N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 gennaio 2024
Ordinanza del 17 gennaio 2024 del G.I.P. del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di M. C., F. M. e C. L.. Reati e pene - Aiuto al suicidio - Non punibilita', a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, di chi, alle condizioni e con le modalita' stabilite nella medesima sentenza, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio - Denunciata necessita' che la non punibilita' di chi agevola l'altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l'aiuto sia prestato a una persona "tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale". - Codice penale, art. 580, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019.(GU n.11 del 13-3-2024 )
TRIBUNALE DI FIRENZE Sezione del giudice per le indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari dott.ssa Agnese Di Girolamo, letta la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze il 17 maggio 2023 nel procedimento in epigrafe iscritto nei confronti di: C... M..., nato a ..., il ..., difeso dall'avv. Filomena Gallo del Foro di Roma e dall'avv. Maria Elisa D'Amico del Foro di Milano; L... C..., nata a ..., il ..., difesa dall'avv. Rocco Berardo del Foro di Roma; M... F..., nata a ..., il ..., difesa dall'avv. Francesca Re del Foro di Roma e dell'avv. Francesco Di Paola del Foro di Lagonegro; per il reato di cui all'art. 580 del codice penale, commesso il ... all'esito dell'udienza in camera di consiglio ex art. 409 del codice di procedura penale del 23 novembre 2023; sentite le parti presenti e lette le memorie da queste depositate; Osserva 1. Il fatto Nel presente procedimento M... C... C... e F... M... sono indagati per il delitto di cui all'art. 580 del codice penale, per avere organizzato e poi materialmente eseguito l'accompagnamento di M... S... presso la clinica ... dove, il giorno ... lo stesso e' deceduto in seguito a procedura di suicidio assistito. La vicenda, nei suoi contorni fattuali, emerge in modo pacifico dagli elementi acquisiti nelle indagini preleminari, svolte a seguito dell'autodenuncia degli stessi indagati, e puo' essere ricostruita in termini conformi a quanto prospettato dall'Ufficio di procura nella richiesta di archiviazione. A M... S... era stata diagnosticata nel ... la sclerosi multipla, patologia del sistema nervoso centrale che conduce a invalidita' progressiva del paziente. Dopo l'esordio dei primi sintomi lievi, il quadro clinico era rimasto stazionario per alcuni anni, finche' - tra fine ... e inizio ... - si era registrato un significativo avanzamento del processo di demielinizzazione tipico della malattia, con conseguente peggioramento delle condizioni di vita del paziente (descritto chiaramente dal padre e dai medici che lo hanno avuto in cura): dapprima S... aveva iniziato a manifestare difficolta' nella deambulazione, poi aveva avuto bisogno della sedia a rotelle e, dopo appena qualche mese - ad aprile 2022 -, risultava gia' definitivamente impossibilitato a muoversi dal letto, con pressoche' totale immobilizzazione anche degli arti superiori (salva una residua capacita' di utilizzo del braccio destro). Secondo quanto dichiarato dal padre, e' nel ... che S... ha maturato per la prima volta l'idea di porre fine alla propria vita per ragioni legate alla patologia di cui soffriva. Nello stesso anno, in autonomia, tramite ricerche su internet, S... e' venuto a conoscenza dell'esistenza di associazioni dedite a offrire supporto ai pazienti che sono interessati ad accedere a procedure di suicidio assistito all'estero; e' cosi' che e' entrato in contatto per la prima volta con l'indagato C... Nel... in corrispondenza del grave deterioramento delle sue condizioni di salute, il proposito di S... si e' trasformato in ferma risoluzione, tanto da essere convintamente manifestato (anche in alcuni messaggi, acquisiti al procedimento) non piu' solo al padre, ma anche ad altre persone, quali la sorella e lo stesso C... A questo punto, S... ha preso contatti con una clinica ..., avvalendosi dell'intermediazione di C..., che agiva in veste di legale rappresentante dell'A... S... C... da lui fondata, e del supporto economico della stessa A..., che si e' fatta carico di pagare alcuni costi connessi alla procedura, tra cui le spese del trasporto fino in ..., tramite il noleggio di un furgone. S... ha raggiunto la ... il ... a bordo di tale furgone, guidato a turno dalle indagate C... L... e F... M... Presso la clinica «...» di ..., il ... si sono svolti vari colloqui e visite con diversi medici, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'accesso alla procedura in termini compatibili con la legge ... S... ha avuto la possibilita' di confrontarsi anche con i familiari giunti fin li', resistendo ai loro tentativi di dissuaderlo dal proposito di darsi la morte. La procedura si e' conclusa l'...: alla presenza del padre, della sorella e delle due indagate, S... ha confermato definitivamente la sua volonta' e, utilizzando il braccio che ancora poteva controllare, ha assunto per via orale il farmaco letale. E' morto dopo pochi minuti. 2. Rilevanza della questione Questo giudice e' chiamato ad applicare l'art. 580 del codice penale, nella versione vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, per valutare la possibilita' di accogliere la richiesta di archiviazione presentata della Procura. Allo stato, la richiesta di archiviazione non potrebbe essere accolta, poiche', in base al compendio probatorio in atti, secondo la valutazione di questo giudice, la condotta degli indagati rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 580 del codice penale, in particolare della fattispecie di aiuto al suicidio, senza che possa beneficiare della causa di non punibilita' introdotta a seguito della citata pronuncia di illegittimita' parziale. 2.1. La configurabilita' dell'art. 580 del codice penale Nel caso di specie sussistono tutti gli elementi costitutivi del titolo di reato in origine ipotizzato dal pubblico ministero. Il fatto e' senz'altro riconducibile alle ipotesi contemplate dall'art. 580 del codice penale, poiche' la morte si e' verificata come conseguenza immediata e diretta di un'azione autolesiva posta in essere personalmente e consapevolmente dallo stesso titolare del bene vita, che risulta essersi auto-somministrato, con un gesto autonomo, quando era ancora cosciente, la sostanza che ha provocato il decesso. La fattispecie configurabile in concreto, tra quelle descritte dall'art. 580 del codice penale, e' il solo aiuto al suicidio, mentre non sono emersi elementi che possano far anche solo ipotizzare un addebito (ne', tantomeno, formulare una ragionevole previsione di condanna, ex articoli 408 e 425 del codice di procedura penale) per la distinta fattispecie di istigazione al suicidio. Quanto alla genesi del proposito autosoppressivo, infatti, S... risulta aver concepito la decisione in autonomia (grazie a ricerche svolte da solo su internet) e certamente prima di entrare in contatto con gli indagati, a carico dei quali non e' prospettabile alcuna condotta di determinazione al suicidio. Quanto al successivo consolidamento di tale intento, puo' escludersi che su di esso abbiano influito, in qualsiasi grado, gli indagati, con condotte di istigazione o rafforzamento: secondo le dichiarazioni del padre, C... dapprima si sarebbe limitato a fornire informazioni a titolo meramente consultivo (assumendo dunque una posizione neutrale, con semplice presentazione delle strade astrattamente percorribili, senza incentivare una soluzione a scapito dell'altra) e, quando ha messo a disposizione i suoi contatti con la ..., il proposito di S... era gia' compiutamente maturato e ormai fermo; analogamente puo' dirsi per le due indagate, che sono intervenute soltanto in un momento in cui la risoluzione suicidaria era gia' del tutto formata. In altri termini, nessuna delle condotte degli indagati (ne', come si vedra', di terzi) sembra dotata di efficacia causale, a livello psichico, rispetto al convincimento di S ... La rilevanza penale della condotta degli indagati, nel caso di specie, dipende dunque soltanto dalla loro partecipazione e cooperazione materiale alla realizzazione del suicidio. In quest'ottica, la Procura ha quindi sostenuto che il comportamento degli indagati non sarebbe tipico neppure ai sensi della fattispecie di aiuto al suicidio, facendo leva su una interpretazione restrittiva sia del concetto di agevolazione sia del criterio di rilevanza causale di tale condotta rispetto all'evento suicidio. Questo giudice ritiene di non poter condividere l'impostazione ermeneutica proposta nella richiesta di archiviazione e in alcuni precedenti di merito da questa richiamati. In primo luogo, quanto al significato del testo della disposizione di cui all'art. 580 del codice penale - nella parte in cui punisce chi «agevola in qualsiasi modo l'esecuzione» dell'altrui suicidio -, la formulazione letterale legittima, o meglio impone, di dare rilevanza sul piano oggettivo a qualunque condotta di terzi che, secondo i consueti criteri di accertamento della causalita', si ponga quale antecedente necessario rispetto alla morte. Non vi sono, sempre sul piano testuale, elementi che autorizzano a letture restrittive: ne' considerando il verbo utilizzato, dal momento che l'impiego del termine «agevolare» (anziche', sul modello degli articoli 575 e 589 del codice penale, quello di «causare») si presta senz'altro a ricomprendere mere facilitazioni, e potrebbe semmai condurre, all'opposto di quanto supposto dalla