N. 146 ORDINANZA 23 maggio - 6 giugno 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contratti bancari - Operazioni bancarie regolate in conto corrente  -
  Diritti nascenti dall'annotazione in conto - Prescrizione decennale
  dell'azione   di   ripetizione   dell'indebito   -   Decorrenza   -
  Sopravvenuta dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  della
  disposizione censurata - Questione  divenuta  priva  di  oggetto  -
  Manifesta inammissibilita'. 
- D.l. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito nella legge  26  febbraio
  2011, n. 10) art. 2, comma 61. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 101,  102,  104,  111  e  117,  primo
  comma. 
(GU n.24 del 13-6-2012 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma
61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225  (Proroga  di  termini
previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in
materia tributaria e di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011,  n.  10,
comma aggiunto dalla legge di conversione, promossi dal Tribunale  di
Nicosia con ordinanza del 6 luglio  2011,  dal  Giudice  di  pace  di
Potenza con ordinanza del 9 novembre 2011, dal Tribunale di Bari  con
ordinanza del  19  maggio  2011  e  dal  Tribunale  di  Siracusa  con
ordinanza del 7 ottobre 2011, rispettivamente iscritte al n. 259  del
registro ordinanze 2011 e ai nn. 13, 14 e 24 del  registro  ordinanze
2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  52,
prima serie speciale, dell'anno  2011  e  nn.  7  e  9,  prima  serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di   Unicredit   s.p.a.,   quale
incorporante del Banco di  Sicilia  s.p.a.,  fuori  termine,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  maggio  2012  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Nicosia, con ordinanza del
6 luglio 2011 (r.o. n. 259 del 2011), ha  sollevato,  in  riferimento
agli articoli 2, 3, 102, primo comma, 111 e 117, primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
2, comma 61, primo periodo, del decreto-legge 29  dicembre  2010,  n.
225 (Proroga di termini previsti da  disposizioni  legislative  e  di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e
alle  famiglie),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge   26
febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla legge di conversione; 
    che il rimettente premette di essere  investito  di  un  giudizio
avente ad oggetto la domanda di  accertamento  della  nullita'  -  ai
sensi degli articoli 1283 e 1284, terzo comma, del  codice  civile  -
delle  clausole  negoziali  di  capitalizzazione  trimestrale   degli
interessi e di applicazione  di  interessi  ultralegali,  relative  a
conti correnti di corrispondenza con  apertura  di  credito  e  conti
anticipo intrattenuti da uno degli attori con  il  Banco  di  Sicilia
s.p.a.,  nonche'  la  domanda  di  condanna  di   quest'ultimo   alla
restituzione dell'indebito versato; 
    che, nel costituirsi in giudizio, il Banco di Sicilia  s.p.a.  ha
eccepito  la  prescrizione  delle  pretese  azionate,  chiedendo   la
condanna degli attori al pagamento del saldo finale del conto,  oltre
interessi; 
    che il rimettente rileva  come  soltanto  per  due  dei  rapporti
bancari  sopra  menzionati  la  banca  avesse  prodotto  la  relativa
documentazione contrattuale e come uno  dei  conti  fosse  ancora  in
corso alla data della notifica dell'atto di citazione o,  quantomeno,
fino alla data della missiva inviata con raccomandata del 2  novembre
2007, ricevuta dall'attore il 14 novembre 2007; 
    che, medio tempore, era entrata in vigore la  legge  26  febbraio
2011,  n.   10,   recante   conversione,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225; 
    che, con tale normativa, e' stata introdotta nell'ordinamento  la
seguente disposizione: «In ordine alle operazioni  bancarie  regolate
in conto corrente l'art. 2935 del codice  civile  si  interpreta  nel
senso   che   la   prescrizione   relativa   ai   diritti    nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione stessa»; 
    che, in punto di rilevanza della questione, il rimettente osserva
di  non  potere  prescindere  dall'applicazione  del  nuovo  precetto
ontologicamente  retroattivo,  in  quanto,  qualora  la  prescrizione
decennale non decorresse dalla data di  estinzione  del  rapporto  di
conto  corrente  (come  affermato  dalla  sentenza  della  Corte   di
cassazione, resa a sezioni unite, il 2 dicembre 2010, n.  24418),  ma
dal giorno di ogni singola annotazione in conto, cio'  darebbe  luogo
all'estinzione per prescrizione del diritto di credito pecuniario del
correntista per gli importi versati a titolo solutorio e annotati  in
data anteriore al 30 luglio 1997, ossia oltre dieci anni prima  della
data di notificazione dell'atto di citazione; 
    che,  in  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
sottolinea come la norma censurata non risulti rispettosa  sia  delle
ragioni che dei canoni legittimanti l'adozione  di  una  disposizione
interpretativa e, dunque, retroattiva; 
    che, infatti, per consolidata giurisprudenza costituzionale,  una
disposizione  e'  interpretativa  qualora,  esistendo  una  oggettiva
incertezza del dato normativo  (ordinanza  n.  400  del  2007)  e  un
obiettivo dubbio ermeneutico (sentenza n.  29  del  2002),  essa  sia
diretta a chiarire il  contenuto  di  preesistenti  norme  ovvero  ad
escludere  o  ad   enucleare   uno   dei   significati   tra   quelli
plausibilmente ascrivibili a  queste,  anche  se  non  siano  insorti
