N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 2024

Ordinanza  dell'8  gennaio  2024  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento civile promosso da B. S. A. Srl in  liquidazione  contro
G. S., C. Z.M. e Comune di Agrigento. 
 
Privilegio, pegno e ipoteca - Edilizia  e  urbanistica  -  Interventi
  eseguiti  in  assenza  di  permessi  di  costruire  -  Acquisizione
  gratuita di diritto al patrimonio del comune del bene  e  dell'area
  di  sedime,  se  il  responsabile  dell'abuso  non  provvede   alla
  demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel  termine  di
  novanta giorni  dall'ingiunzione  -  Mancata  previsione,  in  tale
  ipotesi, della  permanenza  dell'ipoteca  giudiziale  iscritta  sul
  terreno a garanzia del credito ipotecario. 
- Legge 28 febbraio 1985,  n.  47  (Norme  in  materia  di  controllo
  dell'attivita' urbanistica-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
  delle opere abusive), art. 7, comma 3; decreto del Presidente della
  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo  unico  delle  disposizioni
  legislative e regolamentari in materia edilizia), art. 31, comma 3. 
(GU n.10 del 6-3-2024 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Sezioni unite civili 
 
    Composta dagli ill.mi signori Magistrati: 
        Pasquale D'Ascola, Presidente; 
        Ettore Cirillo, Presidente; 
        Adriano Piergiovanni Patti, consigliere; 
        Margherita Maria Leone, consigliere; 
        Alberto Giusti, consigliere; 
        Francesco Maria Cirillo, consigliere-rel.; 
        Antonio Pietro Lamorgese, consigliere; 
        Roberta Crucitti, consigliere; 
        Caterina Marotta, consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
iscritto al n. 2909/2020 R.G. proposto da: 
        B. S. A. S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliata in
Roma,   viale   delle   Milizie   76,   presso   lo   studio   legale
Franza-Pozzaglia, rappresentata  e  difesa  dall'avvocato  Antonietta
Alongi Cammalleri (LNGNNT63H63A089G) ricorrente; 
        contro Comune di Agrigento, S. G. e Z. M. C. intimati; 
    avverso la  sentenza  del  Tribunale  di  Agrigento  n.  943/2019
depositata il 9 luglio 2019. 
    Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del  24  ottobre
2023 dal consigliere Francesco Maria Cirillo. 
    Udito il sostituto Procuratore generale Annamaria Soldi, la quale
ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 
 
                           Fatti di causa 
 
    1. Nel ... la societa' S. L. S.p.a., per una ragione  di  credito
sorta tra il ... e il ..., chiese ed ottenne dal Tribunale di Palermo
un decreto ingiuntivo nei confronti dei propri debitori G. S. e C. Z.
M. per la somma di lire ... (pari ad euro  ...),  oltre  accessori  e
spese. In forza del suddetto decreto ingiuntivo, notificato  il  ...,
il ... la  societa'  creditrice  iscrisse  ipoteca  su  un  fondo  di
proprieta'  dei  debitori,  esteso  per  mq  ....  Dopo  l'iscrizione
ipotecaria, la S. cedette il credito, che per effetto  di  successive
ulteriori cessioni pervenne alfine alla  B.  S.  A.  S.r.l.,  odierna
ricorrente, attualmente in liquidazione. 
    Con  provvedimento  del  ...,  dunque  di  otto  mesi  successivo
all'iscrizione  dell'ipoteca,  il  Comune  di  Agrigento   trascrisse
provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del  comune,  ai
sensi dell'art. 7, della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47,  di  un
immobile costruito sul fondo suddetto in assenza  di  autorizzazione,
unitamente  «all'area  di   sedime   e   pertinenziale»   circostante
l'immobile abusivo. 
    A seguito di precetto notificato il 6-8 aprile 2013, la  B.,  con
atto di pignoramento del 4 luglio 2013, inizio' l'esecuzione  forzata
pignorando sia  il  terreno,  nei  confronti  dei  debitori,  che  il
fabbricato sullo stesso  realizzato,  nei  confronti  del  Comune  di
Agrigento. In data ...  la  societa'  ricorrente  rinnovo'  l'ipoteca
giudiziale iscritta sul fondo. 
    Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza  del  16  giugno  2017,
rigetto'  l'istanza  di  vendita  proposta   dalla   B.   dichiarando
«improseguibile»   l'esecuzione   forzata,   sul   presupposto    che
l'acquisizione al patrimonio del comune dell'immobile  abusivo  aveva
comportato l'estinzione dell'ipoteca iscritta  sul  fondo  sul  quale
l'immobile era stato edificato. 
    2. La societa' B. ha proposto  opposizione  agli  atti  esecutivi
avverso la suddetta ordinanza, che e' stata rigettata con sentenza n.
943 del 9 luglio 2019 del Tribunale di Agrigento. 
    Il Tribunale a sostegno  della  decisione  ha  rilevato  che:  1)
l'acquisizione al  patrimonio  del  comune  di  un  immobile  abusivo
costituisce  un  modo  di   acquisto   a   titolo   originario,   con
cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene,
senza che rilevi l'eventuale anteriorita' della relativa trascrizione
o iscrizione; 2) nel caso di specie «non sembrano emergere altre aree
non colpite dal provvedimento comunale» (provvedimento comunale  che,
tuttavia, il Tribunale dichiara non essere presente in atti);  3)  e'
irrilevante che il creditore  ipotecario  -  il  quale,  non  potendo
disporre del  bene  ipotecato,  nemmeno  puo'  ritenersi  inciso  dal
provvedimento ablatorio - non abbia avuto  notizia  del  procedimento
ablatorio e del provvedimento che lo  concluse,  «non  avendo  alcuna
legittimazione ad impugnare» tali provvedimenti  dinanzi  al  giudice
amministrativo. 
    Il Tribunale ha infine ritenuto infondate le  argomentazioni  con
le quali la parte opponente aveva prospettato profili di legittimita'
costituzionale della normativa in questione, perche'  l'ipoteca,  pur
essendo un diritto  reale,  «non  conferisce  poteri  o  facolta'  di
godimento del bene ipotecato». La Corte costituzionale - ha osservato
il Tribunale - ha messo in evidenza che «la scelta  fondamentale  del
legislatore statale e'  stata  quella  di  prevedere  la  demolizione
dell'opera abusiva da parte dello stesso responsabile  dell'abuso  o,
in difetto, dal comune che ha acquisito il bene». Con la  conseguenza
che, «a fronte di un superiore interesse  pubblico  alla  repressione
dei piu' gravi abusi in materia edilizia, si verifica la  caducazione
dell'ipoteca antecedentemente iscritta  quale  effetto  della  natura
originaria del titolo di acquisto». 
    3. Avverso la pronuncia del Tribunale  la  B.  S.  A.  S.r.l.  in
liquidazione ha proposto ricorso per  cassazione  basato  su  quattro
motivi. 
    Tutte le controparti sono rimaste intimate. 
    Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. 
    A seguito della discussione, avvenuta nella Camera  di  consiglio
del 18 ottobre 2022, la Terza Sezione civile  di  questa  Corte,  con
ordinanza interlocutoria del 30 dicembre 2022, n. 38143,  ha  rimesso
gli atti al Primo Presidente ai fini  dell'assegnazione  del  ricorso
alle  Sezioni  Unite,  ravvisando  una  questione   di   massima   di
particolare importanza in ordine alla decisione del quarto motivo  di
ricorso. 
    Il Primo Presidente ha disposto in conformita', fissando  per  la
discussione l'udienza del 24 ottobre 2023. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
I motivi di ricorso. 
    1. Con il primo motivo di  ricorso  si  lamenta,  in  riferimento
all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), codice di procedura civile,
la violazione e falsa applicazione dell'art. 599 codice di  procedura
civile anche in relazione agli articoli 2740 e  2697  codice  civile,
nonche' omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per
il giudizio, per avere omesso  il  Tribunale  di  valutare  se,  come
eccepito  dalla  ricorrente  e  come  risultante  dai  rilievi  della
consulenza espletata in corso di causa,  esistesse  una  porzione  di
fondo pignorato non acquisito al patrimonio del Comune di  Agrigento,
sulla quale l'azione esecutiva sarebbe dovuta proseguire. 
    La ricorrente osserva che,  anche  volendo  applicare  la  misura
massima dell'acquisizione  prevista  dalla  legge  -  pari  cioe'  al
decuplo della superficie abusivamente occupata - dalla  relazione  di
stima esperita in sede esecutiva era emerso che il fabbricato abusivo
aveva una superficie di mq 91,96  e  che  la  superficie  dell'intero
terreno pignorato era pari a mq 1.150. Ne consegue che,  seppure  per
una piccola differenza (mq 240  liberi  e  commerciabili),  la  parte
creditrice conservava il diritto a fare espropriare il bene  staggito
con le forme dell'art. 599 cit.; per cui il Tribunale avrebbe  dovuto
disporre un supplemento  di  istruttoria  o  la  vendita  dell'intero
terreno a causa dell'indeterminatezza delle  indicazioni  provenienti
dal provvedimento del giudice dell'esecuzione oggetto di opposizione. 
    2. Con il secondo motivo di ricorso si  lamenta,  in  riferimento
all'art. 360, primo comma, n. 3),  codice  di  procedura  civile,  la
violazione e falsa applicazione degli articoli 810, 2740, 2813 e 2900
codice civile, anche in relazione all'art.  40,  sesto  comma,  della
legge n. 47 del 1985 e all'art. 31 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 
    3. Con il terzo motivo di  ricorso  si  lamenta,  in  riferimento
all'art. 360, primo comma, n. 3),  codice  di  procedura  civile,  la
violazione e falsa applicazione dell'art. 31, comma  3,  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 in relazione all'art.
40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985, per avere  il  Tribunale
erroneamente ritenuto che l'effetto ablatorio in favore del comune si
verifichi anche in caso di sanabilita' dell'immobile, anche da  parte
del terzo non autore dell'abuso, non proprietario della cosa  ma  che
vanta diritti sulla cosa. 
    Nei due motivi la ricorrente deduce che anche l'assunto contenuto
nella sentenza impugnata relativo al perimento  giuridico  del  bene,
quale conseguenza della  sua  demolizione,  e  la  sua  irreversibile
trasformazione   in   res   extra   commercium,   quale   conseguenza
dell'acquisizione   al   patrimonio   comunale,   andrebbe   limitato
all'ipotesi di manufatto abusivo non piu' sanabile e con un abuso non
piu' eliminabile. Allorche', invece, sia possibile sanare  l'abuso  o
rimuoverlo, il bene non  dovrebbe  essere  considerato  assolutamente
extra commercium, ma solo relativamente extra commercium,  nel  senso
che l'autore dell'abuso o il suo beneficiario non potra' avvalersene.
Tanto non dovrebbe valere, pero', per il terzo incolpevole che  possa
porvi rimedio. La ricorrente deduce, pertanto, che dalla combinazione
dell'art. 2813 codice civile e dell'art. 40, sesto comma, della legge
n. 47 del 1985 conseguirebbe il diritto del  creditore  ipotecario  a
demolire il  manufatto  abusivo  o  a  sanarlo,  impedendo  cosi'  il
perimento del bene ipotecato e  l'effetto  estintivo  della  garanzia
reale; cio' anche tenendo conto che il bene poteva  essere  sanato  o
demolito dall'assegnatario per esecuzione forzata ai sensi  dell'art.
40, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985, posto che le ragioni di
credito  per  cui  la  B.  procedeva  esecutivamente  erano  di  data
anteriore all'entrata in vigore della suddetta  legge.  Ne  consegue,
secondo la ricorrente, che  nel  caso  di  specie  per  il  creditore
ipotecario il termine per proporre la domanda  di  sanatoria  sarebbe
ancora  aperto,  andando  esso  a  scadere  centoventi  giorni   dopo
l'ordinanza di assegnazione o di vendita del  bene  staggito.  I  due
motivi in esame, inoltre, censurano l'ordinanza del  Tribunale  anche
nella parte in cui afferma che l'acquisizione  dell'immobile  abusivo
al  patrimonio  del  comune  costituirebbe  un  acquisto   a   titolo
originario; trattandosi,  infatti,  di  un  trasferimento  che  segue
all'esito di un procedimento amministrativo e  del  provvedimento  di
trascrizione, «il  trasferimento,  ancorche'  imperativo,  avviene  a
titolo derivativo, con  tutte  le  conseguenze  di  legge,  perlomeno
rispetto al creditore iscritto». 
    4. Con il quarto motivo di ricorso  si  lamenta,  in  riferimento
all'art. 360, primo comma, n. 3),  codice  di  procedura  civile,  la
violazione e falsa applicazione  dell'art.  117  Cost.  in  relazione
all'art. 7 CEDU e agli articoli 1 e 6 del Protocollo addizionale. 
    Si sostiene che la soluzione adottata dal Tribunale avrebbe avuto
per effetto  di  privare  il  creditore  ipotecario,  incolpevole  ed
ignaro, della  garanzia  reale  di  cui  era  titolare.  Aggiunge  la
ricorrente che le garanzie reali dei crediti  godono  delle  medesime
guarentigie accordate dalla Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo al diritto di proprieta',  con  la  conseguenza
che quelle garanzie non possono essere  espropriate  senza  tutele  e
senza contropartita. Conclude percio' la ricorrente  sostenendo  che,
avendo il giudice  nazionale  il  dovere  di  interpretare  la  norma
interna in conformita' ai principi della Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  il
Tribunale  avrebbe  dovuto,  alternativamente,  o  ritenere  nulli  i
procedimenti ablatori cui il creditore ipotecario non sia stato messo
in  condizione  di  partecipare  ovvero   consentire   al   creditore
ipotecario   di   proseguire   l'esecuzione   anche   nei   confronti
dell'amministrazione comunale. Diversamente - e come extrema ratio  -
il Tribunale  avrebbe  dovuto  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 7, della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 31
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
L'ordinanza interlocutoria. 
    5. La Terza Sezione  civile,  dopo  aver  ripercorso  i  passaggi
essenziali della vicenda processuale  in  corso,  senza  esaminare  i
primi tre motivi di ricorso, ha ritenuto che il quarto  motivo  ponga
una questione «che e' stata in passato risolta  da  questa  Corte  in
termini non piu'  condivisibili  alla  luce  dell'anche  sopravvenuto
diritto sovranazionale». 
    L'ordinanza premette che il quarto motivo di ricorso  «alla  luce
dei  precedenti  di  questa  Corte  in  vicende  analoghe,   dovrebbe
dichiararsi infondato». Cio' in quanto la c.d.  confisca  urbanistica
di cui all'art. 7, della legge n. 47 del  1985  -  norma  applicabile
nella fattispecie ratione temporis e poi rifluita nell'art. 31, comma
3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001  -  e'
stata ritenuta fonte di un  acquisto  a  titolo  originario.  Con  la
conseguenza che l'ipoteca sul bene  si  estingue  (art.  2878  codice
civile) perche' il bene acquisito al patrimonio  del  comune  diviene
una res extra commercium  e  perisce  giuridicamente,  per  cui  tale
perimento estingue l'ipoteca alla pari del  perimento  materiale  del
bene. 
    Compiuta questa premessa, la Terza Sezione ritiene che le ragioni
che supportano tale orientamento (fondato sulla sentenza  26  gennaio
2006, n. 1693) non possano applicarsi nella specie, e  cio'  per  tre
ragioni:  la  diversita'   del   caso   concreto,   la   sopravvenuta
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e «gli esiti
paradossali cui quell'orientamento condurrebbe, se applicato al  caso
di specie». 
    La  prima  ragione  e'  che  occorre  considerare   la   parziale
diversita'  delle  fattispecie  sulle  quali  l'orientamento  si   e'
formato, perche' nel giudizio odierno al creditore e' stata  concessa
ipoteca su un terreno e non sull'immobile abusivamente edificato. 
    La  seconda  e'  che,  nei  sedici  anni  trascorsi  dalla  prima
affermazione del principio per cui la confisca  urbanistica  travolge
le  ipoteche  precedentemente  iscritte,  e'  sopravvenuta  e  si  e'
consolidata  una  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo che ha affermato (o, in  qualche  caso,  ribadito)  quattro
principi  cosi'  riassumibili:  a)  costituiscono  «beni»,   tutelati
dall'art. 1 del Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
non solo i diritti di proprieta', ma anche i diritti patrimoniali  in
relazione ai quali si possa vantare una aspettativa legittima; b)  la
confisca urbanistica e' una sanzione assimilabile  a  quella  penale,
sicche' la sua adozione non puo' prescindere  da  idonee  garanzie  a
tutela del diritto di difesa sia dell'espropriato che dei  terzi;  c)
la confisca non puo' colpire soggetti che non siano stati  parte  del
procedimento che la infligge, ne' potevano esserlo;  d)  la  confisca
deve essere «proporzionata allo scopo». 
    Se, infatti, la confisca urbanistica va equiparata,  quanto  agli
effetti, ad una sanzione penale,  dare  continuita'  all'orientamento
tradizionale, applicando nel caso in esame i principi affermati dalla
citata sentenza n. 1693 del  2006,  parrebbe  scelta  non  pienamente
compatibile coi principi affermati dalla Convenzione europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.  Ed
infatti il creditore ipotecario  ha  perduto  un  diritto  rientrante
nella nozione di «beni» di cui  all'art.  1  del  citato  Protocollo,
senza alcuna partecipazione psicologica all'abuso  edilizio  e  senza
aver potuto partecipare al procedimento amministrativo  concluso  dal
provvedimento di confisca,  o  impugnare  quest'ultimo,  subendo  una
misura della cui «proporzionalita'» rispetto  allo  scopo  perseguito
dalla legge e' lecito dubitare. Tanto piu' che, di regola,  l'ipoteca
iscritta su un terreno si estende alle accessioni (art.  2811  codice
civile),  mentre  nel  caso  in  esame,   applicando   l'orientamento
suindicato,  «il  creditore   perderebbe   non   solo   la   garanzia
sull'immobile abusivo, ma anche la garanzia sul fondo». 
    La  terza  e  ultima   ragione   di   censura   dell'orientamento
tradizionale e' che esso condurrebbe ad esiti  definiti  paradossali.
Cio' in quanto il creditore  ipotecario  1)  non  puo'  opporsi  alla
costruzione  dell'immobile  abusivo,  rimedio  che  sarebbe  comunque
inservibile nel caso specifico, avendo  il  creditore  avuto  notizia
dell'abuso solo dopo l'acquisizione del bene da parte del comune;  2)
non puo' opporsi all'ordine di demolizione, perche' terzo estraneo al
provvedimento; 3) perde una garanzia concessa su un bene  diverso  da
quello  imperativamente  trasferito  nel   patrimonio   del   comune.
Situazione, questa, che all'ordinanza interlocutoria pare ancora piu'
assurda pensando che «il  sacrificio  del  creditore  ipotecario  non
giova all'interesse pubblico» e,  soprattutto,  che  obiettivo  della
legge e'  quello  di  consentire  alla  pubblica  amministrazione  di
demolire gli  immobili  abusivi;  per  cui,  ove  essa  fosse  pronta
nell'adempimento di tale suo compito, «il  fondo  ritornerebbe  nello
stato in cui si trovava al momento dell'iscrizione dell'ipoteca». 
    L'ordinanza  interlocutoria  termina  prospettando  alle  Sezioni
Unite due possibili strade per la soluzione del problema. 
    Da un lato, quella  di  consentire  al  creditore  ipotecario  di
«coltivare l'esecuzione forzata, al fine di pervenire ad una  vendita
sottoposta     alla     condizione     sospensiva     dell'assunzione
dell'obbligazione di demolire l'abuso  o  della  presentazione  d'una
domanda di sanatoria». 
    Dall'altro,  quella  di  sollevare  questione   di   legittimita'
costituzionale  della  normativa  in  esame  per  contrasto  con  gli
articoli 6 e 7 della Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e con  l'art.  1  del
Protocollo  addizionale,  per  contrarieta'  alla   normativa   della
Convenzione. 
La normativa in esame. 
    6. Per procedere ad affrontare il merito  della  questione  sulla
quale queste Sezioni Unite sono  chiamate  a  pronunciarsi,  e'  bene
riassumere rapidamente alcuni fondamentali passaggi normativi. 
    L'acquisizione  gratuita  al  patrimonio  comunale  delle   opere
eseguite in  totale  difformita'  o  in  assenza  di  concessione  fu
prevista per la prima volta dall'art.  15,  della  legge  28  gennaio
1977, n. 10. Quella norma prevedeva (al terzo comma) che tali  opere,
se non demolite, a cura e spese del proprietario,  entro  il  termine
fissato dal sindaco con  propria  ordinanza,  fossero  «gratuitamente
acquisite, con l'area su cui insistono, al  patrimonio  indisponibile
del comune che le  utilizza  a  fini  pubblici,  compresi  quelli  di
edilizia residenziale pubblica». 
    Si tratta di una norma che, rendendo obbligatoria la  demolizione
delle opere  in  contrasto  con  rilevanti  interessi  urbanistici  o
ambientali o comunque non utilizzabili per fini pubblici, si inseriva
nel contesto della legge n. 10 del  1977  che  contestualmente  aveva
introdotto  una  serie  di  intensi  poteri  pubblici  di   vigilanza
sull'attivita' urbanistico-edilizia. 
    La disposizione dell'art. 15 cit. venne  ripresa  dal  successivo
art. 7, della legge 28 febbraio 1985, n. 47,  in  base  al  quale  il
sindaco, accertata l'esecuzione delle opere in assenza  o  in  totale
difformita' dalla concessione, ne doveva ingiungere  la  demolizione,
con l'espressa previsione, contenuta nel terzo  comma,  per  cui,  in
caso di mancata ottemperanza all'ordine di demolizione da  parte  del
responsabile   dell'abuso   nel    termine    di    novanta    giorni
dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime  fossero  «acquisiti  di
diritto gratuitamente al  patrimonio  del  comune»;  con  il  limite,
peraltro, secondo cui l'acquisizione non poteva «essere  superiore  a
dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente  costruita».
Il successivo quarto comma dell'art. 7 disponeva  che  l'accertamento
dell'inottemperanza all'ordine di demolizione  nel  termine  previsto
costituisse  «titolo  per  l'immissione  nel  possesso   e   per   la
trascrizione nei  registri  immobiliari,  che  deve  essere  eseguita
gratuitamente». 
    Nel passaggio dalla norma del 1977 a quella del 1985, come subito
si vede, e' scomparso il riferimento  testuale  dell'acquisizione  al
patrimonio indisponibile del comune. 
    La previsione dell'ora citato art. 7 - che  e'  quella  che  deve
applicarsi nel giudizio odierno, ratione temporis -  e'  trasmigrata,
in sostanza senza modifiche, nell'art. 31, commi 3 e 4,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico
sull'edilizia).  All'interno  di  tale  art.  31,  poi,  sono   stati
successivamente interpolati - ad opera dell'art. 17, comma 1, lettera
q-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133,  convertito,  con
modifiche, nella legge 11 novembre 2014, n.  164  -  i  commi  4-bis,
4-ter e 4-quater, i quali consentono  all'autorita'  competente,  una
volta accertata l'inottemperanza all'ingiunzione di  demolizione,  di
irrogare  una  sanzione  amministrativa  pecuniaria  a   carico   del
trasgressore. 
    La prima cosa da sottolineare e' che il complesso  normativo  ora
richiamato  rappresenta,   come   giustamente   osserva   l'ordinanza
interlocutoria, un capovolgimento di alcuni principi  in  materia  di
accessione e di ipoteca. Mentre, infatti, l'art.  934  codice  civile
dispone che, di regola, ogni «costruzione od opera esistente sopra  o
sotto il suolo appartiene al  proprietario»,  e  l'art.  2811  codice
civile, in armonia  col  principio  dell'accessione,  stabilisce  che
l'ipoteca «si estende ai miglioramenti, nonche'  alle  costruzioni  e
alle altre accessioni dell'immobile  ipotecato,  salve  le  eccezioni
stabilite dalla legge», l'art. 7 della legge n. 47 del 1985 e  l'art.
31 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001
dettano criteri di segno contrario. Nell'ordito di tali disposizioni,
infatti,  e'  il  soggetto  che  acquista  d'imperio  la   proprieta'
dell'immobile abusivamente costruito (il comune) ad  acquisire  anche
quella dell'area di sedime, salvo il gia' visto  limite  del  decuplo
della superficie complessiva abusivamente costruita; e cio' anche se,
come nel caso  di  specie,  sul  terreno  sia  stata  precedentemente
iscritta un'ipoteca giudiziale. 
    E' opportuno ricordare subito, ad avviso  del  Collegio,  che  la
Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimita' dell'art.
7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985,  ebbe  modo  di  chiarire
gia' molti anni fa che l'acquisizione gratuita dell'area non e'  «una
misura  strumentale,  per  consentire  al  comune  di   eseguire   la
demolizione, ne' una sanzione accessoria di  questa,  ma  costituisce
una    sanzione    autonoma    che    consegue     all'inottemperanza
all'ingiunzione, abilitando poi il  sindaco  ad  una  scelta  fra  la
demolizione d'ufficio e la conservazione  del  bene,  definitivamente
gia' acquisito,  in  presenza  di  "prevalenti  interessi  pubblici"»
(sentenza n. 345 del 1991). 
    L'acquisizione  gratuita,  in  altri  termini,   rappresenta   la
reazione dell'ordinamento alla duplice inottemperanza del privato  il
quale, dopo aver costruito in assenza o in totale  difformita'  dalla
concessione, si rifiuti poi anche di eseguire l'ordine di demolizione
a lui impartito. 
Il percorso della giurisprudenza. 
    7. La giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  avuto  occasione  di
pronunciarsi piu' volte sulle  norme  qui  in  esame  e  ne  ha  dato
un'interpretazione che occorre a questo punto illustrare. 
    L'ordinanza  interlocutoria  ha  richiamato,  come  pronuncia  di
riferimento in materia, la sentenza 26 gennaio 2006, n.  1693,  della
Terza Sezione civile di questa Corte, la quale ha orientato tutta  la
successiva giurisprudenza. 
    La motivazione di quella pronuncia passa  attraverso  i  seguenti
snodi fondamentali. L'acquisizione gratuita dell'immobile abusivo  in
capo all'ente pubblico si  connota  «per  la  natura  originaria  del
relativo titolo d'acquisto, essendo  inconfigurabile,  nella  specie,
una qualsivoglia vicenda di trasferimento dal precedente titolare del
bene (cio' che caratterizza invece gli acquisti a  titolo  derivativo
del diritto dominicale o di altro diritto reale limitato): questo,  e
non altro, risulta il significato da attribuire al sintagma normativo
che predica l'acquisizione "di diritto", di talche' eventuali pesi  o
vincoli preesistenti  sono  destinati  a  caducarsi  in  uno  con  il
caducarsi  del  precedente  diritto  dominicale,  al  di  la'  ed   a
prescindere dall'eventuale anteriorita' della  relativa  trascrizione
e/o iscrizione».  La  previsione  in  esame  e',  secondo  la  citata
sentenza, «del tutto assimilabile, quo ad effecta, al "perimento  del
bene", vicenda della quale l'art. 2878 codice  civile  predica,  come
conseguenza, l'estinzione del diritto reale di  garanzia.  E  che  di
"perimento giuridico" nella specie si tratti e' confermato da  quella
che  si  caratterizza  come  l'evoluzione  "normale"  della   vicenda
ablativa,  destinata,  difatti,  a  concludersi  con  la  demolizione
dell'immobile  abusivo,  salva  la  "eccezionale"   acquisizione   al
patrimonio comunale per preminenti e motivati interessi pubblici». 
    Occorre peraltro rilevare  che  l'affermazione  principale  sulla
quale ruota  l'intera  motivazione  della  sentenza  ora  citata  non
costituisce un novum in assoluto; ed infatti la stessa Terza  Sezione
ha  avuto  modo  di  richiamare,  nel  corpo  della  motivazione,  la
precedente sentenza 12 giugno 1999, n. 322, delle  Sezioni  Unite  di
questa Corte, nella quale - benche'  il  ricorso  avesse  ad  oggetto
principale una questione di riparto  di  giurisdizione  -  era  stato
incidentalmente gia' affermato che  l'ordinanza  di  acquisizione  al
patrimonio comunale determina un «acquisto a titolo originario». 
    La sentenza  n.  1693  del  2006,  ricapitolando,  ha  fissato  i
seguenti passaggi: l'acquisizione gratuita e' un  acquisto  a  titolo
originario che, in quanto tale, determina  una  cesura  irreversibile
con la posizione  dei  precedenti  titolari,  che  rimane  del  tutto
ininfluente; trattandosi, appunto, di un tal genere di acquisto, esso
determina una sorta di tabula rasa di tutto quanto preesisteva, dando
origine ad un fenomeno assimilabile al perimento giuridico del  bene,
con conseguente annessa estinzione  dei  diritti  reali  di  garanzia
eventualmente gravanti sull'immobile o sull'area acquisita, anche  se
iscritti in data precedente all'acquisizione. 
    Siffatta  impostazione  e'  stata,  in  sostanza,   costantemente
ribadita dalla giurisprudenza successiva di tutte le  Sezioni  civili
di questa Corte (si vedano, tra le altre, l'ordinanza 9 ottobre 2017,
n. 23583, l'ordinanza 6 ottobre 2017,  n.  23453,  e  l'ordinanza  11
novembre 2021, n. 33570). 
    Ma non e' tutto. Anche la giurisprudenza amministrativa si e', in
sostanza,  allineata  sull'affermazione  fondamentale   secondo   cui
l'acquisizione  gratuita  al  patrimonio  del  comune  determina   un
acquisto a titolo originario. 
    Vanno indicate al riguardo,  senza  pretese  di  completezza,  le
sentenze del Consiglio di Stato 7 marzo  1997,  n.  220,  16  gennaio
2019, n. 398, e 9 giugno 2020, n. 3697. La sentenza n. 398 del  2019,
in  particolare,  ha   affermato,   richiamando   esplicitamente   la
suindicata sentenza di questa Corte n. 1693 del 2006, che «l'acquisto
della proprieta' ai sensi dell'art. 31 del TU edilizia  avviene,  per
giurisprudenza consolidata, a titolo originario con cancellazione  di
tutti i diritti reali minori e  di  garanzia  eventualmente  gravanti
bene.   L'ordinanza   di   acquisizione   gratuita   al    patrimonio
indisponibile  del   comune   dell'immobile   costruito   in   totale
difformita' o assenza della concessione si connota, infatti,  per  la
duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti e di  prevenire
perduranti effetti dannosi di essi e dunque da' luogo ad  acquisto  a
titolo originario, con la  conseguenza  che  l'ipoteca  e  gli  altri
eventuali pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente  al
precedente  diritto  dominicale,   senza   che   rilevi   l'eventuale
anteriorita' della relativa trascrizione o iscrizione. La fattispecie
e' assimilabile  al  perimento  del  bene,  ipotesi  nella  quale  si
estingue l'ipoteca,  giacche'  l'immobile  abusivo  e'  destinato  al
"perimento  giuridico",  normalmente  conseguente  alla  demolizione,
salva la eccezionale acquisizione  al  patrimonio  comunale,  che  lo
trasforma irreversibilmente in res extra commercium sotto il  profilo
dei diritti del debitore  e  dei  terzi  che  vantino  diritti  reali
limitati sul bene». 
    E' doveroso aggiungere, infine, che la  posizione  adesiva  della
giurisprudenza amministrativa nei termini ora richiamati ha  ricevuto
il  recentissimo  autorevole  avallo   dell'Adunanza   plenaria   del
Consiglio di Stato, la quale ha ribadito  che  «il  bene  si  intende
acquisito  a  titolo  originario  al  patrimonio  pubblico»   e   che
«eventuali ipoteche, pesi e  vincoli  preesistenti  vengono  caducati
unitamente  al  precedente  diritto  domenicale,  senza  che   rilevi
l'eventuale anteriorita' della relativa  trascrizione  o  iscrizione»
(sentenza 11 ottobre 2023, n. 16). 
    Puo' pertanto pervenirsi ad una prima conclusione, affermando che
e' condivisibile la  motivazione  dell'ordinanza  interlocutoria  la'
dove essa rileva  che,  stando  le  cose  nei  termini  che  si  sono
indicati, il ricorso odierno  -  e,  specificamente,  il  suo  quarto
motivo, sul quale e' stato  sollecitato  l'esame  di  queste  Sezioni
Unite - dovrebbe essere rigettato. 
    Il che impone, evidentemente, di esaminare la  questione  tenendo
presente, da un lato, la particolarita' della vicenda odierna,  nella
quale l'ipoteca e'  iscritta  sul  solo  terreno  sul  quale  insiste
l'immobile abusivo, e, dall'altro, l'evoluzione della  giurisprudenza
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali. 
L'opinione delle Sezioni Unite. 
    8. Ritengono queste Sezioni Unite che la suindicata conclusione -
consolidatasi nel tempo  e  condivisa  sia  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte che da quella del  Consiglio  di  Stato  -  secondo  cui
l'acquisto al patrimonio del comune  costituisce  un  atto  a  titolo
originario debba essere confermata. 
    E' opportuno ricordare che un'autorevole e  consolidata  dottrina
civilistica ha sempre insegnato che, mentre  nell'acquisto  a  titolo
derivativo l'attribuzione  dei  diritti  all'acquirente  avviene  sul
presupposto e in correlazione col riconoscimento dello stesso in capo
al  precedente  titolare,  nell'acquisto  a  titolo   originario   si
prescinde  integralmente  da   ogni   precedente   riconoscimento   o
attribuzione. E cio' per una molteplicita' di ragioni, fra  le  quali
rientrano sia il venir meno della pregressa attribuzione sia il fatto
che  questa  diventi  giuridicamente  irrilevante  o  sia  totalmente
disconosciuta,  di   modo   che   la   nuova   titolarita'   estingue
automaticamente quella precedente. In  termini  piu'  immediati  puo'
dirsi, sempre seguendo la citata dottrina, che  l'acquisto  a  titolo
derivativo e'  dipendente,  mentre  quello  a  titolo  originario  e'
indipendente. 
    La vicenda delineata dalla normativa in esame identifica in  modo
palese  un  acquisto   a   titolo   originario,   dal   momento   che
l'amministrazione acquisisce d'imperio il bene immobile  abusivo,  in
presenza delle condizioni  di  legge,  senza  che  il  privato  possa
opporvisi e senza che a lui venga riconosciuta  alcuna  contropartita
in  denaro,  come  avviene  invece   nelle   vicende   espropriative.
L'acquisizione, quindi, determina un taglio netto con  la  situazione
preesistente, anche in considerazione della sua natura in senso  lato
sanzionatoria. E se cosi' e', devono anche confermarsi  le  ulteriori
conseguenti conclusioni di  cui  alla  suindicata  giurisprudenza,  e
cioe' che una simile  vicenda  determina  il  venir  meno  anche  dei
diritti di garanzia  che  esistevano  sul  bene,  a  prescindere  dal
momento, anteriore o posteriore all'acquisizione, in cui quei diritti
sono insorti e sono  stati  resi  opponibili  mediante  iscrizione  o
trascrizione. 
    8.1. Muovendo da tali premesse,  l'unica  logica  conseguenza  e'
che, facendo applicazione di questi  principi  in  una  vicenda  come
quella in esame, al creditore  ipotecario  non  restano  se  non  due
residue possibilita': o quella di far valere il proprio diritto reale
di garanzia sulla sola  parte  del  terreno  che  eccede  il  decuplo
dell'area di sedime acquisibile insieme  all'immobile,  o  quella  di
chiedere  il  risarcimento  del  danno  conseguente  al   fatto   che
l'acquisizione al patrimonio del comune ha determinato il venir  meno
della garanzia della quale egli disponeva. 
    Entrambe queste soluzioni, tuttavia, appaiono alle Sezioni  Unite
non prive di criticita', per diverse ragioni. 
    La prima, infatti, potrebbe essere non praticabile,  essendo  ben
possibile che  l'acquisizione  dell'immobile  con  l'area  di  sedime
coincida con l'acquisizione dell'intero terreno sul  quale  grava  la
costruzione; senza contare che,  anche  ammettendo  che  residui  una
quantita' di terreno significativa -  come,  a  quanto  pare,  si  e'
verificato nel caso di specie  -  il  creditore  ipotecario  vedrebbe
comunque fortemente ridimensionata la sua garanzia, dal  momento  che
l'espropriazione di una parte  di  un  terreno  sul  quale  e'  stato
costruito  un  immobile  abusivo,  la  cui  demolizione  puo'  essere
disposta solo dal comune che ne e' proprietario, rende  quel  terreno
di valore assai minore. 
    La seconda non appare a questa Corte soddisfacente, posto che  e'
di immediata comprensione la  diversita'  esistente  tra  un  diritto
reale di garanzia come l'ipoteca e la necessita' di intraprendere  un
giudizio risarcitorio, nel quale potrebbe, tra  l'altro,  non  essere
pacifica l'identificazione del soggetto responsabile. D'altra  parte,
se e' indubbio che il proprietario, non  ottemperando  all'ordine  di
demolizione, sia stato causa dell'acquisizione dell'immobile  abusivo
al patrimonio del comune, e' altrettanto vero che i  comuni  sono,  a
loro  volta,  tenuti  a  compiere  una  scelta,  o  nel  senso  della
demolizione o in quello della diversa destinazione dell'immobile (ove
possibile). Ed e' pacifico che, se  i  comuni  operassero  la  dovuta
scelta in tempi ragionevoli, i problemi che si pongono  nel  presente
giudizio non avrebbero ragion d'essere. 
    8.2. Occorre a  questo  punto  confrontarsi  con  quella  che  e'
l'argomentazione  piu'  importante  sulla  quale  e'   costruita   la
motivazione dell'ordinanza interlocutoria, e cioe' il  passaggio  nel
quale la Terza Sezione ha  posto  in  luce  il  profondo  cambiamento
sopravvenuto nella giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo nel tempo intercorso tra la sentenza n. 1693  del  2006  di
questa Corte e i giorni nostri. 
    Richiamando quanto si e'  gia'  detto  in  precedenza,  la  Terza
Sezione ha osservato che,  in  base  alla  giurisprudenza  di  quella
Corte: a) costituiscono «beni», tutelati dall'art. 1  del  Protocollo
n. 1 allegato  alla  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, non solo  i  diritti
di proprieta', ma anche i diritti patrimoniali in relazione ai  quali
si  possa  vantare  una  aspettativa  legittima;   b)   la   confisca
urbanistica e' una sanzione assimilabile a quella penale, sicche'  la
sua adozione non puo' prescindere da idonee  garanzie  a  tutela  del
diritto di difesa sia dell'espropriato che dei terzi; c) la  confisca
non puo' colpire soggetti che non siano stati parte del  procedimento
che la infligge, ne' potevano esserlo; d)  la  confisca  deve  essere
«proporzionata allo scopo». 
    Non e' il caso di ripercorrere nella  presente  sede  quello  che
l'ordinanza  interlocutoria  definisce,  con  grande  efficacia,  «un
tormentatissimo iter giurisprudenziale tra Corte europea dei  diritti
dell'uomo, Corte costituzionale e Corte di cassazione»  in  relazione
alla questione della assimilabilita' tra la  confisca  urbanistica  e
una sanzione penale. Nella vicenda odierna, tra l'altro, non  risulta
esservi alcun risvolto  penale,  nel  senso  che  dagli  atti  emerge
soltanto che vi e' stata la costruzione di un  immobile  abusivo,  ma
non si fa alcun cenno ai reati edilizi. Si deve pero'  ricordare  che
la  giurisprudenza  della   Corte   europea   -   attraverso   alcune
fondamentali   pronunce   indicate   nell'ordinanza    interlocutoria
(sentenza 20 gennaio 2009, in causa Sud Fondi e altri contro  Italia,
sentenza 29 ottobre 2013, in causa Varvara contro Italia, e  sentenza
della Grande Camera 28 giugno 2018, in causa G.I.E.M. contro  Italia)
- ha indicato un  percorso  interpretativo  che,  grazie  anche  alla
mediazione  della  Corte   costituzionale,   ha   trovato   integrale
recepimento nella giurisprudenza delle Sezioni Unite penali di questa
Corte. 
    A  seguito  della  sentenza  n.   49   del   2015   della   Corte
costituzionale, infatti, la Corte europea dei  diritti  dell'uomo  e'
tornata sulla questione della compatibilita' tra  confisca  penale  e
prescrizione del reato e, sostanzialmente  avallando  le  indicazioni
della Corte costituzionale, con la  citata  sentenza  G.I.E.M.  della
Grande Camera ha modificato l'orientamento espresso con  la  sentenza
Varvara, ritenendo compatibile con l'art. 7 CEDU l'applicazione della
confisca in seguito ad un accertamento  di  tutti  gli  elementi  del
reato di lottizzazione abusiva, ancorche' contenuto in  una  sentenza
di proscioglimento per prescrizione. Tale orientamento, poi, e' stato
recepito dalla sentenza 30 gennaio 2020, n. 13539 (imp.  ...),  delle
Sezioni Unite penali di questa  Corte.  E  la  Corte  costituzionale,
ritornando sull'argomento dopo  la  sentenza  G.I.E.M.  della  Grande
Camera, ha posto in luce come della  «necessita'  di  un  adeguamento
delle modalita' applicative della confisca per lottizzazione  abusiva
ai contenuti della sentenza G.I.E.M.» si fosse nel  frattempo  «fatta
carico la giurisprudenza  di  legittimita'»,  anche  allo  scopo  «di
verificare il rispetto del principio di  proporzionalita'  della  sua
applicazione» (sentenza n. 146 del 2021). 
    La complessita'  della  vicenda  interpretativa  che  qui  si  e'
cercato  di  riassumere  in  pochi  sintetici  passaggi  non   rileva
direttamente nella causa odierna nella quale, come  s'e'  detto,  non
c'e' un profilo penale e si  discute,  invece,  della  c.d.  confisca
amministrativa  regolata  dalle  norme  che  si  sono  in  precedenza
richiamate. E tuttavia quella vicenda -  come  correttamente  osserva
l'ordinanza  interlocutoria  -  non  puo'  essere  ignorata,  perche'
dimostra che e'  ormai  patrimonio  acquisito,  nella  giurisprudenza
nazionale e sovranazionale, il principio in base al quale la confisca
non puo' aver luogo in danno  del  proprietario  incolpevole,  o  del
terzo che vanti diritti sul bene (se la  misura  e'  sproporzionata),
senza che questi siano  stati  messi  in  condizione  di  difendersi,
partecipando al procedimento. 
    Nel  caso  in  esame,  infatti,  e'  pacifico  che  il  creditore
ipotecario abbia perduto un diritto, quello di garanzia, che  rientra
nella nozione allargata di bene di  cui  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  dato  che,  come  indicato
nell'ordinanza interlocutoria, la giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo considera  «bene»  anche  un  debito  accertato
mediante  sentenza  e  la  cui  esigibilita'  e'  stabilita  in  modo
sufficiente (v. le sentenze ivi richiamate). Altrettanto pacifico  e'
che la perdita di quel bene sia avvenuta senza alcuna  prova  di  una
cooperazione del  creditore  ipotecario  nell'attivita'  illecita  di
costruzione  del  bene  immobile  abusivo  e  che   al   procedimento
amministrativo concluso dal provvedimento di acquisizione del bene al
patrimonio del comune il creditore ipotecario non sia stato messo  in
condizione di partecipare. 
    Puo' dunque pervenirsi ad una seconda conclusione, e cioe' che il
recepimento puro e semplice dell'orientamento consolidato, conducendo
inevitabilmente al rigetto del quarto  motivo  del  ricorso  odierno,
offra il fianco a dubbi sulla sua compatibilita' con i principi  CEDU
enunciati dalla Corte di Strasburgo. 
    8.3. Si deve inoltre ricordare, per  completezza,  che  la  Corte
costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno in piu'
occasioni affermato, in riferimento all'art. 24 Cost. e  all'art.  6,
paragrafo 1,  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  che  la  tutela
esecutiva costituisce una componente fondamentale del diritto ad  una
tutela giurisdizionale effettiva. 
    Il Giudice delle leggi ha insegnato che l'azione esecutiva e'  un
fattore complementare e  necessario  dell'effettivita'  della  tutela
giurisdizionale, perche'  consente  al  creditore  di  soddisfare  la
propria pretesa anche in mancanza di adempimento spontaneo  da  parte
del  debitore.  La  fase  di  esecuzione  forzata   delle   decisioni
giudiziarie, in  quanto  intrinseco  ed  essenziale  connotato  della
funzione giurisdizionale, e'  quindi  costituzionalmente  necessaria,
mentre eccezionali sono le deroghe al principio,  espresso  dall'art.
2740 codice civile, per cui  il  debitore  risponde  dell'adempimento
delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Ne deriva
che le  limitazioni  al  diritto  del  creditore  di  agire  in  sede
esecutiva sono ammissibili solo se fondate su circostanze eccezionali
e se circoscritte nel tempo (sentenza n. 198 del 2010).  E  la  Corte
costituzionale ha anche di recente  ricordato  che  «uno  svuotamento
legislativo degli effetti di un titolo esecutivo  giudiziale  non  e'
compatibile con l'art. 24 Cost. se non e' limitato  ad  un  ristretto
periodo  temporale  ovvero  controbilanciato   da   disposizioni   di
carattere sostanziale che  garantiscano  per  altra  via  l'effettiva
realizzazione del diritto di credito. In difetto di  queste  cautele,
la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione»  (cosi'  la
sentenza n. 236 del 2021, che si e' richiamata alla sentenza  n.  186
del 2013). Ne' puo' essere dimenticata la sentenza n. 26 del 2019  in
tema di tutela dei terzi creditori in ipotesi  di  confisca  di  beni
alla criminalita' organizzata,  nella  quale  si  e'  affermato,  tra
l'altro, che il «radicale sacrificio dell'interesse di  un  creditore
che abbia acquisito il proprio diritto confidando, in buona fede, nel
futuro adempimento da parte  del  debitore,  pur  in  presenza  delle
condizioni ritenute idonee a evitare condotte collusive dall'art.  52
del decreto legislativo n. 159  del  2011,  si  risolve  ...  in  una
restrizione sproporzionata - in  quanto  eccessiva  rispetto  al  pur
legittimo scopo antielusivo perseguito - del diritto patrimoniale del
creditore medesimo, in violazione dell'art. 3 Cost.». 
    Ancora piu' di  recente,  poi,  la  Corte  costituzionale,  nella
sentenza n. 5 del 2023 ha  ribadito  che  ogni  confisca  impone  una
puntuale verifica del  suo  carattere  proporzionato,  rispetto  alla
finalita'   legittima   perseguita,   alla   luce    dei    parametri
costituzionali e sovranazionali che tutelano il diritto di proprieta'
(art. 42 Cost., nonche' art. 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale CEDU,  e  articoli  11  e  117,
primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  17  CDFUE);  mentre  la
sentenza n. 8 del 2023 ha posto in  risalto  come  la  giurisprudenza
della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  abbia   costantemente
stigmatizzato,   nell'interpretazione   dell'art.   1   del    citato
Protocollo,  anche  le  interferenze  sproporzionate  rispetto   alle
situazioni di affidamento incolpevole, e percio' legittimo. 
    L'importanza del diritto del creditore al soddisfacimento in  via
esecutiva  dei  crediti  giudizialmente  riconosciuti,  intesa   come
modalita' di esplicazione dell'art. 24 Cost., costituisce, del resto,
patrimonio anche della giurisprudenza di  questa  Corte  (v.  Sezioni
Unite, sentenza 14 dicembre 2020, n. 28387). 
Il dubbio di legittimita' costituzionale. 
    9. La Corte costituzionale ha insegnato gia' molti anni  fa  che,
in linea di principio, «le leggi non si dichiarano costituzionalmente
illegittime    perche'    e'    possibile    darne    interpretazioni
incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche'  e'
impossibile darne interpretazioni costituzionali» (cosi' la  sentenza
n. 356 del 1996). 
    Il criterio della c.d. interpretazione  adeguatrice  costituisce,
dunque, un faro che illumina la fatica quotidiana del giudice, teso a
ricercare, ove possibile, un percorso interpretativo che, nel dubbio,
renda la norma da applicare conforme alla Carta costituzionale. 
    Seguendo tale criterio, queste Sezioni Unite hanno  vagliato  due
possibili interpretazioni dell'art. 7 della legge n. 47 del  1985  (e
dell'art.  31,  commi  3  e  4,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001) che  potrebbero  mettere  tali  norme  al
riparo dai dubbi di legittimita'  costituzionale  in  relazione  alla
specifica fattispecie  qui  in  esame;  ma  nessuna  delle  due  pare
realisticamente percorribile. 
    Una  prima   interpretazione   dovrebbe   costruire   l'atto   di
acquisizione del bene immobile al patrimonio del comune come  diritto
di proprieta' superficiaria, intesa ai sensi dell'art.  952,  secondo
comma, codice civile; se cosi' fosse, il comune, nel momento  in  cui
acquisisce il bene, non  ne  diverrebbe  proprietario  pieno,  bensi'
proprietario superficiario. In tal modo, com'e' evidente, si potrebbe
(in astratto) ipotizzare che  il  diritto  del  creditore  che  abbia
ipotecato il solo terreno sul  quale  l'immobile  insiste  sopravviva
alla vicenda acquisitiva legale. Tale interpretazione, pero',  appare
in contrasto insormontabile con l'obiettivita' del  dato  legislativo
che stabilisce, come si e' detto, che in caso di inottemperanza,  nel
termine di novanta giorni dall'ingiunzione, all'ordine di demolizione
e ripristino dello stato dei luoghi,  il  bene  viene  acquisito  con
«l'area di sedime»; ragione per cui ipotizzare l'acquisizione  di  un
diritto di proprieta' superficiaria in  capo  al  comune  appare  una
forzatura eccessiva del testo della norma. 
    Una seconda interpretazione, che e' stata indicata come possibile
nell'ordinanza  interlocutoria,  sarebbe  quella  di  consentire   al
creditore ipotecario di «coltivare l'esecuzione forzata, al  fine  di
pervenire  ad  una  vendita  sottoposta  alla  condizione  sospensiva
dell'assunzione  dell'obbligazione  di  demolire  l'abuso   o   della
presentazione d'una domanda di sanatoria». 
    Questa tesi e' stata fatta propria dalla  Procura  generale,  con
ampiezza di argomentazioni, nel corso della discussione  in  pubblica
udienza, nella quale ha sostenuto che l'ipoteca  nel  caso  specifico
non si estinguerebbe, dal momento che non si  e'  verificato  ne'  il
perimento materiale del bene ne' il perimento  giuridico,  in  quanto
l'immobile entra a far parte del patrimonio disponibile del comune ed
e', pertanto, commerciabile (artt. 826 e 828 codice civile). 
    Ritengono le Sezioni Unite, tuttavia, che questa interpretazione,
benche' non priva di spunti suggestivi, non  possa  essere  recepita,
perche' la natura di acquisto a titolo  originario  che  caratterizza
l'acquisizione regolata dalla  legge  -  punto  sul  quale  anche  il
Procuratore  generale  si  e'  detto  d'accordo  -  non  consente  di
affermare che l'ipoteca possa sopravvivere, sebbene iscritta sul solo
terreno e non anche  sull'immobile  abusivo.  Ma,  anche  al  di  la'
dell'ostacolo concettuale, il Collegio e'  del  parere  che  non  sia
concepible  una  vendita  sottoposta   alla   condizione   sospensiva
dell'assunzione dell'obbligo di demolire  da  parte  dell'acquirente,
dal momento che la scelta della  demolizione  e  la  possibilita'  di
eseguirla rimangono una prerogativa esclusiva del comune. 
    Ed e'  appena  il  caso  di  rilevare,  pur  trattandosi  di  una
valutazione non strettamente giuridica, che il  problema  che  si  e'
posto nella vicenda odierna e in tante altre simili non  e'  generato
solo dal fenomeno dell'abusivismo edilizio, ma anche dalla  abitudine
di alcuni comuni  di  non  prendere  le  dovute  decisioni  circa  la
destinazione dell'immobile, secondo quanto la legge stessa indica. 
    10. Le Sezioni Unite ritengono quindi, alla conclusione di  tutto
questo complesso percorso, che debba essere  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale delle norme piu' volte richiamate. 
    La questione  e'  rilevante,  perche'  il  Collegio  e'  chiamato
necessariamente a fare applicazione, nel giudizio sottoposto  al  suo
esame, di una norma della  cui  legittimita'  costituzionale  dubita,
senza intravedere la possibilita' di un'interpretazione adeguatrice. 
    Tale questione, poi, e' anche  non  manifestamente  infondata  in
relazione  ai  parametri  costituzionali  che  si  vanno  adesso   ad
indicare. 
    Un primo parametro e' l'art. 3 Cost., inteso  come  principio  di
ragionevolezza.   E'   paradossale,   infatti,    come    l'ordinanza
interlocutoria ha correttamente evidenziato,  che  il  creditore  che
abbia iscritto ipoteca sul fondo, senza avere alcuna  responsabilita'
nell'abuso edilizio e  nel  conseguente  rifiuto  di  procedere  alla
demolizione dell'immobile, veda di fatto cancellato il suo diritto di
ipoteca; il tutto senza  poter  partecipare  al  procedimento,  cioe'
senza potersi opporre ne' all'edificazione abusiva ne' all'ordine  di
demolizione. 
    Un secondo parametro che appare leso e' l'art. 24 Cost.,  per  le
ragioni che  si  sono  dette  in  precedenza  in  ordine  al  rilievo
costituzionale della tutela esecutiva. E' indubbio, infatti,  che  il
creditore ipotecario sia titolare di una garanzia che  gli  consente,
attraverso il diritto di sequela e  la  conseguente  possibilita'  di
procedere  ad  espropriazione  del  bene,  di  avere   una   concreta
prospettiva di soddisfacimento delle proprie ragioni; o, almeno,  una
potenzialita' ben maggiore rispetto a quella che  puo'  derivare  dal
diritto al risarcimento dei danni (misura che questa Corte,  infatti,
ritiene non soddisfacente, per le ragioni gia' indicate). 
    Un terzo parametro che appare leso, infine, e' l'art. 117,  primo
comma, Cost., collegato con l'art. 42 Cost.,  in  considerazione  del
contrasto tra la norma in esame e l'art. 1 del Protocollo addizionale
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali.  E'  pacifica  e  ormai   consolidata,
infatti, la giurisprudenza costituzionale secondo cui  gli  eventuali
contrasti tra la norma  interna  e  la  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali non
generano problemi di successione delle leggi nel tempo o  valutazioni
sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma
questioni di legittimita' costituzionale, sicche' il  giudice  comune
non ha il potere  di  disapplicare  la  norma  legislativa  ordinaria
ritenuta in contrasto con una norma  CEDU,  presentandosi  l'asserita
incompatibilita' tra  le  due  come  una  questione  di  legittimita'
costituzionale, per eventuale violazione dell'art. 117, primo  comma,
Cost., di esclusiva competenza della Corte  costituzionale  (sentenze
n. 348 e n. 349 del 2007, nonche', piu' di recente,  le  sentenze  n.
182 del 2021 e n. 131 del 2022). 
    Ad avviso di queste Sezioni Unite la norma censurata, ove  dirime
il conflitto fra il potere di  acquisizione  gratuita  al  patrimonio
indisponibile  del   comune   dell'immobile   costruito   in   totale
difformita' o assenza della concessione e il  diritto  del  creditore
ipotecario a soddisfarsi sul fondo oggetto della garanzia, affermando
l'assoluta prevalenza  del  primo  -  nei  termini  che  si  sono  in
precedenza chiariti -  appare  contrastante  con  la  consolidata  ed
uniforme interpretazione che la giurisprudenza  della  Corte  europea
dei diritti  dell'uomo  offre  del  piu'  volte  citato  art.  1  del
Protocollo addizionale, qui invocato quale parametro interposto. 
    Rispetto ad esso, infatti, non  e'  manifestamente  infondato  il
dubbio di legittimita' costituzionale per violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., quanto all'esigenza  del  giusto  equilibrio  tra
l'interesse generale di regolamentazione dei beni giustificata  dalle
esigenze di tutela della collettivita' e la salvaguardia dei  diritti
fondamentali individuali, nella specie consistenti nelle  aspettative
creditorie, ovvero quanto all'effettiva proporzionalita' tra i  mezzi
impiegati e lo scopo prefigurato. 
    Deve essere  sollevata,  dunque,  in  riferimento  ai  suindicati
parametri, questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
terzo  comma,  della  legge  n.  47  del  1985   (applicabile   nella
fattispecie ratione temporis), e dell'art. 31, comma 3,  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001   (norma   non
applicabile, ma tuttavia di identico contenuto), nella parte  in  cui
non prevedono - in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su di  un
terreno sul quale sia stato costruito un immobile  abusivo,  immobile
gratuitamente acquisito al patrimonio  del  comune  -  la  permanenza
dell'ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario. 
    Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  devono
essere disposte la trasmissione della presente ordinanza  alla  Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso. 
    La cancelleria di questa Corte curera' la notifica della presente
ordinanza alle parti in causa, al Procuratore generale presso  questa
Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  la  sua
comunicazione anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata,  in
riferimento agli articoli 3,  24,  42  e  117,  primo  comma,  Cost.,
nonche' all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (ratificata con la legge 4  agosto  1955,  n.  848),  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  7,  terzo  comma,
della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 31, comma 3, del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei termini  di  cui  in
motivazione; 
    ordina  la  trasmissione  della  presente  ordinanza  alla  Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; 
    dispone che,  a  cura  della  cancelleria  di  questa  Corte,  la
presente  ordinanza  venga  notificata  alle  parti  in   causa,   al
Procuratore generale presso questa Corte, nonche' al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente  del  Senato  della
Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. 
    Cosi' deciso in Roma, nella Camera  di  consiglio  delle  Sezioni
unite civili, il 24 ottobre 2023. 
 
                       Il Presidente: D'Ascola