N. 286 ORDINANZA 5 - 12 dicembre 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Formulazione dell'imputazione su ordine del giudice
  (c.d. coatta) a seguito di rigetto della richiesta di archiviazione
  -  Notifica  all'indagato  dell'avviso  della   conclusione   delle
  indagini preliminari - Mancata previsione - Asserita disparita'  di
  trattamento rispetto all'ipotesi di rinvio a giudizio  nelle  forme
  ordinarie  -  Asserita  compressione   delle   garanzie   difensive
  dell'imputato  -  Conferma  di  precedenti  decisioni  -  Manifesta
  infondatezza della questione. 
- Cod. proc. pen., art. 409. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111. 
(GU n.50 del 19-12-2012 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alfonso QUARANTA; 
Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 409 del
codice  di  procedura  penale,  promosso  dal  Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale  di  Taranto,  nel  procedimento  penale  a
carico di V.A., con ordinanza del 14 ottobre 2011, iscritta al n. 107
del registro ordinanze 2012 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 ottobre  2012  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che con ordinanza del 14 ottobre 2011 (r.o. n.  107  del
2012) il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha
sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  3,  24   e   111   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
409 del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non  prevede
che, anche nel caso di formulazione dell'imputazione  su  ordine  del
giudice, in seguito al rigetto della richiesta di  archiviazione,  il
pubblico ministero debba previamente notificare all'indagato l'avviso
di conclusione delle indagini preliminari, di  cui  all'art.  415-bis
cod. proc. pen.; 
    che  il  giudice  rimettente  riferisce   che,   in   seguito   a
un'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Taranto, che aveva ordinato la formulazione dell'imputazione ai sensi
dell'art. 409, comma 5, cod. proc. pen., il pubblico ministero  aveva
chiesto, in data 23 giugno 2010, il rinvio a giudizio di una  persona
imputata del reato di omicidio colposo; 
    che, riferisce ancora il giudice a  quo,  la  richiesta  non  era
stata preceduta dalla notificazione dell'avviso di conclusione  delle
indagini preliminari, notificazione espressamente non prevista  dalla
norma; 
    che il  rimettente  rileva  una  disparita'  di  trattamento  tra
l'ipotesi prevista dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen.  e  quella
dell'esercizio dell'azione penale nelle forme  ordinarie,  prevedendo
gli artt. 416 e 552, comma 2, cod. proc. pen., a  pena  di  nullita',
l'obbligo  del  pubblico  ministero   di   notificare   l'avviso   di
conclusione  delle  indagini  e   di   procedere   all'interrogatorio
dell'indagato che lo richieda; 
    che  all'imputato  rinviato  a  giudizio  secondo  la   procedura
prevista dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen.  sarebbero  precluse
le garanzie difensive riconosciute dall'art. 415-bis cod. proc.  pen.
«in termini di piena discovery degli atti, di esatta e cristallizzata
contestazione di  un  fatto  determinato,  di  diritto  a  difendersi
provando  la  propria  innocenza  gia'  nella  fase  delle   indagini
preliminari a mezzo di interrogatorio»; 
    che, ad avviso del  giudice  a  quo,  l'art.  111  Cost.  avrebbe
sostanzialmente imposto  al  legislatore  l'anticipazione  alla  fase
procedimentale di una serie di garanzie difensive tipiche della  fase
processuale,  anticipazione  realizzata   attraverso   l'introduzione
dell'art. 415-bis cod. proc. pen. ad opera della  legge  16  dicembre
1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice  di
procedura  penale.  Modifiche  al  codice  penale  e  all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile  pendente,
di indennita' spettanti al giudice  di  pace  e  di  esercizio  della
professione forense), come emergerebbe dalla contestualita' temporale
di quest'ultima con la legge costituzionale 23 novembre  1999,  n.  2
(Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della
Costituzione); 
    che il legislatore avrebbe avvertito l'urgenza di anticipare gia'
nella fase procedimentale le garanzie  difensive  tipiche  di  quella
processuale e di procedere a un  riequilibrio  tra  accusa  e  difesa
nella fase delle indagini «grazie  alla  previsione  di  un  maggiore
spazio di contraddittorio circa la completezza  e  la  sostanzialita'
dell'accusa, nonche' delle indagini poste a sostegno della stessa»; 
    che l'incompatibilita' dell'art. 409, comma 5,  cod.  proc.  pen.
