N. 120 SENTENZA 7 - 10 maggio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Periodi di  assenza  per  malattia  -  Trattamento
  economico nei primi dieci giorni di assenza  -  Corresponsione  del
  solo trattamento fondamentale con esclusione di ogni  indennita'  o
  emolumento,  comunque  denominati,   aventi   carattere   fisso   e
  continuativo,  nonche'  di  ogni  altro  trattamento  accessorio  -
  Asserita lesione del diritto alla salute, disparita' di trattamento
  in danno dei  lavoratori  pubblici,  lesione  del  diritto  ad  una
  retribuzione proporzionata e sufficiente, lesione del diritto  alla
  assistenza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. 
- D.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito nella legge 6 agosto  2008,
  n. 133), art. 71. 
- Costituzione, artt. 3, 32, 36 e 38. 
(GU n.20 del 16-5-2012 )
  


				 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
ha pronunciato la seguente 


				 
                              Sentenza 

 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  71  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni,  in  legge  6  agosto  2008,  n.  133,
promosso dal Tribunale di Livorno nel procedimento vertente tra  R.C.
ed altri e il Ministero  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca ed altro, con ordinanza del 5 agosto 2011, iscritta al n. 257
del registro ordinanze 2011 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  4  aprile  2012  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella. 


				 
                          Ritenuto in fatto 

 
    1. - Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del  lavoro,
con  ordinanza  del  5  agosto  2011,  ha  sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 32,  36
e 38 della Costituzione, dell'articolo 71 del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione  tributaria),  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133. Tale disposizione prevede, per quanto rileva  rispetto  ai  vizi
denunciati, che «1.  Per  i  periodi  di  assenza  per  malattia,  di
qualunque durata, ai dipendenti delle  pubbliche  amministrazioni  di
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,
n.  165,  nei  primi  dieci  giorni  di  assenza  e'  corrisposto  il
trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni  indennita'
o  emolumento,  comunque  denominati,  aventi   carattere   fisso   e
continuativo, nonche' di ogni  altro  trattamento  accessorio.  Resta
fermo il  trattamento  piu'  favorevole  eventualmente  previsto  dai
contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore  per  le
assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro  o  a  causa  di
servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonche' per
le  assenze  relative  a  patologie  gravi  che  richiedano   terapie
salvavita. I risparmi derivanti dall'applicazione del presente  comma
costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato
e concorrono per gli enti diversi dalle  amministrazioni  statali  al
miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme  non  possono  essere
utilizzate  per  incrementare   i   fondi   per   la   contrattazione
integrativa.  [...]  6.  Le  disposizioni   del   presente   articolo
costituiscono  norme  non  derogabili   dai   contratti   o   accordi
collettivi». 
    1.1. - Riferisce il giudice rimettente che R.C.,  A.B.,  M.R.  ed
altri,    tutti    dipendenti    del    Ministero    dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, avevano proposto ricorso innanzi ad
esso al fine di ottenere l'accertamento del loro diritto a  ricevere,
in caso di malattia, l'intero trattamento retributivo in busta  paga,
e non solo il trattamento "minimo o  fondamentale"  siccome  disposto
dal succitato  art.  71  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,  con
conseguente  condanna  del  Ministero  convenuto   a   corrispondere,
appunto, l'intero trattamento retributivo, spettante anche in caso di
malattia  del  lavoratore,   previa   disapplicazione   della   norma
censurata. Ne desume la centralita' della verifica della legittimita'
costituzionale della  norma  in  oggetto  ai  fini  dell'accertamento
richiesto,  con  conseguente  rilevanza  manifesta  della  questione,
perche'  la  precedente  normativa,  la  quale   prevedeva   che   il
trattamento retributivo del periodo di malattia non fosse diverso  da
quello di effettivo lavoro, senza  alcuna  decurtazione  retributiva,
sarebbe stata modificata in senso  deteriore  e  peggiorativo  per  i
lavoratori del comparto scuola. 
    1.2. - Circa la non manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
formula le seguenti osservazioni. 
    1.2.1.  -  L'art.  71  del  decreto-legge   n.   112   del   2008
risulterebbe, innanzitutto, in palese contrasto con l'art.  3  Cost.,
il quale tutela  la  persona  e  la  sua  dignita'  e  stabilisce  il
principio  generale  di   eguaglianza   dei   cittadini   di   fronte
all'ordinamento. Ad avviso del rimettente, infatti,  la  disposizione
censurata determina  un'illegittima  disparita'  di  trattamento  nel
rapporto di lavoro dei dipendenti del  settore  pubblico  rispetto  a
quelli del settore privato. Nel settore privato, infatti,  si  giunge
al  massimo,  in  alcuni  contratti   collettivi,   alla   previsione
dell'omesso pagamento dei primi tre giorni di  malattia,  subentrando
dal quarto giorno l'Istituto  nazionale  per  la  previdenza  sociale
(INPS) e nessun contratto priva il lavoratore della retribuzione o di
una   parte   sostanziale   di   essa   oltre   il   terzo    giorno.
Conseguentemente, poiche' la parita' di condizioni, sancita dall'art.
3 Cost. come vincolo inderogabile  posto  al  legislatore  ordinario,
puo' essere derogata solo  sulla  base  di  criteri  o  elementi  che
evitino di trattare situazioni omogenee  in  modo  differenziato,  il
legislatore avrebbe nella  specie  finito  col  trattare  in  maniera
differente le due categorie di lavoratori, discriminando  quelli  del
settore pubblico.  E,  cio',  in  violazione  dell'art.  3  Cost.  in
relazione al principio  di  uguaglianza  tra  i  lavoratori,  la  cui
appartenenza al settore pubblico o privato  non  giustificherebbe  la
disparita' di trattamento sotto  il  profilo  in  esame,  «in  quanto
entrambi [i] rapporti di  lavoro  sono  caratterizzati  dagli  stessi
elementi di subordinazione ed in quanto  la  malattia  e'  un  evento
rispetto al quale non  ha  alcuna  rilevanza  la  natura  pubblica  o
privata del datore di lavoro». 
    1.2.2.  -  Inoltre,  la  citata  normativa   si   ripercuoterebbe
negativamente sulla retribuzione  del  lavoratore  in  malattia,  cui
sarebbero sottratti, durante il periodo  d'infermita',  indennita'  o
trattamenti aggiuntivi comunque di sua spettanza per diritto  in  tal
senso gia' acquisito e sancito in busta paga e costitutivi della  sua
retribuzione globale di fatto, pur differenziata in  varie  voci.  II
lavoratore legittimamente ammalato, dunque,  verrebbe  a  subire  una
riduzione dello stipendio  in  busta  paga.  Riduzione  che,  dati  i
livelli degli stipendi ad oggi percepiti dai lavoratori del  comparto
pubblico,  sarebbe  tale  da  non  garantire  agli  stessi  una  vita
dignitosa, in  contrasto  con  l'art.  36  Cost.  Il  concreto  danno
economico (in senso retributivo e contributivo) subito dal lavoratore
del settore pubblico in virtu' dell'applicazione  della  nuova  legge
sarebbe ingiusto e illegittimo anche  alla  luce  del  fatto  che  il
lavoratore, e la parte sindacale stipulante nel suo interesse, quando
sottoscrive un contratto di lavoro, non si vede  garantito  solamente
il minimo retributivo tabellare, ma anche le indennita' e le voci  di
compenso destinate, invece, ad essere perdute in caso di malattia. 
    1.2.3.  -  La  Costituzione  tutela,  altresi',  la  salute  come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della  collettivita'.
Sicche',  la  norma  in  questione,  incidendo   pesantemente   sulla
retribuzione del lavoratore ammalato, determinerebbe un  abbassamento
del livello  di  protezione  della  salute  del  lavoratore.  Questi,
infatti, spinto dalle  necessita'  economiche,  sarebbe  in  concreto
indotto a lavorare, si' da aggravare il proprio stato di malattia con
danno  per  se  stesso  e  la  collettivita',  in  palese  violazione
dell'art. 32 Cost. 
    1.2.4. - Vi sarebbe, infine,  una  lesione  dell'art.  38  Cost.,
integrata dalla privazione, in corso di malattia, di una parte  della
retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore, in misura tale da
far mancare al cittadino, in quel momento inabile al lavoro, i  mezzi
di mantenimento e di assistenza. 
    2. - Con atto depositato il 3 gennaio  2012  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  instando   per   la
dichiarazione d'inammissibilita' o,  comunque,  d'infondatezza  delle
questioni  proposte  dal  Tribunale  di   Livorno   con   l'ordinanza
succitata. 
    2.1. -  In  primo  luogo,  la  difesa  dello  Stato  ha  eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate  dal   Tribunale   di
Livorno. 
    2.1.1.   -   Le   questioni   dovrebbero    essere    considerate
inammissibili, in primo luogo perche' difetterebbero  di  descrizione
puntuale e non consentirebbero di verificarne  l'effettiva  rilevanza
nel giudizio a quo. Rileva la difesa dello Stato al riguardo  che  il
rimettente, dopo avere affermato che la questione «e' punto  centrale
dell'accertamento chiesto a questo giudice del lavoro e quindi  [...]
e' rilevante», non avrebbe specificato  la  sussistenza  di  concreti
elementi idonei a fondare  l'accoglimento  dell'istanza,  ne',  sotto
altro profilo, avrebbe enucleato aspetti  di  concretezza  del  danno
asseritamente sofferto dalle parti ricorrenti. 
    2.1.2. - L'inammissibilita' delle questioni sarebbe dovuta  anche
all'irricevibilita' della domanda formulata dai  ricorrenti,  poiche'
richiedenti  la  condanna  dell'Amministrazione  alla  corresponsione
dell'intero trattamento retributivo anche al lavoratore in  malattia,
previa    la     "disapplicazione"     della     norma     sospettata
d'incostituzionalita'. Donde  l'irricevibilita'  della  domanda,  non
essendo ammesso nel nostro ordinamento  alcun  sindacato  diffuso  in
ordine alla legittimita' costituzionale. 
    2.1.3. - Ad avviso della difesa dello Stato, inoltre, il  giudice
rimettente muove dall'erroneo presupposto che il rapporto di pubblico
impiego e il rapporto subordinato nel settore privato  siano  realta'
giuridiche  sovrapponibili.  Diversamente,   secondo   un   indirizzo
consolidato   della   dottrina   e   della   giurisprudenza,    anche
costituzionale,  «il  rapporto  di  lavoro  alle   dipendenze   delle
pubbliche amministrazioni deve configurarsi, nel suo complesso,  come
speciale rispetto a quello alle dipendenze dell'imprenditore privato»
(la difesa statale richiama Corte di cassazione, sezione  lavoro,  13
agosto 2008, n. 21586; Corte costituzionale n. 313 del 1996,  n.  309
del 1997, n.  89  [rectius  82]  del  2003,  n.  199  del  2003).  In
particolare, secondo l'Avvocatura dello Stato, nel «settore  pubblico
si   deve   rispondere   al   principio   dell'interesse   collettivo
all'imparzialita' e buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), [...].
La specialita' dell'impiego pubblico, che va valutata anche sul piano
dei costi finanziari sopportati dalla  collettivita',  determina  una
grande dicotomia tra  pubblico  e  privato  che  impedisce  qualsiasi
assimilazione.  [...]».  Donde  l'ulteriore  inammissibilita'   delle
questioni proposte sotto tale profilo. 
    2.2. - Oltre ad essere palesemente inammissibili, le questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate  dal  Tribunale  di   Livorno
sarebbero, altresi', destituite di fondamento nel merito. 
    2.2.1. - In relazione all'asserita  illegittimita'  dell'art.  71
del decreto-legge n. 112 del 2008 con riferimento all'art.  3  Cost.,
premette la difesa dello Stato che il  principio  di  eguaglianza  si
specifica  nel  principio  di  ragionevolezza,  il  quale  impone  di
trattare in modo uguale situazioni uguali ed  in  modo  differenziato
situazioni diverse. Una disparita' di trattamento,  quindi,  potrebbe
essere lamentata solo a fronte di situazioni  di  fatto  identiche  o
analoghe. 
    Nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza costituzionale
(sentenza n. 287 del 2006) e conformemente  a  quella  amministrativa
espressasi in ordine al dubbio di legittimita'  costituzionale  della
disposizione contenuta nell'art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008
(Tribunale amministrativo regionale del  Lazio  24  aprile  2009,  n.
4078), sarebbero state accomunate due  situazioni  non  omogenee  dal
punto  di  vista  della  determinazione  dei  rispettivi  trattamenti
retributivi, «perche' i lavoratori privati, a  differenza  di  quelli
pubblici, fruiscono, in caso di malattia, dell'indennita' corrisposta
dall'INPS    che    sostituisce    la    retribuzione».     Peraltro,
l'incomparabilita' delle discipline del  lavoro  pubblico  e  privato
sarebbe confermata dal fatto che, pur essendo vero che la  disciplina
relativa ai lavoratori del settore privato prevede un massimo di  tre
giorni di decurtazioni, e' altrettanto vero che per alcune  categorie
di dipendenti privati la contrattazione collettiva dispone una vera e
propria interruzione integrale della retribuzione per il primo giorno
di assenza (in questo senso, l'accordo Fiat Mirafiori del 23 dicembre
2010). 
    Secondo la difesa dello  Stato,  dunque,  la  piena  legittimita'
della disposizione oggetto di censura deriva dall'assoluta diversita'
del regime delle due  tipologie  di  rapporti,  connessa  anche  alla
specialita' di quello di tipo pubblicistico diffusamente riconosciuta
dalla giurisprudenza e tale da escludere senz'altro  la  lesione  del
principio di eguaglianza. 
    2.2.2.  -  In   relazione   all'asserita   illegittimita'   della
disciplina posta dall'art. 71  del  decreto-legge  n.  112  del  2008
rispetto all'art 36 Cost.,  la  difesa  dello  Stato  rileva  in  via
preliminare che analoghe riduzioni  o  decurtazioni  del  trattamento
economico erano previste gia'  dalla  regolamentazione  pubblicistica
del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni,  laddove,
con le opportune esclusioni, era stata introdotta, onde evitare abusi
nella fruizione del congedo straordinario per malattia, la  riduzione
di un terzo di tutti gli assegni spettanti per la prima  giornata  di
assenza. 
    Ne conseguirebbe la non fondatezza, altresi',  della  censura  in
esame, tenuto conto  del  principio,  reiteratamente  ribadito  dalla
Coste costituzionale (sentenze n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e  n.
164 del 1994), secondo cui, al fine  di  verificare  la  legittimita'
delle norme in  tema  di  trattamento  economico  dei  dipendenti  in
relazione al disposto dell'art. 36 Cost.,  occorre  far  riferimento,
non gia'  alle  singole  componenti  di  quel  trattamento,  ma  alla
retribuzione nel suo complesso. 
    Dovendosi avere riguardo - in sede di giudizio di non conformita'
della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalita'  e
sufficienza - al principio di omnicomprensivita'  della  retribuzione
medesima, non ci si potrebbe arrestare  alla  mera  trattenuta  degli
emolumenti accessori connessi  con  lo  svolgimento  effettivo  della
prestazione lavorativa. 
    Ne' il legislatore avrebbe dovuto indicare specificamente le voci
retributive  ridotte,  piuttosto  che  riferirsi  genericamente  alle
indennita' e agli emolumenti di carattere  accessorio.  Da  un  lato,
infatti, con la  predetta  terminologia  il  legislatore  si  sarebbe
limitato a recepire le  tradizionali  locuzioni  gia'  contenute  nei
contratti  collettivi  e   comunemente   accettate   senza   sospetti
d'illegittimita'. Dall'altro, la  precisazione  che  la  decurtazione
tocca unicamente le voci retributive  accessorie  (con  salvezza  del
trattamento  economico  fondamentale)  varrebbe  ad  escludere   ogni
possibile  lesione  dei  principi  costituzionali   di   sufficienza,
proporzionalita' e intangibilita' della retribuzione, nel quadro  del
gia' rilevato carattere di  onnicomprensivita'  della  stessa  e  nel
solco della disciplina  dettata  dai  contratti  collettivi,  siccome
ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR del  Lazio  24
aprile 2009, n. 4078, cit.). 
    Con l'effetto, in conclusione, che la decurtazione prevista dalla
disposizione oggetto di censura, limitata agli emolumenti accessori e
ai primi dieci giorni di assenza, non sarebbe concretamente idonea ad
arrecare al lavoratore un serio pregiudizio in relazione al diritto a
percepire una retribuzione proporzionata alla  quantita'  e  qualita'
del suo lavoro. 
    2.2.3. - Neppure il preteso contrasto della norma  censurata  con
l'art. 32 Cost. avrebbe ragion d'essere. 
    A tale riguardo, la difesa dello Stato osserva, in  primo  luogo,
che   nell'assetto   dello   stato   sociale   attualmente    vigente
nell'ordinamento italiano, la tutela della salute quale  fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettivita' e' assicurata,
sotto  il  profilo  pubblicistico,  garantendo  cure  gratuite   agli
indigenti e rendendo disponibili ai cittadini strumenti di diagnosi e
cura, anche in  relazione  all'entita'  del  reddito.  E  sotto  tale
aspetto la norma censurata  non  avrebbe  alcuna  incidenza,  perche'
concernente  solamente  la  misura  del  trattamento   economico   da
riconoscere in caso di assenza per malattia. 
    Del tutto evanescente sarebbe,  inoltre,  l'argomento,  meramente
suggestivo,  secondo  cui  la  prevista  riduzione  del   trattamento
economico in costanza di malattia potrebbe indurre  il  lavoratore  a
continuare a lavorare e, in tal modo, a trascurare le  cure,  poiche'
«la descrizione di un eventuale fenomeno psicologico non  e'  di  per
se' sufficiente a dimostrare la violazione dell'invocato parametro di
costituzionalita'. [...] l'ammontare della decurtazione e' abbastanza
esiguo e non e' tale da causare un'incisione pesante sul  trattamento
economico ordinariamente spettante al dipendente. [...] la  norma  si
aggiunge alle analoghe previsioni gia' presenti da numerosi anni  nei
contratti collettivi dei comparti e delle aree del  settore  pubblico
e, pertanto, un  eventuale  effetto  di  induzione  alla  prestazione
lavorativa non  puo'  di  certo  essere  imputato  alla  sopravvenuta
disciplina di rango legislativo». 
    Inoltre, anche la scelta di non curarsi costituirebbe entro  dati
limiti  una  forma  di  esercizio  del  diritto  alla  salute,  quale
espressione  dell'autodeterminazione  dell'individuo,  rappresentando
una liberta' costituzionalmente tutelata dal medesimo art. 32 Cost. 
    In  ogni  caso,  in  presenza   della   prognosi   contenuta   in
un'attestazione di  malattia,  sarebbe  inesorabilmente  precluso  al
dipendente   il   rientro   anticipato   in   servizio,   senza   che
l'Amministrazione   possa   assentire   anzitempo   lo    svolgimento
dell'attivita' lavorativa. 
    2.2.4. - Quanto, infine, al sospettato  scostamento  della  norma
denunciata dall'art. 38 Cost., anche tale  censura,  a  parere  della
difesa dello Stato, si rivela infondata. 
    Secondo l'impostazione da essa accreditata,  infatti,  la  tutela
costituzionale in oggetto non si estende fino al punto di  pretendere
la  corresponsione  durante  il  periodo  di   malattia   dell'intero
trattamento economico, ma richiede, invece,  la  garanzia  di  «mezzi
adeguati alle esigenze di vita»,  alla  stregua  di  un  criterio  di
sufficienza e proporzione rispetto ai bisogni dell'assicurato  e  con
la possibilita' di comprimere persino questo "zoccolo  duro"  qualora
sia  imperativa  la  tutela  di  altri  interessi  costituzionalmente
rilevanti, come i crediti alimentari.  Sicche',  solo  l'irrisorieta'
della  provvidenza,   nella   specie   esclusa   dalla   salvaguardia
dell'intero trattamento fondamentale,  potrebbe  far  dubitare  della
legittimita'  costituzionale   della   disciplina   sul   trattamento
economico in malattia. 
    D'altro  canto,  osserva  la  difesa  dello  Stato  che  pure  la
disciplina contenuta nel codice  civile  delinea  il  trattamento  in
favore del lavoratore ammalato nei termini  di  «un'indennita'  nella
misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali  [...],  dagli
usi o secondo equita'» (art. 2110 cod. civ.),  riconoscendo,  quindi,
che l'indennita' de qua - in misura  da  determinarsi  in  base  alle
fonti ivi richiamate - possa essere di ammontare  diverso  da  quello
del normale trattamento economico, purche' risulti comunque  adeguata
alle esigenze  di  vita  del  lavoratore  (in  tal  senso,  Corte  di
cassazione, sezioni unite, 24 novembre 1992, n. 12516,  preceduta  da
Corte di cassazione, sezione lavoro, 27 giugno 1986,  n.  4287  e  15
giugno 1988, n. 4060). 
    In sostanza, la norma codicistica,  che  rappresenta  la  cornice
legale di riferimento, non impone alcuna soglia minima di  protezione
economica del lavoratore in caso di malattia, mancando  nella  stessa
qualunque indicazione in ordine all'entita' del trattamento economico
correlativo. Con la conseguenza di escludere che  tale  misura  debba
necessariamente  coincidere  con  l'intera  retribuzione  normalmente
percepita  dal  lavoratore  e  di   assegnare   alla   contrattazione
collettiva, anche con riferimento al settore del lavoro  privato,  un
ruolo regolativo fondamentale al riguardo. 
    Peraltro,  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   richiama   la
giurisprudenza  costituzionale  in  base  alla  quale  non   sussiste
violazione dell'art. 38  Cost.  allorche',  con  apposita  normativa,
siano regolati l'insorgenza e l'esercizio del diritto  all'erogazione
di mezzi adeguati alle esigenze di vita per l'evento malattia («siano
poste con essa condizioni requisiti ed anche oneri», sentenza  n.  78
del  1988;  sentenza  n.  180  del  1982).  Perche'   rientra   nella
discrezionalita' del legislatore la ricerca di un contemperamento tra
le esigenze di vita  dei  lavoratori  e  la  soddisfazione  di  altri
principi, pure costituzionalmente garantiti, come il  buon  andamento
dell'amministrazione,  gravemente  pregiudicato  dal   fenomeno   del
cosiddetto assenteismo, il cui contenimento costituirebbe l'obiettivo
della norma censurata insieme con l'evidente necessita' di  riduzione
della spesa pubblica. 
    Inoltre, l'ammontare dei trattamenti potrebbe essere condizionato
dalla  situazione  economica  e   dalle   esigenze   finanziarie   da
fronteggiare. Tali da indurre la Corte costituzionale  a  valorizzare
con  intensita'  crescente,  nel  bilanciamento   complessivo   degli
interessi   costituzionalmente   protetti   (tra   cui   la    tutela
previdenziale), anche l'aspetto delle risorse finanziarie disponibili
e dei mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa  (sentenze
n. 531 del 2001, n. 417 del 1996, n. 361 del 1996, n. 421  del  1995,
n. 240 del 1994, n. 243 del 1993, n. 226 del 1993 e n. 119 del 1991),
con la  riaffermata  discrezionalita'  legislativa  nella  fissazione
dell'ammontare  delle  prestazioni  sociali  anche  alla  luce  delle
disponibilita'  finanziarie.  Da  questo  punto  di  vista,   sarebbe
illuminante  la  collocazione  della  disposizione  censurata  in  un
contesto di misure finanziarie di contenimento della spesa  pubblica,
con lo  scopo  specifico  di  contrastare  il  fenomeno  dell'assenza
ingiustificata dal lavoro (o meglio falsamente giustificata). 


				 
                       Considerato in diritto 

 
    1. - Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del  lavoro,
con  ordinanza  del  5  agosto  2011,  ha  sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 32, 36 e
38 della Costituzione, dell'articolo 71 del decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione  tributaria),  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133. 
    2.  -   Il   giudice   rimettente   dubita   della   legittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata,  nella  parte  in  cui
stabilisce che  «1.  Per  i  periodi  di  assenza  per  malattia,  di
qualunque durata, ai dipendenti delle  pubbliche  amministrazioni  di
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,
n.  165,  nei  primi  dieci  giorni  di  assenza  e'  corrisposto  il
trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni  indennita'
o  emolumento,  comunque  denominati,  aventi   carattere   fisso   e
continuativo, nonche' di ogni  altro  trattamento  accessorio.  Resta
fermo il  trattamento  piu'  favorevole  eventualmente  previsto  dai
contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore  per  le
assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro  o  a  causa  di
servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonche' per
le  assenze  relative  a  patologie  gravi  che  richiedano   terapie
salvavita. I risparmi derivanti dall'applicazione del presente  comma
costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato
e concorrono per gli enti diversi dalle  amministrazioni  statali  al
miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme  non  possono  essere
utilizzate  per  incrementare   i   fondi   per   la   contrattazione
integrativa.  [...]  6.  Le  disposizioni   del   presente   articolo
costituiscono  norme  non  derogabili   dai   contratti   o   accordi
collettivi». 
    La norma in  esame  e'  sospettata  di  illegittimita',  perche',
durante il periodo  d'infermita',  priverebbe  ingiustificatamente  i
lavoratori pubblici, diversamente da quelli  privati,  di  una  parte
della retribuzione di fatto di loro spettanza, inducendoli a lavorare
e a mettere, cosi', a repentaglio la salute, pur  di  non  subire  la
relativa decurtazione. In tal modo sarebbero lesi gli artt. 3, 32, 36
e 38 Cost. 
    2.1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce
l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate  dal   Tribunale   di
Livorno, in primis, per difetto di rilevanza. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il giudice  rimettente,  premessa  la  richiesta  dei  ricorrenti
(tutti dipendenti del Ministero dell'istruzione,  dell'universita'  e
della ricerca) di ottenere  il  trattamento  di  malattia  in  misura
corrispondente all'intero trattamento retributivo in busta  paga,  ha
chiaramente enunciato di  dover  fare  applicazione,  ai  fini  della
definizione della lite, dell'art. 71 del  decreto-legge  n.  112  del
2008, modificativo in peius della precedente normativa di settore  e,
dunque, ostativo all'accoglimento della domanda. 
    Cio' e' sufficiente a dimostrare  la  rilevanza  delle  questioni
proposte, perche' e' di tutta evidenza che il  giudice  a  quo  abbia
inteso riferirsi  ad  ipotesi  rispetto  alle  quali  l'art.  71  del
decreto-legge  n.  112  del  2008  avrebbe,  a  suo  avviso,  davvero
introdotto un trattamento meno favorevole. 
    2.2. - Anche l'eccezione d'inammissibilita' proposta dalla difesa
dello Stato per avere i  ricorrenti  sollecitato  la  disapplicazione
della  norma  e'  destituita  di  fondamento.  Difatti,  il   giudice
rimettente ha interpretato correttamente l'istanza dei lavoratori nel
senso di voler rimettere  a  questa  Corte,  secondo  il  sistema  di
controllo accentrato previsto dall'ordinamento giuridico italiano, il
giudizio di legittimita' costituzionale della norma in esame. 
    2.3.    -    Dev'essere,    infine,     disattesa     l'eccezione
d'inammissibilita'  per  erronea  e/o  incompleta  ricostruzione  del
quadro  normativo,  perche'   basata   su   elementi,   come   quello
dell'asserita incomparabilita' tra lavoro  pubblico  e  privato,  che
ridondano sul merito delle questioni sollevate. 
    3. - Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    3.1. - La  disposizione  censurata  prevede  inderogabilmente  la
detrazione delle competenze  accessorie  dal  trattamento  dovuto  al
lavoratore in malattia per i primi dieci  giorni,  in  un  quadro  di
misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia  dei
dipendenti pubblici, al fine di «riportare il  tasso  di  assenteismo
del settore pubblico nei limiti  di  quello  privato»  (relazione  al
disegno di legge n. 1386 presentato alla Camera dei  deputati  il  25
giugno 2008) e con l'effetto dichiarato di utilizzare i  risparmi  in
tal modo realizzati per il miglioramento dei saldi di bilancio  delle
pubbliche amministrazioni, senza alcuna confluenza nei fondi  per  la
contrattazione integrativa. 
    La differenza piu' rilevante rispetto alla disciplina previgente,
di fonte eminentemente contrattuale (art. 17 del contratto collettivo
relativo al personale del comparto scuola sottoscritto il 29 novembre
2007) risiede nella generalizzata  operativita'  della  riduzione  in
esame, indipendentemente dalla durata della malattia. 
    Cosi' ricostruita la ratio legis, la disposizione in  oggetto  si
sottrae alle censure del rimettente. 
    3.2. - Dev'essere, anzitutto, esclusa  la  denunciata  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    In primo luogo, l'art. 2110 del codice  civile  dispone  che,  in
caso  di  malattia,  spettano  al  lavoratore   la   retribuzione   o
un'indennita' nella misura e per il  tempo  determinati  dalle  leggi
speciali,  dalla  contrattazione  collettiva,  dagli  usi  o  secondo
equita'. Cio' significa che gia'  la  norma  generale  di  disciplina
dell'istituto e'  programmaticamente  aperta  ad  una  pluralita'  di
soluzioni regolative di dettaglio. 
    In secondo luogo, sotto il profilo in esame, l'impianto normativo
del lavoro pubblico  non  e'  confrontabile  con  quello  del  lavoro
privato, per il  fatto  che  nell'ambito  di  quest'ultimo  convivono
regimi notevolmente diversificati. Invero, per  esso,  talora  si  fa
ricorso ad un sistema assicurativo obbligatorio  (destinato  peraltro
solo  ad  una  parte  dei  lavoratori:  operai,  agricoli  ed   altre
specifiche  categorie),  rispetto  al  quale,  di   conseguenza,   la
contrattazione collettiva svolge una funzione  integrativa  nei  vari
settori merceologici (intervenendo con una quota  della  retribuzione
in aggiunta  alla  prestazione  previdenziale).  Talora,  invece,  la
copertura  previdenziale  non  e'  prevista  (come  nel  caso   degli
impiegati). La legge speciale (art.  6  del  regio  decreto-legge  13
novembre 1924, n. 1825, recante «Disposizioni relative  al  contratto
d'impiego privato») e  i  contratti  collettivi  dispongono,  quindi,
autonomamente un trattamento  retributivo  a  favore  del  lavoratore
malato. 
    Diversamente,  nel  lavoro  pubblico  privatizzato  -  al   quale
appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio  a
quo - la materia e'  sostanzialmente  demandata  alla  contrattazione
collettiva, in ossequio ai principi regolatori  della  normativa  del
settore, di cui agli artt. 2, 45 e 51 del d.lgs. 30  marzo  2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni  pubbliche),  con  una  varieta'  di  discipline  che
risentono delle peculiarita' di ciascun comparto di riferimento. 
    Sicche',   i   due   sistemi,   privato    e    pubblico,    gia'
significativamente   differenziati   al   loro   interno,   risultano
assolutamente incomparabili, contrariamente  a  quanto  ritenuto  dal
rimettente, proprio in relazione al regime della malattia. 
    A  tutto  cio'  va  aggiunto   che,   malgrado   la   tendenziale
omogeneizzazione derivante dalla privatizzazione della disciplina del
pubblico  impiego,   la   Corte   non   ha   mancato   di   escludere
l'equiparabilita' tra gli ambiti del lavoro  pubblico  e  del  lavoro
privato, affermando a piu' riprese la non  perfetta  coincidenza  dei
relativi regimi (sentenze n. 146 del 2008, n. 367 del 2006, nn. 199 e
82 del 2003, n. 309 del 1997, nonche' nn. 313 e 388 del 1996). 
    Peraltro, la scelta di depurare  del  trattamento  accessorio  la
retribuzione fissa mensile del dipendente assente per  malattia,  sia
pure con diverse sfumature, rappresenta una  costante  nei  contratti
collettivi del pubblico impiego, e non soltanto nel comparto  scuola.
Con l'effetto che la norma censurata s'iscrive nel sistema risultante
dal complesso della contrattazione collettiva  rivolta  al  personale
pubblico dei singoli settori. 
    3.3. - Neppure la questione  di  legittimita'  dell'art.  71  del
decreto-legge n. 112 del 2008,  proposta  in  relazione  all'art.  36
Cost., e' fondata. 
    La conservazione del  trattamento  fondamentale  garantisce,  per
definizione, l'adeguatezza  della  retribuzione  e  la  sua  funzione
alimentare durante il periodo di malattia, tanto piu' che  la  durata
della riduzione e' contenuta dalla disposizione censurata nei  limiti
della decade. 
    Del  resto,  questa  Corte  ha  reiteratamente  chiarito  che  il
giudizio sulla conformita' di un trattamento all'art.  36  Cost.  non
puo' essere svolto per singoli istituti, ne'  -  puo'  aggiungersi  -
giorno per giorno, ma  occorre  valutare  l'insieme  delle  voci  che
compongono il trattamento  complessivo  del  lavoratore  in  un  arco
temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn.  366  e
287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994). Con la  conseguenza
che la decurtazione del trattamento accessorio per i soli primi dieci
giorni di malattia non arreca alla retribuzione  del  lavoratore  una
perdita   che   possa   pregiudicarne,   in   spregio   al    dettato
costituzionale, la "proporzionalita'" o la "sufficienza". 
    3.4. - Per ragioni analoghe non e'  ravvisabile  alcun  contrasto
della  norma  in  oggetto  con  l'art.  38  Cost.  Infatti,   nessuna
disposizione, ne' generale, ne' settoriale, impone che la prestazione
economica in costanza di malattia coincida o tenda a  coincidere  con
la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua  determinata
porzione.  Sicche',  il  ragguaglio  di  essa  al  mero   trattamento
fondamentale per i soli primi dieci giorni di assenza  non  e'  cosi'
drastico  da  privare  il  lavoratore  infermo  di  mezzi  idonei  di
sussistenza. 
    D'altro  canto,  si   realizza   in   tal   modo   il   ponderato
bilanciamento, sia con altri principi  costituzionalmente  garantiti,
come quello di buon andamento dell'amministrazione (art.  97  Cost.),
indirettamente perseguito scoraggiando con la forza deterrente  della
penalizzazione economica fenomeni di assenteismo, sia  con  ulteriori
esigenze di rango primario, come quella (particolarmente avvertita in
materia previdenziale) di controllo della spesa pubblica. 
    3.5. - Infine, non sussiste la denunciata  lesione  dell'art.  32
Cost. 
    E', infatti, non sostenibile che  la  riduzione  di  retribuzione
sancita dalla norma in questione, con  la  salvezza  del  trattamento
fondamentale e la brevita'  della  durata,  costringa  il  lavoratore
ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non
subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute. 
    La decurtazione  retributiva  de  qua,  non  comportando  aggravi
particolari, e' del tutto inidonea ad esercitare  qualunque  coazione
al riguardo. 
    D'altro canto, a tutto voler  concedere,  questa  Corte  ha  gia'
riconosciuto che anche il diritto alla salute dev'essere contemperato
con altre esigenze costituzionalmente tutelate (sentenze n.  212  del
1998 e n. 212 del 1983; ordinanza n. 140 del 1995).  E  nella  specie
viene, altresi', in rilievo, come si  e'  visto,  il  buon  andamento
della pubblica amministrazione, che la norma censurata si  propone  a
ragion veduta di perseguire disincentivando l'assenteismo. 
      


				 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 

 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'articolo  71  del  decreto-legge  25   giugno   2008,   n.   112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n.  133,  sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 32, 36  e  38  della  Costituzione,  dal
Tribunale di Livorno, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2012. 


				 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                      Luigi MAZZELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 

 
    Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012. 


				 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI