.l.,  di
distinti rapporti di  lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato  a
decorrere dal 9 giugno 2009 e condanna la societa' a  riammettere  in
servizio i lavoratori. Condanna altresi' GSK al pagamento, in  favore
di ciascuno dei due lavoratori, dell'indennita' risarcitoria  di  cui
all'art. 32, comma 5 della legge n. 183/2010 nella misura  di  dodici
mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto,  maggiorato  il
dovuto di rivalutazione monetaria e  interessi  legali  ex  art.  429
codice di procedura civile dall'apparente cessazione dei rapporti  di
lavoro al saldo. 
      Quanto alla posizione  del  lavoratore  Quercioli  dichiara  la
nullita' del termine apposto al contratto a termine stipulato tra  il
lavoratore e GSK Vaccines S.r.l. (gia' denominata  Novartis  Vaccines
and diagnostic S.r.l.), con originaria decorrenza 19  febbraio  2009.
Per l'effetto dichiara l'esistenza  in  atto,  tra  Quercioli  e  GSK
Vaccines S.r.l.,  di  un  rapporto  di  lavoro  subordinato  a  tempo
indeterminato a decorrere dal 19 febbraio 2009 e condanna la societa'
a riammettere in servizio il lavoratore.  Condanna  altresi'  GSK  al
pagamento, in favore di Quercioli,  dell'indennita'  risarcitoria  di
cui all'art. 32, comma 5 della legge  n.  183/2010  nella  misura  di
dodici  mensilita'  dell'ultima  retribuzione   globale   di   fatto,
maggiorato il dovuto di rivalutazione monetaria e interessi legali ex
art. 429 codice di procedura  civile  dall'apparente  cessazione  del
rapporto di lavoro al saldo; 
      Condanna GSK alla rifusione delle spese dell'intero giudizio in
favore dei lavoratori che liquida in euro 12.087,00  oltre  accessori
di legge  per  il  primo  grado  di  giudizio,  euro  8.782,50  oltre
accessori di legge per il  grado  di  appello,  euro  9.212,50  oltre
accessori di legge per il giudizio di Cassazione e in  euro  8.782,50
oltre accessori di legge per la presente fase di rinvio, somme queste
complessive da ripartirsi in parti uguali tra i lavoratori. 
      Dichiara compensate  le  spese  processuali  di  pertinenza  di
Randstad Italia S.p.a. e Manpower S.p.a. 
      Nulla sulle spese di (...) rimasta contumace. 
      Cosi' deciso in Firenze nella Camera di consiglio del 19 maggio
2022». 
    Il credito precettato -  a  titolo  di  «importo  dell'indennita'
sostitutiva (pari a euro yyy r.g.f. x 15 mensilita')» -  per  la  GSK
opponente non sarebbe contemplato nel titolo azionato esecutivamente. 
    Infatti, a seguito della declaratoria  di  nullita'  del  termine
apposto al contratto  di  somministrazione/lavoro,  con  riconosciuta
sussistenza di rapporto di lavoro subordinato a  tempo  indeterminato
con la societa',  a  decorrere  dalla  originaria  instaurazione  nel
lontano  2009,  la  societa'  datrice  e'   stata   condannata   alla
riammissione in servizio e al pagamento dell'indennita'  risarcitoria
ex art. 32, comma  5,  legge  n.  183/2010  nella  misura  di  dodici
mensilita' (indennita' che peraltro era gia' stata  pagata  all'esito
del giudizio di primo grado del Tribunale di  Siena  in  funzione  di
giudice del lavoro e mai recuperata). 
    Nel dispositivo  non  vi  sarebbe  per  la  GSK  alcuna  condanna
relativa al credito a titolo di «indennita'  sostitutiva  conseguente
all'opzione  esercitata  e  comunicata  dal  lavoratore  invece   del
reintegro  in  azienda»,  tale  dovendosi   riferire   esclusivamente
all'indennita'  opzionale  prevista  dall'art.  18,  comma  3,  legge
1970/n. 300. 
    Il precetto, dunque, sarebbe privo di titolo esecutivo fondante. 
    Nella sentenza della Corte di appello sezione lavoro  di  Firenze
n.  388/2022  cit.  non  sarebbe  contenuta  alcuna   condanna   alla
«reintegrazione nel posto  di  lavoro».  Per  la  semplice  ragione -
osserva  GSK  opponente  -  che  non  c'era   alcun   «licenziamento»
illegittimo a cui porre rimedio con la  reintegrazione.  L'indennita'
sostitutiva della  reintegrazione  presupporrebbe  indefettibilmente,
appunto,  una  condanna  alla  reintegrazione   a   seguito   di   un
licenziamento dichiarato illegittimo ex art 18,  legge  1970/n.  300,
situazione giuridica  cui  non  potrebbe  mai  essere  equiparata  la
pronuncia dichiarativa di nullita' del termine apposto  al  contratto
di lavoro. Infatti la  reintegrazione  si  pone  in  quel  caso  come
obbligazione principale e l'indennita' sostitutiva come  obbligazione
per facolta' alternativa:  mancando  un  licenziamento,  impugnato  e
dichiarato illegittimo, non puo' che difettare (anche teoricamente) -
ripete l'opponente GSK  -  il  diritto  alla  reintegrazione,  quindi
difetta anche il diritto alternativo indennitario sostitutivo. 
    La declaratoria di nullita' del termine apposto  a  contratto  di
lavoro  subordinato  (o  a  contratto  per  la  somministrazione   di
lavoro) - ribadisce GSK - non coincide infatti con la declaratoria di
illegittimita'  di  licenziamento,   e   non   e'   suscettibile   di
applicazione remediale desunta dall'art 18, legge 1970/n. 300, bensi'
(come ha disposto la Corte di  appello  fiorentina,  e  prima  ancora
aveva fatto il Tribunale di Siena in primo  grado)  suscettibile  del
rimedio desunto dall'art. 32, legge 2010/n. 183. 
    La  tutela  specificamente  approntata  per  la  declaratoria  di
nullita' del termine e' quella, al tempo, dell'art. 32, legge 2010/n.
183 cit. e quindi non vi sarebbe alcuna lacuna normativa da  colmare,
in ipotesi, analogicamente con l'applicabilita' dell'art.  18,  legge
1970/n. 300 posto a tutela contro il licenziamento  illegittimo  come
prospetta controparte.  Quindi  non  c'e'  alcun  credito  -  neppure
astrattamente   -   vantabile   all'indennita'   sostitutiva    della
reintegrazione, e tantomeno lo si puo' desumere dalla  sentenza  App.
Firenze sez. lavoro n. 388/2022 cit. 
    Sono due, pertanto, le norme che vengono proposte dalle parti  al
giudice per l'interpretazione ed applicazione alla fattispecie per la
sua decisione, al fine di dare ingresso all'attuazione  del  rapporto
obbligatorio pecuniario, indennitario  e  alternativo,  nell'auspicio
dei lavoratori, ovvero di impedirlo, in quello antitetico datoriale: 
      l'art. 18, legge 1970/n. 300 (indennita' sostitutiva introdotta
in sede di novellazione dall'art. 1, legge 1990/n. 108) invocato  dai
lavoratori precettanti; 
      l'art. 32, legge 2010/n. 183, invocato dalla datrice di  lavoro
opponente. 
    Si tratta di «un'obbligazione con facolta' alternativa  dal  lato
del  creditore»  secondo   l'interpretazione   condivisa   da   Corte
costituzionale, sentenza  1992/n.  81)  e  ribadita  con  l'ordinanza
1996/n. 291 («secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza  n.
81 del 1992; ordinanze nn. 160 del 1992 e 77 del 1996),  l'indennita'
di cui si controverte non ha una funzione di risarcimento  aggiuntivo
a quello previsto dal precedente comma  4,  ma,  in  connessione  col
diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, si inserisce  in  un
rapporto obbligatorio avente  la  struttura  di  un'obbligazione  con
facolta' alternativa dal lato del creditore,  essendo  attribuita  al
prestatore la facolta' insindacabile di "monetizzare" il diritto alla
reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari
a  quindici  mensilita'   di   retribuzione"   in   occasione   della
affermazione ad opera della Corte costituzionale, che "tale  facolta'
non puo' essere  arbitrariamente  vanificata  dal  datore  di  lavoro
revocando il  licenziamento  in  corso  di  giudizio  allo  scopo  di
impedire la  pronuncia  dell'ordine  di  reintegrazione,  che  e'  il
presupposto di esercizio della facolta' medesima:  dal  "considerato"
precedente   discende,   invece,   il   corollario   (conforme   alla
giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. sentenza n. 13047  del
1995)  che  la  revoca  dell'atto  di  licenziamento  e  l'invito   a
riprendere il lavoro impediscono la pronuncia dell'ordine  giudiziale
di  reintegrazione  e  conseguentemente  la  scelta   dell'indennita'
sostitutiva  solo  se  accettati  dal  lavoratore,  espressamente   o
tacitamente col ritorno in servizio». 
    Il testo originario dell'art. 32, comma  5,  legge  2010/n.  183,
prevedeva: 
      «5. Nei casi di conversione del contratto a tempo  determinato,
il  giudice  condanna  il  datore  di  lavoro  al  risarcimento   del
lavoratore  stabilendo  un'indennita'  onnicomprensiva  nella  misura
compresa tra un minimo di 2,5 ed  un  massimo  di  dodici  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai  criteri
indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604». 
    La legge 2012, n. 92 ha poi chiarito (con  l'art.  1,  comma  12)
(con l'art. 1, comma 13) che «la  disposizione  di  cui  al  comma  5
dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si  interpreta  nel
senso che l'indennita' ivi prevista ristora per intero il pregiudizio
subito  dal  lavoratore,  comprese  le  conseguenze   retributive   e
contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine
e la pronuncia del  provvedimento  con  il  quale  il  giudice  abbia
ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro». 
    Sempre  l'intervento  legislativo  del  2012,  noto  come  «legge
Fornero», ha precisato che  «Le  disposizioni  di  cui  al  comma  3,
lettera a), dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010,  n.  183,  come
sostituita dal comma  11  del  presente  articolo,  si  applicano  in
relazione  alle  cessazioni  di   contratti   a   tempo   determinato
verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013». 
    Il comma 3, lettera a), art. 32 cit., ricordiamo, prevede che «3.
Le disposizioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
come modificato dal comma  1  del  presente  articolo,  si  applicano
inoltre: 
      a)  ai  licenziamenti  che  presuppongono  la  risoluzione   di
questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro  ovvero
alla nullita' del termine apposto al contratto di  lavoro,  ai  sensi
degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001,  n.
368, e successive modificazioni. Laddove si  faccia  questione  della
nullita' del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo
comma del predetto art. 6, che decorre dalla cessazione del  medesimo
contratto, e' fissato in centoventi giorni, mentre il termine di  cui
al primo periodo del secondo comma del medesimo art. 6 e' fissato  in
centottanta giorni; 
      b) al recesso del committente nei  rapporti  di  collaborazione
coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto,  di  cui
all'art. 409, numero 3), del codice di procedura civile; 
      (...)» 
    Le disposizioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966,  n.
604, come modificato  dall'intervento  legislativo  del  2012,  cit.,
prevedono notoriamente che «il licenziamento deve essere impugnato  a
pena di decadenza entro sessanta giorni  dalla  ricezione  della  sua
comunicazione in forma scritta,  ovvero  dalla  comunicazione,  anch'
essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi
atto  scritto,  anche  extragiudiziale,  idoneo  a  rendere  nota  la
volonta'    del    lavoratore    anche    attraverso     l'intervento
dell'organizzazione sindacale diretta ad impugnare  il  licenziamento
stesso». 
    Non  e'  poi  inutile  seguire,   ci   parrebbe   in   essenziale
continuita', l'evoluzione ordinamentale, con il  decreto  legislativo
trasformazione/n. 81, noto come Jobs Act, e successive  modificazioni
ed integrazioni, art. 28 («Decadenza e tutele»). 
    «1.  L'impugnazione  del  contratto  a  tempo  determinato   deve
avvenire, con le modalita' previste dal primo comma dell'art. 6 della
legge  15  luglio  1966,  n.  604,  entro  centottanta  giorni  dalla
cessazione del singolo  contratto.  Trova  altresi'  applicazione  il
secondo comma del suddetto art. 6. 
    2. Nei casi di trasformazione del contratto a  tempo  determinato
in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore  di
lavoro al risarcimento del danno a favore del  lavoratore  stabilendo
un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo  di
2,5 e  un  massimo  di  12  mensilita'  dell'ultima  retribuzione  di
riferimento per il calcolo del trattamento di  fine  rapporto,  avuto
riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge n. 604 del 1966.
La predetta indennita' ristora per intero il pregiudizio  subito  dal
lavoratore,  comprese  le  conseguenze  retributive  e   contributive
relative al periodo  compreso  tra  la  scadenza  del  termine  e  la
pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la  ricostituzione  del
rapporto di lavoro». 
    Art.  22  «Continuazione  del  rapporto  oltre  la  scadenza  del
termine». 
    «1. Fermi i limiti di durata massima di cui all'art.  19,  se  il
rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente
fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro e' tenuto  a
corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione  per
ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per  cento  fino
al decimo giorno successivo e al 40  per  cento  per  ciascun  giorno
ulteriore. 
    2. Qualora il rapporto di lavoro  continui  oltre  il  trentesimo
giorno in caso di contratto di durata inferiore  a  sei  mesi,  ovver
oltre il cinquantesimo giorno  negli  altri  casi,  il  contratto  si
trasforma in contratto  a  tempo  indeterminato  dalla  scadenza  dei
predetti termini». 
    Ad es. Cassazione SL  2021/n.  702,  ricorda,  «3.2.  Secondo  la
condivisibile   giurisprudenza   di   legittimita'    il    carattere
omnicomprensivo  della  indennita'  risarcitoria,  valorizzato  dalla
norma di interpretazione autentica, comporta  che  essa  ristora  per
intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ossia  e'  esaustiva  di
tutti  i  danni  che  sono  conseguenza,  sul  piano  retributivo   e
contributivo, della  perdita  del  lavoro  in  relazione  al  periodo
decorrente dalla cessazione del rapporto a termine alla sentenza  che
ne ha disposto la ricostituzione (v.  tra  le  altre,  Cassazione  20
novembre  2018,  n.  29949;  Cassazione  9  gennaio  2015,  n.   151,
Cassazione 7 settembre 2012, n. 14996). 
    Per  il  periodo  successivo  alla  sentenza,   in   ipotesi   di
persistente inadempimento all'obbligo  datoriale  di  ripristino  del
rapporto, la misura della responsabilita' datoriale sara' determinata
secondo  gli  ordinari  criteri  e  non  nella  misura  forfettizzata
stabilita' dall'art. 32, legge n. 183 del 2010». 
    Ancora, «3.7. Il rapporto a tempo indeterminato, quale  accertato
dal giudice (...), e' fonte di responsabilita' risarcitoria  (per  la
mancata riammissione in servizio) a carico della  parte  datrice;  il
relativo contenuto e' stato determinato in misura  forfettizzata,  in
conformita' dello ius  superveniens  rappresentato  dalla  disciplina
dettata dal comma 5 dell'art. 32  legge  n.  183  del  2010,  per  il
periodo fino alla sentenza  di  rinvio  laddove,  per  l'ipotesi  del
protrarsi dell' inadempimento in epoca successiva alla  sentenza  qui
impugnata, il pregiudizio sofferto dalla  lavoratrice  dovra'  essere
ristorato  secondo   gli   ordinari   criteri   e   non   in   misura
forfettizzata». 
    Ulteriormente,  rileva  la  Cassazione,  «la  complessiva   ratio
ispiratrice della disciplina  dettata  dell'art.  32  cit.  maturata,
secondo quanto anche riconosciuto dalla Corte  costituzionale  (sent.
n. 303/2011),  nel  contesto  di  obiettive  incertezze  verificatesi
nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione  del  danno
secondo la legislazione pre  vigente,  con  l'esito  di  risarcimenti
ingiustificatamente  differenziati   in   misura   eccessiva   (Corte
costituzionale n. 303/2011); a tale incertezza  si  e'  inteso  porre
riparo con la introduzione di un criterio di liquidazione  del  danno
di piu' agevole, certa ed omogenea applicazione  rappresentato  dalla
previsione di  un'indennita'  risarcitoria  destinata  a  coprire  il
periodo compreso fino alla sentenza di conversione; in tale contesto,
l'avere il legislatore  ancorato  alla  sentenza  dichiarativa  della
conversione l'insorgere dell'obbligazione del risarcimento del danno,
modulata solo con  riferimento  al  periodo  fino  alla  sentenza  di
ricostituzione del rapporto nei limiti e secondo  i  criteri  sanciti
dall'art.  32,  comma  5,  legge  cit.  e,  quindi,  per  il  periodo
successivo secondo gli ordinari criteri, trova giustificazione  sotto
il profilo del diverso grado di consapevolezza da parte del  soggetto
datore  di  lavoro  circa  la  sussistenza  o  meno  dell'obbligo  di
riammissione al lavoro; una  volta  eliminata,  con  la  sentenza  di
ricostituzione del rapporto  di  lavoro,  ogni  incertezza  circa  la
avvenuta conversione ed  il  connesso  obbligo  di  riammissione  del
lavoratore, non vi era ragione per  escludere  la  determinazione  in
misura corrispondente all'effettivo pregiudizio  subito  del  ristoro
spettante al lavoratore e non in misura forfettizzata,  come  per  il
periodo fino alla sentenza di ricostituzione». 
    La Corte costituzionale, con la sentenza 2011/n. 303 ha  chiarito
che «a partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato  il  vizio
della pattuizione del termine, converte il contratto  di  lavoro  che
prevedeva  una  scadenza  in  un  contratto   di   lavoro   a   tempo
indeterminato,  e'  da  ritenere  che  il  datore   di   lavoro   sia
indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e
a corrispondergli, in ogni caso, le  retribuzioni  dovute,  anche  in
ipotesi di mancata riammissione effettiva. 
    Diversamente opinando, la tutela fondamentale  della  conversione
del rapporto in lavoro a tempo  indeterminato  sarebbe  completamente
svuotata. 
    Se, infatti, il  datore  di  lavoro,  anche  dopo  l'accertamento
giudiziale del rapporto a tempo indeterminato, potesse  limitarsi  al
versamento  di  una  somma  compresa  tra  2,5  e  12  mensilita'  di
retribuzione, non subirebbe alcun  deterrente  idoneo  ad  indurlo  a
riprendere  il  prestatore  a  lavorare  con   se'»   e   lo   stesso
riconoscimento della durata indeterminata del rapporto da  parte  del
giudice sarebbe posto nel nulla. 
    «La  normativa  impugnata  risulta,  nell'insieme,   adeguata   a
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi. Al
lavoratore garantisce  la  conversione  del  contratto  di  lavoro  a
termine in un contratto di lavoro a tempo  indeterminato,  unitamente
ad  un'indennita'  che  gli  e'  dovuta  sempre  e  comunque,   senza
necessita' ne' dell'offerta della prestazione, ne' di oneri probatori
di  sorta.  Al  datore  di  lavoro,  per  altro  verso,  assicura  la
predeterminazione del risarcimento del danno dovuto  per  il  periodo
che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino  a  quella
dell'accertamento  giudiziale   del   diritto   del   lavoratore   al
riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma non oltre, pena
la  vanificazione  della  statuizione  giudiziale  impositiva  di  un
rapporto di lavoro sine die». 
    Infine, l'art. 18, comma 3, legge 1970/n. 300 prevede, in materia
di licenziamento illegittimo,  che  «fermo  restando  il  diritto  al
risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al  lavoratore
e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in  sostituzione
della reintegrazione  nel  posto  di  lavoro,  un'indennita'  pari  a
quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui
richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che  non
e'  assoggettata  a   contribuzione   previdenziale.   La   richiesta
dell'indennita' deve essere  effettuata  entro  trenta  giorni  dalla
comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito  del  datore
di  lavoro  a  riprendere  servizio  se   anteriore   alla   predetta
comunicazione». 
    I lavoratori opposti, Quercioli, Macri' e Marucci, a fronte della
lettera del 26 maggio 2022 della GSK opponente, che  ad  esito  della
sentenza della Corte di appello di Firenze, 2022/n. 388, ne disponeva
la riammissione, esercitavano tempestivamente la facolta' di chiedere
al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione  nel  posto
di lavoro,  un'indennita'  pari  a  quindici  mensilita'  dell'ultima
retribuzione globale di fatto. 
    Sono, dunque, due le  norme  rilevanti,  ripetiamo,  che  vengono
proposte dalle parti al giudice per l'interpretazione ed applicazione
alla fattispecie per la sua decisione, al fine di dare ingresso  alla
obbligazione pecuniaria alternativa,  nell'auspicio  dei  lavoratori,
ovvero di impedirlo, in quello antitetico datoriale: 
      e'  rilevante  l'art.  18,  legge  1970/n.  300,  invocato  dai
lavoratori precettanti; 
      e' rilevante l'art.  32,  legge  2010/n.  183,  invocato  dalla
datrice di lavoro opponente. 
    Alla irragionevole  diversita'  di  trattamento,  che  riterremmo
sussistere, tra la facolta', la  potesta'  alternativa  accordata  al
lavoratore illegittimamente licenziato e la posizione del  lavoratore
a termine, che non ne  beneficia,  puo'  porsi  rimedio  mediante  un
intervento dichiarativo di non conformita' costituzionale dell'una  o
dell'altra norma. 
    Attagliandosi, tuttavia, espressamente  l'art.  18,  legge  cit.,
alla materia del licenziamento  illegittimo,  e'  la  seconda  norma,
l'art. 32, legge  cit.,  dedicato  al  rapporto  di  lavoro  a  tempo
determinato,   che   diviene   principale   oggetto    di    lettura,
interpretazione e applicazione al fine decidere il caso  concreto,  e
solo in subordinata ipotesi la prima norma  («l'istituto  e'  rimasto
associato alla tutela reintegratoria anche nel contesto della riforma
di cui alla legge n. 92 del 2012, che  ne  ha  solo  rimaneggiato  la
disciplina anche se il suo ambito di applicazione si e' ridotto  come
conseguenza del restringimento dell'area della tutela  reintegratoria
nei confronti del licenziamento illegittimo», «nuova disciplina,  pur
nel complesso sostanzialmente  confermativa  di  quella  previgente»,
osservano le S.U. della Cassazione, sentenza 2014/n. 18353). 
    Caso  concreto   che   e'   necessariamente   il   primo   motore
dell'attenzione e dell'interesse del giudice di merito e  rivela  una
eclatante criticita': l'offerta datoriale di riammissione in servizio
giunge a distanza di circa 13 (tredici) anni rispetto alla originaria
decorrenza del rapporto, 9 giugno 2009 per i  lavoratori,  Marucci  e
Macri' (somministrazione nulla) e 19 febbraio 2009 per il  lavoratore
Quercioli (rapporto a termine nullo). 
    La tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a
tempo indeterminato ne risulta completamente  svuotata,  completa  la
vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un  rapporto
di lavoro sine die. 
    E' una ipotesi remota, poco realistica, l'adesione alla  proposta
di riammissione al lavoro. 
    In ogni caso, anche tralasciando il grave inconveniente frutto di
una pur ordinaria casualita', la diversita'  di  trattamento  tra  il
lavoratore    illegittimamente    licenziato    e    il    lavoratore
illegittimamente precarizzato ci parrebbe evidente. 
    Alla classica obiezione incentrata  sulla  carenza,  nel  secondo
caso, di un atto espulsivo datoriale, contrapponiamo  la  riflessione
in ordine alla sussistenza, in entrambe le categorie di rapporto e di
prestazione,  di  un  atto  espulsivo   illegittimo:   evidente   nel
licenziamento,  come  distinto  atto  finale  del  rapporto;  ma  non
difficile a cogliersi nella illegittima assunzione a  termine,  nello
stesso  atto  iniziale,  dove  il  «licenziamento»,  illegittimo,  e'
incorporato nella assunzione stessa,  due  atti  in  unico  involucro
formale, quale cronaca di illegittima morte annunciata. 
    In  entrambi  i  casi  siamo  in  presenza  di  un  comportamento
datoriale illegittimo che pone fine al rapporto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato, nel secondo caso, sia consentito, con gravita'  ancora
maggiore, per la nascita del rapporto, illegittima, con la dote di un
automatismo finale ad orologeria. 
    La forte analogia intercategoriale e' poi confermata dalla  sopra
ricordata disciplina del meccanismo del regime della decadenza  dalla
«impugnazione», del licenziamento, come del rapporto a termine, anche
attraverso l'impiego  della  medesima  terminologia  per  individuare
l'istituto, l'impugnazione. 
    La Corte costituzionale  e'  stata  in  passato  investita  della
questione di legittimita' della nuova disposizione (l'art. 18,  legge
1970/n.  300,  indennita'   sostitutiva   introdotta   in   sede   di
novellazione dall'art. 1, legge 1990/n. 108) per  contrasto  con  gli
articoli 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, in  particolare  sotto  il
profilo dell'ingiustificata disciplina  differenziata  rispetto  alle
dimissioni  per  giusta  causa,  fattispecie  indicata  come  tertium
comparationis. La Corte (sentenza 4 marzo 1992 n. 81) ritenne che non
potesse istituirsi simile comparazione,  osservando  che  «ordine  di
reintegrazione nel posto, con facolta' del lavoratore di  optare  per
il pagamento di un'indennita' sostitutiva, e  dimissioni  per  giusta
causa indennizzate sono strumenti di tutela concettualmente  diversi,
che non possono fondersi l'uno con l'altro». 
    Diversamente, nelle categorie risolutive del rapporto  di  lavoro
qui oggetto di comparazione, la cessazione e' comunque  riconducibile
ad iniziativa, scelta datoriale, parimenti illegittima. 
    La  ratio  dell'obbligazione  alternativa  di  cui  si   discute,
espressamente predisposta dall'art. 18, legge 1970/n. 300, non sembra
utile analizzare piu' compiutamente, stante l'immediatezza della  sua
comprensione,  consistendo  nella  scelta  accordata  al  lavoratore,
pregiudicato da un comportamento contra legem del datore  di  lavoro,
di non voler proseguire  nel  rapporto  ricostituito  o  comunque  di
optare definitivamente per scelte di  vita,  personali,  familiari  e
lavorative diverse nelle more dell'accertamento  giudiziale  maturate
(sinteticamente  Cassazione  SU  2014/n.  18353,  cit.,  parlano   al
riguardo di «una sorta di "monetizzazione" della  reintegrazione  ove
ad  essa  il  lavoratore  non  avesse  piu'  interesse   o   comunque
rinunciasse», «disinteresse del lavoratore alla  riattivazione  della
prestazione lavorativa»). 
    Il caso concreto,  come  accennato,  esalta  massimamente  questa
criticita',   rendendo   quasi   formale   l'offerta   datoriale   di
riammissione al lavoro, bene prestandosi a scolpire  il  fenomeno  di
quella possibile «perdita di interesse». 
    Si e' consapevoli dei rilievi e osservazioni espressi dalla Corte
costituzionale nella stessa sentenza 2011/n. 303, cit. al § 3.3.3: 
      «Non  e'  condivisibile  neppure  il  rilievo  della   indebita
omologazione, da  parte  del  modello  indennitario  delineato  dalla
normativa in esame, di  situazioni  diverse.  Come,  ad  esempio,  la
situazione del lavoratore il quale ottenga una sentenza favorevole in
tempi brevi, possibilmente in primo grado, rispetto a quella  di  chi
risulti vittorioso solo a notevole  distanza  di  tempo  (magari  nei
gradi successivi di giudizio). Ovvero del datore di lavoro  il  quale
spontaneamente riammetta in servizio il  prestatore  nelle  more  del
processo, pagandogli, intanto, il corrispettivo,  rispetto  ad  altro
datore  che  abbia  invece  "resistito"  ad  oltranza,  evitando   di
riprendere con se' il  lavoratore.  E'  evidente  che  si  tratta  di
inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che  non  dipendono  da
una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali  e
talora patologiche (come l'eccessiva durata dei  processi  in  alcuni
uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti - secondo  la  consolidata
giurisprudenza di questa Corte - non rilevano ai fini del giudizio di
legittimita' costituzionale (sentenze n. 298  del  2009,  n.  86  del
2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102  del  2011,
n. 109 del 2010 e n. 125 del  2008).  Sicche',  non  e'  certo  dalle
disposizioni legislative censurate che possono farsi  discendere,  in
via diretta ed immediata, le  discriminazioni  ipotizzate.  Peraltro,
presunte disparita'  di  trattamento  ricollegabili  al  momento  del
riconoscimento   in   giudizio    del    diritto    del    lavoratore
illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche per la
ragione che il processo  e'  neutro  rispetto  alla  tutela  offerta,
mentre  l'ordinamento  predispone  particolari  rimedi,  come  quello
cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi  del  giudizio  vada  a
scapito delle ragioni del lavoratore  (sentenza  n.  144  del  1998),
nonche'  gli  specifici  meccanismi  riparatori  contro   la   durata
irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001,  n.
89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del  termine
ragionevole del processo e  modifica  dell'art.  375  del  codice  di
procedura civile). Inoltre, la garanzia economica in questione non e'
ne' rigida, ne' uniforme. Piuttosto, la  normativa  in  esame,  anche
attraverso il ricorso ai criteri indicati dall'art. 8 della legge  n.
604 del 1966, consente  di  calibrare  l'importo  dell'indennita'  da
liquidare in relazione alle peculiarita' delle singole vicende,  come
la durata del contratto a tempo  determinato  (evocata  dal  criterio
dell'anzianita'  lavorativa),  la  gravita'  della  violazione  e  la
tempestivita'  della  reazione  del  lavoratore  (sussumibili   sotto
l'indicatore del  comportamento  delle  parti),  lo  sfruttamento  di
occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in  caso
di  prosecuzione  del  rapporto  (riconducibile  al  parametro  delle
condizioni delle parti), nonche' le  stesse  dimensioni  dell'impresa
(immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti». 
     La Corte costituzionale riconduce,  dunque,  il  caso  concreto,
ripetiamo, ad un «inconveniente solo eventuale e di mero  fatto,  che
non dipende da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni
occasionali  e  talora  patologiche  (come  l'eccessiva  durata   dei
processi in  alcuni  uffici  giudiziari).  Siffatti  inconvenienti  -
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - non  rilevano
ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale (sentenze n.  298
del 2009, n. 86 del 2008,  n.  282  del  2007  e  n.  354  del  2006;
ordinanze n. 102 del 2011, n. 109  del  2010  e  n.  125  del  2008).
Sicche', non e' certo dalle disposizioni  legislative  censurate  che
possono  farsi  discendere,  in  via   diretta   ed   immediata,   le
discriminazioni  ipotizzate.   Peraltro,   presunte   disparita'   di
trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento  in  giudizio
del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine  devono
essere escluse (...)». 
    Sommessamente, riflettiamo,  e'  anche  questo  inconveniente  di
fatto che il legislatore ha tenuto presente nella  costruzione  della
disciplina dell'art. 18, legge 1970/n. 300 composta dell'obbligazione
alternativa controversa in causa, di modo che la norma dell'art.  32,
legge 2010/n. 183, che contempla  il  mero  obbligo  di  riassunzione
rivela la sua illegittimita' nella  parte  in  cui  non  prevede  una
obbligazione  con  facolta'  alternativa  ex  parte   creditoris   in
contrasto, con l'art. 3 della Costituzione, sotto  il  profilo  della
ragionevolezza. 
    In ogni caso, abbiamo  accennato,  anche  tralasciando  il  grave
inconveniente frutto di una  pur  ordinaria  casualita',  il  profilo
della irrazionale diversita' di trattamento e' il medesimo. 
    Inoltre e' sotteso alla materia un  valore  ancor  piu'  generale
dell'ordinamento,  attentamente  colto  dalle  Sezioni  Unite   della
Cassazione,  sentenza  2014/n.   18353,   cit.,   che   al   riguardo
ricostruisce «una sorta di "monetizzazione" della reintegrazione  ove
ad  essa  il  lavoratore  non  avesse  piu'  interesse   o   comunque
rinunciasse. Sicche' l'eventuale prosieguo del giudizio risultava per
cosi' dire sgravato della questione della reintegrazione, avendo esso
ad oggetto pur sempre la legittimita', o no,  del  licenziamento,  ma
quale presupposto non piu' della reintegrazione nel posto di  lavoro,
ma  della  spettanza,  o  no,   dell'indennita'   sostitutiva   della
reintegrazione. L'istituto quindi nasce con la vocazione di  regolare
i rapporti tra le parti  nel  corso  del  processo;  ha  una  matrice
processuale piuttosto che  sostanziale  con  la  finalita'  anche  di
favorire la  composizione  transattiva  della  lite  nel  senso  che,
sgombrato il campo dall'ordine di reintegrazione, la sua sostituzione
"indennitaria" poteva - e puo' - anche indurre le parti a  conciliare
la   lite»,   concetti   che   bene   si   attagliano   anche    alla
trasformazione/ricostituzione  del  rapporto  di   lavoro   a   tempo
indeterminato. 
    La tutela omnicomprensiva apprestata  dall'art.  32,  legge  ult.
cit. (e cfr. attuale art. 28, comma 2,  decreto  legislativo  2015/n.
81) e' espressamente delimitata al pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese  le  conseguenze  retributive  e  contributive  relative  al
periodo compreso fra la scadenza  del  termine  e  la  pronuncia  del
provvedimento  con  il   quale   il   giudice   abbia   ordinato   la
ricostituzione del rapporto di lavoro, ma e'  ad  essa  completamente
estraneo  il   periodo   successivo,   conseguente   all'obbligo   di
riassunzione. 
    In relazione a questo distinto e ulteriore periodo viene meno  il
fondamento argomentativo primario, sotteso all'intervento della Corte
costituzionale, che «la disciplina dettata dall'art. 32, commi 5, 6 e
7, della  legge  n.  183  del  2010  prende  spunto  dalle  obiettive
incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa  dei  criteri  di
commisurazione del danno  secondo  la  legislazione  previgente,  con
l'esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati  in  misura
eccessiva». 
    Anche nel nostro caso «in termini generali, la  norma  scrutinata
non si limita a forfetizzare il  risarcimento  del  danno  dovuto  al
lavoratore illegittimamente  assunto  a  termine,  ma,  innanzitutto,
assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto  di  lavoro  a
tempo indeterminato» e «l'indennita' prevista dall'art. 32, commi 5 e
6, della legge n.  183  del  2010  va  chiaramente  ad  integrare  la
garanzia della conversione del contratto di lavoro a  termine  in  un
contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la  stabilizzazione  del
rapporto e' la protezione piu' intensa che possa essere  riconosciuta
ad un lavoratore precario». 
    Tutto   quanto   autorevolmente   osservato    e'    massimamente
condivisibile, ma si presta ad  essere  applicato  esattamente  anche
alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato,  alla
quale si accompagna, invece, l'obbligazione con facolta'  alternativa
oggetto della attuale controversia. 
    Sullo sfondo, inoltre, il  «principio  di  non  discriminazione»,
oggi cristallizzato nell'art. 25 decreto legislativo 2015/n. 81  «(1.
Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento  economico  e
normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo
indeterminato comparabili, intendendosi per  tali  quelli  inquadrati
nello  stesso  livello  in  forza  dei  criteri  di   classificazione
stabiliti dalla  contrattazione  collettiva,  ed  in  proporzione  al
periodo  lavorativo  prestato,  sempre  che  non  sia  obiettivamente
incompatibile con la  natura  del  contratto  a  tempo  determinato»)
suscettibile della piu' ampia, doverosa estensione oltre la sua  piu'
comune portata applicativa. 
    Soltanto al lavoratore illegittimamente licenziato  e'  accordata
la  scelta,  la  facolta'  «insindacabile»,  meglio  la  potesta'  di
richiedere, anziche' la prestazione dovuta in via principale  con  la
reintegrazione nel posto di lavoro una prestazione diversa di  natura
pecuniaria, di natura sostitutiva e indennitaria, che e' dovuta  solo
in quanto dichiari di preferirla. 
    In questo caso non e' manifestamente infondato  ritenere  che  il
lavoratore precario, che intenda non accettare l'offerta riassuntiva,
ad esito dell'accertamento della nullita' della  somministrazione/del
contratto  a  termine,  subisca   una   diversita'   di   trattamento
irragionevole,  in  violazione  dell'art.   3   della   Costituzione,
discendente  dall'art.  32,  legge  2010/n.  183   applicabile   alla
fattispecie (cfr. attuale art. 28, comma 2, decreto legislativo 2015,
n. 81) e solo in subordinata ipotesi  dallo  stesso  art.  18,  legge
1970/n. 300. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Vista la legge n. 87  del  1953,  art.  23,  rimette  alla  Corte
costituzionale,  ritenendone  la  rilevanza  e   la   non   manifesta
infondatezza nei termini  di  cui  in  motivazione,  la  questione  d
legittimita' costituzionale, per contrarieta'  all'art.  3  dell'art.
32, legge 2010/n. 183, applicabile cronologicamente al caso  concreto
(solo in subordinata ipotesi dell'art. 18, legge 1970/n.  300)  nella
parte  in  cui  non  contempla(no)   la   facolta'   del   lavoratore
illegittimamente  assunto  a  termine  di  optare  per   una   tutela
indennitaria in luogo della riammissione al lavoro; 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata,  a  cura  della
Cancelleria,  alle  parti,  e  alla  Presidenza  del  Consiglio   dei
ministri. 
      Siena, 1° gennaio 2024 
 
                       Il Giudice: Cammarosano