N. 252 SENTENZA 5 - 15 novembre 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Illecito  amministrativo  -  Abuso  di  informazioni  privilegiate  -
  Confisca  obbligatoria,  anche  per  equivalente,  degli  strumenti
  finanziari   "movimentati"   -   Possibilita',   per    l'autorita'
  amministrativa e per il giudice dell'opposizione,  di  graduare  la
  misura in rapporto  alla  gravita'  in  concreto  della  violazione
  commessa - Mancata  previsione  -  Riproposizione  della  questione
  nell'ambito  del  medesimo  grado  di  giudizio  -  Possibilita'  -
  Condizioni. 
- D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-sexies, commi 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
Illecito  amministrativo  -  Abuso  di  informazioni  privilegiate  -
  Confisca  obbligatoria,  anche  per  equivalente,  degli  strumenti
  finanziari   "movimentati"   -   Possibilita',   per    l'autorita'
  amministrativa e per il giudice dell'opposizione,  di  graduare  la
  misura in rapporto  alla  gravita'  in  concreto  della  violazione
  commessa  -  Mancata  previsione  -  Richiesta  di  una   pronuncia
  additivo-manipolativa  che  mira  ad  introdurre  una  "novita'  di
  sistema" - Esorbitanza dai poteri della  Corte  -  Inammissibilita'
  della questione. 
- D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-sexies, commi 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.46 del 21-11-2012 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale   dell'articolo
187-sexies, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58 (Testo unico delle  disposizioni  in  materia  di  intermediazione
finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della  legge  6  febbraio
1996,  n.  52),  promosso  dalla  Corte  di  appello  di  Torino  nel
procedimento vertente tra S.M. ed altra e la  CONSOB,  con  ordinanza
del 27 gennaio 2012, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  19,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con ordinanza del 27 gennaio 2012, la Corte di appello di  Torino
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  27  della  Costituzione,
questione di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  187-sexies,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58  (Testo
unico delle disposizioni in materia di  intermediazione  finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996,  n.  52),
nella parte in cui dispone la confisca obbligatoria  degli  strumenti
finanziari  «movimentati»  attraverso  le  operazioni   compiute   in
violazione dell'art. 187-bis del medesimo decreto legislativo  (abuso
di informazioni privilegiate),  o  del  loro  equivalente  economico,
«senza consentire all'autorita' amministrativa  prima  e  al  giudice
investito dell'opposizione poi  di  graduare  anche  tale  misura  in
rapporto alla gravita' in concreto della violazione commessa». 
    Il giudice a quo premette di essere  investito  del  giudizio  di
opposizione avverso la deliberazione della Commissione nazionale  per
le societa' e la borsa (CONSOB) del 30 dicembre 2009,  con  la  quale
erano state irrogate sanzioni amministrative per una  fattispecie  di
ritenuto abuso di informazioni privilegiate. Secondo il provvedimento
impugnato, l'amministratore di una societa' avrebbe  acquistato,  per
conto di quest'ultima, fra il 31  maggio  e  il  9  giugno  2005,  un
consistente numero di  azioni  bancarie,  utilizzando  l'informazione
privilegiata, di cui era in possesso in ragione della  sua  qualita',
relativa al fatto che una societa' controllata  era  in  procinto  di
dare esecuzione a massicci ordini di acquisto delle medesime  azioni,
conferiti da terzi e idonei ad influire sulla quotazione dei  titoli.
Le azioni erano state rivendute poco tempo dopo, con un  profitto  di
euro 1.407.505, al netto delle commissioni. 
    A fronte di cio', la CONSOB aveva irrogato all'autore del fatto e
alla societa' nel cui interesse esso era stato commesso  la  sanzione
amministrativa pecuniaria di euro 1.800.000 ciascuno, per violazione,
rispettivamente, dell'art.  187-bis  e  dell'art.  187-quinquies  del
d.lgs. n. 58 del 1998. Nei confronti della societa' era stata inoltre
disposta,  ai  sensi  dell'art.   187-sexies   del   citato   decreto
legislativo, la confisca di titoli azionari ed obbligazionari per  un
valore di euro 20.723.331, corrispondente  a  quello  del  «prodotto»
dell'illecito,  rappresentato  dalle  azioni  acquistate  utilizzando
l'informazione  privilegiata:  importo  che   conglobava   la   somma
impiegata  nell'operazione  (euro  19.255.857)  e  il  «differenziale
positivo» conseguito in occasione della rivendita  dei  titoli  (euro
1.467.474). 
    Il giudice rimettente riferisce, altresi', di  avere  pronunciato
sentenza non definitiva, con cui aveva respinto l'opposizione,  salvo
che  per  il  capo  della  deliberazione  concernente  la   confisca,
relativamente  al  quale,  con   separata   ordinanza   -   recependo
l'eccezione  degli  opponenti  -   aveva   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale, per contrasto  con  gli  artt.  3  e  27
Cost., dell'art. 187-sexies, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 58 del  1998,
«nella  parte  in  cui  dispone  che  l'applicazione  delle  sanzioni
amministrative pecuniarie, previste dal  medesimo  capo  del  decreto
legislativo, importi sempre la confisca del prodotto, del profitto  e
dei beni utilizzati per commettere l'illecito e che, ove la  confisca
non  possa   essere   eseguita   direttamente,   essa   debba   avere
obbligatoriamente luogo su "denaro, beni o altre utilita'  di  valore
equivalente"». 
    La questione era stata dichiarata, peraltro, inammissibile  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2011, per oscurita' e
indeterminatezza  del  petitum.  La  Corte  aveva,  in   particolare,
rilevato come l'intervento ad essa richiesto  rimanesse  «oscuro  sia
quanto all'oggetto che quanto al contenuto». Sotto il primo  profilo,
non era dato, infatti,  comprendere  se  l'invocata  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dovesse concernere tutte le entita' cui
si  riferisce  la  norma  denunciata,   ovvero   solo   il   prodotto
dell'illecito e i beni  utilizzati  per  commetterlo,  ovvero  ancora
esclusivamente tali  ultimi  beni.  Sotto  il  secondo  profilo,  non
emergeva in modo univoco  se  fosse  stata  richiesta  una  pronuncia
ablativa, intesa a rimuovere puramente e  semplicemente  la  speciale
ipotesi di confisca in discussione, o se fosse auspicata, invece, una
pronuncia  a  carattere  additivo-manipolativo,  che  attribuisse   -
all'autorita' amministrativa prima e al giudice poi -  il  potere  di
graduare  la  misura  ablativa  prevista   dalla   norma   censurata,
escludendone in  tutto  o  in  parte  l'applicazione  allorche'  essa
apparisse,  in  concreto,  sproporzionata  rispetto   alla   gravita'
dell'illecito. 
    Di seguito a tale pronuncia, gli opponenti avevano  riassunto  il
processo, chiedendo al giudice a quo di sollevare nuova questione  di
legittimita' costituzionale della norma censurata. 
    Ad avviso della Corte rimettente, le ragioni poste  a  fondamento
della precedente ordinanza  di  rimessione  non  avrebbero  perso  di
validita', salva restando l'esigenza  di  precisare  il  petitum,  in
ossequio alle indicazioni della citata sentenza n. 186 del 2011. 
    Al riguardo, il giudice a quo osserva che il  comma  1  dell'art.
187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 prevede la confisca obbligatoria
«del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati  per
commetterlo». Il comma 2 stabilisce, a sua volta, che, quando non sia
possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la  stessa  «puo'
avere ad oggetto somme di denaro, beni o  altre  utilita'  di  valore
equivalente». Malgrado l'impiego della voce verbale  «puo'»,  sarebbe
indubitabile - secondo la Corte rimettente - che  anche  la  confisca
per equivalente, prevista dal comma 2, abbia carattere  obbligatorio,
posto che una diversa interpretazione svuoterebbe di  significato  la
preliminare affermazione di  obbligatorieta'  della  misura  ablativa
contenuta nel comma 1. 
    Al  tempo  stesso,  non  sarebbe  contestabile  che  tra  i  beni
utilizzati per commettere la violazione vadano inclusi gli  strumenti
finanziari oggetto delle operazioni illecite di acquisto,  vendita  e
similari, previste dall'art. 187-bis, comma 1, lettere a) e  c),  del
d.lgs. n. 58 del 1998. Correttamente,  pertanto,  la  CONSOB  avrebbe
disposto, nel caso di specie, la  confisca  di  strumenti  finanziari
appartenenti alla societa' interessata per un ammontare  equivalente,
non soltanto al profitto conseguito (pari  al  differenziale  tra  il
prezzo di vendita e  il  prezzo  di  acquisto  delle  azioni  cui  si
riferivano le informazioni privilegiate),  ma  anche  alle  somme  di
denaro  impiegate  per  l'acquisto  stesso.  Avendo   gia'   respinto
l'opposizione con sentenza non definitiva,  relativamente  ai  motivi
attinenti alla sussistenza della violazione contestata, il giudice  a
quo si troverebbe, quindi, a dover disattendere nella loro  interezza
anche i motivi inerenti  alla  confisca:  donde  la  rilevanza  della
questione. 
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la  Corte  torinese
rileva che mentre la previsione della  confisca  obbligatoria,  anche
per equivalente, del  profitto  dell'illecito  non  si  esporrebbe  a
censure di  legittimita'  costituzionale,  non  altrettanto  potrebbe
dirsi con riguardo alla confisca obbligatoria dei beni utilizzati per
commettere la violazione o del loro controvalore. 
    Alla luce, infatti, delle caratteristiche tipiche  dell'abuso  di
informazioni  privilegiate   -   il   quale   consiste,   di   norma,
nell'effettuazione di operazioni su strumenti finanziari  allo  scopo
di conseguire un utile differenziale - cio' che  realmente  determina
la lesione del bene tutelato non sarebbe la mera «movimentazione»  di
detti strumenti finanziari, ne', tantomeno, l'acquisizione della loro
proprieta' o del  loro  possesso  da  parte  del  responsabile  della
violazione,  quanto  piuttosto  il  conseguimento  di   un   profitto
illecito. Tale profitto verrebbe  realizzato,  peraltro,  di  regola,
tramite l'impiego di valori economici molto superiori,  privi  di  un
rapporto di «proporzionalita'»  con  la  gravita'  della  violazione.
Proprio perche'  i  profitti  di  borsa  conseguono  alle  variazioni
marginali dei prezzi degli strumenti  finanziari  negoziati,  l'utile
illecito corrisponderebbe, infatti, solo ad una frazione assai esigua
dei valori investiti nell'operazione. 
    Ne', d'altra parte, si potrebbe ritenere che detti valori abbiano
un  significato  negativo  intrinseco,  «in  termini  di  prevenzione
generale o speciale», tale da renderli meritevoli di ablazione per il
solo fatto di trovarsi nel  patrimonio  e  nella  disponibilita'  del
responsabile della violazione. La confisca dei valori considerati,  o
del loro equivalente, si tradurrebbe, pertanto, in una vera e propria
sanzione, che, affiancandosi alla sanzione amministrativa pecuniaria,
non puo', tuttavia,  a  differenza  di  questa,  essere  graduata  in
rapporto alla gravita' in concreto dell'illecito commesso. 
    In questa prospettiva, la norma  denunciata  violerebbe,  quindi,
tanto l'art. 3  Cost.,  imponendo  di  applicare  la  confisca  senza
consentire alcuna  verifica  di  proporzionalita'  con  il  disvalore
dell'illecito o  con  la  pericolosita'  della  detenzione  dei  beni
ablati; quanto l'art. 27 Cost., il quale esigerebbe la ragionevolezza
e la non arbitrarieta' della risposta  sanzionatoria,  rispetto  alla
effettiva   gravita',   soggettiva   ed   oggettiva,    dell'illecito
perpetrato. 
    Sulla  base  di  tali  rilievi,  la  Corte   rimettente   ritiene
conclusivamente di dover sottoporre a nuovo scrutinio di legittimita'
costituzionale i commi 1 e 2 dell'art. 187-sexies del  d.lgs.  n.  58
del 1998, nella parte in cui impongono la  confisca  degli  strumenti
finanziari  «movimentati»   attraverso   l'operazione   compiuta   in
violazione  dell'art.  187-bis,  o  del  loro   controvalore,   senza
consentire all'autorita' amministrativa prima, e al giudice investito
dell'opposizione poi, di graduare la misura in rapporto alla gravita'
in concreto della violazione commessa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di  appello  di  Torino  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'articolo 187-sexies, commi 1  e  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui  prevede
la confisca obbligatoria,  anche  per  equivalente,  degli  strumenti
finanziari   «movimentati»   tramite   le   operazioni    integrative
dell'illecito amministrativo di abuso di  informazioni  privilegiate,
«senza consentire all'autorita' amministrativa  prima  e  al  giudice
investito dell'opposizione poi  di  graduare  anche  tale  misura  in
rapporto alla gravita' in concreto della violazione commessa». 
    La Corte rimettente muove dall'assunto che  il  disvalore  tipico
dei  fatti  di  abuso  di  informazioni   privilegiate   si   radichi
propriamente nella realizzazione di un  profitto  illecito.  Date  le
dinamiche delle operazioni di borsa, tale profitto  corrisponderebbe,
peraltro, di regola, solo ad una esigua frazione dei valori economici
impiegati nell'operazione, anch'essi  obbligatoriamente  assoggettati
alla misura ablatoria in quanto  beni  strumentali  alla  commissione
dell'illecito. Per questo verso, la confisca assumerebbe, dunque, una
connotazione prettamente sanzionatoria, senza, peraltro, che  ne  sia
possibile  la  graduazione   in   rapporto   all'effettiva   gravita'
dell'illecito, con conseguente rischio che il  soggetto  responsabile
si trovi esposto ad un trattamento punitivo del tutto  sproporzionato
rispetto al fatto commesso. 
    Di qui il ritenuto contrasto della norma censurata con gli  artt.
3  e  27  della  Costituzione,  per  violazione   dei   principi   di
ragionevolezza e proporzionalita' della risposta sanzionatoria. 
    2.- In via preliminare, va rilevato come la  circostanza  che  la
Corte torinese riproponga una seconda volta la questione  nell'ambito
del medesimo grado di giudizio non ridondi, di per se', in un  motivo
di inammissibilita'. 
    Una simile operazione non  e',  infatti,  preclusa  allorche'  la
Corte costituzionale abbia  emesso  una  pronuncia  a  carattere  non
decisorio, fondata su motivi rimuovibili dal giudice a quo, posto che
in tal caso la riproposizione non contrasta col disposto  dell'ultimo
comma dell'art. 137  Cost.,  in  tema  di  non  impugnabilita'  delle
decisioni della Corte stessa (ex plurimis, sentenze n. 50 del 2006  e
n. 189 del 2001, ordinanza n. 317 del  2007):  cio',  peraltro,  alla
ovvia condizione che il giudice a quo abbia eliminato il vizio che in
precedenza impediva l'esame nel merito della questione (ex  plurimis,
ordinanze n. 371 del 2004 e n. 399 del 2002). 
    Nella specie, la pronuncia di inammissibilita' adottata da questa
Corte in rapporto alla precedente ordinanza di  rimessione  (sentenza
n. 186 del 2011) ha carattere, per l'appunto, non  decisorio,  ed  e'
basata su ragioni - il difetto di chiarezza e univocita' del  petitum
- che il giudice a quo puo' senz'altro rimuovere. 
    3.- Nel riproporre la questione, la Corte di  appello  di  Torino
ha, d'altra parte, eliminato la carenza in precedenza riscontrata. 
    Nell'odierno frangente, il giudice a quo ha,  infatti,  formulato
un petitum puntuale, rendendo palese come la  questione  non  miri  a
conseguire una pronuncia ablativa,  quanto  piuttosto  una  pronuncia
additivo-manipolativa, che  -  in  surroga  dell'attuale  obbligo  di
confisca integrale,  anche  per  equivalente,  previsto  dalla  norma
censurata  -  riconosca  all'autorita'  amministrativa  (in  sede  di
irrogazione) e al giudice (nell'ambito del giudizio  di  opposizione)
il potere di «graduare» la  misura  «in  rapporto  alla  gravita'  in
concreto della violazione commessa». Cio', peraltro, limitatamente ad
uno  specifico  oggetto,  nell'ambito  di  quelli  riconducibili  nel
perimetro applicativo della normativa denunciata (la quale impone  la
confisca «del prodotto o del profitto» e dei  «beni  utilizzati»  per
commettere gli  illeciti  amministrativi  di  abuso  di  informazioni
privilegiate e  di  manipolazione  del  mercato):  vale  a  dire,  in
rapporto  ai  soli  «strumenti  finanziari  movimentati»  tramite  le
operazioni  compiute  in  violazione  del   divieto   di   abuso   di
informazione privilegiate. 
    Al di la' dell'opinabilita' di  taluno  degli  asserti  formulati
(quale quello  che  gli  strumenti  finanziari  acquisiti  sfruttando
l'informazione privilegiata rientrerebbero tra i beni utilizzati  per
commettere l'illecito, trattandosi, semmai, del «prodotto» di esso  e
proprio in tale qualita' essendo  stati  confiscati  per  equivalente
dalla CONSOB nel caso di specie), dal coordinamento tra motivazione e
dispositivo dell'ordinanza di rimessione si desume, altresi', in modo
sufficientemente chiaro che la pronuncia richiesta dal giudice a  quo
dovrebbe riguardare gli «strumenti finanziari movimentati» nei limiti
in  cui  il  relativo  valore  rifletta  quello  dei  beni  impiegati
nell'operazione, con esclusione della parte  di  esso  corrispondente
alla plusvalenza realizzata. Secondo le espresse  affermazioni  della
Corte torinese, infatti, la previsione della  confisca  obbligatoria,
anche  per  equivalente,  del   profitto   non   genererebbe   alcuna
perplessita' di  ordine  costituzionale,  riferendosi  il  denunciato
vulnus ai soli «valori [...] impiegati  per  commettere  l'operazione
inquinata  dall'abuso  informativo»,  non  legati  da   un   rapporto
proporzionale predefinito col primo. 
    4.- Se pure chiaro ed univoco, l'odierno petitum rende, tuttavia,
inammissibile la questione sotto un diverso profilo. 
    Nel denunciare le conseguenze ultra modum che possono  scaturire,
in   determinati   contesti,   dalla   previsione   della    confisca
obbligatoria, non solo del profitto, ma anche  dei  beni  strumentali
alla commissione dell'illecito,  specialmente  se  contemplata  anche
nella forma «per equivalente» - problema in se' reale e avvertito, da
sottoporre all'attenzione del legislatore - il giudice a quo  invoca,
in effetti, una pronuncia che, per i  suoi  contenuti,  esorbita  dai
poteri di questa Corte. 
    Nell'attuale panorama ordinamentale, la confisca -  tanto  penale
che amministrativa -  e',  infatti,  sempre  e  soltanto  una  misura
"fissa". L'alternativa "di sistema" al regime dell'obbligatorieta' e'
quella della facoltativita'  (e'  quest'ultima,  appunto,  la  regola
generale in tema di confisca amministrativa dei  beni  impiegati  per
commettere la violazione, rispetto  alla  quale  la  norma  censurata
assume carattere derogatorio: art. 20, terzo comma,  della  legge  24
novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al  sistema  penale»):  nel
qual   caso,   peraltro,   la   discrezionalita'    della    pubblica
amministrazione o del giudice si esplica esclusivamente  in  rapporto
all'an della misura. La confisca puo' essere disposta o meno: ma,  se
disposta, colpisce comunque nella loro interezza il bene o i beni che
ne costituiscono l'oggetto tipico. 
    La Corte torinese non chiede, peraltro, di trasformare, in  parte
qua, la confisca prevista dall'art. 187-sexies del d.lgs. n.  58  del
1998 da obbligatoria in facoltativa: chiede, invece, di introdurre un
innovativo   "terzo   regime",    a    carattere    intermedio    (la
"graduabilita'"),   a   fronte   del   quale   la    discrezionalita'
amministrativa o giudiziale si esplicherebbe in relazione al quantum.
La confisca  degli  «strumenti  finanziari  movimentati»  resterebbe,
cioe', obbligatoria, ma non "obbligatoriamente integrale": la  CONSOB
e il giudice  dell'opposizione  stabilirebbero,  infatti,  per  quale
parte i predetti strumenti finanziari, o  il  relativo  controvalore,
debbano essere assoggettati alla  misura  ablativa,  sulla  base  del
parametro costituito dalla  gravita'  in  concreto  della  violazione
(peraltro, senza che risulti chiaro se vi sia un limite minimo  oltre
il quale il preconizzato  potere  di  abbattimento  del  quantum  non
potrebbe andare, e quale esso eventualmente sia). 
    Per questo  verso,  l'intervento  richiesto  assume,  dunque,  il
carattere di una "novita' di sistema": circostanza che lo colloca  al
di fuori dell'area del sindacato di legittimita' costituzionale,  per
rimetterlo alle eventuali e future soluzioni di riforma, affidate  in
via esclusiva alle scelte del legislatore. 
    5.- La questione va dichiarata, di conseguenza, inammissibile (ex
plurimis, sulla  inammissibilita'  delle  questioni  che  sollecitino
interventi "creativi" della Corte, sentenza n. 33 del 2007, ordinanze
n. 77 del 2010, n. 243 del 2009 e n. 83 del 2007). 
    L'evidenziato profilo di inammissibilita' assorbe ogni  ulteriore
considerazione in ordine alla correttezza delle premesse ermeneutiche
poste  a  base  dell'iter  argomentativo  della   Corte   rimettente,
particolarmente  per  quanto  attiene  all'asserita  possibilita'  di
individuare il momento espressivo dell'offesa  tipica  dell'abuso  di
informazioni privilegiate nel conseguimento di un  indebito  profitto
(evento, in realta', non richiesto ai fini del perfezionamento  della
violazione, che si configura come illecito di mera condotta). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'articolo 187-sexies, commi 1  e  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), sollevata,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27 della  Costituzione,  dalla  Corte  di  appello  di
Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012. 
 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2012. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI