N. 117 SENTENZA 7 - 10 maggio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento  civile  -  Giudizi  di  equa  riparazione   concernenti
  l'irragionevole durata dei processi amministrativi  e  contabili  -
  Competenza   territoriale   funzionale   della   Corte    d'appello
  determinata ai sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale  -
  Rilevanza della questione limitata ai processi celebrati davanti al
  giudice amministrativo. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25,  primo  comma,  e  111,
  secondo comma. 
Procedimento  civile  -  Giudizi  di  equa  riparazione   concernenti
  l'irragionevole durata dei  processi  amministrativi  -  Competenza
  territoriale funzionale della Corte d'appello determinata ai  sensi
  dell'art. 11 del codice di procedura penale - Censura  della  norma
  nella interpretazione enunciata dalle sezioni unite della Corte  di
  cassazione, costituente diritto vivente, alla quale  il  rimettente
  non ritiene di aderire - Ammissibilita' della questione. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25,  primo  comma,  e  111,
  secondo comma. 
Procedimento  civile  -  Giudizi  di  equa  riparazione   concernenti
  l'irragionevole durata dei  processi  amministrativi  -  Competenza
  territoriale funzionale della Corte d'appello determinata ai  sensi
  dell'art. 11 del codice di procedura penale -  Asserita  violazione
  del principio  del  giudice  naturale  precostituito  per  legge  -
  Asserita violazione del principio di ragionevolezza e del principio
  di  eguaglianza  -  Asserita   violazione   del   principio   della
  ragionevole durata del processo - Asserita violazione  del  diritto
  di azione - Insussistenza - Non fondatezza della questione. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, 25,  primo  comma,  e  111,
  secondo comma. 
(GU n.20 del 16-5-2012 )
  


				 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
ha pronunciato la seguente 


				 
                              Sentenza 

 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 3, comma 1,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del codice di  procedura  civile),  promosso  dalla
Corte di appello di  Caltanissetta,  nel  procedimento  vertente  tra
Morreale Stefania ed altri  e  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, con ordinanza del 20 aprile 2011, iscritta  al  n.  191  del
registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25 gennaio  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 


				 
                          Ritenuto in fatto 

 
    1. - La Corte di appello di Caltanissetta, con ordinanza  del  20
aprile 2011, ha sollevato, in  riferimento  agli  articoli  3,  primo
comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  3,  comma  1,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura  civile),  nella  parte  in
cui, secondo l'interpretazione assunta come diritto vivente, «dispone
che la competenza territoriale  funzionale  della  Corte  di  appello
determinata  ai  sensi  dell'art.  11  c.p.p.  si  estende  anche  ai
procedimenti iniziati avanti alla  Corte  dei  conti  ed  alle  altre
giurisdizioni di cui all'art. 103 Cost.». 
    2.  -  L'ordinanza  di  rimessione  premette  che   il   processo
principale ha ad oggetto  una  domanda  diretta  ad  ottenere  l'equa
riparazione per  l'irragionevole  durata  di  un  processo  in  corso
davanti  al  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la   Sicilia,
proposta inizialmente davanti alla Corte di  appello  di  Palermo;  i
ricorrenti, avendo quest'ultima dichiarato  la  propria  incompetenza
per territorio,  hanno  riassunto  il  giudizio  davanti  alla  Corte
rimettente. 
    Secondo il  giudice  a  quo,  la  giurisprudenza  prevalente,  di
legittimita' e di merito, aveva ritenuto che la  regola  dettata  dal
citato art. 3, comma 1, concernesse esclusivamente le domande di equa
riparazione relative ai processi celebrati davanti alla  magistratura
ordinaria; per le domande aventi ad oggetto  l'irragionevole  ritardo
dei giudizi amministrativi e contabili la competenza  per  territorio
doveva, invece, essere stabilita ai sensi dell'art. 25 del codice  di
procedura civile. Siffatto orientamento  e'  stato  rimeditato  dalle
sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con ordinanza del
16 marzo 2010, n. 6306, hanno ritenuto riferibile detta  disposizione
anche ai giudizi  di  equa  riparazione  concernenti  l'irragionevole
ritardo  dei  processi  amministrativi  e  contabili,  enunciando  un
principio divenuto diritto vivente. 
    Ad avviso del rimettente,  siffatta  norma  violerebbe  anzitutto
l'art. 25, primo comma, Cost.  La  disciplina  della  competenza  per
territorio, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  attiene,
infatti, alla nozione di giudice  naturale  precostituito  per  legge
(sentenza n. 41 del 2006) e le disposizioni che introducono eccezioni
alle regole generali di tale criterio di competenza dovrebbero essere
ragionevoli, soprattutto qualora  rendano  piu'  gravoso  l'esercizio
dell'azione. Il principio di precostituzione del giudice esige,  poi,
che l'organo giudicante non  sia  istituito  sulla  base  di  criteri
fissati in vista di singole controversie e  «la  nozione  di  giudice
naturale non si cristallizza soltanto  nella  determinazione  di  una
competenza generale,  ma  si  forma  anche  a  seguito  di  tutte  le
disposizioni di legge che possano derogare a tale competenza in  base
a  criteri  che  ragionevolmente  valutino  i   disparati   interessi
coinvolti nel processo» (sentenza n. 452 del 1997). 
    La   norma   censurata   violerebbe   il   suindicato   parametro
costituzionale, in quanto prevede anche per i giudizi ex lege  n.  89
del 2001 concernenti i processi amministrativi e contabili una deroga
della generale disciplina della competenza per territorio che sarebbe
priva di ragionevole giustificazione, non apparendo tale al giudice a
quo  «la  ricostruzione  teorica   ontologicamente   unitaria   della
competenza operata dalle sezioni unite». 
    Siffatta deroga non sarebbe, infatti, giustificata  dall'esigenza
di garantire «l'imparzialita' e terzieta' del giudice»,  poiche',  in
relazione a detti giudizi, non puo' «verificarsi alcuna  interferenza
tra giudici ordinari e le altre giurisdizioni» e l'art. 11 del codice
di procedura penale riguarda «solo i magistrati operanti  nell'ambito
della giurisdizione  ordinaria»  (Cass.,  sez.  un.  penali,  del  15
dicembre 2004, depositata il  13  gennaio  2005,  n.  292).  Inoltre,
questa Corte, con la sentenza n. 287 del 2007, avrebbe fatto  proprio
l'orientamento contrario all'applicabilita' dell'art.  11  c.p.p.  ai
giudizi  di  equa  riparazione  concernenti  processi  non  celebrati
davanti ai giudici ordinari. Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  detta
sentenza avrebbe negato l'ammissibilita' dell'estensione dell'art. 11
c.p.p.  ed  escluso  che  essa  sia   costituzionalmente   obbligata;
comunque,  avrebbe  affermato  che  detta   disposizione   non   puo'
comportare «una deroga generalizzata a plurime specifiche  regole  di
competenza, ciascuna adeguata a  garantire  il  pieno  esercizio  del
diritto delle parti di agire e di difendersi in un  singolo  tipo  di
controversia». Peraltro, la precedente esegesi  del  citato  art.  3,
comma 1, sarebbe stata  giustificata  dalla  considerazione  che  «il
pericolo per l'imparzialita' del giudice e' talmente ipotetico che e'
giustificato rimetterne comunque la valutazione alla discrezionalita'
del legislatore». 
    L'esigenza di evitare che i giudici ordinari chiamati a  decidere
le domande di equa riparazione siano prossimi a quelli  speciali  che
hanno definito i processi presupposti neppure sarebbe, poi, garantita
dalla norma censurata. L'organizzazione territoriale degli uffici dei
giudici non  ordinari  comporta,  infatti,  che  -  come  accade,  ad
esempio, nella Regione siciliana - la sezione regionale  della  Corte
dei conti «copre territorialmente  tutti  i  distretti  di  Corte  di
appello ordinari, qualunque  Corte  d'appello  decida  sul  ritardo»;
quindi, i giudici che fanno parte di  quest'ultima,  «in  ipotesi  di
apertura di procedimenti  di  responsabilita',  saranno  soggetti  al
giudice contabile», con la conseguenza che  «nessuno  spostamento  di
competenza,  entro  il  territorio  regionale,  evita   astrattamente
l'interferenza  stessa»,  ma  incrementa  la  durata  del   giudizio.
Quest'ultimo risultato si verificherebbe nel caso in  esame,  poiche'
la deroga della competenza per territorio della Corte di  appello  di
Palermo  in  favore  della  Corte   di   appello   di   Caltanissetta
comporterebbe, in  primo  luogo,  che  la  facolta'  delle  parti  di
chiedere  l'acquisizione  degli   atti   del   giudizio   presupposto
cagionerebbe un ritardo nello  svolgimento  di  tale  adempimento,  a
causa della  distanza  geografica  tra  dette  sedi  giudiziarie;  in
secondo luogo, determinerebbe la concentrazione dei giudizi  di  equa
riparazione «presso una piccola  Corte  di  appello  come  quella  di
Caltanissetta», dato che la gran parte dei giudizi  presupposti  sono
celebrati davanti ad uffici giudiziari (amministrativi  e  contabili)
ubicati  nel  distretto  della   Corte   di   appello   di   Palermo.
L'interpretazione divenuta regola di diritto  vivente  provocherebbe,
quindi, una «disfunzione dello  stesso  giudizio  che  deve  riparare
all'irragionevole durata del processo presupposto», in violazione sia
dei principi di ragionevolezza e di ragionevole durata del  processo,
sia dell'art. 3, comma  6,  della  legge  n.  89  del  2001,  poiche'
l'elevato numero dei giudizi di equa  riparazione  non  permetterebbe
alla Corte rimettente di definirli  entro  il  termine  stabilito  da
quest'ultima disposizione. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  norma  in  esame   neppure
«favorirebbe l'intera diffusione  del  contenzioso  presso  tutte  le
Corti d'appello, alleggerendo il distretto di Roma ove si trovano gli
organi di vertice». La circostanza che il  TAR  per  la  Sicilia  «ha
giurisdizione per l'intero territorio Regionale»  comporta,  infatti,
la concentrazione di tutte le domande di equa riparazione concernenti
processi celebrati da tale ufficio  giudiziario  davanti  alla  Corte
d'appello di Caltanissetta. Inoltre,  detta  interpretazione  neanche
garantirebbe una riduzione  del  carico  di  lavoro  della  Corte  di
appello di Roma, in riferimento ai giudizi per i quali  «un  segmento
del ritardo sia relativo al  giudizio  di  cassazione»  ed  a  quello
definito dagli altri organi giurisdizionali di vertice. 
    2.1. - La norma censurata violerebbe anche l'art. 3, primo comma,
Cost., poiche' la deroga della competenza  per  territorio  stabilita
dall'art. 11 c.p.p. non e' applicabile  neppure  ai  processi  penali
concernenti i magistrati amministrativi e contabili  e  neanche  sono
stabilite eccezioni alle ordinarie regole di competenza concernenti i
giudizi civili dei quali questi  siano  parte,  sicche'  non  sarebbe
ragionevole la previsione di una deroga per il solo giudizio di  equa
riparazione. 
    Inoltre, essa recherebbe  vulnus  all'art.  111,  secondo  comma,
Cost. ed al principio di ragionevole durata del processo, dato che la
Corte rimettente non sarebbe in condizione di decidere le domande  di
equa riparazione entro il termine stabilito  dall'art.  3,  comma  6,
della legge n. 89 del 2001 e cio' rischierebbe di  dare  vita  ad  un
ulteriore contenzioso, influendo negativamente  l'elevato  numero  di
detti processi sulla ragionevole durata di tutti  gli  altri  giudizi
attribuiti alla medesima. 
    La norma censurata violerebbe, poi, l'art. 24 Cost.,  poiche'  la
pregressa esegesi del citato art. 3, comma 1, non ledeva il principio
di    imparzialita'    e    terzieta'    del    giudice,    garantito
dall'«appartenenza dei giudici controllori e  controllati  ad  ordini
giurisdizionali diversi» (sentenza n. 287 del 2007) e dagli  istituti
dell'astensione e della  ricusazione.  Inoltre,  essa  determinerebbe
«uno  sbilanciamento,  non  necessario,  in   favore   dell'interesse
garantito  dall'art.  108,  comma  secondo,  Cost.»   ed   una   «non
giustificata compressione del diritto di difesa sancito dall'art.  24
Cost.», dato che, nei giudizi ex  lege  n.  89  del  2001,  la  parte
attrice  sarebbe   costretta   ad   adire   la   Corte   di   appello
geograficamente piu' distante,  individuata  ai  sensi  dell'art.  11
c.p.p. 
    La questione, conclude il rimettente, sarebbe, infine, rilevante,
poiche' il suo eventuale  accoglimento  comporterebbe  l'incompetenza
per territorio della Corte di appello di Caltanissetta a decidere  la
domanda proposta nel giudizio principale. 
    3. - Nel giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata manifestamente infondata. 
    La norma censurata non  violerebbe,  infatti,  l'art.  25,  primo
comma,  Cost.,  poiche'  la  scelta  con  essa   realizzata   sarebbe
ragionevole, tenuto conto delle argomentazioni svolte  dalle  sezioni
unite civili della Corte di cassazione  nell'ordinanza  n.  6306  del
2010,  in  larga  misura  riprodotte  nell'atto  di  intervento.   La
considerazione unitaria del giudizio  presupposto  sotto  il  profilo
della competenza garantirebbe, inoltre, un'uniforme applicazione  del
citato art. 3, comma 1, a tutti  i  giudizi  di  equa  riparazione  e
l'esigenza di un giudice terzo ed  imparziale.  L'interpretazione  in
esame non sarebbe,  inoltre,  irragionevole  e  non  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 3 Cost. anche  perche'  le  situazioni  poste  a
confronto dal rimettente non sarebbero omologhe. 
    L'art. 111, secondo comma, Cost. non sarebbe leso, in quanto tale
parametro «concepisce un giusto processo come canone "oggettivo"», in
virtu' del quale cio' che e' «imprescindibile e' la  possibilita'  di
esercizio della giurisdizione a tutela di situazioni  meritevoli,  ma
non l'imposizione di un modello  unico  e  valido  in  assoluto».  La
garanzia di imparzialita'  del  giudice,  tutelata  dalla  disciplina
della competenza per  territorio  stabilita  dalla  norma  censurata,
sarebbe rispettosa di detto canone e favorirebbe  la  diffusione  del
contenzioso, evitandone la concentrazione presso la Corte di  appello
di Roma ed assicurando in tal modo la durata ragionevole dei giudizi. 
    Secondo l'Avvocatura  generale,  sarebbe,  infine,  infondata  la
censura riferita all'art. 24 Cost., poiche' e' «irrazionale  ritenere
che la violazione del diritto di difesa sussista o meno a seconda che
il giudizio presupposto sia [celebrato] dinanzi al giudice  ordinario
oppure dinanzi a quello amministrativo». L'applicazione di uno stesso
criterio  di  competenza  a  tutti  i  giudizi  di  equa  riparazione
permetterebbe, invece, «di razionalizzare ed uniformare  il  riparto,
senza  in  alcun  modo  comprimere  la  tutela  giurisdizionale   del
cittadino». 


				 
                       Considerato in diritto 

 
    1. - La Corte di appello di Caltanissetta dubita, in  riferimento
agli articoli 3, primo comma, 24, 25, primo  comma,  e  111,  secondo
comma,  della   Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale
dell'articolo  3,  comma  1,  della  legge  24  marzo  2001,  n.   89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile), nella  parte  in  cui,  secondo  l'interpretazione
assunta come diritto vivente, «dispone che la competenza territoriale
funzionale della Corte di appello determinata ai sensi  dell'art.  11
c.p.p. si estende anche ai procedimenti iniziati  avanti  alla  Corte
dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all'art. 103 Cost.». 
    2. - Ad avviso del rimettente, detta norma violerebbe l'art.  25,
primo comma, Cost., in quanto  la  disciplina  della  competenza  per
territorio sarebbe preordinata a garantire il principio  del  giudice
naturale  precostituito  per  legge,  il  quale  esige  che  l'organo
giudicante non sia istituito sulla base di criteri fissati  in  vista
di singole controversie. Siffatto  parametro  costituzionale  sarebbe
leso, poiche' la norma censurata, per i giudizi di  equa  riparazione
concernenti l'irragionevole ritardo  dei  processi  amministrativi  e
contabili,  prevede  una  deroga  dell'ordinaria   disciplina   della
competenza  per  territorio   non   sorretta   da   una   ragionevole
giustificazione,  dato  che  per   essi   l'esigenza   di   garantire
«l'imparzialita' e terzieta' del giudice» non  renderebbe  necessaria
l'applicabilita' della regola stabilita dal citato art. 3,  comma  1,
come, peraltro, sarebbe  stato  affermato  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 287 del 2007. Inoltre, essa provocherebbe  un  incremento
della durata di detti giudizi, in contrasto con  la  finalita'  degli
stessi, sia a causa della maggiore difficolta' di acquisire gli  atti
del   processo   presupposto,   sia   perche'    determinerebbe    la
concentrazione di un elevato numero di processi presso una  Corte  di
appello di ridotte dimensioni qual e' quella di Caltanissetta. 
    La norma in esame  recherebbe  vulnus  anche  all'art.  3,  primo
comma, Cost., poiche'  la  deroga  della  competenza  per  territorio
stabilita dall'art. 11 c.p.p. non e' applicabile neppure ai  processi
penali che concernono  i  magistrati  amministrativi  e  contabili  e
neanche sono previste  eccezioni  all'ordinaria  disciplina  di  tale
criterio di competenza per i processi civili dei  quali  questi  sono
parte e, quindi, non sarebbe ragionevole la previsione di una  deroga
per il giudizio di equa riparazione. 
    Inoltre, essa si porrebbe in contrasto con  l'art.  111,  secondo
comma, Cost. e con il principio di ragionevole durata  del  processo,
dato che determinerebbe l'impossibilita' per la Corte  rimettente  di
decidere le domande di equa riparazione entro  il  termine  stabilito
dall'art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, e cio' rischierebbe
di dare luogo ad un ulteriore contenzioso, mentre l'elevato numero di
tali  processi  influirebbe  negativamente  anche  sulla  ragionevole
durata di tutti gli altri giudizi ad essa attribuiti. 
    La norma censurata violerebbe, infine, l'art. 24 Cost., in quanto
il  principio  di  imparzialita'  e  terzieta'  del  giudice  sarebbe
garantito dall'«appartenenza dei giudici controllori e controllati ad
ordini giurisdizionali diversi» e dagli  istituti  dell'astensione  e
della ricusazione. Inoltre, essa determinerebbe «uno  sbilanciamento,
non necessario, in  favore  dell'interesse  garantito  dall'art.  108
comma secondo, Cost.»  ed  una  «non  giustificata  compressione  del
diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost.», dato che, nei  giudizi
in esame, la parte attrice sarebbe costretta ad  adire  la  Corte  di
appello geograficamente piu' distante, individuata ai sensi dell'art.
11 c.p.p. 
    3.  -  In  linea  preliminare,  va  precisato  che  il   giudizio
principale ha ad oggetto  una  domanda  diretta  ad  ottenere  l'equa
riparazione per  l'irragionevole  durata  di  un  processo  in  corso
davanti  al  TAR  per  la  Sicilia;  la  questione  di   legittimita'
costituzionale  e',  dunque,  rilevante  esclusivamente  nella  parte
concernente l'applicabilita' della norma censurata ai giudizi ex lege
n. 89 del 2001 relativi  a  processi  celebrati  davanti  al  giudice
amministrativo. 
    Inoltre, occorre osservare che  le  sezioni  unite  civili  della
Corte di cassazione, investite della  questione  dell'interpretazione
del citato art. 3,  comma  1,  hanno  ritenuto  che  il  criterio  di
collegamento stabilito da questa disposizione  concerne  anche  detti
giudizi (ordinanza 16 marzo 2010, n. 6307; le  ordinanze  n.  6306  -
richiamata dal giudice a quo - e n. 6308,  rese  nella  stessa  data,
hanno, invece, deciso  la  questione  della  riferibilita'  di  detto
criterio alle domande relative all'irragionevole ritardo dei  giudizi
ordinari definiti in sede  di  legittimita',  benche'  abbiano  anche
confermato il principio enunciato dalla  prima  ordinanza).  Siffatta
interpretazione costituisce regola  di  diritto  vivente,  in  quanto
enunciata dalle sezioni unite nell'esercizio della  propria  funzione
nomofilattica (sentenza n. 338 del 2011) e, in seguito, costantemente
ribadita dalla stessa Corte (ex plurimis, ordinanze 30 dicembre 2011,
n. 30111; 31 agosto 2011, n. 17908; 29 novembre 2010, n.  24171).  La
premessa interpretativa dalla quale muove il rimettente  e',  dunque,
corretta e, costituendo la valutazione se uniformarsi o meno  a  tale
orientamento una facolta' del medesimo (sentenza n. 91 del 2004),  la
questione di legittimita' costituzionale  e'  ammissibile.  Essa  non
mira, infatti, ad ottenere un  avallo  dell'interpretazione  ritenuta
preferibile dal  giudice  a  quo,  ma  consiste  nella  denuncia  del
contrasto  della  stessa  con  i   parametri   costituzionali   sopra
richiamati (tra le piu' recenti, sentenze n. 293, n. 236 e n.  3  del
2010). 
    4. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1. - In relazione alle  censure  riferite  all'art.  25,  primo
comma,  Cost.,  occorre  premettere  che  il  principio  del  giudice
naturale deve ritenersi osservato  quando  «l'organo  giudicante  sia
stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in
anticipo e non in vista di singole controversie» (da ultimo, sentenza
n. 30 del 2011) e la competenza venga determinata attraverso atti  di
soggetti ai quali sia attribuito il  relativo  potere,  nel  rispetto
della riserva di legge esistente in tale materia (ordinanze n. 417  e
n.  112  del  2002),  come  accade  nella  specie.   La   regola   di
determinazione della competenza per territorio relativa ai giudizi in
esame e', infatti, stabilita in via generale e  preventiva  dall'art.
3, comma 1, della legge n. 89  del  2001,  disposizione  questa  che,
evidentemente, puo' e deve costituire oggetto di  interpretazione  da
parte dei giudici; l'eventuale sussistenza di un contrasto in  ordine
al significato da attribuire alla medesima non puo', per  cio'  solo,
farla ritenere lesiva del suindicato principio, come, invece, adombra
il rimettente. 
    Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore
dispone, inoltre, di ampia discrezionalita' nella conformazione degli
istituti processuali (tra le piu' recenti, sentenza n. 304 del  2011)
e, quindi, anche  nella  fissazione  dei  criteri  attributivi  della
competenza, con il solo limite della manifesta irragionevolezza delle
scelte compiute (ex plurimis, sentenze n. 52 del  2010;  n.  237  del
2007; n. 341 del 2006), che non e' violato dalla norma censurata. 
    La  tesi  contraria   e'   stata   argomentata   dal   rimettente
essenzialmente richiamando la sentenza di questa  Corte  n.  287  del
2007, della quale ha, tuttavia, offerto  una  lettura  non  corretta.
Questa pronuncia ha, infatti, deciso  la  questione  di  legittimita'
costituzionale del citato art. 3, comma 1,  proposta  in  riferimento
agli artt. 97, primo comma, e 108,  primo  e  secondo  comma,  Cost.,
nella  parte  in  cui,  secondo   l'interpretazione   sostenuta   dal
precedente (allora prevalente) orientamento della giurisprudenza,  il
criterio di determinazione  della  competenza  per  territorio  dallo
stesso stabilito non era applicabile ai giudizi di  equa  riparazione
concernenti i processi celebrati davanti ai giudici non ordinari.  La
sentenza, nel dichiarare infondata la questione, ha escluso che detta
esegesi recasse vulnus alla «garanzia della terzieta' e imparzialita'
del giudice», ma non ha affatto affermato  che  essa  fosse  la  sola
compatibile con le norme della Costituzione (tanto  meno  con  quelle
richiamate dal giudice a quo). 
    L'interpretazione  ora  divenuta  regola  di  diritto  vivente  -
censurata dalla Corte di appello di Caltanissetta - e' stata, quindi,
motivata, sottolineando, tra l'altro, che essa non e' impedita,  «sul
piano lessicale», dall'utilizzo nel citato art. 3, comma  1,  «di  un
termine (distretto) che e' proprio della distribuzione sul territorio
delle corti  di  appello»,  non  dei  giudici  amministrativi.  Detto
termine puo', infatti, «funzionare in modo identico» in  relazione  a
questi  ultimi,  venendo  «in  rilievo  la  sede   e   non   l'ambito
territoriale  di  competenza».  Il  legislatore  ha,  quindi,  inteso
«regolare gli effetti del fenomeno della durata non  ragionevole  del
processo, quale che sia il  giudice  davanti  al  quale  si  svolge»,
esprimendo la volonta' di stabilire una  specifica  disciplina  della
competenza  per   territorio,   mediante   l'impiego   della   parola
«distretto».   La   ratio   della   norma   censurata    e'    stata,
conseguentemente, identificata in quella di stabilire un'unica regola
di disciplina della competenza per territorio, valida in relazione  a
tutti i processi dei quali si denuncia l'irragionevole  durata  e,  a
questo scopo, e' stato recepito il criterio di collegamento stabilito
dall'art. 11 c.p.p. E' stata in tal modo realizzata la concentrazione
davanti ad uno stesso giudice dei giudizi ex  lege  n.  89  del  2001
concernenti tutti i processi celebrati in una stessa sede,  favorendo
una tendenziale omogeneita' di valutazioni in ordine alle ragioni del
ritardo ed alla liquidazione dei danni (specie, tra l'altro, nel caso
di giudizi seriali, ovvero con pluralita' di parti,  non  infrequenti
in materia amministrativa), al fine  di  soddisfare  un'esigenza  non
garantita dalla pregressa esegesi, divenuta particolarmente pressante
anche a causa dell'elevato numero dei giudizi  di  equa  riparazione,
«che fa ricadere sul  bilancio  dello  Stato  un  onere  sempre  piu'
gravoso». 
    A conforto della regola di diritto vivente in esame  sono  stati,
quindi, addotti argomenti ulteriori rispetto a  quello  di  garantire
l'imparzialita' e la terzieta'  del  giudice  dell'equa  riparazione,
idonei a fare escludere la manifesta  irragionevolezza  della  scelta
con essa realizzata, anche perche' la fissazione di  una  determinata
regola di  competenza  territoriale  bene  puo'  essere  giustificata
dall'esigenza di assicurare  l'uniformita'  della  giurisprudenza  in
relazione a determinate controversie (sentenza n. 189 del 1992). 
    Le  deduzioni  del  rimettente,  secondo  le   quali   la   norma
provocherebbe «un abnorme allungamento dei tempi di  definizione  del
processo», sia in quanto renderebbe meno agevole l'acquisizione degli
atti del processo presupposto da  parte  di  un  ufficio  giudiziario
ubicato in una localita' diversa da quella  dell'ufficio  davanti  al
quale esso e' stato celebrato, sia perche' determinerebbe un  aumento
del numero di affari giudiziari attribuiti ad «una piccola  Corte  di
appello come quella di Caltanissetta», sono manifestamente  incongrue
ed  inconferenti  rispetto  alla  censura  diretta  a  denunciare  la
violazione  dell'art.  25,  primo  comma,  Cost.  In  ogni  caso,  si
risolvono nella denuncia di asseriti (ed eventuali) inconvenienti  di
mero fatto, che, secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa
Corte, non rilevano ai fini del controllo di  costituzionalita'  (per
tutte, sentenze n. 303 del 2011 e n. 230 del 2010; ordinanze n. 290 e
n. 102 del 2011). 
    4.2. - Quest'ultima considerazione conduce a ritenere non fondata
anche la questione proposta in relazione all'art. 111, secondo comma,
Cost., sostenendo che la norma in esame porrebbe la Corte  rimettente
nell'impossibilita' di definire i giudizi di equa  riparazione  entro
il termine fissato dall'art. 3, comma 6, della legge n. 89 del  2001,
con il rischio di alimentare un ulteriore contenzioso e  di  incidere
sulla durata degli ulteriori affari alla stessa assegnati. 
    Siffatta argomentazione consiste, infatti,  nella  prospettazione
di  asserite  difficolta'  che  non  discendono  in  via  diretta  ed
immediata dalla norma in esame, ma deriverebbero da una situazione  e
da inconvenienti di fatto, irrilevanti in quanto  tali  ai  fini  del
giudizio di legittimita' costituzionale, ai  quali  va  eventualmente
posto rimedio (qualora  effettivamente  sussistano),  approntando  le
idonee ed opportune misure organizzative. 
    4.3. - Le censure riferite all'art. 3  Cost.  non  sono  fondate,
anzitutto perche' le considerazioni dianzi svolte hanno  permesso  di
negare la manifesta irragionevolezza della  scelta  realizzata  dalla
norma. Inoltre, il giudice che ha celebrato il  processo  presupposto
non e' parte del giudizio (civile) di equa riparazione e, quindi,  e'
chiara la diversita' (e non comparabilita') di detta  situazione  con
quella costituita sia dal giudizio penale, sia  dal  giudizio  civile
avente diverso oggetto, del  quale  sia,  invece,  parte  il  giudice
amministrativo. La disciplina dell'art. 11 c.p.p. e', poi, richiamata
dalla norma in esame per stabilire una regola di individuazione della
competenza per territorio unica per tutti i giudizi ex lege n. 89 del
2001, valida indipendentemente dalla giurisdizione davanti alla quale
e' stato celebrato il processo presupposto, allo scopo di assicurare,
all'esito di un non irragionevole bilanciamento  degli  interessi  in
gioco,  il  soddisfacimento  anche  delle  rilevanti  esigenze  sopra
richiamate, ulteriori rispetto a quella di garantire  l'imparzialita'
e la terzieta' del giudice. 
    4.4. - Infine, anche la censura proposta in relazione all'art. 24
Cost. non e' fondata. 
    Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  siffatto
parametro costituzionale e' vulnerato  quando  le  norme  processuali
pongano «condizioni "di  sostanziale  impedimento  all'esercizio  del
diritto di azione"» (tra le piu' recenti, sentenza n. 30  del  2011),
ovvero prevedano deroghe non ragionevoli della regolamentazione della
competenza per territorio (sentenza n. 231 del 1994).  Nella  specie,
la disciplina in esame, all'evidenza, non integra un  impedimento  di
tale natura, e cio' anche alla luce sia  della  non  irragionevolezza
delle motivazioni costituenti la ratio della regola divenuta  diritto
vivente e delle esigenze che essa mira a garantire, dianzi esaminate,
sia dei caratteri  di  semplicita'  e  rapidita'  che  improntano  il
giudizio  di  equa  riparazione  (tenuto   conto,   altresi',   delle
agevolazioni previste per il ricorrente  in  ordine  all'acquisizione
degli atti del processo presupposto, art. 3, comma 5, della legge  n.
89 del 2001). 
      


				 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo  3,  comma  1,  della  legge  24  marzo  2001,  n.   89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile), sollevata, in riferimento agli articoli  3,  primo
comma, 24, 25, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte di appello di Caltanissetta, con l'ordinanza indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2012. 


				 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 

 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012. 


				 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI