N. 112 ORDINANZA 18 aprile - 3 maggio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro e occupazione - Conversione del contratto a tempo  determinato
  - Risarcimento in favore  del  lavoratore  -  Attribuzione  di  una
  indennita' nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo
  di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto,  ovvero
  di 6 mensilita' in presenza di  contratti  collettivi  -  Efficacia
  della nuova normativa nei giudizi pendenti - Asserita irragionevole
  riduzione del risarcimento conseguibile dal lavoratore  secondo  il
  diritto comune - Questioni gia' dichiarate non fondate -  Manifesta
  infondatezza. 
- Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 24, 111 e 117. 
(GU n.19 del 9-5-2012 )
  


				 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici: Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,
  Mario Rosario MORELLI, 
      
ha pronunciato la seguente 


				 
                              Ordinanza 

 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  32,  commi
5, 6 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo  in
materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di  congedi,
aspettative  e  permessi,  ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per
l'impiego,  di  incentivi  all'occupazione,  di   apprendistato,   di
occupazione femminile, nonche' misure contro  il  lavoro  sommerso  e
disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),
promosso dalla  Corte  d'appello  di  Potenza,  sezione  lavoro,  nel
procedimento vertente tra A. S. e l'E. B. s.p.a., con ordinanza del 9
giugno 2011, iscritta  al  n.  250  del  registro  ordinanze  2011  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,  prima
serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  21  marzo  2012  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella. 
    Ritenuto che la Corte d'appello di Potenza, sezione  lavoro,  con
ordinanza del 9 giugno 2011, ha sollevato questioni  di  legittimita'
costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 4,  24,  111  e  117
della Costituzione, dell'articolo 32, commi 5, 6 e 7, della  legge  4
novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di  lavori
usuranti, di riorganizzazione di  enti,  di  congedi,  aspettative  e
permessi,  ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro); 
        che il rimettente espone in punto di fatto che  con  sentenza
n. 50 in data 23 febbraio 2010 il Tribunale di Potenza,  in  funzione
di giudice del lavoro, respingeva la domanda - proposta da A. S.  con
ricorso in data 6 marzo 2008 - avente ad oggetto la  declaratoria  di
nullita' della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro
subordinato stipulati con la societa' per azioni E.  B.  in  date  10
gennaio 2000  e  27  aprile  2000;  che  avverso  tale  decisione  il
lavoratore  interponeva  gravame   chiedendo   l'accoglimento   delle
domande, originariamente proposte,  di  accertamento  e  declaratoria
della nullita' del termine apposto ai contratti di lavoro subordinato
stipulati inter partes con decorrenze 10 gennaio  2000  e  27  aprile
2000, con conseguente  instaurazione  di  un  unico  ed  ininterrotto
rapporto di lavoro a tempo pieno ed  indeterminato  a  far  data  dal
primo contratto ovvero, in subordine,  dal  secondo,  e  di  condanna
della  societa'  resistente,  ora  appellata,  alla  riammissione  in
servizio dalla data di cessazione del rapporto o, in subordine, dalla
data dell'offerta delle prestazioni,  nonche'  al  pagamento  in  suo
favore di tutte le retribuzioni mensili arretrate, anche a titolo  di
risarcimento danni, con decorrenza dalla  scadenza  del  termine  del
primo contratto, ovvero, in subordine, del  secondo  ovvero,  in  via
ulteriormente gradata, dalla data  del  tentativo  di  conciliazione,
nonche' alla copertura contributiva in favore del ricorrente  per  il
periodo di mancata prestazione lavorativa;  che  nella  pendenza  del
giudizio, il 24 novembre 2010, entrava in vigore la legge n. 183  del
2010; che in base alle censurate disposizioni dell'art. 32,  in  caso
di accoglimento del gravame  e,  quindi,  di  riforma  dell'impugnata
decisione in ordine alla declaratoria di nullita' della clausola,  la
condanna al risarcimento del danno da emettere a carico del datore di
lavoro in favore del lavoratore avrebbe  dovuto  essere  commisurata,
non  gia',  come  richiesto,  al  monte   retributivo   maturato   da
quest'ultimo dalla data di notifica dell'atto di costituzione in mora
del creditore all'effettiva riammissione in servizio, bensi', con una
limitazione quantitativa della pretesa avanzata, ad  una  «indennita'
onnicomprensiva [...] tra un minimo  di  2,5  ed  un  massimo  di  12
mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto  riguardo
ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15  luglio  1966,  n.
604»  (indennita'  secondo  alcuni  comprensiva  anche  del   credito
previdenziale ed assistenziale); 
        che,  in  diritto,  il  giudice  a  quo,  ritenute  le  norme
censurate rilevanti ai fini del decidere,  osserva,  con  riferimento
alla  non  manifesta  infondatezza,  che  la   normativa   sospettata
d'illegittimita' - peraltro limitatamente alla sua applicabilita'  ai
giudizi pregressi, in quanto immuni dal termine di decadenza previsto
per quelli da instaurare in futuro - violerebbe i seguenti  parametri
costituzionali: «a) l'art. 3 Cost. per l'evidente irragionevolezza di
limitare il risarcimento del danno a  carico  della  parte  che  alla
nullita' non abbia dato causa, senza aver prima apprestato le cautele
necessarie a limitare i tempi fonte di quei danni; b) gli artt. 24  e
111 Cost. per lesione dell'effettivita' della tutela giurisdizionale,
a suo avviso divenuta ex lege non  integralmente  risarcitoria  senza
giustificazione alcuna; c) l'art. 4 per la menomazione  della  tutela
del diritto al lavoro, secondo  alcuni  anche  con  "estinzione"  del
credito previdenziale; d) l'art. 111 Cost. nella  misura  in  cui  il
principio  del  giusto  processo  sia  applicabile  anche  alla  fase
introduttiva del giudizio e  quindi  alle  misure  acceleratorie  dei
tempi di reazione alla condotta ritenuta illegittima; e) l'art.  117,
primo comma, Cost. con l'interposizione dell'art. 6 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata  e  resa
esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1955, n. 848,  per  denunciata
insussistenza  delle  ragioni   di   interesse   generale   tali   da
giustificare una siffatta  incidenza  del  potere  legislativo  nella
giurisdizione, essendo la norma applicabile  solo  a  casi  specifici
(contratti di lavoro a tempo determinato convertiti) e a  determinati
giudizi (quelli  introdotti  prima  della  sua  entrata  in  vigore),
esclusivamente nell'ambito di rapporti di  diritto  privato  e  senza
efficacia di sanatoria di situazioni, ancorche' irregolari,  comunque
riconducibili ad interessi socialmente rilevanti, cosi' da risolversi
a  favore  del  datore  di  lavoro,  non  solo  comunemente  ritenuto
contraente forte, ma soprattutto autore della clausola nulla»; 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso per  la  inammissibilita'  e/o  manifesta
infondatezza della questione. 
    Considerato che il collegio  rimettente  censura  l'articolo  32,
commi 5, 6 e 7, della legge 4  novembre  2010,  n.  183  (Deleghe  al
Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione  di  enti,
di  congedi,  aspettative  e  permessi,  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro), per violazione degli artt. 3, 4, 24,  111  e
117, primo comma, della Costituzione; 
        che tali disposizioni, applicabili anche ai giudizi in  corso
ai sensi del successivo comma 7, prevedono che (comma 5) nei casi  di
conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il
datore  di  lavoro  a  risarcire  il   lavoratore   in   ragione   di
un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo  di
2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima  retribuzione  globale
di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della  legge
15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti  individuali)  e  che
(comma 6), in presenza di contratti collettivi di qualsiasi  livello,
purche' stipulati con le  organizzazioni  sindacali  comparativamente
piu'   rappresentative   sul   piano   nazionale,   che   contemplino
l'assunzione,  anche  a  tempo  indeterminato,  di  lavoratori   gia'
occupati  con  contratto  a   termine   nell'ambito   di   specifiche
graduatorie, il limite massimo della suddetta indennita'  e'  ridotto
alla meta'; 
        che questa Corte, con la sentenza n. 303 del 2011, successiva
all'atto di promovimento dell'odierno giudizio, ha dichiarato la  non
fondatezza di questioni pressoche' identiche a quelle in  esame,  ora
essenzialmente incentrate dalla Corte rimettente  sulla  legittimita'
dell'efficacia  retroattiva  della  nuova   normativa   nei   giudizi
pendenti, perche'  in  tesi  riduttiva  del  risarcimento  del  danno
conseguibile dal lavoratore secondo il diritto  comune  senza  alcuna
giustificazione a suo avviso plausibile; 
        che nella recente pronuncia da ultimo citata questa Corte  ha
escluso  il  denunciato  contrasto  delle  disposizioni  anche   oggi
censurate, altresi'  in  quanto  applicabili  ai  giudizi  in  corso,
rispetto a tutti i parametri costituzionali qui nuovamente evocati; 
        che, in particolare, questa Corte ha preliminarmente chiarito
-  contro  la  denunciata  irragionevolezza  ex  art.  3  Cost.   del
trattamento indennitario forfetizzato  introdotto  dalla  riforma  in
oggetto per tutti i giudizi, instaurati ed instaurandi - che la ratio
della novella va ricercata nell'esigenza di  superare,  mediante  «un
criterio  di  liquidazione  di  piu'  agevole,  certa   ed   omogenea
applicazione», le obiettive incertezze  registratesi  nell'esperienza
applicativa dei principi di commisurazione  del  danno  alla  stregua
della legislazione previgente, specie in punto di  aliunde  perceptum
da porre in detrazione dal pregiudizio in concreto  risarcibile,  che
avevano  dato  luogo   ad   esiti   risarcitori   ingiustificatamente
differenziati in misura eccessiva; 
        che,  quindi,  questa  Corte  ha  rilevato  che  l'indennita'
prevista dall'art. 32, commi 5 e 6,  della  legge  n.  183  del  2010
integra la conversione del  contratto  di  lavoro  a  termine  in  un
contratto di lavoro a tempo indeterminato (foriera della tutela  piu'
"forte" che possa essere riconosciuta ad un  lavoratore  precario)  e
che essa e' dovuta in ogni caso (non essendo  ammessa  la  detrazione
dell'aliunde perceptum), con la conseguenza di  delineare  un  regime
risarcitorio, sotto  tale  profilo,  piu'  favorevole  al  lavoratore
rispetto a quello previgente; 
        che, in ultima analisi, questa Corte ha, dunque, ritenuto  la
normativa impugnata, nondimeno, rispetto a tutte le  situazioni  gia'
dedotte ad oggetto di giudizi pendenti, complessivamente  adeguata  a
comporre equilibratamente i contrapposti interessi del  lavoratore  e
del datore di lavoro, assicurando al primo, con la  massima  garanzia
della conversione del contratto di lavoro a termine in  un  contratto
di lavoro a tempo  indeterminato,  un'indennita'  sempre  e  comunque
sganciata dalla necessita' dell'offerta della prestazione e da  oneri
probatori di sorta; 
        che, di  conseguenza,  diversamente  da  quanto  opinato  dal
giudice a quo, l'indennita'  onnicomprensiva  in  oggetto  -  secondo
l'interpretazione  costituzionalmente  orientata  fornita  da  questa
Corte - non  puo'  dirsi  sproporzionata  a  sfavore  del  lavoratore
neppure sul versante dei giudizi in corso; 
        che a tale conclusione  non  ostano  ne'  la  carenza  di  un
termine per l'esercizio dell'impugnativa del lavoratore,  a  pena  di
decadenza, ne' la mancanza di meccanismi alternativi di  composizione
dei  conflitti,   come   la   conciliazione   (ancorche'   non   piu'
obbligatoria) e l'arbitrato, di contro previsti dalla  disciplina  "a
regime"  e  valorizzati  dalla  Corte  territoriale  rimettente  onde
giustificare la forfetizzazione del danno solamente per l'avvenire; 
        che, infatti, sotto il primo  profilo,  la  stessa  normativa
previgente  conosceva  strumenti  deflattivi  intesi  ad   una   piu'
sollecita  definizione  del  contenzioso,  come   il   filtro   della
conciliazione, allora obbligatoria ed ora meramente facoltativa (come
ricordato dal giudice  a  quo),  mentre  non  e'  affatto  certo  che
l'arbitrato,  ammesso  che  sia  applicabile  alle  controversie   in
subiecta specifica materia ai sensi dell'art.  31,  comma  10,  della
legge n. 183 del 2010, assicuri, di per se'  solo,  una  piu'  rapida
soluzione delle vertenze di lavoro; 
        che, quanto poi al termine decadenziale per  la  proposizione
delle domande giudiziali successive alla novella, il lavoratore,  pur
non astretto  da  decadenze  di  sorta,  era,  comunque,  onerato  ad
attivarsi tempestivamente per ridurre il danno anche  sotto  l'impero
della  normativa  previgente  (argomento  ex  art.  1227  del  codice
civile),  tant'e'  che  proprio  le  condotte  sotto   tale   aspetto
attendiste, variamente interpretate  in  giurisprudenza,  hanno  reso
plausibile un rimedio di piu' chiara  ed  univoca  applicazione  come
quello in esame; 
        che, d'altro canto, in ordine alla dedotta incongruenza della
mancata predisposizione delle «cautele necessarie a limitare i  tempi
fonte di quei danni», questa Corte ha gia' spiegato le  divaricazioni
dei   risarcimenti   attingibili   nei   singoli   casi,   a   fronte
dell'incontrollabilita' della durata del processo (di cui da' atto lo
stesso giudice a quo), come inconvenienti solo eventuali  e  di  mero
fatto, dunque, irrilevanti - secondo  la  consolidata  giurisprudenza
costituzionale - ai fini del presente giudizio di legittimita'; 
        che, inoltre, con riguardo alla prospettata lesione dell'art.
4 Cost., questa Corte ha una volta di  piu'  ribadito,  sempre  nella
menzionata sentenza  n.  303  del  2011,  che  «resta  affidata  alla
discrezionalita' del legislatore la scelta dei tempi e  dei  modi  di
attuazione della garanzia del diritto al  lavoro»,  in  questo  caso,
oltre tutto, da realizzarsi «mediante la  sancita  "conversione"  del
contratto di lavoro», mentre il presunto sacrificio  della  copertura
contributiva,  peraltro   indirettamente   adombrato   dal   collegio
rimettente senza una piu' chiara specificazione dell'assunto, non  e'
propriamente riconducibile alla sfera costituzionale del "diritto  al
lavoro"; 
        che    questa    Corte,    altresi',     ha     disconosciuto
l'incompatibilita' delle disposizioni in oggetto con l'art. 24  Cost.
- con cui, nella impostazione del giudice a quo, fa corpo l'art. 111,
secondo comma, Cost. - sul fondamento che in questa  sede  rileva  la
disciplina sostanziale delle conseguenze dell'illegittima apposizione
di un termine al contratto di lavoro  in  tema  di  risarcimento  del
danno sofferto del  lavoratore,  mentre,  secondo  la  giurisprudenza
consolidata di questa Corte, il presidio costituzionale  in  discorso
attiene al diritto alla tutela giurisdizionale (sentenza n.  419  del
2000); 
        che, ancora con specifico riguardo alla denunciata violazione
dell'art. 111 Cost., per difetto di «misure acceleratorie  dei  tempi
di reazione alla condotta ritenuta illegittima», e' da escludere  che
il principio costituzionale della  durata  ragionevole  del  processo
addirittura imponga la prescrizione di  termini  decadenziali  (o  di
altri  meccanismi  equivalenti)  intesi  a  sollecitare   l'esercizio
dell'azione; 
        che questa Corte, infine,  ha  ulteriormente  negato  che  la
retroattivita' del regime  semplificato  di  liquidazione  del  danno
dettato dall'art. 32, commi 5 e 6, della legge n. 183 del 2010 - come
disposta  dal  successivo  comma  7  -  abbia  prodotto  un'ingerenza
illecita del legislatore nell'amministrazione della  giustizia,  tale
da alterare la soluzione di una o piu' controversie  a  beneficio  di
una parte, tanto meno pubblica, in violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost. per il tramite dell'art. 6 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata e  resa  esecutiva  in
Italia con legge 5 agosto 1955, n. 848, e cio', innanzitutto, perche'
la innovativa disciplina in questione e' di carattere generale e,  in
ogni caso, perche' e' sorretta, con riferimento  alla  giurisprudenza
della Corte EDU, da  ragioni  giustificative  di  utilita'  generale,
nella specie ancorate al « [...] bisogno  di  certezza  dei  rapporti
giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi, anche
al fine di superare le inevitabili divergenze applicative  cui  aveva
dato luogo il sistema previgente»; 
        che, pertanto, non essendo state addotte, dal giudice a  quo,
ragioni sostanzialmente nuove o significativamente diverse da  quelle
gia' scrutinate nella sentenza n. 303 del 2011,  tutte  le  questioni
proposte devono essere dichiarate manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
      


				 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
      
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 32, commi 5, 6 e  7,  della
legge 4 novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, ammortizzatori sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),  sollevate,  in
riferimento agli articoli 3, 4, 24, 111  e  117  della  Costituzione,
dalla Corte d'appello di Potenza,  sezione  lavoro,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2012. 


				 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                      Luigi MAZZELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 

 
    Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2012. 


				 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI