N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 2024

Ordinanza del 31 gennaio 2024 del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto dall'Associazione nazionale tributaristi Lapet e Mariateresa
Nesca contro Agenzia delle entrate - Direzione regionale Puglia . 
 
Tributi - Accertamento delle imposte sui redditi - Soggetti abilitati
  alla trasmissione della dichiarazione dei redditi in via telematica
  - Previsione che, tra costoro, individua i  soggetti  abilitati  al
  rilascio del visto di  conformita'  nell'elenco  di  professionisti
  contenuto nelle sole lettere a) e b) del comma 3  dell'art.  3  del
  d.P.R. n. 322 del 1998 e non anche negli  altri  soggetti  indicati
  dallo stesso comma 3 e, in  particolare,  in  quelli  di  cui  alla
  lettera e), ossia gli altri incaricati individuati con decreto  del
  Ministro dell'economia e delle finanze. 
- Decreto-legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione
  degli adempimenti dei contribuenti in  sede  di  dichiarazione  dei
  redditi  e   dell'imposta   sul   valore   aggiunto,   nonche'   di
  modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni),  art.
  35, comma 3. 
(GU n.10 del 6-3-2024 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
              In sede giurisdizionale (Sezione settima) 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
iscritto al numero di registro generale 1804 del 2023, proposto da: 
      Associazione Nazionale Tributaristi Lapet in persona del legale
rappresentante pro tempore,  e  Mariateresa  Nesca,  rappresentati  e
difesi  dagli  avvocati  Giovanni  Cinque  e  Antonio  Martini,   con
domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato  Antonio  Martini  in
Roma, corso Trieste n. 109; 
      contro Agenzia delle Entrate,  in  persona  del  direttore  pro
tempore, rappresentata e difesa per  legge  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, presso i cui uffici e' domiciliata,  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Puglia - sede di Bari (sezione seconda) n. 1192/2022 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Agenzia  delle
Entrate; 
    Viste  le  memorie  e  tutti  gli  atti  della  causa;   Relatore
nell'udienza pubblica del giorno  19  dicembre  2023  il  consigliere
Fabio Franconiero e udito per la parte appellante l'avvocato Martini,
sull'istanza di passaggio in decisione dell'Agenzia delle Entrate; 
 
       Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue 
 
    Premesso che: 
      - gli appellanti indicati in  epigrafe  agiscono  nel  presente
giudizio per  l'annullamento  dei  provvedimenti  dell'Agenzia  delle
entrate con cui (o sulla cui base) e' stato  negato  alla  dottoressa
Mariateresa   Nesca,   di    professione    tributarista,    iscritta
all'Associazione  nazionale  tributaristi  Lapet,  l'abilitazione  al
rilascio del visto di conformita' sulle dichiarazioni dei  redditi  e
Iva dalla stessa inviate all'amministrazione  finanziaria,  ai  sensi
dell'art. 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme  di
semplificazione  degli  adempimenti  dei  contribuenti  in  sede   di
dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche'
di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni); 
      - in fatto, deve premettersi  che  la  ricorrente  Associazione
nazionale  tributaristi  Lapet  e'  un'associazione  professionale  a
carattere  nazionale,  costituita  tra  coloro  che   esercitano   la
consulenza nelle  materie  contabili,  fiscali  e  tributarie,  senza
iscrizione in albi professionali, che tra gli altri compiti svolge la
vigilanza sulla attivita' professionale degli associati nei confronti
dei terzi e della pubblica amministrazione  (articoli  1  e  4  dello
Statuto; doc. n. 10 prodotto unitamente al ricorso di primo grado); 
      - come dedotto  nel  ricorso  di  primo  grado,  l'associazione
«conta (...) oltre 5000 iscritti sull'intero territorio nazionale»  e
dispone di strutture su base regionale e provinciale («20 Delegazioni
regionali e 105 Sedi provinciali»); 
      - oltre al riconoscimento civilistico quale  persona  giuridica
ai sensi del decreto del  Presidente  della  Repubblica  10  febbraio
2000, n. 361 (Regolamento recante norme per  la  semplificazione  dei
procedimenti di riconoscimento di persone  giuridiche  private  e  di
approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello  statuto),
essa  e'  iscritta  in  elenchi  ministeriali  e  aderisce  ad   enti
rappresentativi di categoria a  livello  nazionale,  oltre  a  essere
rappresentata  in  commissioni  di   studio   istituite   a   livello
ministeriale; 
      - sempre in via di fatto, nel ricorso di primo grado  e'  stato
esposto, senza contestazioni sul punto da  parte  dell'Agenzia  delle
Entrate, che quella del  tributarista  e'  una  figura  professionale
«riconosciuta da numerose norme di legge, tra  le  quali  il  decreto
ministeriale  del  28  dicembre  1990;  il  decreto  legislativo   n.
546/1992; decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  322/1998  e
correlato decreto ministeriale del 19 aprile 2001; art. 1 commi 391 e
392 della legge n. 311 del 2004; art. 21 della legge n.  29/2006  che
estende  ai  tributaristi  gli   obblighi   antiriciclaggio   ed   il
regolamento di cui al decreto legislativo n. 231/2007 (art.  14);  la
direttiva comunitaria 2001/97/CE)»; 
      - secondo  quanto  ulteriormente  dedotto,  l'attivita'  svolta
professionale consiste nella tenuta della contabilita' delle imprese;
nell'assistenza  fiscale   comprensiva   della   compilazione   delle
dichiarazioni   fiscali   e   dell'abilitazione   alla   trasmissione
telematica delle dichiarazioni stesse; ed inoltre in tutte  le  altre
attivita'  riferibili  ai  servizi  contabili,   fiscali,   tributari
amministrativi   e/o   aziendali,   tranne   quelli    riservati    a
professionisti iscritti in albi, ruoli od elenchi; 
      - il  diniego  impugnato  in  giudizio  (nota  della  Direzione
regionale per  la  Puglia  dell'Agenzia  delle  entrate  in  data  11
febbraio 2021) si fonda appunto  sull'esistenza  di  una  riserva  di
legge per l'attivita' di rilascio  del  visto  di  conformita'  sulle
dichiarazioni; 
      -  la  riserva  considerata  dall'amministrazione   finanziaria
ostativa per l'esercente la  professione  di  tributarista  e'  stata
ricavata dal comma 3 del citato 35 del decreto legislativo  9  luglio
1997, n. 241, il  quale  dispone  che  il  visto  di  conformita'  e'
rilasciato su richiesta del contribuente dai «soggetti indicati  alle
lettere a) e b), del comma 3 dell'art. 3 del decreto  del  Presidente
della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, abilitati alla  trasmissione
telematica delle dichiarazioni»; 
      - a sua volta, la disposizione richiamata, e  cioe'  l'art.  3,
comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica  del  22  luglio
1998, n. 322 (Regolamento  recante  modalita'  per  la  presentazione
delle dichiarazioni relative alle imposte  sui  redditi,  all'imposta
regionale  sulle  attivita'  produttive  e  all'imposta  sul   valore
aggiunto, ai sensi dell'art. 3, comma 136, della  legge  23  dicembre
1996, n. 662), nell'elencare le  categorie  di  «soggetti  incaricati
della trasmissione» delle dichiarazioni «in via  telematica  mediante
il servizio telematico  Entratel»,  indica  alle  lettere  a)  e  b),
menzionate nella norma di legge richiamante,  le  seguenti  categorie
professionali: «gli iscritti negli albi dei  dottori  commercialisti,
dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del  lavoro»
(lettera a); e «i soggetti iscritti alla data del 30  settembre  1993
nei ruoli di periti ed esperti  tenuti  dalle  camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in
possesso di diploma di laurea  in  giurisprudenza  o  in  economia  e
commercio o equipollenti o diploma di ragioneria» (lettera b); 
      - il medesimo art. 3, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica del 22 luglio  1998,  n.  322,  contempla  peraltro  altre
categorie di soggetti abilitati all'invio in forma  telematica  delle
dichiarazioni  dei  redditi,  tra  cui  quella  individuata  in   via
residuale dalla lettera e) negli «altri  incaricati  individuati  con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze»: 
      - in attuazione di quest'ultima disposizione regolamentare, con
decreto in data  19  aprile  2001  (Ampliamento  delle  categorie  di
soggetti da includere tra gli incaricati alla trasmissione telematica
dei dati contenuti nelle  dichiarazioni;  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale, 26 aprile, n. 96) - richiamato nel ricorso di primo  grado
tra  le  norme  che  in  tesi  avrebbero   riconosciuto   la   figura
professionale del  tributarista  -  sono  stati  abilitati  all'invio
telematico  «coloro  che  esercitano  abitualmente   l'attivita'   di
consulenza fiscale»; 
      - il fatto che i tributaristi rientrino nella categoria di  cui
alla e) dell'art. 3 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
322/1998 costituisce dato pacifico non contestato tra le parti,  come
emerge dalle pagg. 10 e 11 del ricorso di primo grado; dalle pagg. 34
e 35 della memoria in appello della Avvocatura dello  Stato  e  dalla
sentenza di questo Consiglio di Stato,  sez.  IV,  n.  6028/2012,  di
seguito richiamata; 
      - ai fini del presente giudizio ha inoltre rilevanza l'art.  23
del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164 (Regolamento  recante
norme per l'assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza  fiscale
per le imprese e per i dipendenti,  dai  sostituti  d'imposta  e  dai
professionisti ai sensi dell'art. 40 del decreto legislativo 9 luglio
1997, n. 241), che nel disporre, al comma  1,  che  i  professionisti
«rilasciano  il  visto  di  conformita'  se  hanno   predisposto   le
dichiarazioni e tenuto le relative  scritture  contabili»,  pone  una
regola di «identita' soggettiva tra il soggetto che appone  [rectius,
che e' abilitato ad apporre] il visto  di  conformita'  e  colui  che
predispone [rectius, che e' abilitato  a  predisporre,  presentare  e
trasmettere in  via  telematica,  secondo  le  altre  previsioni  del
succitato art. 3 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
322/1998]  le  dichiarazioni  e  cura  la  tenuta   delle   scritture
contabili»  (memoria  dell'Agenzia  delle  entrate),  senza  tuttavia
consentire il reciproco, e cioe' il rilascio del visto di conformita'
da parte del professionista che abbia presentato  all'amministrazione
finanziaria la dichiarazione dei redditi; 
      - cosi' ricostruito il quadro normativo da cui traggono origine
le  questioni  di  costituzionalita'   qui   sollevate,   a   livello
amministrativo si e' chiarito che il visto di conformita' ha lo scopo
di «garantire ai contribuenti assistiti un  corretto  adempimento  di
taluni  obblighi  tributari»  e   di   «agevolare   l'Amministrazione
finanziaria  nella  selezione  delle  posizioni  da   controllare   e
nell'esecuzione dei controlli di propria competenza»  (circolare  del
Ministero delle finanze del 17 giugno 1999, n. 134); 
      -  piu'  precisamente,  in  base  alle  definizioni   enunciate
nell'art. 2 del citato decreto del Ministro delle finanze in data  31
maggio 1999, n. 164, il visto di conformita' si articola in un  visto
c.d. leggero e uno pesante; 
      - la distinzione corrisponde ad altrettanti livelli di certezza
sulla correttezza delle dichiarazioni fiscali; 
      - il primo, previsto dall'art. 35, comma  2,  lettera  a),  del
decreto  legislativo  9   luglio   1997,   n.   241,   si   sostanzia
nell'attestazione  di  conformita'   tra   i   dati   esposti   nella
dichiarazione dei redditi e la  documentazione  ad  essa  relativa  e
«implica il riscontro della corrispondenza  dei  dati  esposti  nella
dichiarazione alle risultanze della relativa  documentazione  e  alle
disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e  detraibili,  le
detrazioni  e  i  crediti  d'imposta,  lo  scomputo  delle   ritenute
d'acconto» (cosi' l'art. art. 2, comma  1,  del  citato  decreto  del
Ministro delle finanze in data 31 maggio 1999, n. 164); 
      - con il secondo, previsto dall'art. 35, comma 1,  lettera  a),
del decreto legislativo 9 luglio  1997,  n.  241,  il  professionista
abilitato attesta la regolare tenuta della contabilita' da parte  del
contribuente e la corrispondenza  ad  essa  dei  dati  esposti  nella
dichiarazione dei redditi (art. 2,  comma  2,  del  medesimo  decreto
ministeriale); 
      - tutto cio' premesso, a fondamento  della  loro  impugnazione,
respinta in primo grado dall'adito Tribunale amministrativo regionale
per la Puglia - sede di Bari con la sentenza  indicata  in  epigrafe,
gli odierni appellanti sostengono che non vi sarebbe alcuna legittima
ragione per opporre ai tributaristi la riserva di  attivita'  per  il
rilascio del visto di conformita',  istituita  dal  citato  art.  35,
comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a favore  dei
soli soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 3, dell'art.  3
del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322; 
      -  nel  ricorso  di  primo   grado   la   contestazione   cosi'
sintetizzata  e'  stata  nello  specifico  riferita   al   visto   di
conformita' c.d. leggero, di cui si  e'  sottolineata  la  natura  di
«controllo  circa  la  «correttezza  formale»   delle   dichiarazioni
presentate  dai  contribuenti»,  finalizzato   ad   «evitare   errori
materiali e di calcolo nella determinazione degli  imponibili,  delle
imposte e delle ritenute e nel  riporto  delle  eccedenze  risultanti
dalle precedenti dichiarazioni» (pag. 8 e 9 del ricorso); 
      - al fine di superare la pretesa ingiustificata discriminazione
in danno  dei  tributaristi,  professionisti  non  costituiti  in  un
ordine, con il presente  appello  viene  in  primo  luogo  riproposta
un'interpretazione estensiva delle categorie ammesse a rilasciare  il
visto di conformita', indistintamente riferita sia al  visto  leggero
che a quello pesante; 
      - inoltre si prospettano  al  medesimo  riguardo  questioni  di
legittimita' costituzionale e pregiudiziali comunitarie nei confronti
del combinato disposto dei sopra citati articoli  35,  comma  3,  del
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e 3, comma 3, decreto  del
Presidente della Repubblica del 22 luglio 1998, n.  322;  Considerato
che: 
        - l'interpretazione estensiva  di  cui  al  primo  ordine  di
censure dell'appello non e' percorribile; 
        -  lungi  dal  rimanere  circoscritta   al   dato   testuale,
l'operazione si tradurrebbe infatti  nell'integrazione  del  precetto
normativo  fissato  dalla  richiamata  norma   primaria,   anche   se
attraverso  un  richiamo  testuale  e  un  rinvio  puntuale  ad   una
circoscritta previsione di regolamento; 
        -  come  emerge  dalla  sopra  esposta  ricostruzione   della
normativa rilevante nel presente giudizio, in  base  alla  menzionata
disposizione primaria solo i professionisti individuati attraverso il
richiamo della circoscritta previsione di norma regolamentare possono
quindi considerarsi abilitati al rilascio del  visto  di  conformita'
sulle   dichiarazioni   dei   redditi   inviate   all'amministrazione
finanziaria; 
        - pertanto, la lesione della posizione giuridica azionata  in
giudizio va fatta risalire alla citata disposizione  primaria  e  va,
quindi, interamente collocata a livello legislativo; 
        - cio' avuto riguardo al fatto che con il richiamo  da  parte
dell'art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241
(l'art. 35 e' stato aggiunto dall'art. 1 del decreto  legislativo  28
dicembre  1998,  n.  490),  all'elenco  di  professionisti  contenuto
nell'art. 3, comma 3, lettere a) e b),  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  del  22  luglio   1998,   n.   322,   quest'ultima
disposizione regolamentare risulta incorporata nella norma  di  legge
richiamante (infatti, come in precedenza esposto, l'art. 3, comma  3,
del citato decreto  del  Presidente  della  Repubblica  si  limita  a
indicare  chi  puo'  essere  considerato  soggetto  incaricato  della
trasmissione  delle  dichiarazioni  in  via  telematica  mediante  il
servizio telematico Entratel, mentre e' solo con il rinvio  da  parte
della norma primaria ad  alcuni  dei  soggetti  di  cui  al  comma  3
dell'art. 3 del regolamento che il legislatore ha individuato  coloro
che sono abilitati a rilasciare il visto di conformita'); 
        - a conferma di quanto appena rilevato, le  ragioni  poste  a
fondamento  della  pretesa  azionata   nel   presente   giudizio   si
indirizzano alla limitazione dei soggetti  abilitati  ad  apporre  il
visto di conformita' rispetto alla piu'  ampia  platea  dei  soggetti
legittimati a predisporre le dichiarazioni e ad inviare le stesse  in
via telematica; 
        -  l'effetto   lesivo   non   deriva   dunque   dalla   norma
regolamentare,  che  infatti  abilita  alla   trasmissione   in   via
telematica una tipologia di soggetti piu' ampia (tra cui i ricorrenti
professionisti tributaristi), ma dalla norma primaria, che  restringe
i soggetti abilitati ad apporre il visto di conformita'  ai  soggetti
di cui alle sole lettere a) e b) del citato  art.  3,  comma  3,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 322/1998; 
        - inoltre, poiche' il disposto della norma  primaria  con  il
rinvio in essa contenuto, non interpretabile estensivamente  come  in
precedenza esposto, costituisce l'unico  fondamento  del  diniego  di
abilitazione al rilascio  del  visto  di  conformita'  impugnato  nel
presente  giudizio,  le  questioni  di  legittimita'   costituzionale
riproposte  con  l'appello  assumono  in  esso  rilevanza,  ai  sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale); 
        - la pretesa azionata  nel  presente  giudizio  puo'  infatti
trovare  riconoscimento   solo   attraverso   una   declaratoria   di
incostituzionalita'  della  norma  primaria  contenente  il  precetto
normativo che  preclude  ai  ricorrenti  il  rilascio  del  visto  di
conformita', e cioe' l'art. 35, comma 3, del  decreto  legislativo  9
luglio 1997, n. 241, nella parte in cui abilita al rilascio del visto
di conformita' i soli professionisti indicati nelle lettere a)  e  b)
del comma 3 dell'art. 3, del decreto del Presidente della  Repubblica
del 22 luglio 1998, n. 322, e non anche gli altri  soggetti  indicati
dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lettera
e), tra cui rientrano gli odierni ricorrenti; 
        - delle questioni di legittimita'  prospettate  appaiono  non
manifestamente infondate quelle poste con riguardo  al  principio  di
ragionevolezza e non discriminazione ex art.  3  della  Costituzione;
quelle relative al principio di  liberta'  dell'iniziativa  economica
privata di cui all'art. 41 della Costituzione; e  quelle  di  diritto
euro-unitario riferite al principio di libera prestazione di  servizi
all'interno del mercato unico, il  quale  va  tuttavia  ricondotto  a
parametri normativi  interposti  (e  di  seguito  trattati)  rispetto
all'art. 117, comma  1,  della  Costituzione,  per  essere  anch'esso
devoluto   al   sindacato   di    costituzionalita'    della    Corte
costituzionale; 
        -  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  e   della   non
discriminazione,  deve   premettersi   che   l'incontestato   rilievo
pubblicistico del visto di conformita'  apposto  sulle  dichiarazioni
dei  redditi  inviate  all'amministrazione   finanziaria,   correlato
all'attivita' di controllo di competenza di quest'ultima,  esige  che
l'individuazione delle figure  professionali  abilitate  al  relativo
rilascio risponda a ragioni di affidabilita' e di competenza; 
        - cio' precisato, dal secondo  punto  vista  non  emerge  una
plausibile  giustificazione  per  la  quale  i  tributaristi  possano
legittimamente essere esclusi dal novero dei professionisti abilitati
al visto di conformita': in primis quello c.d. leggero, che  come  in
precedenza esposto consiste in  un  controllo  di  carattere  formale
sulla  corrispondenza  della   documentazione   utilizzata   per   le
dichiarazioni fiscali con i dati in essa esposto; 
      - peraltro anche  quello  «pesante»,  che  nel  suo  estendersi
all'ulteriore  profilo  di  ordine  sostanziale  relativo   ai   dati
contenuti  nelle  scritture   contabili   dell'impresa   contribuente
afferisce  comunque  all'attivita'  professionale  liberalizzata   di
consulenza e assistenza fiscale - secondo le incontroverse  deduzioni
delle parti che il tributarista e' quindi abilitato a svolgere,  fino
alla predisposizione e all'invio all'amministrazione  finanziaria  le
dichiarazioni dei redditi e Iva; 
        - con riguardo al distinto profilo dell'affidabilita'  insito
nel rilascio del visto di conformita' sulle  medesime  dichiarazioni,
necessario per la semplificazione dell'attivita' di  controllo  e  di
liquidazione di competenza dell'amministrazione finanziaria,  l'unica
ragione  ostativa  da  questa  addotta,  ed  emergente   dal   tenore
complessivo  delle  disposizioni  normative   censurate   in   questo
giudizio, e' riferibile al principio di preferenza per le professioni
c.d. ordinistiche, posto  anche  dalla  sentenza  di  primo  grado  a
fondamento del rigetto del ricorso; 
        - in questa  prospettiva,  l'organizzazione  della  categoria
professionale in un ente esponenziale, ordine o  collegio,  istituito
per legge, ed in base ad essa titolare di alcuni poteri di  carattere
pubblicistico sui relativi  appartenenti,  tra  cui  quello  di  fare
rispettare la deontologia richiesta per  l'esercizio  dell'attivita',
costituirebbe  l'elemento  ragionevolmente  fondante  la  riserva  di
attivita' istituita dall'art. 35, comma 3, del decreto legislativo  9
luglio 1997, n. 241, attraverso il richiamo all'elenco di cui al piu'
volte citato art. 3, comma 3, lettere a) e b), decreto del Presidente
della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322; 
        - l'argomento si espone nondimeno a rilievi critici sul piano
della  ragionevolezza  e  della  non  discriminazione,  in  relazione
all'evoluzione dell'ordinamento giuridico, che con specifico riguardo
alle professioni non organizzate in ordini o collegi  ha  trovato  un
formale riconoscimento delle stesse con la legge 14 gennaio 2013,  n.
4  (Disposizioni  in  materia  di   professioni   non   organizzate),
richiamata dagli appellanti a  fondamento  dei  propri  assunti,  che
integra  un  mutamento  del  quadro  normativo   rispetto   all'unico
precedente di questo Consiglio di Stato  contrario  alle  tesi  degli
appellanti,    richiamato    dall'amministrazione    appellata    (in
particolare: Cons. Stato, IV, 28 novembre 2012, n. 6028); 
        -  nel  sancire  il  principio  del  libero  esercizio  delle
professioni c.d. non ordinistiche, la legge  ora  richiamata  informa
queste  attivita'  al  rispetto  dei   principi   «di   buona   fede,
dell'affidamento del pubblico e della clientela,  della  correttezza,
dell'ampliamento e della specializzazione dell'offerta  dei  servizi,
della responsabilita' del professionista» (art. 1, comma 4);  prevede
inoltre la libera  costituzione  di  associazioni  professionali  «di
natura privatistica (...) con il fine di  valorizzare  le  competenze
degli associati e garantire il rispetto delle  regole  deontologiche,
agevolando la scelta e la tutela  degli  utenti  nel  rispetto  delle
regole  sulla  concorrenza»,  e  con  i  compiti  di  promuovere  «la
formazione permanente dei  propri  iscritti»  e  di«vigila(re)  sulla
condotta professionale degli  associati  e  stabili(re)  le  sanzioni
disciplinari  da  irrogare  agli  associati  per  le  violazioni  del
medesimo codice (codice del consumo di cui al decreto  legislativo  6
settembre 2005, n. 206)»  (art.  2,  commi  1  e  3);  consente  alle
associazioni in questione di iscriversi in un elenco «pubblicato  dal
Ministero dello sviluppo economico nel proprio sito internet», da cui
deriva l'«assunzione di responsabilita'» sul possesso  dei  requisiti
previsti dalla legge per queste forme associative professionali e sul
rispetto delle prescrizioni della medesima legge 14 gennaio 2013,  n.
4 (art. 2, comma 7),  tra  i  quali  il  perseguimento  del  fine  di
«qualificazione  dell'attivita'  dei  soggetti  che   esercitano   le
professioni», secondo la conformita'  della  stessa  alla  «normativa
tecnica UNI», ai sensi  dell'art.  6  della  legge;  infine,  correla
all'iscrizione nel menzionato elenco ministeriale  -  di  cui  si  e'
avvalsa l'appellante  Associazione  nazionale  tributaristi  Lapet  -
l'assoggettamento  dell'associazione  professionale  al   potere   di
vigilanza e sanzionatorio del Ministero dello sviluppo economico (ora
delle imprese e del made in Italy); 
        -  nel  dichiarato  obiettivo  di  conformare   l'ordinamento
giuridico nazionale ai «principi dell'Unione europea  in  materia  di
concorrenza e di liberta' di circolazione»  (art.  1,  comma  1),  la
legge 14 gennaio  2013,  n.  4,  ha  quindi  introdotto  elementi  di
assimilazione tra professioni  organizzate  in  ordini  o  collegi  e
professioni che tali non sono, e che si fondano sul libero  esercizio
di un'«attivita' economica, anche organizzata, volta alla prestazione
di servizi o di opere a favore di terzi,  esercitata  abitualmente  e
prevalentemente   mediante   lavoro   intellettuale»,   secondo    la
definizione di cui al successivo comma 2; 
        -  vero  e',  peraltro,  che  la  medesima  legge   riconosce
l'antitesi tra la libera professione da un lato e «l'esercizio  delle
attivita' professionali riservate dalla legge a specifiche  categorie
di   soggetti»,   comportanti   «l'iscrizione   al   relativo    albo
professionale» dall'altro lato (art. 2, comma 6);  -nondimeno,  sulla
base  delle  disposizioni  in  precedenza  richiamate   promuove   la
costituzione di  organizzazioni  a  base  associativa  finalizzate  a
garantire alla clientela che l'attivita' professionale  prestata  dai
propri aderenti sia svolta secondo adeguati criteri  di  capacita'  e
competenza  professionale  e  nel  rispetto  delle   relative   norme
deontologiche; 
        - l'obiettivo perseguito dalla legge ha dunque  riflessi  sul
profilo,  rilevante   nel   presente   giudizio,   dell'affidabilita'
professionale  che  deve  presiedere  all'apposizione  del  visto  di
conformita'  sulle   dichiarazioni   presentate   all'amministrazione
finanziaria; 
        -  esso  vale  infatti   ad   equiparare   alle   professioni
ordinistiche sotto il  profilo  della  garanzia  di  esercizio  della
professione sulla base dei poc'anzi richiamati requisiti di capacita'
e  correttezza,  quelle  per  il  cui  esercizio  non  e'  necessaria
l'iscrizione in albi o elenchi tenuti dall'apposito ente esponenziale
della categoria; 
        - le due categorie rimangono distinte per la natura dei mezzi
attraverso cui questo risultato viene perseguito; 
        - per le professioni non ordinistiche  la  legge  14  gennaio
2013, n. 4, prevede  infatti  l'impiego  di  strumenti  di  carattere
privatistico,  coerenti  con  l'assenza  di   fattori   istituzionali
rivenienti  da  atti  dell'autorita'  pubblica,   quali   codici   di
autoregolamentazione e condotta ex art. 27-bis del codice del consumo
e forme di garanzia a tutela dell'utente (art. 2, commi 3 e 4,  della
legge ora richiamata), con i connessi poteri di vigilanza e controllo
fondati sul consenso liberamente espresso dal professionista in  sede
di costituzione o adesione dell'ente associativo di  riferimento  (v.
il  gia'  richiamato  art.  4  dello   statuto   della   associazione
ricorrente, che include tra i compiti di questa  quello  di  vigilare
sull'attivita' professionale svolta dagli associati nei confronti dei
terzi e della pubblica amministrazione); 
        - peraltro, il corretto esercizio da  parte  di  quest'ultimo
dei poteri conferitigli dagli associati si inquadra a sua volta in un
sistema di  controllo  pubblicistico  facente  capo  alla  competente
autorita' ministeriale per le associazioni che,  come  la  ricorrente
nel presente giudizio, si siano ad esso volontariamente assoggettate,
con l'iscrizione nell'elenco previsto dal citato  art.  2,  comma  7,
della legge 14 gennaio 2013, n. 4; 
        - nell'indifferenza del mezzo impiegato - che deve presumersi
in ragione di tutto quanto finora esposto - il risultato  di  elevare
le garanzie di affidabilita' professionale realizzato  attraverso  il
sistema introdotto dalla medesima legge induce  pertanto  a  ritenere
non manifestamente infondati di dubbi  di  conformita'  al  principio
costituzionale di ragionevolezza e  non  discriminazione  del  regime
attualmente vigente di  riserva  a  favore  di  alcune  categorie  di
professionisti  del  rilascio  del   visto   di   conformita'   sulle
dichiarazioni; 
        - cio' nella misura  in  cui  esso  appare  informato  ad  un
principio di preferenza per le professioni organizzate  in  ordini  o
collegi, nel presupposto che solo  una  vigilanza  istituzionale  sul
rispetto della deontologia professionale, svolta  da  enti  istituiti
per legge e titolari in base ad essa di  poteri  pubblicistici  sulla
categoria   di   riferimento,    offra    garanzie    adeguate    per
l'amministrazione   finanziaria   nell'attivita'   di   controllo   e
liquidazione delle dichiarazioni  fiscali,  attraverso  il  visto  di
conformita' apposto su queste ultime; 
        - sennonche', come finora esposto, il presupposto  si  palesa
tuttavia non piu' attuale, dal momento che in base al  riconoscimento
delle professioni non organizzate in ordini o  collegi  di  cui  alla
legge 14 gennaio 2013, n. 4, la funzione di  controllo  sul  rispetto
della deontologia professionale  risulta  adeguatamente  perseguibile
attraverso strumenti privatistici, tanto piu' quando questi  siano  a
loro volta  inquadrati  in  un  sistema  pubblicistico  di  vigilanza
ministeriale; 
        -  nella  sostanza,  la  disposizione   di   legge   qui   in
contestazione finisce per discriminare in modo  non  ragionevole  una
categoria  di  professionisti,  quali  gli   appellanti,   ai   quali
l'ordinamento  pacificamente  consente  di  operare  come  consulenti
fiscali, di predisporre e trasmettere le  dichiarazioni  fiscali,  di
trattare e conservare i dati contabili, senza pero' poter  rilasciare
il  visto  di  conformita',  che  al  contempo  non  potrebbe  essere
rilasciato  dai  professionisti  iscritti  all'ordine,  a  causa  del
divieto  di  certificare  le  dichiarazioni   fiscali   non   redatte
personalmente  dal  professionista,   creando   una   disparita'   di
trattamento  rispetto  ai  professionisti  iscritti  all'ordine   non
giustificata per le ragioni anzidette; 
        - oltre che sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  e  non
discriminazione ex art. 3 della Costituzione, dall'attuale regime  di
riserva dell'attivita' di rilascio  del  visto  di  conformita'  alle
categorie professionali attualmente individuate dalla  legge,  appare
derivare l'effetto di limitare  il  libero  esercizio  dell'attivita'
professionale e della  iniziativa  economica  per  le  categorie  non
comprese  nella  medesima  riserva,  benche'  come   nel   caso   dei
tributaristi  la  professione  sia  per  un  verso   riconosciuta   e
inquadrata nel sistema della legge 14 gennaio 2013, n. 4, e per altro
verso sia compresa tra quelle abilitate ai sensi del sopra richiamato
art. 3,  comma  3,  lettera  e)  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 322/1998 all'invio telematico delle dichiarazioni; 
        - tale limitazione appare porsi in contrasto anche con l'art.
41   della   Costituzione,   che    nell'assicurare    la    liberta'
dell'iniziativa economica ha inteso tutelare anche la concorrenza sia
in senso  soggettivo  (regime  nel  quale  e'  assicurata  a  ciascun
soggetto la liberta' di iniziativa economica), sia in senso oggettivo
(regime in cui la presenza sul mercato di una pluralita' di operatori
fa si' che le condizioni di mercato non siano influenzate da uno solo
di essi), riconoscendo il principio di concorrenza quale parametro di
legittimita' costituzionale ai  sensi  dell'art.  41  ora  richiamato
(cfr., fra tutte, Corte costituzionale, 9 marzo 2007,  n.  64,  e  22
maggio 2013, n. 94); 
        - nel caso di specie, dovendo i singoli professionisti  e  le
loro associazioni rappresentative essere considerate imprese ai sensi
del diritto della concorrenza (cfr., fra tutte, Corte  di  giustizia,
18 luglio 2013, C-136/12 e Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2015, n. 238),
la contestata limitazione dei  soggetti  abilitati  al  rilascio  del
visto  di  conformita'  finisce  per  incidere  negativamente   sulla
liberta' di iniziativa economica dei professionisti tributaristi  non
iscritti agli ordini professionali, i quali subiscono,  come  dedotto
dagli appellanti e non contestato dall'amministrazione, uno sviamento
della clientela verso i professionisti iscritti all'ordine anche  per
attivita' non riservate a questi ultimi; 
        -  cio'  nella  misura  in  cui  la  mera  predisposizione  e
trasmissione delle dichiarazioni senza  possibilita'  di  apporre  il
visto di conformita'  priva  la  clientela  dei  primi  di  rilevanti
effetti che l'ottenimento del visto produce sulla posizione fiscale e
amministrativa, con conseguente maggiore convenienza a rivolgersi  ai
professionisti iscritti all'ordine anche per la predisposizione e  la
trasmissione delle dichiarazioni fiscali,  posto  che  questi  ultimi
sarebbero gli unici in grado di rilasciare il visto di conformita'; 
        - in questo  modo  la  contestata  limitazione  dei  soggetti
abilitati al rilascio del visto di conformita' ha dunque l'effetto di
estendere in via di fatto la riserva di attivita' anche ad  attivita'
pacificamente liberalizzate, ma il cui affidamento ai  professionisti
tributaristi non iscritti all'albo viene  fortemente  disincentivato,
in contrasto con le menzionate riforme ispirate alla liberalizzazione
di determinate attivita' e  al  carattere  tassativo  ed  eccezionale
delle attivita' riservate agli iscritti all'ordine (cfr. Cass.  Civ.,
II, 11 giugno 2010 n. 14085 e 28 marzo 2019 n. 8683, secondo  cui  al
di fuori delle attivita' comportanti prestazioni che  possono  essere
fornite solo da soggetti iscritti ad albi o  provvisti  di  specifica
abilitazione,  per  tutte   le   altre   attivita'   di   professione
intellettuale o per  tutte  le  altre  prestazioni  di  assistenza  o
consulenza; che non si risolvano  in  una  attivita'  di  professione
protetta ed attribuita in via esclusiva, vige il  principio  generale
di liberta' di lavoro autonomo o di liberta' di impresa di servizi); 
        - va sul punto ricordato come il  sistema  degli  ordinamenti
professionali di cui all'art. 33, comma 5,  della  Costituzione  deve
essere   ispirato   al   principio   della   concorrenza   e    della
interdisciplinarita', avendo la funzione di tutelare non  l'interesse
corporativo di una  categoria  professionale  a  mantenere  sfere  di
competenza  professionale  in   chiave   di   generale   esclusivita'
monopolistica, ma quello degli  interessi  di  una  societa'  che  si
connotano  in  ragione  di  una   accresciuta   e   sempre   maggiore
complessita' (cfr., Corte costituzionale n. 345 del 1995 e n. 418 del
1996); 
        - l'evidenziato effetto restrittivo e' accentuato dalla sopra
menzionata regola di «identita' soggettiva tra il soggetto che appone
il visto di conformita' e colui che  predispone  le  dichiarazioni  e
cura la tenuta delle scritture contabili» riaffermata  dall'art.  23,
comma 1, del citato decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164; 
        - l'impossibilita' legale per i tributaristi di rilasciare il
visto di conformita' e', in definitiva, incontestabilmente  in  grado
di  determinare  una  restrizione  di  mercato  in  loro  danno,  per
l'intuibile  preferenza  che  per  il  contribuente  puo'   rivestire
rispetto ad essi il professionista invece abilitato  all'attestazione
di cui si controverte; 
        -  per  le  medesime  considerazioni  appaiono,  infine,  non
manifestamente  infondate  le  questioni  di  costituzionalita'   del
medesimo regime di riserva  di  attivita'  in  relazione  al  mancato
adeguamento ai «vincoli derivanti  dall'ordinamento  comunitario»  ex
art. 117, comma 1, della Costituzione, sotto il profilo della «libera
prestazione dei servizi all'interno dell'Unione» enunciato  dall'art.
56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come declinato
dall'art.  16  della  direttiva  2006/123/CE  del  12  dicembre  2006
(relativa  ai  servizi  nel  mercato  interno),  la  quale   osta   a
restrizioni normative nazionali  non  conformi  ai  principi  di  non
discriminazione,  necessita'  e  proporzionalita'   (par.   3   della
disposizione da ultimo richiamata); 
        - a questo riguardo deve premettersi che secondo  il  diritto
vivente (Corte di giustizia, sentenza 30  gennaio  2018,  C-360/15  e
C-31/16), la direttiva da ultimo richiamata si applica «non  solo  al
prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma  anche
a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato» (§ 103)  e  dunque
«anche in situazioni puramente interne» (§ 105). 
    Cio' premesso, nella misura in cui per quanto finora esposto  non
appaiono apprezzabili effettive ragioni per impedire a professionisti
abilitati    all'invio    delle     dichiarazioni     dei     redditi
all'amministrazione finanziaria l'ulteriore attivita' consistente nel
rilasciare a  favore  di  quest'ultima  l'attestazione  necessaria  a
semplificarne   l'attivita'   di   controllo,    si    profila    una
discriminazione    in    danno    della    categoria    professionale
pregiudizievole per il loro diritto di  matrice  sovranazionale  alla
libera prestazione dei loro servizi, non necessaria perche'  sfornita
di  un  sottostante  motivo  imperativo  di  interesse   generale   e
sproporzionata   perche'   eccedente   gli   obiettivi   di    tutela
dell'interesse fiscale dello Stato. 
    Per tutte le ragioni finora esposte, ai sensi  del  sopra  citato
art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,  il  presente  giudizio  va
dunque  sospeso  nelle  more  della  definizione  dell'incidente   di
costituzionalita' in relazione alle questioni come sopra  delibate  e
riferite all'art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241, nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio
del visto di  conformita'  nell'elenco  di  professionisti  contenuto
nelle sole lettere a) e b) del comma 3 dell'art. 3, del  decreto  del
Presidente della Repubblica del 22 luglio 1998, n. 322, e  non  anche
negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare,
in quelli di cui alla lettera  e),  tra  cui  rientrano  gli  odierni
ricorrenti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  Settima)
non  definitivamente  pronunciando  sull'appello,  come  in  epigrafe
proposto, visti gli articoli 134 della Costituzione,  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
n.  87,  dichiara  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate,   in
relazione agli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 35, comma  3,  del
decreto legislativo 9 luglio 1997,  n.  241,  nei  sensi  di  cui  in
motivazione. 
    Sospende il giudizio in corso e ordina  l'immediata  trasmissione
degli atti  alla  Corte  costituzionale.  Ordina  che  a  cura  della
segreteria la presente ordinanza sia  notificata  alle  parti  e  sia
comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  19
dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati: 
      Roberto Chieppa, Presidente; 
      Fabio Franconiero, consigliere, estensore; 
      Massimiliano Noccelli, consigliere; 
      Raffaello Sestini, consigliere; 
      Sergio Zeuli, consigliere. 
 
                       Il Presidente: Chieppa 
 
 
                                             L'estensore: Franconiero