Procura, a dare rilievo persino a condotte che non sono condicio sine qua non dell'evento; ne' tantomeno considerando la locuzione avverbiale «in qualsiasi modo», che, anzi, rivela in modo espresso e incontentabile la latitudine della fattispecie, spingendola alla massima estensione. Del resto, sul piano sistematico, non puo' dimenticarsi la funzione residuale, di chiusura del sistema dei reati a tutela della vita, che l'art. 580 del codice penale assumeva secondo la concezione del legislatore storico e l'impianto originario del codice (circostanza di cui si ha traccia nei lavori preparatori al codice, ove pure e' ribadita la massima ampiezza dell'ambito di applicazione della norma). Con la precisazione che tale funzione, che accomuna l'art. 580 all'art. 579 del codice penale, non e' stata affatto smentita dai principi ricavabili dalla recente giurisprudenza della Corte costituzionale, ove anzi e' stata ribadita - da ultimo in modo esplicito, in occasione della sentenza di inammissibilita' del referendum per l'abrogazione dell'omicidio del consenziente - il valore costituzionalmente necessario di norme incriminatrici che reprimano offese al bene vita anche in presenza del consenso dell'interessato. Deve quindi ritenersi, anche secondo una lettura aggiornata ai valori costituzionali, che il codice dia rilievo, almeno sul piano della tipicita', a tutte le condotte dotate di efficacia causale rispetto all'evento morte (secondo la struttura tipica delle fattispecie a forma libera), a prescindere dal modo in cui questo e' stato cagionato. Criterio di rilevanza della condotta, per tutte le condotte lesive del bene vita, sara' appunto il giudizio causale, da condurre secondo gli strumenti offerti dalla teoria condizionalistica, senza possibilita' di distinguere tra antecedenti necessari rilevanti a seconda che venga in rilievo la figura generale dell'omicidio volontario, dell'omicidio del consenziente o dell'aiuto al suicidio. Una simile distinzione sarebbe peraltro irragionevole, in quanto priva di alcuna ragione giustificativa, posto che determinare o contribuire a determinare la morte di un uomo contro il suo consenso o con il suo consenso e' pur sempre cagionare la morte di un uomo, almeno in termini materiali (potendo trovare sede ulteriori bilanciamenti di interessi in diverse categorie sistematiche). Peraltro, tornando a un argomento di carattere testuale, occorre sottolineare che la conclusione a cui qui si giunge non e' scalfita dalla circostanza che il Legislatore, nell'art. 580 del codice penale, abbia adottato una formulazione peculiare, collegando l'agevolazione (e dunque la causazione) non al suicidio (o alla morte) in quanto tale, bensi' alla sua «esecuzione». Questa formulazione si puo' spiegare non tanto come frutto della scelta di restringere l'ambito delle condotte penalmente rilevanti rispetto all'omicidio, bensi' come riflesso della peculiarita' dell'evento del reato. Il legislatore presuppone infatti, per l'applicazione dell'art. 580 (anziche' dell'art. 579 del codice penale), che il gesto autolesivo avvenga «in solitudine», o meglio che sia riferibile esclusivamente, sul piano psicologico ma prima ancora materiale, a un'azione della persona titolare del bene vita, che sulla stessa azione conserva appunto il proprio «dominio»: e' consequenziale a questa impostazione che la condotta tipica nell'ambito dell'art. 580 del codice penale non abbia, come termine di relazione causale immediata, la morte, bensi' l'esecuzione del suicidio, che invece resta appannaggio del suicida stesso. Sulla base di quanto visto fin qui, va ribadita la rilevanza di tutte le condotte che rappresentano antecedenti necessari - nel senso proprio della teoria condizionalistica della causalita' - rispetto alla realizzazione dell'atto autosoppressivo. Per escludere la tipicita' non potranno essere invocati, a differenza di quanto sostenuto dall'Ufficio di Procura, il grado di distanza cronologica della condotta dal suicidio ne' la «fungibilita'» della condotta del terzo: secondo la lettura classica della piu' volte citata teoria condizionalistica, il giudizio controfattuale che esprime la causalita' ha sempre come termine di riferimento l'evento in concreto, sicche' occorrera' guardare al fatto per come storicamente verificatosi (in quei tempi, con quelle modalita', in quelle circostanze). Alla luce di tali principi, la condotta degli indagati appare a questo giudice sussumibile nell'ambito di applicazione della fattispecie di aiuto al suicidio. C... ha posto in essere una condotta concretamente agevolatrice mantenendo i contatti con la clinica ..., fornendo (attraverso l'A... di cui era legale rappresentante) il supporto finanziario necessario per coprire i costi della procedura (non sostenibili da parte della famiglia del richiedente) e provvedendo anche a pagare le spese di noleggio del mezzo che poi ha consentito il trasporto di S... in ... L... e M... hanno posto in essere una condotta concretamente agevolatrice alternandosi alla guida del mezzo che ha prelevato S... da casa e lo ha condotto fino alla clinica dove poi e' avvenuto il suicidio. Tutti e tre gli indagati hanno dunque tenuto condotte che hanno reso possibile, come antecedenti logico-causali necessari, la realizzazione del suicidio nel modo poi effettivamente verificatosi, posto che in loro assenza - senza (quel) denaro, senza (quel) mezzo, senza (quella) guida - la morte di S... non sarebbe storicamente avvenuta li' e allora, nei termini sopra descritti. 2.2. La configurabilita' della causa di «non punibilita'» dell'aiuto al suicidio introdotta dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale Ritiene questo giudice che la condotta degli indagati non ricada nella ipotesi di non punibilita' introdotta nell'art. 580 codice penale dalla Corte costituzionale, poiche' nel caso di specie non risulta integrato il requisito della «dipendenza da trattamenti di sostegno vitale». Gli elementi acquisiti in fase di indagine hanno infatti permesso di accertare, per il resto, la sussistenza delle altre condizioni sostanziali richieste, nonche' del rispetto di condizioni procedurali equivalenti a quelle prescritte dalla legge. 2.2.1. Le condizioni sostanziali S... era affetto da sclerosi multipla, patologia che, stando a quanto dichiarato dai medici specialisti sentiti in fase di indagini, e' da considerarsi, allo stato attuale delle conosce medico-scientifiche, malattia irreversibile, essendo da escludere una qualsivoglia possibilita' di guarigione. S... pativa sofferenze da lui stesso ritenute insostenibili. La Corte costituzionale, nel definire il requisito in esame, ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva «o»: un dato grammaticale che autorizza senz'altro l'interprete a ritenere che possa (o meglio debba) essere data autonoma rilevanza sia alle sofferenze fisiche sia a quelle esclusivamente psicologiche. Altrettanto chiaro, sul piano letterale, e' che la valutazione circa la tollerabilita' delle sofferenze (fisiche o psicologiche) spetta unicamente alla persona malata, senza che al suo giudizio possa essere sovrapposto quello di terzi soggetti (parenti, medici, giudici), chiamati al piu' a prenderne atto - verificando, se del caso, la lucidita' del paziente e la serieta' della sua esternazione - ma senza apprezzamenti «di merito» alternativi, necessariamente ispirati a criteri eteronimi e moralisti (posto che nessuno potrebbe indicare ad altri quanto dolore sia sopportabile). Cio' peraltro e' del tutto coerente con il rilievo autonomo della sofferenza psicologica: una volta esclusa la possibilita' di invocare parametri oggettivi, appare ragionevole abbandonare distinzioni, quali quella tra dimensione fisica e psicologica, che possono (eventualmente) riflettersi sulla fattibilita' di un accertamento esterno, ma che sono del tutto irrilevanti per la persona che vive un'esperienza in ultima analisi connotata, in entrambi i casi, da un medesimo stato psichico: una percezione dolorosa. La sofferenza e la sua intollerabilita' sono ben testimoniate dalle risultanze probatorie in atti, gia' enucleate dall'Ufficio di Procura. E' infatti emerso che S... abbia dato voce ripetutamente e chiaramente a tale concetto: «non posso continuare cosi', dato che il mio corpo non funziona piu', peggiora di giorno in giorno, ho estrema difficolta' a muovermi e la malattia e' incurabile [...] non ce la faccio piu'» (cfr. e-mail a M... C...); «M... ci rispondeva che lui era "intollerabile" (testuali parole dello S...) uscire di casa e presentarsi con un pannolone», «per lui quella non era piu' una vita dignitosa e non aveva intenzione di continuare ad essere un peso per il padre e per tutti» (cfr. s.i.t. dott.ssa C... S...); «M... non tollerava piu' di essere dipendente dal padre convivente [...] per cui si sentiva da sue testuali parole "ingabbiato con la mente sana in un corpo che non funziona"» (cfr. s.i.t. dott.ssa M... G...). Tali parole, anche de relato, provano che la condizione di malattia era fonte per lui di patimento psicologico, che egli riteneva di non essere piu' in grado di sostenere, secondo una valutazione soggettiva del peso che tale condizione imponeva alla propria volonta' e alla propria dignita'. Inoltre, la decisione di darsi la morte e' stata concepita, maturata e poi mantenuta fino all'ultimo da S... sempre in modo libero e consapevole. Occorre rilevare che il requisito previsto dalla Corte costituzionale assume un significato piu' pregnante rispetto sia alla mera capacita' di intendere e di volere, sia al dato negativo dell'assenza di condizionamenti esterni: esso naturalmente presuppone tale duplice verifica, ma al contempo implica un giudizio positivo sulla riferibilita' della scelta di morire a un processo - libero, consapevole e stabile - di costruzione della volonta', che solo cosi' puo' ritenersi autentica manifestazione di autodeterminazione. In primo luogo, quanto agli aspetti strettamente inerenti alla capacita' di intendere e di volere di S..., non sembra che tale condizione sia stata inficiata dalla risalente diagnosi di un «disturbo delirante/da evitamento». Come dettagliatamente ricostruito nelle indagini della Procura, infatti, e' emerso che: il disturbo era ormai tenuto sotto controllo grazie all'aiuto di una terapia farmacologica, tanto che da anni non si verificano episodi acuti degni di interesse (cfr. relazione clinica dott.ssa C... S...); le anomalie comportamentali erano cessate con l'esordio della sclerosi malattia, coincisa con una consapevole presa di distanze dal paziente rispetto al proprio passato (cfr. s.i.t. B... S...); la dottoressa che lo ha visitato a ... ha confermato la «completa rimessione della sintomatologia» e giudicato che il paziente fosse capace di intendere e di volere, in quanto «manifesta normale capacita' di discernimento, consapevolezza delle proprie scelte e delle conseguenze che esse comportano» (cfr. certificato del dott.ssa C... S...). Del resto, non sembra neppure che tale quadro clinico - che, come detto, risultava ormai superato - si sia tradotto in forme di ideazione o di agiti suicidari, come dimostra il fatto che, prima dell'insorgere della sclerosi multipla, M... non era apparso, ai medici che lo avevano seguito, propenso a tendenze auto-soppressive o rinunciatarie nei confronti della vita («non mi sembrava un paziente che si lasciasse andare»: cfr. s.i.t. dott.ssa C... F...; «non posso affatto dire che in mia presenza vi sia mai stata [...] volonta' di porre fine alla propria esistenza»: cfr. s.i.t. dott. G... M...). L'assenza di indebite influenze esterne e l'autenticita' dell'intento suicidario emergono a loro volta in modo pacifico da elementi di fatto perlopiu' gia' esposti in precedenza. Anzitutto, il padre - l'unica persona con cui S... al tempo intrattenesse rapporti significativi - ha confermato che nel figlio il proposito di morire era sorto, gia' nel ..., in modo del tutto autonomo, all'esito di riflessioni e ricerche svolte personalmente; inoltre, si e' detto che, nei mesi successivi, S... non risulta essere stato condizionato ne' dagli indagati (per i quali si e' infatti escluso ogni possibile addebito in termini non solo di determinazione, ma anche di istigazione) ne' da altri soggetti, posto che anche le persone a lui piu' care (ancora una volta il padre e poi la sorella) si sono limitate a rispettare la sua scelta, dandola come acquisita, e hanno semmai cercato di dissuaderlo. Al contrario, in positivo, si puo' ritenere che l'autonomia decisione di morire abbia persino beneficiato dell'apporto conoscitivo fornito dall'indagato C..., che ha permesso a S... - in un contesto, come quello nazionale, di scarsa se non assente informazione istituzionale sul punto - di valutare in modo piu' consapevole le alternative concretamente disponibili, sia dal punto di vista materiale che giuridico. Sempre in positivo, va sottolineato che la decisione di morire non risulta espressione di una deliberazione estemporanea, ma appare il frutto di un percorso di crescente consapevolezza e stabilizzazione del volere, che attraversa una serie di tappe progressive, prima percorse nel foro interno della persona, poi esternate attraverso la manifestazione del proposito a parenti e a terzi. Infine, tutti gli aspetti fin qui analizzati - la capacita' di intendere e di volere, l'assenza di ingerenze esterne e l'autenticita' della scelta di morire - trovano conferma nei risultati dei controlli effettuati sul paziente da personale della clinica svizzera nei mesi precedenti al decesso fino agli ultimi istanti di vita: controlli dall'esito positivo che, per le loro caratteristiche (su cui si dira' qui immediatamente di seguito), provano ulteriormente che la decisione di S... e' da considerarsi ragionevolmente «libera e consapevole», sia alla luce di criteri medico-legali (cfr. appunto le valutazioni espresse dal personale sanitario che ha avuto in carico il paziente), sia alla luce di un criterio normativo-sociale (una volonta' percepita come «autentica» dalle persone piu' vicine a lui, nonche' maturata e accertata tramite una apposita procedura). 2.2.2. Le condizioni procedurali Al profilo appena affrontato si ricollega altresi' la verifica della sussistenza delle condizioni procedurali richieste dalla Corte costituzionale per la liceita' dell'aiuto al suicidio: che siano rispettate «le modalita' previste dagli articoli 1 e 2 della legge n. 219/2017», che tali modalita' di esecuzione e le condizioni sostanziali legittimanti l'aiuto al suicidio «siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale» e che sia acquisito il «previo parere del comitato etico territorialmente competente». Ritiene questo giudice che nel caso di specie tali requisiti possano ritenersi soddisfatti, o che comunque il loro mancato rispetto formale non precluderebbe, di per se', la «non punibilita'» degli indagati. Va premesso che anche i requisiti in esame, sebbene generalmente considerati di natura «procedurale», attengono in realta' alle condizioni sostanziali che rendono lecito l'aiuto al suicidio, poiche' non solo sono funzionali a verificare la sussistenza di queste ultime, ma concorrono a crearne i presupposti, quantomeno con riferimento alla liberta' e alla consapevolezza della decisione di morire. Cio' e' vero in particolare per la procedura di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 219/2017, ossia quella in origine prevista per la manifestazione del rifiuto di trattamenti sanitari, anche salvavita. In base a questa disciplina, la rilevanza giuridica della volonta' della persona e' subordinata a: un primo momento di informazione del paziente circa le sue condizioni di salute, la prognosi e le alternative percorribili, con relativi vantaggi e svantaggi (art. 1, comma 3); in seguito alla dichiarazione del paziente, un secondo confronto con il personale sanitario (art. 1, comma 5), che e' tenuto a illustrare conseguenze della decisione e strade alternative, contestualmente mettendo a disposizione un servizio di supporto psicologico e assicurando la possibilita' di accedere a un percorso di terapia del dolore e cure palliative. Come evidente, i compiti del medico non si limitano a un mero accertamento, ma, in ottica collaborativa e sinergica, sono funzionali ad assistere il paziente nell'esercizio della sua autodeterminazione, attraverso contributi qualificati di carattere informativo e tecnico (il supporto psicologico e la terapia del dolore). E' dunque il carattere «medicalizzato» della procedura a garantire, nell'ottica della Corte costituzionale, la formazione di un'autentica volonta' di morire. Tale requisito, cosi' inteso, nel caso di specie e' da ritenersi pienamente rispettato alla luce della procedura seguita per la prestazione dell'aiuto al suicidio presso la clinica ... in cui e' morto S ..., che si presenta addirittura piu' articolata e garantista di quella che dovrebbe essere seguita in base alla legge italiana. Risulta infatti che la procedura sia consistita: nell'invio da parte del richiedente di documentazione idonea a delineare le sue condizioni cliniche e la sua storia personale; una valutazione preliminare da parte della struttura sulla base del materiale acquisito; una valutazione, anche psicologica, in presenza, articolata in due colloqui con i medici, uno il giorno dell'arrivo e uno il giorno successivo; la presenza di testimoni (nel caso concreto, tra gli altri, i familiari) al momento della auto-somministrazione del farmaco letale, immediatamente preceduta da un ultimo ammonimento circa la possibilita' di arrestare la procedura. Procedure dalla scansione analoga - peraltro eseguite nella medesima clinica - sono state valutate «sostanzialmente equivalenti» a quella italiana gia' da alcuni organi giudicanti, con pronunce diventate definitive (cfr. Corte d'assise di Milano, sentenza 23 dicembre 2019, e Corte d'assise di Massa, sentenza 27 luglio 2020, poi confermata da Corte d'assise d'appello di Genova, sentenza 20 maggio 2021). Negli stessi casi, il medesimo giudizio di equivalenza ha «assorbito» anche la questione relativa al rispetto degli ulteriori profili di disciplina procedurale. E' vero che in tali casi i giudici hanno potuto avvalersi della clausola di equivalenza appositamente prevista dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 242/2019, per i fatti commessi prima della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 580, ossia quando, per mancanza di riferimenti normativi, sarebbe stato impossibile, gia' dal punto di vista logico, rispettare una procedura introdotta soltanto ex post. Nondimeno, questo giudice ritiene che un analogo giudizio di equivalenza sostanziale - e, per l'effetto, una medesima conclusione in senso positivo circa la sussistenza del requisito procedurale - possa essere svolto anche nella vicenda in esame, verificatasi interamente nel vigore della nuova disciplina. In primo luogo, per cio' che riguarda il rispetto degli articoli 1 e 2 della legge n. 219/2017, la necessita' che sia osservata una determinata procedura non e' incompatibile con la circostanza che i singoli passaggi di cui tale procedura si compone possano essere accertati secondo un approccio sostanziale, onde verificare se di volta in volta siano state compiute quelle valutazioni imposte dalla scansione «tipica». Cio', come detto, e' senz'altro vero se si guarda alle modalita' con cui e' stato preparato e prestato l'aiuto al suicidio da parte della clinica ... dove poi e' avvenuto il decesso. In secondo luogo, per quanto concerne gli ulteriori requisiti procedurali (la riserva di prestazione al Sistema sanitario nazionale e il parere del comitato etico), si impone una triplice considerazione. E' chiaro che, nel caso qui in esame, la circostanza che il fatto si sia verificato all'esito di una prestazione offerta da una struttura estera, a sua volta preceduta da un articolato percorso di assistenza e valutazione della richiesta, e' incompatibile con i passaggi ulteriori richiesti dalla Corte costituzionale, ipotizzabili soltanto in caso di procedura gestita e di prestazione erogata interamente in Italia. Inoltre, occorre osservare che il rispetto di tali condizioni non era comunque concretamente esigibile nel caso concreto: sebbene in linea teorica al momento del fatto esistesse gia' una procedura ad hoc, questa era di fatto inaccessibile al richiedente, che alla propria domanda avrebbe senz'altro visto opposto un diniego per il difetto della condizione sostanziale della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale (su cui v. subito oltre). Infine, ragionando in ottica sostanziale, la presumibile ratio alla base della previsione dei requisiti in esame (la tutela, ancora una volta, dell'autenticita' del volere del paziente, specie se vulnerabile) risulta pienamente soddisfatta dalle valutazioni -tecniche, approfondite e indipendenti - svolte dal personale medico della clinica ..., la cui attivita' e' peraltro sottoposta su base casistica a vigilanza (sia pure successiva) da parte delle autorita' pubbliche. Dunque, concludendo sul punto, se e' vero, come e' vero, che sono state rispettate tutte le esigenze sostanziali di protezione del paziente e della sua autodeterminazione, nel caso di specie la non punibilita' non potrebbe essere negata agli indagati unicamente per il mancato rispetto di passaggi procedurali che sarebbero stati loro inibiti anche ove avessero preso l'iniziativa in conformita' alla disciplina vigente. Le considerazioni svolte naturalmente non sono incompatibili con la circostanza che, per esigenze di chiarezza e di certezza, possa essere la stessa Corte costituzionale, ove ritenga fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in questa sede, a indicare erga omnes - come gia' ha fatto nella sentenza n. 242/2019 - la possibilita' che l'area di non punibilita', nella sua eventuale nuova estensione, operi anche riguardo a fatti anteriori alla data della stessa declaratoria di incostituzionalita', purche' l'agevolazione al suicidio sia stata prestata con modalita' anche diverse da quelle indicate, ma idonee comunque sia a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti. 2.2.3. Il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale Nel caso di specie va esclusa la sussistenza del requisito della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale. Preliminarmente, salvo le precisazioni che saranno fatte in seguito, va ribadito che, in base a quanto emerge dagli elementi di fatto acquisiti in fase di indagini (attraverso l'assunzione a sommarie informazioni di medici di medicina generale e medici specialisti che hanno avuto in cura il paziente), S... non era concretamente sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, ne' lo stadio di avanzamento della sua patologia richiedeva tali trattamenti. Questo giudice e' consapevole delle diverse letture che del requisito in esame sono state fornite nel dibattito dottrinale e nella elaborazione giurisprudenziale che ha seguito la sentenza della Corte costituzionale. Punto di partenza generalmente riconosciuto e' che la stessa Corte costituzionale non ha dato, ne' nell'ordinanza n. 207/2018, ne' nella sentenza n. 242/2019, una definizione analitica e sistematica dei «trattamenti di sostegno vitale». Vi e' soltanto, nell'ordinanza, il riferimento - con evidente valenza esemplificativa - a «trattamenti [...] quali la ventilazione, l'idratazione o l'alimentazione artificiali». Tali indicazioni, sia pur minimali, hanno trovato facile e soddisfacente applicazione nel procedimento da cui era sorto l'incidente di costituzionalita', posto che in quel caso la sopravvivenza del paziente richiedeva, tra l'altro, un respiratore artificiale e nutrizione intraparietale, ossia trattamenti di immediata e indiscutibile riconducibilita' alla condizione indicata dalla Corte costituzionale (cfr. Corte d'assise di Milano, sentenza 29 dicembre 2019, p. 12). I primi problemi interpretativi hanno iniziato a porsi quando sono emerse vicende concrete in cui i pazienti, che avevano ottenuto l'assistenza al suicidio all'estero, versavano in condizioni di salute sostanzialmente analoghe a quelle prese in considerazione dalla Corte costituzionale, ma - per le peculiarita' della patologia da cui erano affetti o per lo stadio a cui questa si trovava - non erano dipendenti da un respiratore artificiale o da altri macchinari. I commentatori prima e la giurisprudenza di merito poi hanno presto ritenuto che una corretta interpretazione del requisito in esame non dovesse essere limitata alla mera «dipendenza da una macchina», potendo abbracciare un ampio novero di ipotesi: quelle in cui il trattamento di sostegno vitale sia realizzato, oltre che «con l'ausilio di macchinari medici», «con terapie farmaceutiche o con l'assistenza di personale medico o paramedico»; caratteristica propria degli interventi in questione sarebbe la circostanza che si tratterebbe pur sempre di «trattamenti interrompendo i quali si verificherebbe la morte del malato, anche in maniera non rapida» (cfr. Corte d'Assise di Massa, sentenza 27 luglio 2020, p. 30-31). Sulla base di tali principi, ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto esistenti tutti i requisiti indicati dalla Corte costituzionale in un caso in cui la sopravvivenza del paziente era strettamente legata alla somministrazione di numerosi farmaci volti a stabilizzare le funzioni vitali e da un delicato equilibrio nel loro dosaggio, nonche' dalla necessita' di intervenire periodicamente con manovre di evacuazione manuale finalizzate a evitare occlusioni potenzialmente fatali. Nel caso qui in esame, il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, dotato di questa - condivisibile - latitudine, non potrebbe pero' riconoscersi sussistente: da quanto emerso dalle indagini, S... non beneficiava di alcun supporto meccanico (ne' in termini di ventilazione, ne' di nutrizione o idratazione, ne' altro), non era sottoposto a terapie farmacologiche salvavita e non richiedeva manovre di evacuazione o interventi assimilabili. Occorre dunque verificare la possibilita' di letture alternative, anche al fine di adempiere al dovere di tentare un'interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione della cui illegittimita' si sospetta, prima di investire della relativa questione la Corte costituzionale. Un primo possibile percorso potrebbe consistere nel proseguire nell'opera di interpretazione «estensiva» del requisito in esame. Tale soluzione, sollecitata nella memoria difensiva degli indagati, e' - in parte, e con le precisazioni che seguiranno - gia' emersa nella giurisprudenza di merito. Nella sentenza della Corte d'Assise di Massa piu' volte citata (p. 35-36) si adombra la possibilita' che la non punibilita' dell'aiuto al suicidio sia riconosciuta, al ricorrere di tutti gli altri requisiti, anche quando il paziente si avvalga dell'aiuto di terzi soggetti che provvedano «ad aiutarlo nel mangiare e nel muoversi anche per andare al bagno». Per giungere a tali conclusioni la sentenza propone un ragionamento dichiaratamente analogico: una situazione in cui per l'espletamento delle funzioni essenziali e' necessario l'aiuto di altre persone (anche solo familiari o comunque soggetti privi di qualifiche e competenze specialistiche) ha un'affinita' di sostanza e di ratio con le ipotesi in cui si richiedono trattamenti sanitari (meccanici, farmacologici o assistenziali) indispensabili per il supporto alle funzioni vitali della persona. In altri termini, il requisito in esame dovrebbe essere interpretato in modo tale da includervi tutti i casi in cui «la sopravvivenza del malato dipende direttamente da altri [...], siano essi cose o persone». Una situazione non dissimile potrebbe ritenersi esistente nel caso di specie, in cui S..., per quanto conservasse integre tutte le altre funzionalita' corporee (compreso l'utilizzo della muscolatura involontaria e la capacita' di svuotamento intestinale), a causa della progressiva immobilizzazione degli arti richiedeva sempre con maggiore frequenza l'aiuto di terzi nello svolgimento di attivita' fisiologiche quotidiane. Tuttavia, ritiene questo giudice che una simile ricostruzione del requisito in esame non sia condivisibile. Il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale sembra in effetti composto, a sua volta, da due sotto-requisiti. Il primo concerne l'efficacia causale del trattamento stesso, ossia la sua natura di «sostegno vitale»: cio' potendosi riconoscere laddove, senza quel trattamento -evidentemente volto a supportare funzioni vitali dell'organismo - si verificherebbe la morte della persona, anche se in maniera non rapida. Tale nozione e' dotata di una propria portata espansiva, in quanto permetterebbe di dare rilievo a trattamenti - artificiali, farmacologici o assistenziali - che, pur lungi dal rivelarsi curativi (nel senso di idonei a condurre alla remissione completa della patologia e a una piena guarigione) e dunque impedire il decesso, potrebbero comunque ritardare la morte per un tempo sufficientemente apprezzabile. Si tratta, in altri termini, di valutare l'efficacia «vitale» del trattamento secondo un giudizio condizionalistico controfattuale declinato in concreto. Tale riflessione e' probabilmente alla base delle riflessioni svolte dalla giurisprudenza di merito sopra citata e richiamata anche dalla difesa nel caso di specie, nella parte in cui sottolineano il contributo determinante dell'aiuto ricevuto dall'esterno per la sopravvivenza del paziente. Tuttavia, il requisito in esame presuppone, ancor prima, che il paziente sia sottoposto a un qualche «trattamento»: ed e' sulla riconducibilita' delle ipotesi sopra prospettate alla nozione di trattamento qui rilevante che devono svolgersi alcune riflessioni critiche. In primo luogo, e in ordine di importanza, un dato interpretativo cruciale e' rappresentato dalla genesi stessa di tale condizione sostanziale nell'ambito dell'ordinanza e della sentenza della Corte costituzionale. Come anche osservato da piu' voci in dottrina, l'accertamento e la successiva declaratoria di illegittimita' si fondano - volendo risalire al nucleo essenziale della decisione - sul rilievo per cui la compressione dei diritti fondamentali del paziente determinata da un divieto penale assoluto di aiuto al suicidio e' contraria al canone di ragionevolezza, al diritto di autodeterminazione della persona e al principio di dignita' (quantomeno) nelle situazioni in cui l'ordinamento gia' riconosce tutela effettiva alla «decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l'interruzione dei trattamenti sanitari - anche quando cio' richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una redazione profonda continua e di una terapia del dolore)». Il riferimento esplicito e' a situazioni sostanziali riconducibili anche alla legge n. 219/2017, e sono appunto quelle situazioni che la Corte costituzionale contempla come oggetto della propria valutazione (nell'ordinanza) e, di conseguenza, della disciplina dalla stessa infine disegnata (nella sentenza). Allora, occorre pero' prendere atto di come la legge n. 219 - nella sua elaborazione, nel suo spirito, nel suo testo e nei suoi riferimenti costituzionali - concerna specificamente i trattamenti sanitari. Quali caratteristiche connotino la natura «sanitaria» del trattamento non e' indicato dalla legge, ma puo' ricavarsi in qualche misura, oltre che dal ricorso a una piana interpretazione letterale, dalla riflessione maturata, in dottrina e prima ancora nella letteratura medica, circa la possibilita' di ricondurre ai trattamenti sanitari nutrizione e idratazione artificiali, valorizzando - singolarmente e piu' spesso congiuntamente - indici quali la necessita' di previa valutazione medica, la prescrizione medica, il ricorso a disponitivi medici, il monitoraggio da parte del medico, etc. Ora, sembra quindi che anche i «trattamenti di sostegno vitale» di cui si discute ai fini della non punibilita' dell'aiuto al suicidio debbano essere intesi propriamente come trattamenti sanitari. Oltre a quanto detto sulla genesi del requisito (alla luce sia del caso concreto sia del riferimento normativo presi in considerazione dalla Corte costituzionale), non sembra convincente sostenere che l'assistenza prestata genericamente da terzi - ad esempio, per accompagnare il paziente in bagno o per agevolarlo nel mangiare - possa ricondursi all'insieme dei significati attribuibili alla parola «trattamenti», che non evoca un qualsiasi mero intervento esterno (sia pur con efficacia di «sostegno vitale»), ma una piu' pregnante e qualificata ingerenza sul corpo e sulla salute del paziente, nei termini sopra indicati. Evidentemente, non ogni «aiuto a vivere» (sia pur congiuntamente agli altri requisiti) puo', allo stato, giustificare la non punibilita' delle condotte di «aiuto a morire»: l'aiuto deve sempre estrinsecarsi nelle forme di un trattamento, e piu' precisamente di un trattamento sanitario, del tutto assente nel caso di specie. Neppure e' convincente invocare, come invece fatto dalla giurisprudenza di merito che finora ha avuto modo di pronunciarsi sul tema, il ricorso all'analogia (che peraltro implica, anche in tale ottica, una irriducibilita' di fondo, nel loro nucleo essenziale, tra le situazioni di «dipendenza da trattamenti» e di «dipendenza da persone»). Senza voler qui negare l'affinita' sostanziale (non tanto tra le situazioni sostanziali, quanto) tra le esigenze di tutela che connotano tali situazioni, l'ostacolo principale nei confronti di un ragionamento analogico sembra derivare dalla natura «eccezionale» della disposizione in esame. Anche se qui viene in rilievo un possibile ampliamento normativo in bonam partem, la materia di cui si tratta presuppone delicatissimi bilanciamenti tra interessi che, all'esito di spostamenti anche lievi della soglia di rilevanza penale, potrebbero essere pregiudicati in modo irreversibile e incompatibile con gli obblighi di tutela (non solo del diritto di autodeterminazione, ma anche del diritto alla vita) derivanti, a carico dello Stato, dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali (tra cui, in particolare, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo). E' pertanto quantomai opportuno che tali bilanciamenti non solo siano frutto di adeguata meditazione nelle opportune sedi secondo le regole della democrazia costituzionale, ma che, una volta raggiunti, non possano essere messi arbitrariamente in discussione per via di forzature ermeneutiche ad opera del singolo interprete, con effetti applicativi disomogenei e imprevedibili che, quand'anche favorevole al singolo autore del reato, sarebbero in grado di incrinare la funzione deterrente e orientativa del precetto rispetto alla tutela di valori essenziali -si direbbe, vitali - della convivenza civile. Tale consapevolezza impone una prudenza ancor piu' accentuata nel rispettare la divisione dei poteri, e suggerisce all'organo giudicante di affidare la propria opera ermeneutica al criterio meno instabile e controvertibile, oltre che piu' controllabile, ossia il criterio testuale, e a rifiutare letture che, ponendosi al di fuori di esso, sconfinino nell'analogia. Del resto, sembra opportuno osservare che, dilatando il requisito in esame fino all'estremo sopra ipotizzato, si giungerebbe a includere situazioni non solo ignorate (sottovalutate, non contemplate) dalla Corte costituzionale, ma da questa verosimilmente considerate ed escluse: con la conseguenza di determinare un risultato non solo praeter, ma addirittura contra legem. E' pertanto da escludere la legittima praticabilita' di una ulteriore espansione, per via semantica, del requisito in esame. Un secondo possibile percorso viene anch'esso suggerito nella memoria della difesa, sulla scorta di quanto sostenuto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano in una richiesta di archiviazione presentata nell'ambito di una vicenda sotto vari aspetti simile (anche se non identica) a quella per cui si procede. Secondo questa ricostruzione, che si propone quale «interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 580 del codice penale», potrebbero beneficiare della non punibilita' anche le ipotesi in cui, al ricorrere degli altri requisiti, non vi sono trattamenti di sostegno vitale in atto, qualora cio' dipenda dal fatto che il paziente stesso li abbia rifiutati in quanto «futili o espressione di accanimento terapeutico secondo la scienza medica, non dignitosi secondo la percezione del malato e forieri di ulteriori sofferenze per coloro che li accudiscono». In altri termini, il requisito dovrebbe considerarsi soddisfatto quando - riprendendo sempre parole della Procura di Milano - il limite di utilita' del trattamento si traduce in un limite di praticabilita' degli stessi: sicche', sembra di intendere, sarebbe inesigibile pretendere che il paziente vi si sottoponga. Tali argomenti - che peraltro, si nota per inciso, presuppongono pur sempre che il trattamento di cui si discute abbia natura «sanitaria», tanto da poter essere qualificato come accanimento terapeutico ai sensi della legge n. 219/2017, espressamente richiamata - non sembrano pero' condivisibili a questo giudice, e comunque non spendibili in questo procedimento. Anzitutto, va escluso che nel caso di specie ricorressero le condizioni che consentirebbero l'operativita' del criterio alternativo ora prospettato. Non solo S... non era sottoposto ad alcun trattamento di sostegno vitale, come piu' volte ribadito, ma risulta anche che: egli non ha mai rifiutato alcun trattamento di sostegno vitale (risulta soltanto il rifiuto di intraprendere, alcuni mesi addietro, un percorso terapeutico piu' invasivo, di incerto successo, e di prevalente valore analgesico); rispetto alla sua condizione, i medici che lo hanno avuto in cura non hanno neanche ipotizzato di intraprendere trattamenti che possano considerarsi di «accanimento terapeutico». Certo rimarrebbe la possibilita' di ritenere che, proprio alla luce di quest'ultimo punto, ogni trattamento possibile a cui fosse stato sottoposto S... sarebbe stato da considerarsi, per le caratteristiche della patologia e del suo stadio di avanzamento, ormai irreversibile, «inutile e sproporzionato», e dunque un «accanimento terapeutico» (ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge n. 219/2017). Tuttavia tale impostazione si scontra con ostacoli, a parere di questo giudice, insuperabile. Anzitutto, pare un salto logico ritenere che, quando non vi e' in corso alcun trattamento di sostegno vitale a motivo del fatto che non ne esistono di compatibili con la condizione di salute del paziente, si possa dire che tale situazione merita di essere equiparata a quelle incluse nell'area della non punibilita' motivando tale affermazione con l'argomento per cui ogni trattamento sarebbe da considerare accanimento terapeutico, dato che il paziente non ha bisogno di trattamenti. In altri termini, si dice: siccome il paziente non necessita di trattamenti di sostegno vitale, dovrebbe esservi sottoposto inutilmente, e sottoporcelo inutilmente configurerebbe accanimento terapeutico. La conclusione paradossale di tale ragionamento, pero', sarebbe che il paziente (inguaribile e sofferente) non sottoposto a trattamenti di sostegno vitale potrebbe essere lecitamente aiutato a morire proprio perche' non e' sottoposto a trattamenti di sostegno vitale: per qualsiasi paziente che non ne necessiti, evidentemente, e' un accanimento terapeutico essere sottoposto a trattamenti di sostegno vitale. In tal modo, lo si vede, si arriva a una totale abrogazione per via interpretativa del requisito indicato dalla Corte costituzionale. Del resto, e a fortiori, occorre ancora una volta richiamare l'attenzione sul dato letterale della causa di «non punibilita'» introdotta con la sentenza n. 242/2019. La disposizione vigente, a rigore, non richiede solo che la persona si trovi in una situazione di salute per cui la stessa «necessita» di trattamenti di sostegno vitale, ma richiede, con formulazione chiara e non controvertibile, che sia «tenuta in vita» da quei trattamenti: che vi sia cioe', non solo una situazione di bisogno (e dunque di appropriatezza medico-sanitaria), ma che vi sia una effettiva e attuale sottoposizione a tali trattamenti. Pertanto, che il supporto vitale non sia un «passo obbligato tra la vita e la morte» - come sostenuto in questa sede dalla difesa degli indagati e richiamato nella richiesta di archiviazione della Procura di Milano - puo' essere affermazione largamente diffusa nella comunita' medica, e condivisibile nel merito (per quanto si vedra' di seguito), ma pur sempre attinente al piano del «dover essere» e non a quello descrittivo del diritto positivo, perche' in insanabile contrasto con il dato normativo vigente. Poste tali premesse, va ribadito che, come detto, S... non era sottoposto a tali trattamenti, ne' ha rifiutato di esserlo, ne' i medici si sono astenuti dal sottoporvelo, perche' trattamenti del genere, per la sua condizione di salute, non ne esistevano ne' erano richiesti, nel momento in cui ha chiesto di essere aiutato a morire; il che impedisce anche di valutare se tali trattamenti di sostegno vitale ammontassero o meno a un «accanimento terapeutico», problema che semmai si sarebbe potuto porre in una fase piu' avanzata della malattia, quando manovre assai piu' invasive avrebbero forse avuto la capacita' di allungare di poco e tra molte sofferenze - in modo allora si', inutile e sproporzionato - la vita del paziente. In conclusione, e' dunque da escludere che l'aiuto a morire prestato dagli indagati a S... possa beneficiare della «non punibilita'» prevista dalla Corte costituzionale, anche secondo l'estensione che all'area di liceita' puo' essere attribuita sulla base di letture costituzionalmente orientate del dato normativo vigente che si avvalgano di una interpretazione sia pure estensiva del suo tenore letterale e semantico, o, in alternativa, delle potenzialita' offerte dal coordinamento sistematico con altre disposizioni dell'ordinamento. 3. La non manifesta infondatezza della questione. Ritiene questo giudice che il requisito costituito dalla necessita' che la persona sia «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», per come sopra ricostruito, presenti diversi profili di possibile contrasto con i parametri costituzionali. La premessa e' che tale requisito segna, se letto in negativo, il confine tra l'area di liceita' e l'area tuttora coperta dal divieto di aiuto al suicidio, e pertanto costituisce un limite per la persona desidera morire avvalendosi dell'aiuto altrui, in quanto disincentiva, tramite minaccia della sanzione penale, i terzi che intendessero apportare tale aiuto. 3.1. Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione In primo luogo la disposizione, in tale parte, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparita' di trattamento che determina tra situazioni concrete sostanzialmente identiche. A parita' di altre condizioni (in particolare l'irreversibilita' della malattia, l'intollerabilita' delle sofferenze che ne derivano e la capacita' di autodeterminazione dell'interessato), la liceita' della condotta di terzi finisce per dipendere dal fatto che la persona sia o meno tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Anzitutto, va osservato che l'avverarsi di quest'ultima condizione appare il frutto di circostanze del tutto accidentali, legate alla multiforme variabilita' dei casi concreti, in relazione alle condizioni cliniche generali della persona interessata (ad es., piu' o meno dotata di resistenza organica), al modo di manifestarsi della malattia da cui la persona e' affetta (ad es., connotata da uno stadio piu' o meno avanzato, oppure da una progressione piu' o meno rapida), alla natura delle terapie disponibili in un determinato luogo e in un determinato momento, nonche' dalle scelte che lo stesso paziente abbia fatto (ad es., rifiutando fin dall'inizio qualsiasi trattamento). La differenza nella disciplina attuale di tali situazioni e' irragionevole perche' l'unico elemento che in ipotesi le distingue - la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale - non porta con se', se presente, alcun elemento di segno positivo tale da giustificare una considerazione piu' benevola da parte dell'ordinamento, ne' esprime, se assente, maggiore meritevolezza o bisogno di pena dei terzi agevolatori. In altri termini, il requisito-criterio in esame appare incapace di operare una selezione razionale tra situazioni simili. Da un lato, la sussistenza o meno di tale requisito e' irrilevante per la sussistenza e per l'accertamento degli altri requisiti, da esso indipendenti sia a livello concettuale che pratico. E' una considerazione intuitiva quella per cui sia l'irreversibilita' della malattia sia la sofferenza che al malato ne deriva costituiscono aspetti slegati da un dato - lo si ribadisce: del tutto casuale - quale il tipo di trattamento che, il paziente riceve in un determinato momento: ne' la dipendenza da sostegni vitali implica irreversibilita' della malattia e sofferenza intollerabile, ne' irreversibilita' della malattia e sofferenza intollerabile implicano dipendenza da sostegni vitali (come il caso in esame dimostra in modo palese). Dall'altro lato, soprattutto, la sussistenza o meno di tale requisito e' irrilevante per la tutela dei diritti e dei valori che la Corte costituzionale ritiene essenziali nel bilanciamento di interessi sotteso alla regolazione della materia dell'aiuto a morire. Va infatti ricordato che, nell'ordinanza n. 207/2018 e nella sentenza n. 242/2019, la Corte ha indicato la necessita' di temperare le istanze di autodeterminazione e il principio di dignita' umana con le esigenze di tutela della vita umana, soprattutto delle persone piu' vulnerabili, presidiate dal divieto di cui all'art. 580 del codice penale. La Corte costituzionale e' poi tornata sul punto, con alcuni importanti chiarimenti, nella sentenza n. 50/2022, con cui ha dichiarato l'inammissibilita' del referendum abrogativo della fattispecie di omicidio del consenziente di cui all'art. 579 del codice penale: svolgendo considerazioni estendibili anche al reato qui rilevante, la Corte ha individuato la ratio di tale micro-sistema normativo nella opportunita' - o meglio, nella necessita' costituzionale - di tutelare non solo le persone strutturalmente piu' fragili, bensi' qualunque soggetto da condotte autodistruttive che possano essere, per le ragioni piu' varie, non sufficientemente meditate, e potenzialmente frutto di una decisione assunta, per motivi anche contingenti, in condizioni di vulnerabilita' soggettiva. Anche alla luce di tali principi orientativi, non sembra che il ricorrere di una situazione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale possa essere un criterio regolatorio idoneo e proporzionato all'obiettivo di tutela prefissato: certamente non puo' ritenersi che sia la sua presenza a giustificare la liceita' dell'aiuto al suicidio sul presupposto di un minor bisogno di tutela del bene vita nel caso di persone che versano in tale condizione (conclusione all'evidenza assurda e inaccettabile nel sistema); ma e' altrettanto vero che la sua presenza non apporta alcuna rassicurazione in ordine alla autenticita' («liberta' e consapevolezza») della decisione di morire, o alla «vulnerabilita'» della persona che la assume, pertanto non riveste alcun valore realmente protettivo. La preoccupazione dovrebbe piuttosto essere opposta, essendo semmai piu' elevato il rischio che una persona dipendente da trattamenti di sostegno vitale, per questo verosimilmente prossima alla morte, sia colta dalla tentazione di «lasciarsi andare» e che, anche a causa di pressioni esterne, possa cedere a decisioni che in altre condizioni non avrebbe preso: ma e' la stessa Corte costituzionale che si e' fatta carico di confutare questa obiezione, quando, nell'ordinanza n. 207/2018, ha indicato come l'ordinamento, con la legge n. 219/2017, abbia gia' ammesso la possibilita' di considerare validamente espressa la volonta' di morire proveniente da persone tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale, che, se capaci di autodeterminarsi, hanno diritto di ottenere l'interruzione delle cure. Ai profili di irragionevolezza e sproporzione rispetto ai legittimi obiettivi di tutela perseguiti dalla disciplina penale in materia, si aggiunge, come detto, una illegittima disparita' di trattamento tra situazioni analoghe. A tal proposito, e' importante segnalare che l'esigenza di evitare, anche in questa materia, una irragionevole discriminazione di trattamento tra categorie di pazienti in condizioni sostanzialmente simili e' stata riconosciuta testualmente dalla stessa Corte costituzionale, ancora una volta nell'ordinanza n. 207/2018, quando ha indicato, quale parametro di legittimita', i «principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive» (§ 9 del «considerato in diritto»). Allora i termini di confronto erano costituiti dai pazienti che potevano ottenere di morire tramite l'interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, da un lato, e i pazienti descritti dalle quattro condizioni enucleate dalla Corte, dall'altro. Oggi un parallelo simile, e una analoga esigenza di uguaglianza sostanziale in rapporto alle diverse condizioni (di salute), ricorre evidentemente tra pazienti tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale e pazienti - quali, ad esempio, i malati oncologici o affetti da patologie neurodegenerative, come nel caso di specie - che non possono accedere, spesso per le caratteristiche (accidentali) della loro patologia, a tali trattamenti, ma che sono parimenti irreversibili e costretti a patire sofferenze intollerabili, esponendosi a una agonia altrettanto se non piu' lunga. In conclusione sul punto, si ripropone la situazione gia' osservata dalla Corte costituzionale in relazione all'originario divieto assoluto di aiuto al suicidio: l'incriminazione, anche nella sua attuale portata, discrimina tra diverse categorie di pazienti, in modo irragionevole e sproporzionato, senza che tale disparita' possa «ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile» (ordinanza n. 207/2018, § 9 del «considerato in diritto»). 3.2. Il contrasto con gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione Le considerazioni svolte sin qui fanno emergere in parte profili di contrasto tra la disciplina vigente e ulteriori parametri costituzionali. Infatti, in una materia caratterizzata, al fondo, da un costante bilanciamento tra tutela della vita e liberta' di scelta (la classica coppia di opposti life/choice), la sospetta violazione dell'art. 3 della Costituzione rappresenta per cosi' dire la prova e la misura di una conseguente violazione delle istanze di liberta': cio' proprio perche', ferma l' inevitabilita' di una qualche forma di arretramento dell'autodeterminazione nel confronto con il valore antagonista (il bene vita), l'attuale assetto normativo, in quanto irragionevole, rende tale sacrificio sproporzionato, sconfinando dalla (legittima) compressione del diritto alla sua (illegittima) violazione. L'impossibilita' di accesso al suicidio assistito per le categorie di pazienti irreversibili e sofferenti ma privi del requisito di cui alla lettera c) si traduce in una ingiustificata lesione dei loro diritti fondamentali, e in particolare della «liberta' di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione» (Corte costituzionale, § 9 del «considerato in diritto»). Va osservato, infatti, che la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale certamente non e' una condizione di esistenza di tale diritto, ma ne rappresenta un limite, in quanto tale legittimo solo se giustificato da contro-interessi di analogo rilievo, che invece, come visto al punto precedente, non sembrano sussistere. Al contrario, la fattispecie costitutiva del diritto sembra risultare da due sole componenti essenziali, che emergono nitidamente dalle parole della Corte costituzionale - la malattia e la sofferenza - mentre non vi rientra affatto il trattamento che tale malattia o tale sofferenza eventualmente ricevano. Ma vi e' di piu'. Pretendere che, per poter ottenere un lecito aiuto a morire da parte di terzi, il malato sofferente sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale» non solo limita la liberta' del paziente, restringendone le possibilita' di manifestazione, ma ne condiziona l'esercizio in modo perverso, trasformando l'autodeterminazione nel suo contrario. Come osservato da alcuni commentatori, infatti, il requisito in esame puo' indurre la persona ad acconsentire a trattamenti di sostegni vitale con l'unico fine di soddisfare, in modo puramente formalistico, la condizione indicata dalla Corte costituzionale, per poi, subito dopo, chiedere l'accesso alla procedura per la morte assistita. Cio', appunto, anche quando, senza tale condizionamento, la persona avrebbe interrotto ben prima i trattamenti, o addirittura li avrebbe rifiutati fin dall'origine. Lo scenario che cosi' si delinea e' palesemente in contrasto con l'assetto ordinamentale, ormai cristallizzato dall'art. 1, comma 5, della legge n. 219/2017, che rimette unicamente alla scelta - libera - della persona la scelta se e come curarsi. Un paradosso reso ancor piu' netto dalla circostanza che tale innegabile compressione dell'autodeterminazione sarebbe presentata come funzionale all'esercizio della stessa autodetermina, quando invece questo obiettivo sarebbe raggiungibile senza passare da alcun previo sacrificio, ossia non imponendo de facto al paziente di accettare trattamenti, anche indesiderati. Ne' tale sacrificio appare meramente teorico e «giuridico»: e' facile rappresentarsi situazioni in cui ulteriori trattamenti, in ipotesi anche proporzionati dal punto di vista clinico, costituirebbero, per il paziente, fonte di sofferenze aggiuntive quantomai concrete. Il dato che si vuole evidenziare e' che, in una disciplina che dovrebbe tutelare adeguatamente non solo la vita, ma anche il diritto di autodeterminazione (terapeutica), la criticita' sta proprio nel richiedere che il paziente sia sottoposto a un trattamento, quale che esso sia: come detto, un ostacolo e una negazione del diritto che una consolidata tradizione interpretativa, da ultimo positivizzata dalla legge n. 219/2017, fonda nel combinato disposto degli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione. Concludendo sul punto, anche qui si ripropone la situazione gia' osservata dalla Corte costituzionale in relazione all'originario divieto assoluto di aiuto al suicidio: l'incriminazione, anche nella sua attuale portata, comprime in modo sproporzionato i diritti fondamentali del paziente, ancora una volta senza che tale limitazione possa «ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile». 3.3. Il contrasto con il principio di dignita'. Il principio della dignita' umana e' stato invocato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 207/2018 ai fini dell'accertamento dell'illegittimita' dell'art. 580 del codice penale nella sua versione previgente. Gli argomenti gia' spesi dalla Corte costituzionale restano validi anche per l'assetto normativo attuale. La violazione del principio, in tale occasione, era stata ravvisata nella circostanza per cui il divieto assoluto di aiuto al suicidio - ossia di una condotta che accelerasse i tempi del decesso, anche rispetto al decorso patologico naturale - avrebbe imposto alla persona «un'unica modalita' per congedarsi dalla vita» (l'interruzione dei trattamenti di sostegno vitale) e comunque esposto il paziente (anche una volta interrotte le terapie) «a subire un processo piu' lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignita' nel morire», anche nella prospettiva delle sofferenze cui cio' poteva esporre, di riflesso, «le persone che gli sono care». E' evidente, da tali passaggi, il collegamento con il profilo della dimensione temporale della morte: si tratta infatti di un aspetto del diritto di autodeterminazione (la scelta sul come e quando morire) che ha un peso primario nella decisione del paziente, che verosimilmente si orientera' nel senso della richiesta di aiuto a morire proprio nei casi in cui il decorso naturale sia percepito come troppo lento. In effetti, e' di senso comune l'idea per cui la prolungata attesa della morte possa comportare un maggior carico di sofferenza e di «pregiudizio» per i valori della persona, legato non solo al dolore derivante dalla malattia, ma anche alla contemplazione ormai disperata della propria agonia e della propria sorte, nonche' al fatto che a tale inevitabile declino possano assistere (o addirittura siano di fatto costrette ad assistere) persone care; a quest'ultimo proposito puo' essere anche valorizzato, quale forma di estrinsecazione della personalita', l'interesse che il paziente puo' avere a lasciare di se' una certa immagine, coerente con l'idea che egli ha di se'. Queste esigenze - prettamente concrete e nient'affatto ideologiche - possono trovare adeguata espressione nel concetto di dignita', inteso come rispetto della persona umana in quanto tale, nella sua dimensione soggettiva e nella dimensione della sua esperienza sensibile. Muovendosi in questa prospettiva, anche il quadro normativo vigente si espone a dubbi di legittimita' costituzionale in quanto finisce per imporre al paziente irreversibile e sofferente di attendere, anche per lungo tempo, quello che ormai e' inevitabile, ossia che la malattia si aggravi fino allo stadio in cui si renda necessaria l'attivazione di trattamenti di sostegno vitale (momento da cui peraltro andra' computato un ulteriore lasso di tempo per la procedura che porta alla morte assistita). Cosi' facendo, da un lato, si frustra l'esigenza sostanziale sottesa alla ratio della decisione della Corte costituzionale (risparmiare alla persona morente un lento avvicinamento alla morte, consentendo l'intervento di terzi che lo abbrevino): e' infatti proprio chi non dipende da un trattamento di sostegno vitale, e dunque non potrebbe morire semplicemente interrompendo tale trattamento, che necessita dell'aiuto esterno per congedarsi secondo la propria idea di dignita' (intesa, come detto, anche in funzione della variabile tempo). Dall'altro lato, inoltre, una simile disciplina puo' addirittura rappresentare un fattore di pericolo per la conservazione del bene vita e per il rispetto della dignita' della persona: che l'aiuto al suicidio rientri nella dimensione della «legalita'» solo a condizione che la malattia degeneri fino a una fase terminale, rischia di incentivare agiti suicidari da parte soggetti che, comprensibilmente non intenzionati ad attendere la fine inesorabile, non potendo ricorrere all'aiuto di terzi, decidano di darsi la morte in completa autonomia, fuori dai controlli e dalle garanzie offerte dal circuito «legale» e con modalita' prive di adeguata supervisione medica, spesso anche cruente e certo non conformi al concetto generalmente riconosciuto di dignita'. Situazioni del genere, in cui la persona (malata e sofferente), pur non di non attendere inerme la morte, e' abbandonata e costretta a ricorrere ai mezzi piu' disparati per darsi la morte, rende indubbiamente la scelta di morire, di per se' gia' «scelta tragica», anche «crudele» (secondo l'espressione utilizzata dalla Corte costituzionale del Canada per descrivere la condizione di chi si trova costretto a togliersi la vita in solitudine per timore di non poter ottenere un lecito aiuto da altri). D'altra parte, richiedere che ai fini della liceita' dell'aiuto al suicidio il paziente debba spingersi ai propri limiti - vedendo la propria condizione di salute degenerare e sobbarcandosi un carico aggiuntivo di sofferenze - significa pretendere - in mancanza di concreti obiettivi di tutela a cui cio' potrebbe essere funzionale - una resistenza e uno spirito di sacrificio giustificabili solo con una malintesa idea di etica, virtu' e «perfezione morale», inammissibile in un ordinamento ispirato al principio personalista, di cui il principio di dignita' puo' ritenersi un riflesso. 3.4. Il contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Del resto, il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale risulta distonico anche rispetto al sistema sovranazionale di tutela dei diritti fondamentali della persona, rilevante come parametro interposto di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. In particolare, in ambito della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella materia dell'aiuto vengono in rilievo i due poli costituiti dall'art. 2 (diritto alla vita) e dall'art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Secondo il quadro desumibile dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (sin dalla sentenza 29 aprile 2002, Pretty comma Regno Unito), le disposizioni che limitano la liceita' dell'aiuto al suicidio rappresentano interferenze nella liberta' di autodeterminazione della persona che, a livello convenzionale, rientra nel diritto di cui all'art. 8. Il criterio per verificare la legittimita' di misure legislative restrittive di tale diritto fondamentale e' rappresentato dal par. 2 dell'art. 8, che legittima ingerenze dello Stato solo in quanto volte a un fine legittimo e necessarie, tra le altre ipotesi, a «proteggere ... i diritti altrui», tra cui indubbiamente rientra il diritto alla vita, riconosciuto dall'art. 2 della stessa Convenzione. Ora, subordinare l'aiuto al suicidio di una persona capace di autodeterminarsi al requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale rappresenta senz'altro - come qualsiasi forma di limitazione della liberta' della persona di decidere tempi e modi della propria morte - una compressione del diritto al rispetto della vita privata e familiare; una compressione che tuttavia, per quanto visto in precedenza, non appare funzionale (e tantomeno «necessaria», come richiederebbe la Convenzione) alla tutela del diritto alla vita, o che comunque sacrifica in modo sproporzionato l'interesse a morire della persona che abbia preso tale decisione in modo libero e consapevole. Ferma la mancata giustificazione, e comunque la sproporzione, dell'ingerenza statale nel diritto di autodeterminazione del paziente, si potrebbe sostenere che lo Stato mantenga comunque un margine di apprezzamento in ordine al bilanciamento tra tali diritti, compreso nello spazio tra la necessita' di assicurare un minimo di tutela alle persone vulnerabili (garantito dall'art. 2), e la necessita' di assicurare uno spazio di effettivita' alla liberta' di autodeterminazione nelle questioni di fine vita (garantito dall'art. 8): margine di apprezzamento di cui l'ordinamento farebbe applicazione nel prevedere, tra le altre, la «dipendenza da trattamenti di sostegno vitale» quale condizione di liceita' dell'aiuto al suicidio. Tuttavia, un simile ragionamento trova un ulteriore e diverso ostacolo convenzionale nell'art. 14 della Convezione europea dei diritti dell'uomo: una volta che la normativa statale ammette la liberta' di essere aiutati a morire per i malati irreversibili e sofferenti, il godimento di tale liberta' - che, come detto, trova fondamento anche nella Convenzione - «deve essere assicurato senza nessuna discriminazione» in base non solo ai criteri «consueti» (razza, sesso, opinioni, etc.), ma anche a «ogni altra condizione personale», tra cui evidentemente rientra la condizione - del tutto accidentale - di chi si trovi sottoposto o meno a un trattamento di sostegno vitale. Quello che oggi non rappresenta un esito imposto del bilanciamento di interessi che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali affida allo Stato, lo diventa una volta che lo Stato stesso, esercitando il proprio legittimo margine di apprezzamento, abbia stabilito un determinato assetto di disciplina, nel calibrare il quale rimane appunto libero, ma con il limite - questo si' vincolante - del principio di non discriminazione nella tutela e nel godimento dei diritti convenzionalmente riconosciuti. 4. L'intervento richiesto alla Corte costituzionale. Si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare illegittimo l'art. 580 del codice penale, nella versione modificata dalla stessa Corte con sentenza n. 242 del 2019, nella parte in cui richiede che la non punibilita' di chi agevola l'altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l'aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Occorre sottolineare che cio' non significa chiedere una smentita dei principi gia' enunciati dalla Corte nella sentenza n. 242/2019, ne' tanto meno una impugnazione surrettizia della sentenza, in violazione dell'art. 137, comma 3, della Costituzione. In tale occasione la Corte ha infatti individuato un minimum di tutela da riconoscersi ai diritti fondamentali del paziente (soglia sotto la quale ha definitivamente accertato che si verifica senz'altro una intollerabile compressione di valori costituzionalmente protetti), prendendo in considerazione - sia nel valutare l'illegittimita' della disciplina previgente, sia nel disegnare il perimetro della nuova area di liceita' - «specificamente situazioni come quella oggetto del giudizio a quo» (cfr. ordinanza n. 207/2018, § 8 del «considerato in diritto»). Evidentemente cio' non impedisce che lo stimolo derivante dalla casistica, e in particolare dalla variabile conformazione di nuove fattispecie concrete, possa determinare la Corte - analogamente a quanto avvenuto nel giudizio che ha portato alla sentenza n. 242/2019, e analogamente a quanto avviene in altre materie con ripetuti interventi demolitori a carattere puntuale - a pronunciarsi nuovamente: il senso di tale intervento e' infatti la necessita' di sfaldare progressivamente il divieto di aiuto al suicidio previsto dal codice penale, che, gia' superato nella sua originaria assolutezza, conserva ancora una portata sovraestesa, che necessita di ulteriore erosione, per eliminare i residui di illegittimita' costituiti non tanto dai requisiti della «non punibilita'», bensi' -guardando la fattispecie in negativo - dai perduranti spazi di rilevanza penale della condotta, che solo la prassi consente progressivamente di individuare e censurare alla luce dei parametri costituzionali, cosi' come oggi interpretati.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti della legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 580 del codice penale, come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilita' di chi agevola l'altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l'aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale», per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale. Sospende il procedimento in corso e i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli indagati, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, 17 gennaio 2024 Il giudice per le indagini preliminari: Di Girolamo