con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. sarebbe  ulteriormente  argomentabile
per la disparita' di  trattamento  tra  il  destinatario  dell'avviso
previsto dall'art. 409, comma 2, cod. proc. pen.  e  il  destinatario
dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc.  pen.,  anche  alla  luce  del
successivo art. 410 del codice di rito, che attribuisce alla  persona
offesa  dal  reato  la  possibilita'  di  proporre  opposizione  alla
richiesta di archiviazione, imponendole, a pena di  inammissibilita',
di indicare l'oggetto dell'investigazione  suppletiva  e  i  relativi
elementi di prova, laddove tale  possibilita'  propulsiva  in  chiave
difensiva sarebbe di fatto preclusa all'indagato nel procedimento  di
cui all'art. 409 cod. proc. pen., «non prevedendo la norma sul  punto
nessuna   possibilita'   di   proposizione   di   alcun   adempimento
investigativo»; 
    che, osserva ancora  il  rimettente,  secondo  un'interpretazione
dottrinale dell'art. 409 cod. proc. pen.,  non  sarebbe  obbligatoria
l'audizione della persona sottoposta alle indagini che abbia  chiesto
di essere interrogata e quindi, sarebbe notevolissima e di  immediata
percezione la  differenza  tra  le  garanzie  difensive  riconosciute
dall'art. 415-bis cod. proc. pen. e quelle riconosciute dall'art. 409
cod. proc. pen.: in quest'ultima ipotesi «il  mancato  interrogatorio
dell'indagato che lo abbia richiesto rimane privo  di  conseguenze  e
sfornito di sanzione processuale», mentre per il  combinato  disposto
degli artt. 415-bis e 416 cod. proc. pen. «il mancato  interrogatorio
dell'indagato che ne abbia fatto  richiesta  a  seguito  di  notifica
dell'avviso di conclusione delle  indagini  preliminari,  inficia  di
nullita' la successiva richiesta di rinvio a giudizio e gli  atti  ad
essa conseguenti»; 
    che  all'indagato  che  richieda  invano  di  essere  interrogato
verrebbe precluso quel minimum  in  termini  difensivi  rappresentato
dall'esposizione delle proprie argomentazioni difensive; 
    che il potenziale quanto insindacabile disinteresse da parte  del
pubblico ministero e del giudice  per  le  indagini  preliminari  nei
confronti  delle   richieste   difensive   o   della   richiesta   di
interrogatorio   proposte    dall'indagato    sarebbe    testimoniato
dall'assenza   di   sanzione   processuale,   sicche'    «nell'ambito
dell'udienza fissata ex art. 409 co. 2 c.p.p.,  all'indagato,  al  di
la' di una parziale discovery degli atti (non si tralasci che il p.m.
puo' selezionare gli atti di indagine da depositare  per  l'udienza),
altro non rimane se non  una  pressoche'  sterile  interlocuzione  in
merito alla fondatezza  e  sostenibilita'  di  una  nebulosa  ipotesi
accusatoria»; 
    che, in tale fase, come  emergerebbe  dalla  lettura  sistematica
degli artt. 409 e 410 cod. proc.  pen.,  verrebbero  assicurate  piu'
garanzie difensive alla persona offesa che all'indagato; 
    che, sempre in tale fase, l'apporto  investigativo  dell'indagato
sarebbe pressoche' nullo, in quanto a norma dell'art. 409,  comma  4,
cod. proc. pen. il compimento  di  ulteriori  indagini  e'  meramente
eventuale, dovendo  il  pubblico  ministero  procedervi  solo  se  il
giudice per  le  indagini  preliminari,  «con  giudizio  praticamente
insindacabile ed insuscettibile di riesame», le ritiene necessarie; 
    che la disuguaglianza  tra  l'indagato  destinatario  dell'avviso
previsto  dall'art.  409,  comma  2,  cod.  proc.   pen.   e   quello
destinatario dell'avviso previsto dall'art. 415-bis cod.  proc.  pen.
sarebbe confermata dal rilievo  che  mentre  quest'ultimo  riceve  un
avviso  recante  un'imputazione  «sostanzialmente  cristallizzata   e
delineata»,  il  che  si  risolve  in  una  garanzia  in  termini  di
salvaguardia del diritto di difesa, il primo deve difendersi  da  una
«contestazione fluida, imprecisa,  insufficientemente  determinata  e
suscettibile di variazioni anche in senso a lui  sfavorevole»,  posto
che nell'avviso di fissazione dell'udienza  prevista  dall'art.  409,
comma  2,  cod.  proc.   pen.   mancherebbe   qualsiasi   riferimento
all'imputazione; 
    che la mancata indicazione di un  capo  di  imputazione  certo  e
definito si risolverebbe in un grave vulnus al diritto  dell'indagato
di conoscere l'accusa dalla quale difendersi ove si consideri che  il
giudice per le indagini  preliminari  potrebbe  imporre  al  pubblico
ministero un'imputazione diversa da  quella  per  la  quale  l'accusa
aveva formulato la richiesta di archiviazione; 
    che, osserva ancora il  rimettente,  all'esito  della  camera  di
consiglio, il pubblico  ministero,  nonostante  l'imputazione  coatta
disposta dal giudice per le indagini preliminari, potrebbe  formulare
una contestazione diversa da quella originariamente  ipotizzata,  con
il rischio per l'imputato di «essersi difeso per una contestazione  e
di subire il giudizio per un'altra»; 
    che siffatto  «ventaglio  di  eventualita'  accusatorie»  sarebbe
gravemente lesivo del diritto di difesa dell'indagato, che, a  fronte
della possibilita' di ricevere contestazioni diverse e "a  sorpresa",
sarebbe condizionato (se  non  menomato)  nella  scelta  della  linea
difensiva; 
    che il profilo di illegittimita' della norma di cui all'art.  409
cod. proc. pen. sarebbe riscontrabile anche  nel  suo  contrasto  con
l'art. 6, comma 3, lettera  a),  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva con la
legge 4 agosto 1955, n. 848), che, utilizzando il termine  "accusato"
senza  alcuna  distinzione  tra  persona  sottoposta  ad  indagini  e
imputato,  sarebbe  estensibile  anche  alla  fase   delle   indagini
preliminari; 
    che tale  lettura,  confermata  dall'art.  61  cod.  proc.  pen.,
sarebbe esplicitata anche dalla giurisprudenza  della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo (sentenza 1° marzo 2006, n. 56581/00,  Sejdovic
contro Italia); 
    che la diversita', sotto il profilo  difensivo,  della  posizione
dell'indagato che si trovi nella  situazione  disciplinata  dall'art.
409 cod. proc. pen.  rispetto  a  quella  dell'indagato  destinatario
dell'avviso ex  art.  415-bis  cod.  proc.  pen.  sarebbe  comprovata
dall'orientamento dottrinale secondo cui, nell'ipotesi in cui proceda
ad una modifica della contestazione, il  pubblico  ministero  avrebbe
l'obbligo  di  notificare  un  nuovo  avviso  di  conclusione   delle
indagini; 
    che, ad avviso del giudice a quo, anche nella fase delle indagini
preliminari la contestazione  dalla  quale  difendersi  deve  essere,
cosi' come previsto  dall'art.  415-bis  cod.  proc.  pen.,  «chiara,
precisa e cristallizzata», sicche', «non  diversamente  dall'indagato
che  riceve  l'avviso  previsto  ex  art.   415-bis   c.p.p.,   anche
all'indagato destinatario di imputazione coatta vanno riconosciute le
medesime garanzie difensive, con la notifica del medesimo avviso»; 
    che,  ritenere,  come  ha  fatto  la  Corte  costituzionale   con
l'ordinanza n. 441 del 2004, che il contraddittorio  sulla  eventuale
incompletezza delle indagini si esplichi necessariamente nell'udienza
in camera di consiglio, fissata dal giudice qualora  non  accolga  la
richiesta di archiviazione del  pubblico  ministero,  significherebbe
«assimilare situazioni processuali che simili non sono e  che,  anzi,
ed a tanto e' finalizzata la  proponenda  questione  di  legittimita'
costituzionale, andrebbero  finalmente  assimilate,  in  ossequio  ai
principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost.»; 
    che il divario tra le garanzie difensive assicurate  all'indagato
dagli artt. 409 e 415-bis  cod.  proc.  pen.  sarebbe  immediatamente
percepibile: nel primo caso «non vi e' una contestazione  determinata
e cristallizzata ma una  fluida  ipotesi  accusatoria,  la  discovery
sugli atti  di  indagine  potrebbe  essere  incompleta  (non  essendo
gravato il p.m. da alcun obbligo in tal senso) ed infine  non  vi  e'
alcun obbligo di procedere all'interrogatorio  dell'indagato  che  ne
faccia richiesta»; nella seconda ipotesi, invece,  «la  contestazione
e'  gia'  delineata  e  cristallizzata,  la  discovery   degli   atti
processuali trova massima estrinsecazione avendo il p.m.  un  preciso
obbligo in merito alla piena ostensione di tutti gli atti di indagine
(a pena di  inutilizzabilita'  degli  atti  inizialmente  criptati  e
successivamente   scoperti),   sussiste   l'obbligo   di    procedere
all'interrogatorio dell'indagato che lo richieda,  pena  la  nullita'
della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  e  degli  atti   ad   essa
successivi»; 
    che la situazione di squilibrio tra  le  due  situazioni  sarebbe
molto evidente e meritevole di essere  riequilibrata  alla  luce  dei
principi di cui agli artt. 3, 24 e 111  Cost.,  nonche'  in  ossequio
all'art. 6 della CEDU; 
    che  la  necessita'  sarebbe  «maggiormente   accresciuta   dalla
esigenza di sottrarre il momento procedimentale di cui  all'art.  409
c.p.p. da quella specie di zona grigia dove, in spregio  ai  principi
informatori del nostro codice di rito,  non  solo  il  dominio  sulle
indagini preliminari passa dal p.m. al g.i.p. (...) ma,  soprattutto,
passa di mano il dominio sull'esercizio dell'azione penale,  poiche',
in chiara violazione del principio ne procedat iudex ex  officio,  il
g.i.p. esercita di  fatto  l'azione  penale  per  interposizione  del
p.m.»; 
    che, alla  luce  delle  argomentazioni  indicate,  il  rimettente
solleva  «questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  409
c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte  in  cui
non prevede che anche a seguito di imputazione  ex  art.  409  quinto
comma  c.p.p.  sia  obbligatoria  la  previa  notifica   all'indagato
dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari»; 
    che e' intervenuto nel giudizio di legittimita' costituzionale il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale rileva  innanzi  tutto
la mancanza di una valutazione da parte del giudice rimettente  sulla
rilevanza  e  sulla  non  manifesta  infondatezza   della   questione
sollevata; 
    che l'Avvocatura dello Stato osserva poi che la questione sarebbe
comunque manifestamente inammissibile,  in  quanto  gia'  oggetto  di
diverse pronunce della Corte costituzionale  (ordinanze  n.  441  del
2004, n. 491 e n. 460 del 2002), che  ne  ha  ritenuto  la  manifesta
infondatezza; 
    che, inoltre,  la  decisione  del  giudice  interviene  all'esito
dell'udienza camerale, ossia dopo che l'indagato e il  suo  difensore
hanno avuto la possibilita' di prendere visione  di  tutti  gli  atti
depositati  dal  pubblico  ministero  unitamente  alla  richiesta  di
archiviazione e di interloquire, sicche' gli ulteriori  sviluppi  del
procedimento non sarebbero avulsi da un corredo garantistico; 
    che l'ordine del giudice rappresenterebbe, infatti, un  posterius
che presuppone esaurito il momento difensivo o, comunque, cessate  le
condizioni  legali  del  suo  concretizzarsi:  «la  riapertura  dello
scenario procedimentale, per  avvertire  l'imputato  circa  attivita'
gia' esperibili in opportuno contesto,  allungherebbe  inutilmente  i
tempi della  giurisdizione  penale»,  che  deve  assolvere  alla  sua
funzione entro la  «ragionevole  durata»  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 111 Cost.; 
    che, richiamata una pronuncia della Corte  di  cassazione  (Cass.
pen., sez. V, 17 ottobre 2002, n. 38693),  l'Avvocatura  dello  Stato
osserva che, una volta  ordinata  la  formulazione  dell'imputazione,
l'emissione e  la  notificazione  dell'avviso  di  conclusione  delle
indagini perdono il loro  significato  essenziale,  quello  cioe'  di
mettere   l'indagato   in   condizioni   di   proporre   integrazioni
investigative idonee a dissuadere il pubblico ministero dal proposito
manifestato di esercitare l'azione penale. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di Taranto ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,  in
riferimento  agli  articoli  3,  24   e   111   della   Costituzione,
dell'articolo 409 del codice di procedura penale nella parte  in  cui
non prevede che, anche nel caso di formulazione  dell'imputazione  su
ordine  del  giudice,  in  seguito  al  rigetto  della  richiesta  di
archiviazione, il pubblico ministero debba  notificare  alla  persona
sottoposta alle indagini l'avviso  previsto  dall'art.  415-bis  cod.
proc. pen.; 
    che, ai fini dell'ammissibilita' della questione, deve  ritenersi
sufficiente la descrizione della fattispecie svolta nell'ordinanza di
rimessione, anche se non offre indicazioni  sull'iter  procedimentale
che ha condotto all'esercizio dell'azione penale e,  in  particolare,
sullo svolgimento dell'udienza camerale prevista dall'art.  409  cod.
proc. pen. e  sulla  partecipazione  della  persona  sottoposta  alle
indagini; 
    che, infatti, ai fini della  verifica  dell'applicabilita'  della
norma censurata e della  conseguente  rilevanza  della  questione  e'
sufficiente considerare che, come riferisce il giudice rimettente, in
seguito all'ordinanza con la quale era stata ordinata la formulazione
dell'imputazione ai sensi dell'art. 409, comma 5, cod. proc. pen., il
pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'imputato e
che tale  richiesta  non  era  stata  preceduta  dalla  notificazione
dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari; 
    che nell'ordinanza di rimessione il giudice ha  richiamato  anche
l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo
e delle liberta' fondamentali; 
    che, come questa Corte ha rilevato, «l'art. 6  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo non costituisce disposizione da  potere
invocare come parametro al fine  di  affermare  l'incostituzionalita'
delle norme denunciate, dal momento che la  stessa  costituisce  solo
norma interposta al fine di accertare la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., non invocato dal giudice a quo» (ordinanza n. 163
del 2010); 
    che,  nel  caso  in  esame,  il  riferimento  all'art.  6   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali risulta comunque finalizzato,  come  si  desume
anche dal dispositivo, non gia' a prospettare un'autonoma censura  di
illegittimita' costituzionale, ma solo a rafforzare quella  formulata
con riguardo all'art. 111 Cost.; 
    che questa Corte, con l'ordinanza n. 460 del 2002, ha  dichiarato
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto degli artt. 409, comma 5, 415-bis e 552, comma
2, cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt.  24,  101  e
112 Cost., nella parte in cui prevede  che,  nei  reati  a  citazione
diretta -  in  esito  a  richiesta  di  archiviazione,  avanzata  dal
pubblico ministero oltre la scadenza dei termini di  indagine  e  non
accolta dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  -  il  pubblico
ministero, in seguito alla  disposizione  del  giudice  di  formulare
l'imputazione, debba provvedere a tale adempimento e alla  successiva
emissione del decreto che dispone il giudizio senza il previo  invio,
all'indagato, dell'avviso di conclusione delle  indagini  preliminari
di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen., per l'avvenuta scadenza  del
termine delle stesse; 
    che l'ordinanza n.  460  del  2002  muove  dal  rilievo  che  «la
funzione dell'avviso di cui al  richiamato  articolo  415-bis  appare
essere chiaramente quella di assicurare una fase di "contraddittorio"
tra indagato e pubblico ministero, in ordine alla  completezza  delle
indagini», e che,  pertanto,  l'espletamento  di  quella  fase  e  la
garanzia di uno specifico ius ad loquendum dell'indagato in tanto  si
giustificano, in quanto il pubblico ministero intenda  coltivare  una
prospettiva di esercizio dell'azione penale; 
    che, quando ricorre «una ipotesi di esercizio dell'azione  penale
conseguente  all'ordine  di  formulare  l'imputazione  a  seguito  di
richiesta di archiviazione  non  accolta,  il  contraddittorio  sulla
eventuale incompletezza delle  indagini  trova  necessariamente  sede
nella udienza in camera di consiglio, che  il  giudice  e'  tenuto  a
fissare ove la domanda di "inazione" del pubblico ministero non possa
trovare accoglimento», sicche',  tra  l'altro,  «nessuna  lesione  al
diritto di difesa puo' prospettarsi in  tale  situazione,  in  quanto
tale diritto e', nella specie,  congruamente  assicurato  nella  sede
camerale che precede l'ordine di formulare l'imputazione»; 
    che l'orientamento di questa Corte e' stato  poi  confermato  con
l'ordinanza n. 491 del 2002 e, nuovamente, con l'ordinanza n. 441 del
2004, la quale ha ribadito che  ove  l'esercizio  dell'azione  penale
consegua all'ordine del giudice di formulare l'imputazione,  previsto
dall'art. 409, comma 5, cod. proc. pen.,  «il  contraddittorio  sulla
eventuale incompletezza delle  indagini  si  esplica  necessariamente
nell'udienza in camera di consiglio che, ai sensi del comma  2  dello
stesso articolo, il giudice e' tenuto a fissare ove  non  accolga  la
richiesta  di  archiviazione  del  pubblico  ministero;  (...)   tale
circostanza esclude dunque la configurabilita' della violazione degli
artt. 3 e 24 Cost., ventilata dal rimettente»; 
    che il rimettente critica quest'ultima  pronuncia,  sottolineando
che mentre nell'ipotesi di cui all'art. 409, comma 2, cod. proc. pen.
«non vi e' una contestazione  determinata  e  cristallizzata  ma  una
fluida ipotesi accusatoria,  la  discovery  sugli  atti  di  indagine
potrebbe essere incompleta (non essendo  gravato  il  p.m.  da  alcun
obbligo in tal senso) ed infine non vi e' alcun obbligo di  procedere
all'interrogatorio dell'indagato che ne faccia richiesta»;  nel  caso
di rinvio a giudizio nelle forme ordinarie «la contestazione e'  gia'
delineata e cristallizzata, la discovery degli atti processuali trova
massima estrinsecazione avendo il p.m. un preciso obbligo  in  merito
alla piena ostensione di tutti  gli  atti  di  indagine  (a  pena  di
inutilizzabilita' degli atti inizialmente criptati e  successivamente
scoperti),  sussiste  l'obbligo   di   procedere   all'interrogatorio
dell'indagato che lo richieda, pena la nullita'  della  richiesta  di
rinvio a giudizio e degli atti ad essa successivi»; 
    che  l'assunto  del  rimettente  circa   l'incompletezza,   nella
fattispecie in esame,  della  discovery  degli  atti  processuali  e'
fondato su un'erronea ricostruzione del quadro normativo,  in  quanto
ai sensi dell'art. 408, comma 1, cod. proc. pen., con la richiesta di
archiviazione il pubblico ministero trasmette il fascicolo contenente
la notizia  di  reato,  la  «documentazione  relativa  alle  indagini
espletate» e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per  le
indagini preliminari, mentre, a norma  dell'art.  415-bis,  comma  2,
cod. proc. pen., l'avviso di conclusione delle  indagini  preliminari
contiene, tra l'altro, l'avvertimento che presso  la  segreteria  del
pubblico ministero e' depositata  la  «documentazione  relativa  alle
indagini espletate»; 
    che deve pertanto escludersi che la presentazione della richiesta
di  archiviazione,   sulla   quale   puo'   innestarsi   la   vicenda
procedimentale destinata a sfociare  nell'"imputazione  coatta",  sia
accompagnata da una discovery di minore portata rispetto a quella che
caratterizza la notificazione  dell'avviso  della  conclusione  delle
indagini preliminari; 
    che anche  l'assunto  secondo  cui  nell'ipotesi  prevista  dalla
disciplina censurata  non  vi  sarebbe  alcun  obbligo  di  procedere
all'interrogatorio dell'indagato  che  ne  faccia  richiesta  non  e'
fondato, in quanto la disciplina generale del procedimento in  camera
di consiglio, richiamata dall'art. 409, comma  2,  cod.  proc.  pen.,
assicura all'indagato, prima dell'"imputazione coatta",  uno  ius  ad
loquendum  idoneo  ad   escludere   la   violazione   dei   parametri
costituzionali invocati dal rimettente; 
    che,  infatti,  proprio  con  specifico  riferimento  all'udienza
camerale  ex  art.  409  cod.  proc.  pen.   la   giurisprudenza   di
legittimita'  ritiene  che  integri  l'ipotesi  di  nullita'  di  cui
all'art. 127, comma 3, cod. proc. pen.  la  mancata  audizione  della
parte comparsa, che abbia chiesto di essere sentita (Cass. pen., Sez.
VI, 14 gennaio 2004, n. 29864); 
    che, considerati la partecipazione all'udienza con il difensore e
il riconoscimento dello ius ad loquendum, non e' fondata  l'ulteriore
censura formulata dal rimettente con riferimento  alla  «possibilita'
propulsiva in chiave difensiva», che dagli artt. 408 e 409 cod. proc.
pen.   sarebbe   riconosciuta   alla   persona   offesa,   attraverso
l'opposizione  alla  richiesta  di  archiviazione,   mentre   sarebbe
preclusa all'indagato nell'ipotesi di cui all'art. 409, comma 2, cod.
proc. pen.; 
    che, infatti, a parte il rilievo della diversita' delle posizioni
della persona  offesa  e  dell'indagato  nell'ipotesi  in  esame,  il
contraddittorio  assicurato  a  quest'ultimo  nell'udienza   camerale
esclude la sussistenza della disparita' di trattamento lamentata  dal
giudice a quo; 
    che  il  rimettente  denuncia,  infine,  la   mancanza   di   una
contestazione  «delineata  e  cristallizzata»,  che  sarebbe   invece
assicurata dalla notificazione dell'avviso  della  conclusione  delle
indagini preliminari; 
    che  anche  sotto  questo  profilo  le  censure  sono  prive   di
fondamento, poiche' la mancanza di una  contestazione  del  fatto  di
reato analoga a quella prevista dall'art. 415-bis cod. proc. pen. non
puo' considerarsi lesiva dei  parametri  evocati  dal  rimettente  e,
segnatamente,  del  diritto   di   difesa   e   del   principio   del
contraddittorio, adeguatamente  salvaguardati  dall'accesso  completo
agli  atti  di  indagine  e  dallo  ius  ad  loquendum,  riconosciuti
all'indagato,  l'uno  e  l'altro   strumentali   al   contraddittorio
garantito  dinanzi  al  giudice  nella  «sede  camerale  che  precede
l'ordine di formulare l'imputazione» (ordinanza n. 460 del 2002); 
    che, d'altra parte, l'assenza di una contestazione del  fatto  di
reato, lamentata dal rimettente, si  ricollega  alle  caratteristiche
del procedimento che prende avvio dalla  richiesta  di  archiviazione
del pubblico ministero, sicche' l'opzione  legislativa  in  questione
rientra nell'ampia discrezionalita', che, con «il solo  limite  della
irragionevolezza delle scelte compiute» (ordinanza n. 290 del  2011),
va riconosciuta al legislatore  nella  conformazione  degli  istituti
processuali, tanto piu' che, come  questa  Corte  ha  affermato,  «la
previsione di  una  ulteriore  garanzia  per  l'indagato,  attraverso
l'art. 415-bis  cod.  proc.  pen.,  appare  modulata  secondo  scelte
legislative  che   non   incontrano   alcun   limite   in   soluzioni
costituzionalmente obbligate, quanto a necessita' di estensione della
garanzia medesima» (ordinanza n. 287 del 2003); 
    che  inoltre  il  meccanismo  procedimentale  basato  sull'avviso
previsto dall'art. 415-bis cod.  proc.  pen.  e'  diverso  da  quello
relativo all'imputazione coatta, perche'  l'avviso  in  questione  e'
diretto a  consentire  all'indagato  l'esplicazione  di  un'ulteriore
attivita' difensiva, che potrebbe incidere sulle  determinazioni  del
pubblico ministero, inducendolo a richiedere l'archiviazione,  mentre
dopo l'ordine del giudice per le indagini  preliminari  di  formulare
l'imputazione viene meno qualunque ulteriore spazio  per  l'attivita'
difensiva; 
    che,  infatti,  «se  il  giudice  delle   indagini   preliminari,
all'esito della udienza camerale avente ad oggetto la decisione sulla
richiesta di archiviazione del pubblico  ministero,  ritiene  che  la
notizia di reato non sia infondata e che  debba  dunque  farsi  luogo
all'esercizio dell'azione  penale,  ne'  il  pubblico  ministero  ne'
l'indagato sono in grado  di  contrastare  tale  valutazione»  (Cass.
pen., sez. VI, 8 ottobre 2002, n. 5369/03); 
    che,  pertanto,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 409 cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli artt.  3,
24 e 111 Cost. deve essere dichiarata manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 409 del codice di procedura
penale sollevata, in riferimento agli articoli  3,  24  e  111  della
Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  di
Taranto, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2012. 
 
                                F.to: 
                    Alfonso QUARANTA, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2012. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI