N. 18 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 gennaio 2024
Ordinanza del 1° gennaio 2024 del Tribunale di Siena nei procedimenti civili riuniti promossi da GSK Vaccines Srl contro Lorenzo Quercioli, Francesco Paolo Macri' e Massimo Marucci . Lavoro - Contratto di lavoro a tempo determinato - Conversione in contratto a tempo indeterminato a causa dell'illegittima apposizione del termine (o di nullita' del contratto di somministrazione) - Facolta' per il lavoratore illegittimamente assunto a termine di optare per una tutela indennitaria in luogo della riammissione al lavoro - Mancata previsione. - Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), art. 32. In subordine: Lavoro - Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo - Indennita' in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro - Applicabilita' al lavoratore a tempo determinato nel caso di declaratoria di nullita' del termine apposto al contratto di lavoro subordinato (o di nullita' del contratto di somministrazione) - Mancata previsione. - Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), art. 18.(GU n.9 del 28-2-2024 )
TRIBUNALE DI SIENA Sezione lavoro Il Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro; sciogliendo la riserva assunta all'udienza 9 ottobre 2023; nella causa iscritta al n. 636/2022 rgl promossa dalla GSK Vaccines S.r.l., datrice di lavoro opponente, contro Lorenzo Quercioli, lavoratore opposto, ex articoli 615, 618-bis del codice di procedura civile, a mezzo ricorso depositato il 21 settembre 2022, contenente le seguenti conclusioni (ricorso, p. 4, letterali, sintesi): «(...) accertare e dichiarare l'inesistenza del diritto dell'istante precettante sig. Quercioli Lorenzo a procedere ad esecuzione forzata per il credito vantato-intimato come recitato nell'atto di precetto euro 30.755,10 "quale importo dell'indennita' sostitutiva (pari a euro 2.050,34 r.g.f. x 15 mensilita')" oltre ... interessi» e per le spese di precetto, in forza del titolo esecutivo-dispositivo della sentenza Corte di appello di Firenze, sez. lav. n. 388/2022)(...). Il lavoratore opposto, Lorenzo Quercioli, si costituiva in giudizio, contestando la fondatezza dell'opposizione chiedendo (conclusioni: memoria difensiva, p. 8, letterali): «respingere l'opposizione proposta da G.S.K. Vaccines S.r.l. in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, e per l'effetto condannare la azienda opponente al pagamento di euro euro 30.755,10 (trentamilasettecentocinquantacinque/10) quale importo dell'indennita' sostitutiva (pari a 2.050,34 r.g.f. x 15 mensilita') oltre ad euro 94,79 quali interessi legali dalla richiesta alla notifica del precetto, oltre ad euro 315,00 per redazione precetto; euro 47,25 per rimborso forfetario al 15% su euro 315,00; euro 14,49 quale 4% per C.A.P. su euro 362,25; euro 82,88 quale I.V.A. su euro 376,74; e, pertanto, della complessiva somma di euro 31.309,51 (trentunomilatrecentonove/51), oltre alle successive occorrende, o quella diversa somma che sara' ritenuta di giustizia e ragione (...)» Successivamente riunite alla causa n. 636/2022 rgl le opposizioni del tutto analoghe proposte dalla GSK con analoghe contestazioni di altri lavoratori opposti, Francesco Paolo Macri' e Massimo Marucci, e le medesime formazioni difensive, opposizioni rappresentate rispettivamente dalle cause nn. 637 e 638/2022 rgl, connesse parzialmente per soggetto, per identita' di questioni rilevanti ai fini della decisione e diverse per le somme precettate dai creditori. Il titolo esecutivo fatto valere dai tre lavoratori opposti, Lorenzo Quercioli, Francesco Paolo Macri' e Massimo Marucci e' il dispositivo della sentenza della Corte di appello di Firenze sez. lav. n. 388/2022 (produzione GSK, 1)(sub 2: copia dell'atto di precetto con titolo esecutivo notificato a GSK Vaccines S.r.l.). Vediamone il contenuto: «La Corte, definitivamente decidendo quale giudice di rinvio, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, cosi' dispone: (...) 2) Quanto alle posizioni dei lavoratori Marucci e Macri', dichiarata la nullita' dei contratti di somministrazione in forza dei quali la prestazione di Marucci e Macri' e' stata impiegata da GSK Vaccines S.r.l. (gia' denominata Novartis Vaccines and diagnostic S.r.l.) dal 9 giugno 2009 al 31 dicembre 2009, dichiara l'esistenza in atto tra i lavoratori Marucci e Macri' e GSK Vaccines S.r.l., di distinti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 9 giugno 2009 e condanna la societa' a riammettere in servizio i lavoratori. Condanna altresi' GSK al pagamento, in favore di ciascuno dei due lavoratori, dell'indennita' risarcitoria di cui all'art. 32, comma 5 della legge n. 183/2010 nella misura di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, maggiorato il dovuto di rivalutazione monetaria e interessi legali ex art. 429 codice di procedura civile dall'apparente cessazione dei rapporti di lavoro al saldo. Quanto alla posizione del lavoratore Quercioli dichiara la nullita' del termine apposto al contratto a termine stipulato tra il lavoratore e GSK Vaccines S.r.l. (gia' denominata Novartis Vaccines and diagnostic S.r.l.), con originaria decorrenza 19 febbraio 2009. Per l'effetto dichiara l'esistenza in atto, tra Quercioli e GSK Vaccines S.r.l., di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 19 febbraio 2009 e condanna la societa' a riammettere in servizio il lavoratore. Condanna altresi' GSK al pagamento, in favore di Quercioli, dell'indennita' risarcitoria di cui all'art. 32, comma 5 della legge n. 183/2010 nella misura di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, maggiorato il dovuto di rivalutazione monetaria e interessi legali ex art. 429 codice di procedura civile dall'apparente cessazione del rapporto di lavoro al saldo; Condanna GSK alla rifusione delle spese dell'intero giudizio in favore dei lavoratori che liquida in euro 12.087,00 oltre accessori di legge per il primo grado di giudizio, euro 8.782,50 oltre accessori di legge per il grado di appello, euro 9.212,50 oltre accessori di legge per il giudizio di Cassazione e in euro 8.782,50 oltre accessori di legge per la presente fase di rinvio, somme queste complessive da ripartirsi in parti uguali tra i lavoratori. Dichiara compensate le spese processuali di pertinenza di Randstad Italia S.p.a. e Manpower S.p.a. Nulla sulle spese di (...) rimasta contumace. Cosi' deciso in Firenze nella Camera di consiglio del 19 maggio 2022». Il credito precettato - a titolo di «importo dell'indennita' sostitutiva (pari a euro yyy r.g.f. x 15 mensilita')» - per la GSK opponente non sarebbe contemplato nel titolo azionato esecutivamente. Infatti, a seguito della declaratoria di nullita' del termine apposto al contratto di somministrazione/lavoro, con riconosciuta sussistenza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la societa', a decorrere dalla originaria instaurazione nel lontano 2009, la societa' datrice e' stata condannata alla riammissione in servizio e al pagamento dell'indennita' risarcitoria ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 nella misura di dodici mensilita' (indennita' che peraltro era gia' stata pagata all'esito del giudizio di primo grado del Tribunale di Siena in funzione di giudice del lavoro e mai recuperata). Nel dispositivo non vi sarebbe per la GSK alcuna condanna relativa al credito a titolo di «indennita' sostitutiva conseguente all'opzione esercitata e comunicata dal lavoratore invece del reintegro in azienda», tale dovendosi riferire esclusivamente all'indennita' opzionale prevista dall'art. 18, comma 3, legge 1970/n. 300. Il precetto, dunque, sarebbe privo di titolo esecutivo fondante. Nella sentenza della Corte di appello sezione lavoro di Firenze n. 388/2022 cit. non sarebbe contenuta alcuna condanna alla «reintegrazione nel posto di lavoro». Per la semplice ragione - osserva GSK opponente - che non c'era alcun «licenziamento» illegittimo a cui porre rimedio con la reintegrazione. L'indennita' sostitutiva della reintegrazione presupporrebbe indefettibilmente, appunto, una condanna alla reintegrazione a seguito di un licenziamento dichiarato illegittimo ex art 18, legge 1970/n. 300, situazione giuridica cui non potrebbe mai essere equiparata la pronuncia dichiarativa di nullita' del termine apposto al contratto di lavoro. Infatti la reintegrazione si pone in quel caso come obbligazione principale e l'indennita' sostitutiva come obbligazione per facolta' alternativa: mancando un licenziamento, impugnato e dichiarato illegittimo, non puo' che difettare (anche teoricamente) - ripete l'opponente GSK - il diritto alla reintegrazione, quindi difetta anche il diritto alternativo indennitario sostitutivo. La declaratoria di nullita' del termine apposto a contratto di lavoro subordinato (o a contratto per la somministrazione di lavoro) - ribadisce GSK - non coincide infatti con la declaratoria di illegittimita' di licenziamento, e non e' suscettibile di applicazione remediale desunta dall'art 18, legge 1970/n. 300, bensi' (come ha disposto la Corte di appello fiorentina, e prima ancora aveva fatto il Tribunale di Siena in primo grado) suscettibile del rimedio desunto dall'art. 32, legge 2010/n. 183. La tutela specificamente approntata per la declaratoria di nullita' del termine e' quella, al tempo, dell'art. 32, legge 2010/n. 183 cit. e quindi non vi sarebbe alcuna lacuna normativa da colmare, in ipotesi, analogicamente con l'applicabilita' dell'art. 18, legge 1970/n. 300 posto a tutela contro il licenziamento illegittimo come prospetta controparte. Quindi non c'e' alcun credito - neppure astrattamente - vantabile all'indennita' sostitutiva della reintegrazione, e tantomeno lo si puo' desumere dalla sentenza App. Firenze sez. lavoro n. 388/2022 cit. Sono due, pertanto, le norme che vengono proposte dalle parti al giudice per l'interpretazione ed applicazione alla fattispecie per la sua decisione, al fine di dare ingresso all'attuazione del rapporto obbligatorio pecuniario, indennitario e alternativo, nell'auspicio dei lavoratori, ovvero di impedirlo, in quello antitetico datoriale: l'art. 18, legge 1970/n. 300 (indennita' sostitutiva introdotta in sede di novellazione dall'art. 1, legge 1990/n. 108) invocato dai lavoratori precettanti; l'art. 32, legge 2010/n. 183, invocato dalla datrice di lavoro opponente. Si tratta di «un'obbligazione con facolta' alternativa dal lato del creditore» secondo l'interpretazione condivisa da Corte costituzionale, sentenza 1992/n. 81) e ribadita con l'ordinanza 1996/n. 291 («secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 81 del 1992; ordinanze nn. 160 del 1992 e 77 del 1996), l'indennita' di cui si controverte non ha una funzione di risarcimento aggiuntivo a quello previsto dal precedente comma 4, ma, in connessione col diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, si inserisce in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un'obbligazione con facolta' alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore la facolta' insindacabile di "monetizzare" il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilita' di retribuzione" in occasione della affermazione ad opera della Corte costituzionale, che "tale facolta' non puo' essere arbitrariamente vanificata dal datore di lavoro revocando il licenziamento in corso di giudizio allo scopo di impedire la pronuncia dell'ordine di reintegrazione, che e' il presupposto di esercizio della facolta' medesima: dal "considerato" precedente discende, invece, il corollario (conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione: cfr. sentenza n. 13047 del 1995) che la revoca dell'atto di licenziamento e l'invito a riprendere il lavoro impediscono la pronuncia dell'ordine giudiziale di reintegrazione e conseguentemente la scelta dell'indennita' sostitutiva solo se accettati dal lavoratore, espressamente o tacitamente col ritorno in servizio». Il testo originario dell'art. 32, comma 5, legge 2010/n. 183, prevedeva: «5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604». La legge 2012, n. 92 ha poi chiarito (con l'art. 1, comma 12) (con l'art. 1, comma 13) che «la disposizione di cui al comma 5 dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che l'indennita' ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro». Sempre l'intervento legislativo del 2012, noto come «legge Fornero», ha precisato che «Le disposizioni di cui al comma 3, lettera a), dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, come sostituita dal comma 11 del presente articolo, si applicano in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013». Il comma 3, lettera a), art. 32 cit., ricordiamo, prevede che «3. Le disposizioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullita' del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullita' del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto art. 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, e' fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo art. 6 e' fissato in centottanta giorni; b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto, di cui all'art. 409, numero 3), del codice di procedura civile; (...)» Le disposizioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'intervento legislativo del 2012, cit., prevedono notoriamente che «il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta' del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretta ad impugnare il licenziamento stesso». Non e' poi inutile seguire, ci parrebbe in essenziale continuita', l'evoluzione ordinamentale, con il decreto legislativo trasformazione/n. 81, noto come Jobs Act, e successive modificazioni ed integrazioni, art. 28 («Decadenza e tutele»). «1. L'impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalita' previste dal primo comma dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, entro centottanta giorni dalla cessazione del singolo contratto. Trova altresi' applicazione il secondo comma del suddetto art. 6. 2. Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennita' ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro». Art. 22 «Continuazione del rapporto oltre la scadenza del termine». «1. Fermi i limiti di durata massima di cui all'art. 19, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore. 2. Qualora il rapporto di lavoro continui oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovver oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini». Ad es. Cassazione SL 2021/n. 702, ricorda, «3.2. Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimita' il carattere omnicomprensivo della indennita' risarcitoria, valorizzato dalla norma di interpretazione autentica, comporta che essa ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, ossia e' esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo e contributivo, della perdita del lavoro in relazione al periodo decorrente dalla cessazione del rapporto a termine alla sentenza che ne ha disposto la ricostituzione (v. tra le altre, Cassazione 20 novembre 2018, n. 29949; Cassazione 9 gennaio 2015, n. 151, Cassazione 7 settembre 2012, n. 14996). Per il periodo successivo alla sentenza, in ipotesi di persistente inadempimento all'obbligo datoriale di ripristino del rapporto, la misura della responsabilita' datoriale sara' determinata secondo gli ordinari criteri e non nella misura forfettizzata stabilita' dall'art. 32, legge n. 183 del 2010». Ancora, «3.7. Il rapporto a tempo indeterminato, quale accertato dal giudice (...), e' fonte di responsabilita' risarcitoria (per la mancata riammissione in servizio) a carico della parte datrice; il relativo contenuto e' stato determinato in misura forfettizzata, in conformita' dello ius superveniens rappresentato dalla disciplina dettata dal comma 5 dell'art. 32 legge n. 183 del 2010, per il periodo fino alla sentenza di rinvio laddove, per l'ipotesi del protrarsi dell' inadempimento in epoca successiva alla sentenza qui impugnata, il pregiudizio sofferto dalla lavoratrice dovra' essere ristorato secondo gli ordinari criteri e non in misura forfettizzata». Ulteriormente, rileva la Cassazione, «la complessiva ratio ispiratrice della disciplina dettata dell'art. 32 cit. maturata, secondo quanto anche riconosciuto dalla Corte costituzionale (sent. n. 303/2011), nel contesto di obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione pre vigente, con l'esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva (Corte costituzionale n. 303/2011); a tale incertezza si e' inteso porre riparo con la introduzione di un criterio di liquidazione del danno di piu' agevole, certa ed omogenea applicazione rappresentato dalla previsione di un'indennita' risarcitoria destinata a coprire il periodo compreso fino alla sentenza di conversione; in tale contesto, l'avere il legislatore ancorato alla sentenza dichiarativa della conversione l'insorgere dell'obbligazione del risarcimento del danno, modulata solo con riferimento al periodo fino alla sentenza di ricostituzione del rapporto nei limiti e secondo i criteri sanciti dall'art. 32, comma 5, legge cit. e, quindi, per il periodo successivo secondo gli ordinari criteri, trova giustificazione sotto il profilo del diverso grado di consapevolezza da parte del soggetto datore di lavoro circa la sussistenza o meno dell'obbligo di riammissione al lavoro; una volta eliminata, con la sentenza di ricostituzione del rapporto di lavoro, ogni incertezza circa la avvenuta conversione ed il connesso obbligo di riammissione del lavoratore, non vi era ragione per escludere la determinazione in misura corrispondente all'effettivo pregiudizio subito del ristoro spettante al lavoratore e non in misura forfettizzata, come per il periodo fino alla sentenza di ricostituzione». La Corte costituzionale, con la sentenza 2011/n. 303 ha chiarito che «a partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro che prevedeva una scadenza in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e' da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. Diversamente opinando, la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato sarebbe completamente svuotata. Se, infatti, il datore di lavoro, anche dopo l'accertamento giudiziale del rapporto a tempo indeterminato, potesse limitarsi al versamento di una somma compresa tra 2,5 e 12 mensilita' di retribuzione, non subirebbe alcun deterrente idoneo ad indurlo a riprendere il prestatore a lavorare con se'» e lo stesso riconoscimento della durata indeterminata del rapporto da parte del giudice sarebbe posto nel nulla. «La normativa impugnata risulta, nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi. Al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un'indennita' che gli e' dovuta sempre e comunque, senza necessita' ne' dell'offerta della prestazione, ne' di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data d'interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die». Infine, l'art. 18, comma 3, legge 1970/n. 300 prevede, in materia di licenziamento illegittimo, che «fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e' assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennita' deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio se anteriore alla predetta comunicazione». I lavoratori opposti, Quercioli, Macri' e Marucci, a fronte della lettera del 26 maggio 2022 della GSK opponente, che ad esito della sentenza della Corte di appello di Firenze, 2022/n. 388, ne disponeva la riammissione, esercitavano tempestivamente la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto. Sono, dunque, due le norme rilevanti, ripetiamo, che vengono proposte dalle parti al giudice per l'interpretazione ed applicazione alla fattispecie per la sua decisione, al fine di dare ingresso alla obbligazione pecuniaria alternativa, nell'auspicio dei lavoratori, ovvero di impedirlo, in quello antitetico datoriale: e' rilevante l'art. 18, legge 1970/n. 300, invocato dai lavoratori precettanti; e' rilevante l'art. 32, legge 2010/n. 183, invocato dalla datrice di lavoro opponente. Alla irragionevole diversita' di trattamento, che riterremmo sussistere, tra la facolta', la potesta' alternativa accordata al lavoratore illegittimamente licenziato e la posizione del lavoratore a termine, che non ne beneficia, puo' porsi rimedio mediante un intervento dichiarativo di non conformita' costituzionale dell'una o dell'altra norma. Attagliandosi, tuttavia, espressamente l'art. 18, legge cit., alla materia del licenziamento illegittimo, e' la seconda norma, l'art. 32, legge cit., dedicato al rapporto di lavoro a tempo determinato, che diviene principale oggetto di lettura, interpretazione e applicazione al fine decidere il caso concreto, e solo in subordinata ipotesi la prima norma («l'istituto e' rimasto associato alla tutela reintegratoria anche nel contesto della riforma di cui alla legge n. 92 del 2012, che ne ha solo rimaneggiato la disciplina anche se il suo ambito di applicazione si e' ridotto come conseguenza del restringimento dell'area della tutela reintegratoria nei confronti del licenziamento illegittimo», «nuova disciplina, pur nel complesso sostanzialmente confermativa di quella previgente», osservano le S.U. della Cassazione, sentenza 2014/n. 18353). Caso concreto che e' necessariamente il primo motore dell'attenzione e dell'interesse del giudice di merito e rivela una eclatante criticita': l'offerta datoriale di riammissione in servizio giunge a distanza di circa 13 (tredici) anni rispetto alla originaria decorrenza del rapporto, 9 giugno 2009 per i lavoratori, Marucci e Macri' (somministrazione nulla) e 19 febbraio 2009 per il lavoratore Quercioli (rapporto a termine nullo). La tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato ne risulta completamente svuotata, completa la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die. E' una ipotesi remota, poco realistica, l'adesione alla proposta di riammissione al lavoro. In ogni caso, anche tralasciando il grave inconveniente frutto di una pur ordinaria casualita', la diversita' di trattamento tra il lavoratore illegittimamente licenziato e il lavoratore illegittimamente precarizzato ci parrebbe evidente. Alla classica obiezione incentrata sulla carenza, nel secondo caso, di un atto espulsivo datoriale, contrapponiamo la riflessione in ordine alla sussistenza, in entrambe le categorie di rapporto e di prestazione, di un atto espulsivo illegittimo: evidente nel licenziamento, come distinto atto finale del rapporto; ma non difficile a cogliersi nella illegittima assunzione a termine, nello stesso atto iniziale, dove il «licenziamento», illegittimo, e' incorporato nella assunzione stessa, due atti in unico involucro formale, quale cronaca di illegittima morte annunciata. In entrambi i casi siamo in presenza di un comportamento datoriale illegittimo che pone fine al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel secondo caso, sia consentito, con gravita' ancora maggiore, per la nascita del rapporto, illegittima, con la dote di un automatismo finale ad orologeria. La forte analogia intercategoriale e' poi confermata dalla sopra ricordata disciplina del meccanismo del regime della decadenza dalla «impugnazione», del licenziamento, come del rapporto a termine, anche attraverso l'impiego della medesima terminologia per individuare l'istituto, l'impugnazione. La Corte costituzionale e' stata in passato investita della questione di legittimita' della nuova disposizione (l'art. 18, legge 1970/n. 300, indennita' sostitutiva introdotta in sede di novellazione dall'art. 1, legge 1990/n. 108) per contrasto con gli articoli 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, in particolare sotto il profilo dell'ingiustificata disciplina differenziata rispetto alle dimissioni per giusta causa, fattispecie indicata come tertium comparationis. La Corte (sentenza 4 marzo 1992 n. 81) ritenne che non potesse istituirsi simile comparazione, osservando che «ordine di reintegrazione nel posto, con facolta' del lavoratore di optare per il pagamento di un'indennita' sostitutiva, e dimissioni per giusta causa indennizzate sono strumenti di tutela concettualmente diversi, che non possono fondersi l'uno con l'altro». Diversamente, nelle categorie risolutive del rapporto di lavoro qui oggetto di comparazione, la cessazione e' comunque riconducibile ad iniziativa, scelta datoriale, parimenti illegittima. La ratio dell'obbligazione alternativa di cui si discute, espressamente predisposta dall'art. 18, legge 1970/n. 300, non sembra utile analizzare piu' compiutamente, stante l'immediatezza della sua comprensione, consistendo nella scelta accordata al lavoratore, pregiudicato da un comportamento contra legem del datore di lavoro, di non voler proseguire nel rapporto ricostituito o comunque di optare definitivamente per scelte di vita, personali, familiari e lavorative diverse nelle more dell'accertamento giudiziale maturate (sinteticamente Cassazione SU 2014/n. 18353, cit., parlano al riguardo di «una sorta di "monetizzazione" della reintegrazione ove ad essa il lavoratore non avesse piu' interesse o comunque rinunciasse», «disinteresse del lavoratore alla riattivazione della prestazione lavorativa»). Il caso concreto, come accennato, esalta massimamente questa criticita', rendendo quasi formale l'offerta datoriale di riammissione al lavoro, bene prestandosi a scolpire il fenomeno di quella possibile «perdita di interesse». Si e' consapevoli dei rilievi e osservazioni espressi dalla Corte costituzionale nella stessa sentenza 2011/n. 303, cit. al § 3.3.3: «Non e' condivisibile neppure il rilievo della indebita omologazione, da parte del modello indennitario delineato dalla normativa in esame, di situazioni diverse. Come, ad esempio, la situazione del lavoratore il quale ottenga una sentenza favorevole in tempi brevi, possibilmente in primo grado, rispetto a quella di chi risulti vittorioso solo a notevole distanza di tempo (magari nei gradi successivi di giudizio). Ovvero del datore di lavoro il quale spontaneamente riammetta in servizio il prestatore nelle more del processo, pagandogli, intanto, il corrispettivo, rispetto ad altro datore che abbia invece "resistito" ad oltranza, evitando di riprendere con se' il lavoratore. E' evidente che si tratta di inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti - secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - non rilevano ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e n. 125 del 2008). Sicche', non e' certo dalle disposizioni legislative censurate che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni ipotizzate. Peraltro, presunte disparita' di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine devono essere escluse anche per la ragione che il processo e' neutro rispetto alla tutela offerta, mentre l'ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998), nonche' gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 del codice di procedura civile). Inoltre, la garanzia economica in questione non e' ne' rigida, ne' uniforme. Piuttosto, la normativa in esame, anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dall'art. 8 della legge n. 604 del 1966, consente di calibrare l'importo dell'indennita' da liquidare in relazione alle peculiarita' delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo determinato (evocata dal criterio dell'anzianita' lavorativa), la gravita' della violazione e la tempestivita' della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l'indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonche' le stesse dimensioni dell'impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti». La Corte costituzionale riconduce, dunque, il caso concreto, ripetiamo, ad un «inconveniente solo eventuale e di mero fatto, che non dipende da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari). Siffatti inconvenienti - secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - non rilevano ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale (sentenze n. 298 del 2009, n. 86 del 2008, n. 282 del 2007 e n. 354 del 2006; ordinanze n. 102 del 2011, n. 109 del 2010 e n. 125 del 2008). Sicche', non e' certo dalle disposizioni legislative censurate che possono farsi discendere, in via diretta ed immediata, le discriminazioni ipotizzate. Peraltro, presunte disparita' di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine devono essere escluse (...)». Sommessamente, riflettiamo, e' anche questo inconveniente di fatto che il legislatore ha tenuto presente nella costruzione della disciplina dell'art. 18, legge 1970/n. 300 composta dell'obbligazione alternativa controversa in causa, di modo che la norma dell'art. 32, legge 2010/n. 183, che contempla il mero obbligo di riassunzione rivela la sua illegittimita' nella parte in cui non prevede una obbligazione con facolta' alternativa ex parte creditoris in contrasto, con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza. In ogni caso, abbiamo accennato, anche tralasciando il grave inconveniente frutto di una pur ordinaria casualita', il profilo della irrazionale diversita' di trattamento e' il medesimo. Inoltre e' sotteso alla materia un valore ancor piu' generale dell'ordinamento, attentamente colto dalle Sezioni Unite della Cassazione, sentenza 2014/n. 18353, cit., che al riguardo ricostruisce «una sorta di "monetizzazione" della reintegrazione ove ad essa il lavoratore non avesse piu' interesse o comunque rinunciasse. Sicche' l'eventuale prosieguo del giudizio risultava per cosi' dire sgravato della questione della reintegrazione, avendo esso ad oggetto pur sempre la legittimita', o no, del licenziamento, ma quale presupposto non piu' della reintegrazione nel posto di lavoro, ma della spettanza, o no, dell'indennita' sostitutiva della reintegrazione. L'istituto quindi nasce con la vocazione di regolare i rapporti tra le parti nel corso del processo; ha una matrice processuale piuttosto che sostanziale con la finalita' anche di favorire la composizione transattiva della lite nel senso che, sgombrato il campo dall'ordine di reintegrazione, la sua sostituzione "indennitaria" poteva - e puo' - anche indurre le parti a conciliare la lite», concetti che bene si attagliano anche alla trasformazione/ricostituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La tutela omnicomprensiva apprestata dall'art. 32, legge ult. cit. (e cfr. attuale art. 28, comma 2, decreto legislativo 2015/n. 81) e' espressamente delimitata al pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro, ma e' ad essa completamente estraneo il periodo successivo, conseguente all'obbligo di riassunzione. In relazione a questo distinto e ulteriore periodo viene meno il fondamento argomentativo primario, sotteso all'intervento della Corte costituzionale, che «la disciplina dettata dall'art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010 prende spunto dalle obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l'esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva». Anche nel nostro caso «in termini generali, la norma scrutinata non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato» e «l'indennita' prevista dall'art. 32, commi 5 e 6, della legge n. 183 del 2010 va chiaramente ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. E la stabilizzazione del rapporto e' la protezione piu' intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario». Tutto quanto autorevolmente osservato e' massimamente condivisibile, ma si presta ad essere applicato esattamente anche alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, alla quale si accompagna, invece, l'obbligazione con facolta' alternativa oggetto della attuale controversia. Sullo sfondo, inoltre, il «principio di non discriminazione», oggi cristallizzato nell'art. 25 decreto legislativo 2015/n. 81 «(1. Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato») suscettibile della piu' ampia, doverosa estensione oltre la sua piu' comune portata applicativa. Soltanto al lavoratore illegittimamente licenziato e' accordata la scelta, la facolta' «insindacabile», meglio la potesta' di richiedere, anziche' la prestazione dovuta in via principale con la reintegrazione nel posto di lavoro una prestazione diversa di natura pecuniaria, di natura sostitutiva e indennitaria, che e' dovuta solo in quanto dichiari di preferirla. In questo caso non e' manifestamente infondato ritenere che il lavoratore precario, che intenda non accettare l'offerta riassuntiva, ad esito dell'accertamento della nullita' della somministrazione/del contratto a termine, subisca una diversita' di trattamento irragionevole, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, discendente dall'art. 32, legge 2010/n. 183 applicabile alla fattispecie (cfr. attuale art. 28, comma 2, decreto legislativo 2015, n. 81) e solo in subordinata ipotesi dallo stesso art. 18, legge 1970/n. 300.
P.Q.M. Vista la legge n. 87 del 1953, art. 23, rimette alla Corte costituzionale, ritenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza nei termini di cui in motivazione, la questione d legittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 3 dell'art. 32, legge 2010/n. 183, applicabile cronologicamente al caso concreto (solo in subordinata ipotesi dell'art. 18, legge 1970/n. 300) nella parte in cui non contempla(no) la facolta' del lavoratore illegittimamente assunto a termine di optare per una tutela indennitaria in luogo della riammissione al lavoro; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Cancelleria, alle parti, e alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Siena, 1° gennaio 2024 Il Giudice: Cammarosano