contrasti giurisprudenziali (ordinanza  n.  480  del  1992),  purche'
sussista  una  situazione  di  incertezza  nella  loro   applicazione
(sentenze n. 170 del 2008; n. 291 del 2003; n. 374 del 2002 e n.  525
del 2000), essendo sufficiente che la scelta imposta rientri  tra  le
possibili varianti di senso del testo interpretato e sia  compatibile
con la sua formulazione (sentenze n. 409 del 2005; n. 168  del  2004;
n. 292 del 2000); 
    che, ad avviso del rimettente, la norma censurata, sotto le vesti
di una disposizione interpretativa, celerebbe in  realta'  una  norma
innovativa,  in  quanto   adottata   in   un   contesto   ermeneutico
caratterizzato da un orientamento  consolidato  della  giurisprudenza
(Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 14 maggio  2005,
n. 10127 e 9 aprile 1984, n. 2262)  sul  dies  a  quo  relativo  alla
decorrenza  della  prescrizione  dell'azione  avente  ad  oggetto  la
ripetizione di somme illegittimamente versate (ad esempio:  a  titolo
di interessi ultralegali o  con  capitalizzazione  trimestrale),  nel
corso di un rapporto  di  apertura  di  credito  in  conto  corrente,
orientamento da ultimo  confermato,  per  la  particolare  importanza
della  materia  trattata,  dalla  citata  sentenza  della  Corte   di
cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2010, secondo cui il  termine
di decorrenza della prescrizione della  condictio  indebiti  coincide
con la estinzione del rapporto bancario,  sia  pure  per  le  rimesse
finalizzate a ripristinare la provvista; 
    che il rimettente richiama, altresi', i limiti - elaborati  dalla
giurisprudenza costituzionale -  alla  ammissibilita'  di  una  norma
interpretativa retroattiva ed, in generale, all'efficacia retroattiva
delle leggi, attinenti alla salvaguardia del  principio  generale  di
ragionevolezza che ridonda nel divieto di  introdurre  ingiustificate
disparita'   di    trattamento;    alla    tutela    dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti, quale principio  connaturato  allo
Stato di diritto; alla  coerenza  e  alla  certezza  dell'ordinamento
giuridico; al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario (sentenza n. 397 del 1994); 
    che, ad avviso  del  giudice  a  quo,  anche  i  suddetti  canoni
risulterebbero violati dalla norma censurata; 
    che, in particolare, ad avviso del rimettente,  l'art.  2,  comma
61,  lederebbe:  1)  il  principio  di  parita'  di  trattamento  tra
situazioni simili, in quanto, involgendo  i  soli  rapporti  bancari,
escluderebbe ogni altro  rapporto  regolato  in  conto  corrente  tra
diversi soggetti giuridici; 2) l'affidamento  legittimamente  insorto
nei consociati, in quanto, fino alla entrata in  vigore  della  detta
norma,  i  beneficiari  di  aperture  di  credito,  in  "sofferenza",
soprassedevano, in costanza di rapporto, da  richieste  dirette  alla
ripetizione di  somme  illegittimamente  versate,  cio'  al  fine  di
evitare pericolose ricadute sul rapporto di fiducia con l'istituto di
credito,  quali  la  cosiddetta  revoca  dell'affidamento,  ossia  la
decadenza dal beneficio del termine; 3) i canoni  di  coerenza  e  di
certezza dell'ordinamento per le medesime ragioni di cui sopra; 
    che il rimettente assume  il  contrasto  della  norma  denunciata
anche  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  tramite   violazione
dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (CEDU),  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  come  interpretata  dalla
Corte EDU, secondo cui  il  principio  dello  Stato  di  diritto,  la
nozione di equo processo  e  il  principio  di  parita'  delle  armi,
vietano l'interferenza del legislatore  -  con  norme  retroattive  -
nell'amministrazione della giustizia destinata ad influenzare l'esito
delle singole controversie, fatta eccezione per i motivi di interesse
generale (sentenze 21 giugno 2007,  Scanner  de  L'Ouest  Lyonnais  e
altri contro Francia; 9 dicembre 1994, Raffineries Grecques  Stran  e
Stratis Andreadis contro Grecia; 28 ottobre 1999, Zielinski  e  altri
contro Francia); 
    che, ad avviso del giudice a quo, se e' vero che motivi rilevanti
di  interesse  generale  potrebbero  in  astratto  rinvenirsi   nella
necessita' di salvaguardare la tenuta del sistema bancario  e  quindi
nelle esigenze di tutela del risparmio (art. 47, primo comma, Cost.),
nella  fattispecie  concreta  nulla  sembra  giustificare  la   nuova
disposizione retroattiva sulla decorrenza del termine di prescrizione
dell'azione di ripetizione dell'indebito; 
    che, con memoria  depositata  in  data  17  gennaio  2012  (fuori
termine), si  e'  costituita  in  giudizio  Unicredit  s.p.a.,  quale
incorporante il Banco  di  Sicilia  s.p.a.,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,   chiedendo   che   la   questione   di
legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata; 
    che, con atto depositato in data 3 gennaio  2012,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso  dalla  Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto in  giudizio  chiedendo  che  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata; 
    che,  la  difesa  erariale  eccepisce,   in   primo   luogo,   la
inammissibilita' della questione per  genericita'  della  motivazione
sulla rilevanza,  in  quanto  il  Tribunale  riferisce  trattarsi  di
versamenti «solutori»  annotati  in  conto  oltre  dieci  anni  prima
dell'introduzione  della  causa,  ma  poiche'  tali  pagamenti   sono
soggetti a prescrizione decennale, anche in base alla  giurisprudenza
delle sezioni unite della Corte di cassazione di cui alla sentenza n.
24418 del 2010, la  sopravvenuta  norma  interpretativa  non  avrebbe
alcuna effettiva incidenza sulla decisione della causa; 
    che, nel merito, ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, la questione sarebbe infondata; 
    che, in particolare,  con  riferimento  alla  prima  parte  della
citata disposizione, la difesa erariale ritiene che  il  legislatore,
nel richiamare i «diritti nascenti dalle annotazioni»,  abbia  inteso
riferirsi al diritto di contestare giudizialmente non solo i  profili
contabili, ma anche le ragioni sostanziali dalle  quali  e'  derivata
l'annotazione in  conto  e,  percio',  al  diritto  di  accertare  la
mancanza di un valido titolo giustificativo  della  posta  creditoria
annotata in quanto derivante da una clausola negoziale o da  un  atto
invalido  (ad  esempio:  applicazione  di  interessi  ultra   legali;
indebita capitalizzazione di interessi); 
    che, con la norma denunciata,  il  legislatore  avrebbe  chiarito
che, nel contratto di conto corrente bancario, le  annotazioni  hanno
la funzione di rendere definitivi, se non contestati entro un termine
prescrizionale ordinario, i crediti ed i debiti  annotati  nel  conto
sia pure in base ad una disposizione contrattuale viziata; 
    che,     pertanto,     nell'ottica     di      un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  norma  censurata,  si  potrebbe
ritenere che con  essa  il  legislatore  abbia  voluto  precisare  la
portata dell'art. 2935 cod. civ., individuando nella annotazione, cui
le parti hanno  inteso  dare  una  particolare  valenza  in  base  al
sinallagma contrattuale, il momento di decorrenza della  prescrizione
del diritto nascente da quella operazione; 
    che la difesa erariale rileva, altresi', come la norma denunciata
non sarebbe contraria ai principi vigenti in materia, in quanto  cio'
che conterebbe ai  fini  della  prescrizione  non  sarebbe  tanto  il
concreto  esercizio  del  diritto,  ma  l'astratta  possibilita'   di
esercitarlo (Cassazione, sezione prima, sentenza 22 aprile  2010,  n.
9620); 
    che la difesa erariale sottolinea come la norma in questione  non
violi neanche i principi di uguaglianza e  ragionevolezza,  sotto  il
profilo della asserita diversita' della disciplina dei  contratti  di
conto corrente bancario rispetto ad altri contratti regolati in conto
corrente, nonche' della ingiustificata efficacia retroattiva; 
    che, quanto alla efficacia retroattiva della norma in  esame,  la
stessa esprimerebbe un principio gia' insito nel sistema, per cui  la
retroattivita' costituirebbe un riflesso intrinseco della sua  natura
interpretativa; 
    che,  inoltre,  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna  lesione  delle
funzioni e delle prerogative del potere  giudiziario,  in  quanto  la
norma censurata avrebbe un contenuto sostanziale e  non  processuale,
limitandosi a chiarire i termini entro  i  quali  i  diritti  vantati
devono essere esercitati, secondo i comuni canoni che presiedono alla
prescrizione dei diritti e delle correlative azioni giudiziarie, cio'
nell'interesse generale della certezza e stabilita' dei rapporti; 
    che il Giudice di pace di Potenza, con ordinanza del  9  novembre
2011 (r.o. n.  13  del  2012),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, 24, 101, 102, 104 e 111 Cost., questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 61,  del  d.l.  n.  225  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011,  n.  10,
comma aggiunto dalla legge di conversione; 
    che il rimettente premette di essere investito - sulla  base  del
consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla nullita' della
clausola di capitalizzazione trimestrale degli  interessi  passivi  e
della  commissione  di  massimo  scoperto  -  di   una   domanda   di
rideterminazione del saldo di  conto  corrente,  acceso  in  data  1°
ottobre 1997 ed estinto in data 19 agosto 2005,  con  condanna  della
banca convenuta alla restituzione dell'indebito versato; 
    che, nel costituirsi in giudizio, la banca convenuta  ha  dedotto
la liceita' della capitalizzazione  trimestrale  degli  interessi  ed
eccepito  la  prescrizione  estintiva,  chiedendo  il  rigetto  della
domanda; 
    che, disposta CTU per il ricalcolo  del  saldo,  nelle  more  del
giudizio e' entrata in vigore la normativa censurata; 
    che, in punto di rilevanza, il giudice  a  quo  osserva  come  la
natura dichiaratamente interpretativa della norma  e  l'eccezione  di
prescrizione di  parte  convenuta  ne  impongano  l'applicazione  nel
giudizio principale; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente assume
la  violazione  dei   limiti   interni,   individuati   dalla   Corte
costituzionale,  alla  ammissibilita'  di  una  norma  interpretativa
nonche' degli artt. 3, 24, 101, 102, 104 e 111 Cost.; 
    che,  in  ordine  alla  assunta  violazione  dei  limiti  interni
all'ammissibilita' di una  norma  di  interpretazione  autentica,  il
giudice a quo  deduce  la  irragionevolezza  della  norma  censurata,
stante: 1) la inesistenza di una  norma  specifica  da  interpretare,
quale condizione dell'esercizio del potere  di  legislazione  a  fini
interpretativi;  2)   l'impossibilita'   d'includere   la   soluzione
interpretativa prospettata tra quelle legittimamente desumibili dalla
disciplina complessiva dell'istituto; 
    che, quanto al primo rilievo, il rimettente  osserva  che  l'art.
2935  cod.  civ.  -  secondo  cui  il  dies  a  quo,  ai  fini  della
prescrizione di un  diritto,  decorre  dal  momento  in  cui  il  suo
titolare  e'  posto  nelle  condizioni  di   poterlo   esercitare   -
costituisce una regola di carattere  generale,  che  necessita  della
etero-integrazione della disciplina speciale prevista per  i  singoli
tipi  contrattuali,  come  dei  principi  generali  in   materia   di
adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d'indebito; 
    che, ad avviso del giudice a quo, nel caso  di  specie  le  norme
etero-integratrici sarebbero da individuare  nella  disciplina  delle
operazioni  bancarie  (ad  esempio,  apertura  di  credito,  deposito
bancario ai sensi dell'art. 1852 cod.  civ.)  e  nel  conto  corrente
bancario; 
    che il rimettente sottolinea come una  legge  di  interpretazione
autentica avrebbe dovuto avere ad oggetto una norma che disciplinasse
di per se', in maniera specifica, la  decorrenza  della  prescrizione
con riguardo al contratto di apertura di credito, regolato  in  conto
corrente, selezionandone una delle possibili opzioni; 
    che, quanto al secondo rilievo, il rimettente osserva  come,  nel
rapporto di conto  corrente  bancario,  in  armonia  con  i  principi
generali in materia di ripetizione d'indebito e con  quelli  relativi
alla causa del contratto medesimo, la decorrenza  della  prescrizione
dell'azione di ripetizione - conformemente a quanto  sostenuto  dalla
Corte di cassazione, a sezioni unite, nella gia' menzionata  sentenza
n. 24418 del  2010  -  sarebbe  da  individuare:  a)  nel  versamento
(nell'ipotesi  di  conto  passivo,   senza   affidamento,   come   di
superamento del limite affidato);  b)  nella  chiusura  del  rapporto
(quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di  rapporto,  o
quando  il  versamento  effettuato  in  pendenza  di  rapporto  abbia
funzione meramente ripristinatoria dell'affidamento); 
    che, infatti, quando il passivo  non  abbia  superato  il  limite
dell'affidamento concesso al cliente, i versamenti da costui posti in
essere fungono, in base a costante giurisprudenza di legittimita', da
atti ripristinatori della provvista di cui il correntista puo' ancora
continuare   a   godere   e,   in   questo   caso,   la   fattispecie
dell'adempimento,  sub  specie  di  pagamento,  sara'   configurabile
soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di  credito  in
conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista  la
restituzione del  saldo  finale,  nel  computo  del  quale  risultino
comprese somme e competenze non dovute; 
    che, ad avviso del rimettente,  il  legislatore  avendo,  con  la
norma censurata, fatto decorrere la prescrizione dei diritti nascenti
dall'annotazione dal  giorno  dell'annotazione  stessa,  non  avrebbe
attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con  il
novero delle possibili opzioni ermeneutiche; 
    che l'esclusione dell'interpretazione della norma  censurata  dal
novero di quelle ammissibili si desume anche,  avendo  riguardo  alla
individuazione, da parte  del  legislatore,  del  dies  a  quo  della
decorrenza della prescrizione in  una  circostanza  di  fatto,  quale
l'annotazione in conto, esulante dalla sfera conoscitiva del cliente,
essendo questi edotto delle movimentazioni  del  conto  solo  con  la
ricezione dell'estratto conto; 
    che, in ordine alla assunta violazione del principio di azione  e
di indefettibilita' della tutela giurisdizionale di cui  all'art.  24
Cost., il Giudice di pace censura sia la prima che la  seconda  parte
del citato art. 2, comma 61; 
    che,  in  particolare,  in  ordine   alla   prima   parte   della
disposizione,  secondo  cui  «In  ordine  alle  operazioni   bancarie
regolate in conto corrente l'art. 2935 cod. civ.  si  interpreta  nel
senso   che   la   prescrizione   relativa   ai   diritti    nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione  stessa»,  il  rimettente  denuncia  la  scelta  del
legislatore di individuare il  dies  a  quo  della  decorrenza  della
prescrizione in una circostanza  di  fatto,  l'annotazione,  esulante
dalla sfera conoscitiva e di conoscibilita' del cliente; 
    che il giudice a quo assume la  incostituzionalita'  anche  della
seconda parte della disposizione, secondo cui «In ogni caso non si fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente  decreto»,  qualora
sia letta non  nel  senso  di  una  clausola  di  salvaguardia  della
posizione giuridica di chi abbia gia' ricevuto il  rimborso,  cui  la
prescrizione non puo' essere  piu'  eccepita,  ma  nel  senso  di  un
divieto  generalizzato  di  ripetizione  in  via   stragiudiziale   e
giudiziale delle somme  indebitamente  corrisposte  dal  cliente  del
sistema bancario (come gli interessi  superiori  al  tasso  legale  o
anatocistici); 
    che, in particolare,  tale  ultima  opzione  interpretativa  che,
secondo lo stesso rimettente, potrebbe essere esclusa sulla  base  di
un'esegesi costituzionalmente orientata della  norma,  contrasterebbe
con il  principio  di  giustiziabilita'  delle  posizioni  giuridiche
soggettive; 
    che, riguardo alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost., sotto il
profilo del principio di uguaglianza e ragionevolezza, il  rimettente
lamenta,  in  primo   luogo,   l'introduzione   di   un'inammissibile
disparita' di trattamento tra banche e utenti del  sistema  bancario,
in quanto la norma censurata, nello stabilire il  dies  a  quo  della
decorrenza  della  prescrizione   nel   giorno   della   annotazione,
assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a danno del
contraente debole, qual e' l'utente del sistema bancario; 
    che, sempre con riferimento all'assunto contrasto  con  l'art.  3
Cost.,  il  rimettente  denuncia  la  violazione  del  principio   di
uguaglianza  anche   sotto   il   profilo   della   introduzione   di
un'inammissibile disparita' di trattamento tra tipologie contrattuali
assimilabili sotto il profilo funzionale; 
    che, ancora in ordine all'assunta violazione dell'art.  3  Cost.,
il   giudice   a   quo   lamenta,   inoltre,   la   introduzione   di
un'inammissibile  disparita'  di  trattamento   tra   somme   versate
indebitamente, rispettivamente prima e dopo l'entrata in vigore della
legge di conversione del d.l. n. 225 del 2010; 
    che,  in  particolare,  in  forza  della  seconda   parte   della
disposizione  censurata,  la  paralisi  dei  poteri   sostanziali   e
processuali di tutela degli utenti del  sistema  bancario  opererebbe
per le sole somme gia' versate alla data di entrata in  vigore  della
legge di conversione  del  detto  decreto-legge,  con  ingiustificata
compressione del diritto di ripetizione dell'indebito  solo  per  chi
abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale; 
    che il rimettente assume, altresi', il contrasto della  norma  in
esame con l'art. 111 Cost., in tema di giusto  processo,  sub  specie
della parita' delle armi, in quanto, supportata da una previsione  di
retroattivita', verrebbe a sancire - se non altro  nelle  ipotesi  in
cui dalle indebite annotazioni della banca sia decorso un decennio  -
la paralisi processuale di chi abbia  agito  in  giudizio,  esperendo
un'azione di ripetizione dell'indebito; 
    che, infine,  il  Giudice  di  pace  deduce  il  contrasto  della
medesima norma con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto  il  profilo
della  possibile  incidenza  della  norma   censurata   su   concrete
fattispecie "sub iudice", a vantaggio di  una  delle  due  parti  del
giudizio (ex plurimis: sentenze nn. 397 e 6 del 1994; nn. 429, 283  e
39 del 1993); 
    che, con atto depositato in data 2 marzo 2012, il Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto in  giudizio  chiedendo  che  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata; 
    che,   in   primo   luogo,   la   difesa   erariale   deduce   la
inammissibilita' della questione, in quanto il giudice a quo  avrebbe
omesso di valutare i profili di rilevanza delle  eccezioni  formulate
dalla  banca  convenuta,  essendosi  limitato  a  svolgere   astratte
considerazioni  sulla  legittimita'  della  norma  censurata,   senza
spiegare se ed in quali termini la sua  applicazione  possa  incidere
concretamente sull'esito della causa pendente dinanzi a se'; 
    che, ad avviso del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  il
giudice a quo avrebbe  descritto  genericamente  la  fattispecie  del
giudizio principale, non specificando se  la  domanda  formulata  nel
detto  giudizio  possa  trovare  accoglimento  in  base  ai  principi
espressi dalla Corte di cassazione e,  quindi,  se  sia  rilevante  e
decisivo, ai fini del decidere, lo ius supervenies, che individua una
diversa decorrenza dei termini prescrizionali; 
    che   la   difesa   erariale   deduce,   inoltre,   una   lettura
indifferenziata  e  confusa  della  norma  denunciata  da  parte  del
rimettente, non essendo stata operata la necessaria  differenziazione
tra le diverse disposizioni della prima  e  della  seconda  parte  di
essa, attinenti rispettivamente alla interpretazione della disciplina
della prescrizione  in  relazione  ai  contratti  di  conto  corrente
bancario e all'esercizio delle azioni restitutorie; 
    che, in particolare, avendo il  giudice  a  quo  interpretato  la
seconda parte della norma denunciata nel  senso  di  una  generale  e
radicale preclusione del diritto di agire per la  restituzione  delle
somme  versate,  sarebbe  irrilevante  e,  dunque,  inammissibile  la
questione di costituzionalita' riferita alla  prima  parte  di  essa,
relativa al tema della prescrizione; 
    che  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  eccepisce  la
inammissibilita' della questione anche sotto il profilo della mancata
sperimentazione da parte del rimettente di una interpretazione  della
norma censurata conforme a Costituzione (ordinanze n. 139, n.  101  e
n. 15 del 2011; n. 205 del 2008); 
    che la difesa erariale sottolinea come molti giudici  di  merito,
abbiano optato per  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della  norma,  alcuni  riconoscendo  ad  essa  natura  innovativa  ed
escludendone  l'applicazione  per  il  passato  (Corte  d'appello  di
Ancona, sentenza 3 marzo 2011),  altri  considerando  la  norma  come
disposizione di interpretazione autentica, con conseguente necessita'
di fare decorrere la prescrizione decennale dalla data delle  singole
annotazioni in conto (Tribunale di Milano, ordinanze  7  e  4  aprile
2011); 
    che, in particolare, ad avviso del Presidente del  Consiglio  dei
ministri, la mancanza di una chiara  opzione  interpretativa  sarebbe
particolarmente  evidente  con  riguardo  alla  seconda  parte  della
disposizione   censurata,   concernente   il   divieto   di    azioni
restitutorie, in quanto  il  rimettente,  sia  pure  ipotizzando  una
lettura  in  chiave  di  clausola  di  salvaguardia  della  posizione
giuridica di chi abbia gia' ricevuto il rimborso cui la  prescrizione
non  puo'  essere  piu'   eccepita,   opterebbe   per   una   diversa
interpretazione a sfavore del cliente, nel senso di  una  preclusione
assoluta  dell'esercizio  del  diritto  di  azione   di   ripetizione
dell'indebito, omettendo di verificare se il divieto di cui  trattasi
possa essere  riferito  solo  ai  diritti  che  si  debbano  ritenere
prescritti  in  base  alla  prospettata   interpretazione   autentica
dell'art. 2935 cod. civ.; 
    che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri  svolge
le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della  questione,  di
cui all'atto di intervento del 3 gennaio 2012, relativo  al  giudizio
r. o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio; 
    che il Tribunale ordinario di Bari, con ordinanza del  19  maggio
2011 (r.o. n.  14  del  2012),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, primo comma, 24, primo comma, 111, primo e secondo comma,
Cost., questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma
61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 10 del 2011, comma aggiunto dalla legge di conversione; 
    che,  il  rimettente   premette   di   essere   stato   investito
dell'accertamento - con riferimento alle clausole di determinazione e
applicazione degli interessi ultralegali, anatocistici, superiori  al
tasso-soglia  antiusura  -   della   nullita',   illegittimita'   e/o
inefficacia, totale o parziale, di due contratti di  conto  corrente,
e, per l'effetto, della condanna dell'istituto di credito  convenuto,
al pagamento della somma di euro 280.859,72 ovvero di tutte le  somme
risultanti a credito dell'attrice; 
    che, nel costituirsi in giudizio, la banca convenuta ha  eccepito
il difetto di legittimazione dell'attrice,  nonche'  la  prescrizione
decennale di ogni diritto vantato da quest'ultima alla ripetizione di
somme, a far data dalla notifica dell'atto di citazione o  quantomeno
dalla chiusura del conto, chiedendo il rigetto delle domande; 
    che, nelle more, e' entrata in vigore la normativa censurata; 
    che, in punto di rilevanza, il rimettente ritiene di dovere  fare
applicazione nel giudizio principale di detta norma - trattandosi  di
disposizione  che  disciplina  la  prescrizione  del   diritto   alla
restituzione di somme illegittimamente addebitate su  conto  corrente
bancario - discutendosi di rapporti bancari in corso da  oltre  dieci
anni  e  avendo  la  banca   convenuta   sollevato   l'eccezione   di
prescrizione; 
    che, in particolare, il giudice a quo osserva  come,  secondo  la
nuova  normativa,  la  prescrizione  decennale   del   diritto   alla
ripetizione di ogni singolo addebito illegittimo decorra  dal  giorno
dell'annotazione di tale addebito, anche quando si tratti di addebito
intra-fido, cio' in contrasto  con  quanto  affermato  dalle  sezioni
unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 24418 del 2010; 
    che  il  rimettente  sottolinea,   al   riguardo,   come,   prima
dell'entrata in vigore dell'art. 2, comma 61, secondo  l'orientamento
maggioritario della giurisprudenza di  merito,  la  prescrizione  del
diritto alla ripetizione dell'indebito decorreva dalla  chiusura  del
conto  corrente,  mentre,  secondo  l'orientamento  minoritario,   la
prescrizione decorreva dai singoli addebiti; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale censura
l'art. 2, comma 61, in riferimento agli artt.  3,  primo  comma,  24,
primo comma, 111, commi primo e secondo, Cost.; 
    che, in ordine all'assunta violazione dell'art. 3,  primo  comma,
Cost.,  il  rimettente  rileva  come  la  norma  in   esame   imponga
irragionevolmente una  interpretazione  che,  soprattutto  a  seguito
dell'intervento delle sezioni unite della Corte  di  cassazione,  non
poteva  essere   piu'   considerata   tra   le   possibili   varianti
interpretative dell'art. 2935 cod. civ.; 
    che, ad avviso del giudice  a  quo,  la  norma  in  questione  si
presenterebbe priva del requisito  della  ragionevolezza,  in  quanto
violerebbe il principio  di  certezza  delle  situazioni  giuridiche,
intervenendo su un sistema normativo nel  quale  non  vi  erano  piu'
problemi interpretativi in ordine alla determinazione della  data  di
decorrenza  della  prescrizione  per  la  ripetizione   delle   somme
illegittimamente addebitate sui conti correnti bancari, imponendo una
soluzione gia' assolutamente minoritaria e  superata  dall'intervento
delle sezioni unite; 
    che, in particolare, la norma censurata, prevedendo la decorrenza
della prescrizione dalla data dell'annotazione, che di  per  se'  non
costituisce un "pagamento" indebito - poiche' gli addebiti  in  conto
corrente  effettuati  intra-fido  non  costituiscono  "pagamento"   -
introdurrebbe una irragionevole deroga al  principio  generale  della
decorrenza della prescrizione dal momento  in  cui  il  diritto  puo'
essere fatto valere, ponendosi ingiustificatamente in  contrasto  con
il contesto normativo preesistente; 
    che, ad avviso  del  rimettente,  cio'  comporterebbe  anche  una
lesione dell'affidamento dei consociati sulla decorrenza del  termine
di prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito  dalla  data
di chiusura del conto e/o dal  versamento  "solutorio",  nonche'  una
ingiustificata disparita' di trattamento tra i titolari di diritti di
credito nei confronti delle banche per  la  ripetizione  delle  somme
illegittimamente addebitate su conto corrente e gli altri titolari di
diritti  di  credito  per  la  ripetizione  di  somme   indebitamente
corrisposte; 
    che, in ordine alla assunta violazione  dell'art.  24  Cost.,  il
rimettente  ritiene  che  il  primo  periodo  della  norma  censurata
individuerebbe la decorrenza della prescrizione stessa in un atto che
e' al di fuori della sfera  conoscitiva  del  creditore,  ledendo  il
diritto di difesa e di azione in giudizio di quest'ultimo; 
    che anche il secondo periodo della  norma  censurata,  letto  nel
senso di una irripetibilita' dei versamenti indebiti gia'  effettuati
dal correntista alla data della entrata in vigore della normativa  in
esame,  introdurrebbe,  ad  avviso  del  rimettente,  un  divieto  di
ripetizione   giudiziale   e   stragiudiziale   delle   somme    gia'
indebitamente corrisposte dal cliente in violazione del principio  di
tutela delle situazioni giuridiche soggettive e del  principio  della
necessaria  causalita'  degli  arricchimenti  e   degli   spostamenti
patrimoniali; 
    che, infine, il rimettente assume la  violazione  dell'art.  111,
commi primo e secondo, Cost., e, quindi, del diritto  ad  un  «giusto
processo»,  in  quanto  il  secondo  periodo  della  norma  censurata
interverrebbe  sui  giudizi  in  corso,  paralizzando   l'azione   di
ripetizione  dell'indebito,  e  determinerebbe   una   ingiustificata
disparita' di trattamento tra le parti del giudizio,  trattandosi  di
normativa di assoluto favore per le banche rispetto al  cliente,  con
eliminazione di qualsiasi possibilita'  di  ripetizione  delle  somme
indebitamente versate fino  all'entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione n. 10 del 2011; 
    che, con atto depositato in data 2 marzo 2012, il Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto in giudizio,  chiedendo  che  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata; 
    che,   in   primo   luogo,   la   difesa   erariale   deduce   la
inammissibilita' della questione per  carenza  di  motivazione  sulla
rilevanza, non avendo il rimettente indicato la causale della pretesa
restitutoria ne' quale fosse il dies a quo di decorrenza del  termine
di prescrizione alla luce  dei  principi  enunciati  dalla  Corte  di
cassazione a sezioni unite, che la norma avrebbe modificato; 
    che, inoltre, la questione di legittimita' costituzionale, avente
ad  oggetto  il  secondo  periodo  della  norma  censurata,   sarebbe
inammissibile in quanto  fondata  su  argomentazioni  non  conferenti
rispetto al parametro invocato (art. 111 Cost.); 
    che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri  svolge
in sostanza le medesime argomentazioni  sulla  non  fondatezza  della
questione di cui all'atto di intervento del 3 gennaio  2012  relativa
al giudizio r.o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio; 
    che il Tribunale ordinario  di  Siracusa,  con  ordinanza  del  7
ottobre 2011 (r.o. n. 24 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 24, commi primo e secondo, 102, primo comma,  111,  commi
primo e secondo, 117, primo comma, Cost., questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 61, secondo periodo,  del  d.l.  n.
225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  10  del
2011, comma aggiunto dalla legge di conversione; 
    che il rimettente premette di essere investito  dell'opposizione,
ai sensi dell'art. 645  del  codice  di  procedura  civile,  proposta
avverso un decreto ingiuntivo emesso in favore della Banca  Antoniana
Popolare  Veneta,  del  quale  e'  chiesta  la  revoca  e,   in   via
riconvenzionale, l'accertamento della violazione della legge 7  marzo
1996, n. 108 (Disposizioni in materia  di  usura)  e  della  nullita'
della  clausola  negoziale,  di  cui  all'art  1283  cod.  civ.,  del
contratto di conto  corrente  bancario  intrattenuto  con  l'istituto
bancario, con la condanna di  quest'ultimo  alla  restituzione  delle
somme indebitamente percepite; 
    che, come il giudice a quo aggiunge, nel costituirsi in  giudizio
la banca convenuta ha chiesto il rigetto delle domande, ma nelle more
e' intervenuta la normativa censurata; 
    che, in  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva  come  il
censurato art. 2,  comma  61,  secondo  periodo,  prescindendo  dalla
proposizione di un'eccezione di  prescrizione  -  non  sollevata  nel
giudizio a quo - elida in radice,  nei  rapporti  di  conto  corrente
bancario, il diritto di azione ai sensi dell'art. 2033 cod.  civ.  in
relazione alle somme versate in data anteriore all'entrata in  vigore
della legge di conversione n. 10 del 2011; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale  dubita
della legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  2,  comma  61,
secondo periodo, in riferimento agli  artt.  3,  24,  commi  primo  e
secondo, 102, primo comma, 111, commi primo  e  secondo,  117,  primo
comma, Cost.; 
    che, come il rimettente premette, la norma in esame  non  sarebbe
annoverabile tra quelle di interpretazione autentica, in  quanto  non
diretta ad imporre all'art. 2935  cod.  civ.  alcun  significato  tra
quelli ascrivibili, ma sancirebbe, in via automatica  e  retroattiva,
la perdita del diritto maturato alla ripetizione di somme versate nel
corso dei contratti di conto corrente bancario  sino  all'entrata  in
vigore della legge di conversione del decreto-legge; 
    che, inoltre, ad avviso del rimettente,  il  dato  letterale  "in
ogni caso" denoterebbe la inutilita' dell'eccezione  di  prescrizione
di cui all'art. 2935 cod. civ., stante la configurabilita' di un vero
e proprio divieto generale di restituzione dei versamenti  effettuati
anteriormente all'entrata in vigore della legge di conversione; 
    che, in primo luogo, il rimettente censura l'art.  2,  comma  61,
secondo periodo, in riferimento all'art. 3 Cost.: 1) sotto il profilo
della irragionevolezza, in quanto  il  legislatore  avrebbe  escluso,
retroattivamente e  limitatamente  al  contratto  di  conto  corrente
bancario, ogni azione restitutoria avente  ad  oggetto  i  versamenti
effettuati  anteriormente  all'entrata  in  vigore  della  legge   di
conversione  -   termine,   ad   avviso   del   rimettente,   neanche
individuabile con esattezza ex ante, tenuto conto dei sessanta giorni
per la conversione, ai sensi dell'art. 77, terzo  comma,  Cost.  -  a
prescindere dall'intervenuto decorso a tale data del relativo termine
di prescrizione; 2) sotto il profilo della  lesione  dell'affidamento
dei consociati, in quanto il legislatore,  disponendo  con  la  norma
censurata  retroattivamente  e  limitatamente  alla   categoria   del
contratto  di   conto   corrente   bancario,   avrebbe   creato   una
ingiustificata disparita' di trattamento tra chi  abbia  versato  gli
importi, privi di causa, prima dell'entrata in vigore della legge  di
conversione,  e  chi  abbia  effettuato  tali  versamenti  dopo  tale
termine; 
    che il giudice a quo deduce, altresi',  la  violazione  dell'art.
24, commi primo e secondo, Cost., in quanto il  generale  divieto  di
ripetizione dei versamenti, effettuati anteriormente alla entrata  in
vigore della legge di conversione,  renderebbe  inutile  e  privo  di
effettivita'  il  diritto  dei   cittadini   di   adire   l'autorita'
giudiziaria  per  ottenere  la  tutela   delle   proprie   situazioni
giuridiche soggettive; 
    che il rimettente censura la norma in esame anche in  riferimento
all'art.  102,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  essa   inciderebbe
negativamente  sulle   attribuzioni   costituzionali   dell'autorita'
giudiziaria definendo, sostanzialmente, con atto legislativo, l'esito
di giudizi in corso; 
    che, infine, il Tribunale assume la violazione degli  artt.  111,
commi primo e secondo, e  117,  primo  comma,  Cost.,  attraverso  la
violazione dell'art. 6 della CEDU, nell'interpretazione datane  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo, in quanto l'applicabilita' della
norma censurata ai giudizi in corso lederebbe i principi  del  giusto
processo e della parita' delle parti, venendo ad incidere su  di  una
determinata tipologia di controversie gia' pendenti, a  vantaggio  di
una delle  parti  del  giudizio,  senza  che  si  ravvisino  "ragioni
imperative d'interesse generale"; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio, chiedendo che la questione di  legittimita'  costituzionale
sia dichiarata inammissibile o infondata; 
    che,   in   primo   luogo,   la   difesa   erariale   deduce   la
inammissibilita'  della  questione  per  carente  descrizione   della
fattispecie che consenta di verificarne  la  rilevanza,  nonche'  per
omessa  sperimentazione  di   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata della norma censurata; 
    che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri -  dopo
avere premesso le medesime argomentazioni sulla non fondatezza  della
questione di cui all'atto di intervento del 3 gennaio 2012,  relativa
al giudizio r.o. n. 259 del 2011, cui si fa rinvio - osserva come  il
secondo  periodo  dell'art.  2,  comma  61,  debba  essere  letto  ed
interpretato in stretta correlazione con  il  primo  periodo  di  cui
costituisce il corollario; 
    che, ad avviso della difesa  erariale,  con  il  secondo  periodo
censurato, il legislatore ha inteso precisare che  non  e'  possibile
ripetere le somme indebitamente addebitate in  conto  nel  caso  ("in
ogni caso") in cui sia decorso il termine prescrizionale,  decorrente
dall'annotazione,   dell'azione   di    accertamento    dell'indebita
contabilizzazione di cui al primo periodo della medesima norma; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri esclude, quindi,  la
violazione  dell'art.  3   Cost.:   1)   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza, in quanto la norma  censurata  non  implicherebbe  il
divieto di esperire azioni di ripetizione  dell'indebito  per  coloro
che abbiano effettuato pagamenti alla data di entrata in vigore della
legge, ma  vieterebbe  l'azione  di  ripetizione  nel  solo  caso  di
prescrizione del diritto a contestare le  annotazioni  in  conto;  2)
sotto il profilo della irragionevole  disparita'  di  disciplina  tra
rapporti regolati in conto corrente  bancario  e  in  conto  corrente
ordinario, attesa la diversita' dei rapporti posti a confronto; 
    che, infine, sotto il profilo dell'assunta  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6  della  CEDU,  la
difesa erariale osserva come la norma denunciata si limiti a chiarire
quale sia il termine di decorrenza della prescrizione e  quali  siano
gli effetti del suo decorso, senza ledere  il  diritto  di  agire  in
giudizio  a  tutela  delle  proprie  ragioni  e   senza   interferire
sull'esercizio della potesta' giurisdizionale. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Nicosia, il Giudice  di
pace di Potenza, il Tribunale  ordinario  di  Bari  ed  il  Tribunale
ordinario di Siracusa, sollevano, tutti,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'articolo  2,  comma  61,  del  decreto-legge  29
dicembre 2010, n. 225, (Proroga di termini previsti  da  disposizioni
legislative e di  interventi  urgenti  in  materia  tributaria  e  di
sostegno   alle   imprese   e   alle   famiglie),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto in
sede di conversione, ipotizzando, nel complesso, la violazione  degli
articoli 2, 3, 24, 101, 102, 104,  111  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione; 
    che, pertanto,  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere
definiti con unica pronuncia; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione,  questa  Corte,
con  sentenza  n.  78  del  2012,  ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale di detto art. 2, comma 61; 
    che, per effetto di tale sentenza, la questione  di  legittimita'
costituzionale  della  medesima  norma,   sollevata   dagli   odierni
rimettenti, e' divenuta priva di oggetto  e,  pertanto,  deve  essere
dichiarata manifestamente inammissibile; 
    che a tale conclusione si giunge sul rilievo che la questione  in
esame riguarda la  stessa  norma  della  quale  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale con la richiamata sentenza n. 78  del
2012, sicche', in forza dell'efficacia ex tunc di tale pronuncia,  e'
preclusa al giudice a quo  una  nuova  valutazione  della  perdurante
rilevanza della questione  stessa,  unica  valutazione  che  potrebbe
giustificare la restituzione degli atti  al  giudice  rimettente  (da
ultimo, ordinanze n. 76 del 2012; n. 312, n. 85, n. 55 e  n.  19  del
2011, n. 298 e n. 222 del 2010). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita'  costituzionale   dell'articolo   2,   comma   61,   del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di  termini  previsti
da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in  materia
tributaria e di sostegno alle imprese e alle  famiglie),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sollevata, in
riferimento - nel complesso - agli articoli 2, 3, 24, 101, 102,  104,
111 e 117, primo comma, della Costituzione, dal  Tribunale  ordinario
di Nicosia, dal Giudice di pace di Potenza, dal  Tribunale  ordinario
di Bari e dal Tribunale  ordinario  di  Siracusa,  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012. 
 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2012. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI