N. 46 SENTENZA 13 - 20 marzo 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Appalti pubblici - Procedure  di  affidamento  dei  servizi  pubblici
  locali - Selezione dei concorrenti e criteri  di  aggiudicazione  -
  Previsione  che  in  sede  di  affidamento  del  servizio  mediante
  procedura ad evidenza pubblica, l'adozione di strumenti  di  tutela
  dell'occupazione costituisce elemento di valutazione dell'offerta -
  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Asserita   irragionevolezza   -
  Insufficiente motivazione - Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 2  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito  nella  legge  14  settembre  2011,
  n. 148. 
- Costituzione, art. 3. 
Appalti pubblici - Procedure  di  affidamento  dei  servizi  pubblici
  locali - Selezione dei concorrenti e criteri  di  aggiudicazione  -
  Previsione  che  in  sede  di  affidamento  del  servizio  mediante
  procedura ad evidenza pubblica, l'adozione di strumenti  di  tutela
  dell'occupazione costituisce elemento di valutazione dell'offerta -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserito esercizio della  competenza
  legislativa in materia di tutela della concorrenza ingiustificato e
  non proporzionato - Asserita compressione dell'autonomia  regionale
  nell'esercizio delle funzioni amministrative - Asserita  violazione
  del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Scelta  non
  irragionevolmente  esercitata  -   Riconducibilita'   della   norma
  censurata alla competenza esclusiva  in  materia  di  tutela  della
  concorrenza, avente carattere prevalente  -  Non  fondatezza  delle
  questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 2  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera e), e 118. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Previsione che,  a  decorrere  dal
  2013, l'applicazione delle procedure  di  affidamento  ad  evidenza
  pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni  o  degli  enti  di
  governo locali o del bacino  costituisca  elemento  di  valutazione
  della "virtuosita'", ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98
  del 2011 - Relativa comunicazione annuale del Governo al  Ministero
  dell'economia - Previsione che, in assenza  di  comunicazione,  "si
  prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'" -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserita introduzione  di  controlli
  in violazione dell'autonomia e del principio di equiordinazione tra
  gli  enti  della   Repubblica   -   Motivazione   insufficiente   e
  inconferente - Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 3  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, artt. 5 e 114; legge costituzionale 18 ottobre  2001,
  n. 3, art. 9, comma 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Previsione che,  a  decorrere  dal
  2013, l'applicazione delle procedure  di  affidamento  ad  evidenza
  pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni  o  degli  enti  di
  governo locali o del bacino  costituisca  elemento  di  valutazione
  della "virtuosita'", ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98
  del 2011 - Relativa comunicazione annuale del Governo al  Ministero
  dell'economia - Previsione che, in assenza  di  comunicazione,  "si
  prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'" -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserita  violazione  dell'autonomia
  finanziaria  regionale  -  Carenza  assoluta   di   motivazione   -
  Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 3  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 119; legge 5 maggio 2009, n. 42, artt. 1,  comma
  1, e 2, comma 2, lettere z) e ll). 
Bilancio e contabilita' pubblica - Previsione che,  a  decorrere  dal
  2013, l'applicazione delle procedure  di  affidamento  ad  evidenza
  pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni  o  degli  enti  di
  governo locali o del bacino  costituisca  elemento  di  valutazione
  della "virtuosita'", ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98
  del 2011 - Relativa comunicazione annuale del Governo al  Ministero
  dell'economia - Previsione che, in assenza  di  comunicazione,  "si
  prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'" -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserita violazione dei principi  di
  efficienza, efficacia ed economicita' - Carenza e genericita' della
  motivazione  -  Questione  che  non  ridonda  sul   riparto   delle
  competenze legislative - Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 3  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 97. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Previsione che,  a  decorrere  dal
  2013, l'applicazione delle procedure  di  affidamento  ad  evidenza
  pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni  o  degli  enti  di
  governo locali o del bacino  costituisca  elemento  di  valutazione
  della "virtuosita'", ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.l. n. 98
  del 2011 - Relativa comunicazione annuale del Governo al  Ministero
  dell'economia - Previsione che, in assenza  di  comunicazione,  "si
  prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'" -
  Ricorso della Regione Veneto - Asserito contrasto con la disciplina
  comunitaria - Asserita  esorbitanza  dalla  potesta'  esclusiva  in
  materia  di  tutela  della  concorrenza   -   Asserita   violazione
  dell'autonomia    regionale    nell'esercizio    delle     funzioni
  amministrative - Insussistenza - Utilizzo della  tecnica  premiale,
  che non priva le Regioni delle loro competenze, ma  le  orienta  in
  base ai  principi  di  liberalizzazione  indicati  dal  legislatore
  statale   -   Riconducibilita'   dell'intervento   normativo   alla
  competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza  -  Non
  fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 3  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, artt. 117, commi primo e secondo, lettera e) e 118. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Finanziamenti a  qualsiasi  titolo
  concessi a valere  su  risorse  pubbliche  statali  -  Attribuzione
  prioritaria  agli  enti  di  governo  degli  ambiti  o  dei  bacini
  territoriali ottimali  ovvero  ai  relativi  gestori  del  servizio
  selezionati  tramite  procedura  ad  evidenza  pubblica  o  di  cui
  comunque l'Autorita' di  regolazione  competente  abbia  verificato
  l'efficienza gestionale e la qualita' del servizio reso  -  Ricorso
  della  Regione  Veneto   -   Asserita   violazione   dell'autonomia
  finanziaria regionale per la mancata riconducibilita' dei  predetti
  finanziamenti ai tipi di fondi consentiti - Asserita violazione del
  principio di leale collaborazione per mancato coinvolgimento  delle
  Regioni - Insussistenza - Utilizzo della tecnica premiale, che  non
  priva le Regioni delle loro competenze, ma le orienta  in  base  ai
  principi di liberalizzazione indicati  dal  legislatore  statale  -
  Inapplicabilita'  del  principio   di   leale   collaborazione   al
  procedimento legislativo - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 4  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 119, quinto comma. 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Assoggettamento  delle  societa'
  affidatarie in house al Patto  di  stabilita'  interno  secondo  le
  modalita' definite dal decreto ministeriale  di  cui  all'art.  18,
  comma 2-bis del d.l. n. 112 del 2008 - Ricorso della Regione Veneto
  -  Istanza  di  autorimessione  della  questione  di   legittimita'
  costituzionale dell'art. 18 predetto - Reiezione. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 5  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto. 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Assoggettamento  delle  societa'
  affidatarie in house al Patto di  stabilita'  interno,  secondo  le
  modalita' definite dal decreto ministeriale  di  cui  all'art.  18,
  comma 2-bis del d.l. n. 112 del 2008 - Ricorso della Regione Veneto
  - Asserito ripristino del contenuto del comma 10  dell'art.  23-bis
  del   medesimo   decreto-legge,    dichiarato    costituzionalmente
  illegittimo con la sentenza n. 325 del 2010 - Asserito esercizio di
  potesta' regolamentare statale in materia  di  coordinamento  della
  finanza pubblica - Insussistenza -  Erronea  interpretazione  della
  disposizione impugnata - Decreto ministeriale  privo  di  contenuti
  normativi, espressivo della  competenza  legislativa  esclusiva  in
  materia di "coordinamento informativo statistico e informatico  dei
  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale  e  locale"  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a),  nella  parte  in
  cui introduce il comma 5  dell'art.  3-bis,  nel  decreto-legge  13
  agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre  2011,  n.
  148. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto. 
Appalti pubblici - Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Disposizioni
  urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture  e  la
  competitivita'  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Istanza   di
  sospensione dell'efficacia delle disposizioni impugnate - Richiesta
  assorbita dalla decisione nel merito. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (convertito  nella  legge  24
  marzo 2012, n. 27), art. 25, comma 1, lettera a). 
- Costituzione, art. 117, commi primo, secondo, lettera e),  terzo  e
  sesto, 118 e 119, quinto comma. 
(GU n.13 del 27-3-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale l'articolo 25,  comma
1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1  (Disposizioni
urgenti per me concorrenza, lo sviluppo  delle  infrastrutture  e  la
competitivita'), convertito, con modificazioni, dalla legge 24  marzo
2012, n. 27, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato  il
23 maggio 2012, depositato  in  cancelleria  il  29  maggio  2012  ed
iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  12  febbraio  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli avvocati Luigi Manzi e Daniela Palumbo per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il  23  maggio  del
2012 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo  29
maggio, ha impugnato, insieme  ad  altre  disposizioni  dello  stesso
provvedimento normativo, la cui  trattazione  e'  stata  riservata  a
separato  giudizio,  l'articolo  25,  comma  1,   lettera   a),   del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (Disposizioni  urgenti  per  me
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 
    1.1.- La disposizione impugnata inserisce  nel  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge  14  settembre  2011,  n.  148,  l'articolo  3-bis,  il   quale
ridetermina le modalita' di organizzazione e affidamento dei  servizi
pubblici   locali,   per   meglio   garantire   l'efficienza   e   la
concorrenzialita' degli stessi. 
    La ricorrente Regione ritiene che i commi 2, 3, 4, e 5 del citato
articolo  3-bis   del   decreto-legge   n.   138   del   2011   siano
costituzionalmente illegittimi per contrasto con gli artt. 3, 5,  97,
114, 117, commi primo, secondo, lettera e), terzo,  quarto  e  sesto,
118 e 119, commi secondo, terzo, quarto e quinto, della Costituzione,
nonche' dell'art. 9, comma 2, della legge costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'art.  119  della
Costituzione), e del principio di leale collaborazione. 
    2.- La Regione Veneto, preliminarmente, sottolinea  che,  seppure
la giurisprudenza costituzionale abbia costantemente affermato che la
disciplina dei servizi pubblici locali rientra nella materia  «tutela
della concorrenza», di competenza  statale  esclusiva,  pur  tuttavia
ritiene che primaria  esigenza  continui  ad  essere,  nella  materia
oggetto  della  norma  censurata,  quella  di  dare  «centralita'  ai
destinatari del servizio, destinatari di  cui  e'  l'ente  ad  essere
esponenziale e responsabile». 
    2.1.- Cio' premesso, la Regione ricorrente espone  analiticamente
il contenuto dei  sopra  ricordati  commi  dell'art.  3-bis,  di  cui
lamenta l'illegittimita' costituzionale  e  le  motivazioni  riguardo
alle singole censure. 
    2.2.- Secondo la ricorrente, il comma 2 del nuovo art. 3-bis  che
dispone che «In sede di affidamento del servizio  mediante  procedura
ad   evidenza   pubblica,   l'adozione   di   strumenti   di   tutela
dell'occupazione costituisce elemento di  valutazione  dell'offerta»,
si porrebbe, innanzitutto, in contrasto con l'art. 3 Cost., quanto al
profilo della ragionevolezza, e  con  l'art.  117  Cost.,  poiche'  -
prevedendo l'adozione del solo strumento di  tutela  dell'occupazione
quale  elemento  di  valutazione  dell'offerta,  e,  non   prendendo,
irragionevolmente, in considerazione «nessun ulteriore requisito  dei
candidati aspiranti pur utile alla  buona  gestione  del  servizio  a
livello locale» - concretizzerebbe un intervento ingiustificato e non
proporzionato rispetto alla tutela della concorrenza. 
    Inoltre, tale disposizione violerebbe anche l'art. 118 Cost.,  in
quanto essa determinerebbe «una compressione dell'autonomia regionale
nell'esercizio delle funzioni amministrative [...] sotto  il  profilo
di gestire liberamente l'affidamento e il servizio magari tenendo  in
conto, alla luce dei principi di sussidiarieta', differenziazione  ed
adeguatezza, delle specificita' territoriali proprie». 
    2.3.- Anche il comma 3 del nuovo art. 3-bis, aggiunto al d.l.  n.
138 del 2011, presenterebbe, secondo la Regione  Veneto,  profili  di
illegittimita' costituzionale. 
    2.3.1.- Al riguardo, la ricorrente ritiene che la norma impugnata
- nel prevedere che l'applicazione di procedure  di  affidamento  dei
servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni  o
degli enti di governo locali dell'ambito  o  del  bacino  costituisca
elemento di valutazione della  virtuosita'  degli  stessi,  ai  sensi
dell'art. 20, comma  2,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio 2011, n. 111 - avrebbe introdotto una nuova forma di controllo
sull'attivita' della Regione,  in  contrasto  sia  con  il  principio
autonomistico  di  cui  all'art.  5  Cost.,   sia   con   quello   di
equiordinazione tra enti della Repubblica, di cui all'art. 114 Cost.,
nonche' con  quanto  previsto  dall'art.  9,  comma  2,  della  legge
costituzionale n. 3 del 2001, che ha abrogato le forme  di  controllo
previste dagli artt. 125 e 130 Cost., in quanto non piu' coerenti con
il nuovo assetto  delle  autonomie  territoriali  dopo  la  revisione
costituzionale. 
    Infatti, prosegue la Regione, un tipo di  controllo  come  quello
previsto  dalla  normativa  censurata   non   appare   avere   natura
collaborativa e comporta  pesanti  conseguenze  economico-finanziarie
per la Regione, aggravando la responsabilita' di  questa  ultima  nel
concorso alla realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica,
oltre ad un aumento del contributo dell'ente  medesimo  alla  manovra
annuale.  Essendo,  in  piu',  tale  tipo  di  controllo  svolto  dal
Ministero dell'economia e delle finanze  (soggetto  non  imparziale),
peraltro  su  «comunicazione»  del  Presidente  del   Consiglio   dei
ministri, esso  verrebbe  ad  incidere  negativamente  sull'autonomia
finanziaria della Regione, cosi' come regolata dall'art. 119 Cost.  e
dalla legge n. 42 del 2009, che vi ha dato applicazione, nonche'  con
gli artt. 117, commi primo, secondo, lettera e), 118 e 97 Cost. 
    2.3.2.- Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata  -  che,
di fatto, obbliga la Regione e gli enti  territoriali  ad  utilizzare
sempre la  procedura  ad  evidenza  pubblica  per  l'affidamento  dei
servizi, e non le procedure in house, al fine di evitare le deteriori
conseguenze derivanti dall'eventuale mancata inclusione della Regione
fra gli enti virtuosi  -  sarebbe  altresi'  in  contrasto  ai  sensi
dell'art. 117, comma primo, Cost. con la disciplina comunitaria,  che
non esclude affatto la possibilita' dell'affidamento in house. 
    Sottolinea  ancora  la  Regione  che,  se  e'  indubbio  che   il
legislatore nazionale, relativamente ai sistemi  di  affidamento  dei
servizi, gode, relativamente alla normativa comunitaria, «di un certo
margine di  apprezzamento»,  e'  altrettanto  indubbio  che,  secondo
quanto previsto dall'ordinamento UE, l'affidamento mediante procedura
ad evidenza pubblica non sia l'unico  possibile,  potendo  essere  lo
stesso   supportato   da   altre   forme   di   attribuzione    della
responsabilita' del servizio, quali quelle in house,  potendo  queste
ultime considerarsi piu' ragionevoli ed efficienti. 
    La disposizione impugnata  violerebbe,  poi,  l'art.  117,  comma
secondo, lettera e), Cost., in relazione al riparto delle  competenze
tra il legislatore  statale  e  quello  regionale,  avendo  il  primo
esorbitato dalla sua potesta' legislativa esclusiva nell'ambito della
«tutela della concorrenza», per manifesta  sproporzione  rispetto  al
fine (vengono citate le sentenze n. 270 del 2010 e n. 326 del 2008). 
    La normativa in esame, infatti, -  a  detta  della  ricorrente  -
«finisce con l'escludere nei fatti la possibilita' di affidamenti  in
house, in seguito ad una valutazione negativa operata ex ante, mentre
e' ben possibile, in concreto, che questa tipologia di affidamento di
servizi si dimostri in concreto piu' efficiente e virtuosa», tenendo,
altresi', presente che il controllo operato dal Ministero sulla  base
della  comunicazione  della  Presidenza  del  Consiglio   si   svolge
addirittura senza alcuna forma di contraddittorio. 
    In tal modo, conclude la Regione Veneto, si priverebbero gli enti
territoriali della possibilita' di valutare le proprie esigenze e  di
scegliere  la  modalita'  di  gestione  dei  servizi  a   loro   piu'
convenienti, violando l'autonomia regionale, prevista  dall'art.  118
Cost., nell'esercizio delle funzioni amministrative.  Tale  parametro
sarebbe leso anche in riferimento  al  principio  di  sussidiarieta',
essendo  il  Governo  il  soggetto  che  valuta   le   modalita'   di
affidamento. 
    Quest'ultima   considerazione,   sempre   secondo   la   Regione,
determinerebbe  la  violazione  dell'art.  97   Cost.,   poiche'   la
disciplina impugnata non rispetterebbe il principio di buon andamento
dell'amministrazione, anche in relazione ai principi  di  efficienza,
efficacia ed economicita'. 
    2.4.- Il disfavore che il legislatore nazionale, inoltre, con  la
normativa in esame dimostra verso i sistemi  di  affidamento  diversi
dall'evidenza pubblica, contraddice - prosegue la  ricorrente  -  con
quanto disposto dal comma 4 dello stesso articolo 3-bis. 
    2.4.1.- Il comma 4, difatti, prevede che i gestori di servizi non
selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica possano accedere a
finanziamenti speciali, con la sola condizione che l'Autorita'  abbia
verificato l'efficienza gestionale e la qualita' del  servizio  reso.
Esso,  infatti,  stabilisce  che  «Fatti  salvi  i  finanziamenti  ai
progetti relativi ai servizi pubblici locali di  rilevanza  economica
cofinanziati con fondi europei, i finanziamenti  a  qualsiasi  titolo
concessi a valere su risorse pubbliche  statali  ai  sensi  dell'art.
119,  comma  quinto,   della   Costituzione   sono   prioritariamente
attribuiti  agli  enti  di  governo  degli  ambiti   o   dei   bacini
territoriali  ottimali  ovvero  ai  relativi  gestori  del   servizio
selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui  comunque
l'Autorita' di regolazione competente abbia  verificato  l'efficienza
gestionale e la qualita' del servizio reso sulla base  dei  parametri
stabiliti dall'Autorita' stessa». 
    A parere della ricorrente,  tale  disposizione  -  prevedendo  la
prioritaria attribuzione agli enti di  governo  degli  ambiti  o  dei
bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio,
selezionati attraverso la procedura ad evidenza pubblica o di cui, in
ogni caso, l'Autorita' di  regolazione  competente  abbia  verificato
l'efficienza della gestione, nonche' la qualita' del  servizio  reso,
in base, peraltro, a parametri stabiliti dall'Autorita' stessa  -  si
porrebbe, innanzitutto, in contrasto con l'art. 119,  commi  secondo,
terzo,  quarto  e  quinto,  Cost.,  venendo  a  violare   l'autonomia
finanziaria regionale. 
    Secondo  consolidata  giurisprudenza  costituzionale,  difatti  -
prosegue la Regione Veneto -, soltanto due tipologie di fondi possono
essere considerate rispettose del  dettato  dell'art.  119  Cost.,  e
precisamente: 1) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione,
per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art.  119,
comma terzo, Cost.), che, insieme  ad  entrate  e  tributi  propri  e
compartecipazione  al  gettito  di  tributi  erariali  riferibile  al
proprio territorio (in particolare, art. 119, comma secondo,  Cost.),
serva a finanziare integralmente le funzioni pubbliche  attribuite  a
Regioni ed enti locali (art. 119, comma quarto, Cost.);  2)  «risorse
aggiuntive»  ed  «interventi  speciali»  in  favore  di   determinate
Regioni,  Province,  Citta'  metropolitane  e  Comuni,  al  fine   di
«promuovere lo sviluppo economico,  la  coesione  e  la  solidarieta'
sociale, [...] rimuovere gli squilibri  economici  e  sociali,  [...]
favorire l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona,  [...]
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, comma quinto, Cost.). 
    La  Regione  sottolinea  che,  relativamente  a  questa   seconda
tipologia di interventi - tra i quali sembra rientrare la fattispecie
in esame -, la giurisprudenza costituzionale ha  precisato  che  essi
«non  solo  debbono  essere  aggiuntivi  rispetto  al   finanziamento
integrale [...] delle funzioni spettanti ai Comuni o agli altri enti,
e riferirsi alle finalita' di perequazione e  di  garanzia  enunciate
nella norma costituzionale, o comunque a scopi  diversi  dal  normale
esercizio delle funzioni, ma debbono essere indirizzati a determinati
Comuni o categorie  di  Comuni  (o  Province,  Citta'  metropolitane,
Regioni)»,  precisando  che  «l'esigenza  di  rispettare  il  riparto
costituzionale delle  competenze  legislative  fra  Stato  e  Regioni
comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di
competenza delle Regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti
di programmazione e di riparto  dei  fondi  all'interno  del  proprio
territorio» (sentenze n. 22 del 2005 e n. 16 del 2004). 
    I finanziamenti di cui all'impugnato comma 3 dell'art. 3-bis  del
decreto-legge n. 138 del 2011, conclude la  ricorrente,  non  possono
ritenersi aggiuntivi relativamente all'integrale finanziamento  delle
funzioni  in  materia  di  servizi  pubblici,  in  conseguenza  della
sottostima del  fabbisogno  degli  enti  sul  punto,  ne'  essi  sono
indirizzati  esclusivamente  agli  enti  territoriali  (peraltro  non
predeterminati con sufficiente precisione). 
    Inoltre,  sempre  a  parere  della   ricorrente,   essendo   tali
finanziamenti rientranti nell'ambito di competenze regionali,  e  non
essendo contemplato, dalla normativa in esame,  alcun  coinvolgimento
delle Regioni, risulterebbe  violato  anche  il  principio  di  leale
collaborazione. 
    2.5.- Infine, per la difesa regionale, anche il comma 5 dell'art.
3-bis - stabilendo l'assoggettamento delle  societa'  affidatarie  in
house al Patto di stabilita' interno secondo  le  modalita'  definite
dal decreto ministeriale previsto dall'articolo 18, comma 2-bis,  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  e
successive modificazioni, violerebbe l'art. 117, commi terzo e sesto,
Cost. 
    2.5.1.- Rileva, al riguardo,  la  ricorrente  Regione,  che,  con
l'impugnato comma 5, il legislatore statale e' venuto sostanzialmente
a riproporre il contenuto della prima  parte  della  lettera  a)  del
comma 10 dell'art. 23-bis del  d.l.  n.  112  del  2008,  cosi'  come
modificato dall'art. 15, comma  l,  del  decreto-legge  25  settembre
2009, n. 135  (Disposizioni  urgenti  per  l'attuazione  di  obblighi
comunitari e per l'esecuzione di sentenze della  Corte  di  giustizia
delle Comunita' europee), convertito, con modificazioni, dalla  legge
20 novembre 2009, n. 166. 
    L'art. 23-bis, ricorda la Regione  Veneto,  e'  stato  dichiarato
costituzionalmente    illegittimo    limitatamente    alle    parole:
«l'assoggettamento  dei  soggetti  affidatari  diretti   di   servizi
pubblici locali al patto di' stabilita' interno e», con  la  sentenza
n.  325  del  2010,  con  conseguente  venir  meno  del   presupposto
legislativo per potersi affermare l'assoggettabilita' delle  societa'
in house al Patto di stabilita' interno. 
    Quindi, con  l'abrogazione  dell'intero  art.  23-bis  a  seguito
dell'esito del referendum popolare  del  2-13  giugno  2011,  sarebbe
rimasto privo di base normativa anche l'intero decreto del Presidente
della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia  di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo
23-bis,  comma  10,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.   112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto  2008,  n.  133),
attuativo del medesimo articolo.  In  particolare,  cio'  si  sarebbe
verificato per cio'  che  riguarda  l'art.  5,  rubricato  «Patto  di
stabilita' interno». 
    Ma, continua la ricorrente, anteriormente alla legge n.  166  del
2009 che, come ricordato, aveva modificato l'art. 23-bis del d.l.  n.
112 del 2008 e, altresi',  prima  della  pubblicazione  della  citata
sentenza n. 325 del 2010, l'art. 19, comma l,  del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n.  78  (Provvedimento  anticrisi,  nonche'  proroga  di
termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3  agosto  2009,
n. 102, aveva aggiunto, all'art. 18 del d.l.  n.  112  del  2008,  il
comma 2-bis, il quale - in sostanziale  continuita'  con  l'originale
formulazione dell'art. 23-bis  -  confermava  l'assoggettabilita'  al
Patto  di  stabilita'  interna  delle  societa'   in   house   previa
definizione delle relative modalita' per via ministeriale. 
    Pertanto, il nuovo comma 2-bis  dell'art.  18,  a  seguito  della
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  e  del  conseguente
parziale annullamento del citato art. 23-bis  del  d.l.  n.  112  del
2008, si sarebbe posto in antinomia con il contenuto della pronuncia:
l'una disposizione, infatti, assoggettava le  societa'  in  house  al
patto di stabilita' rinviando ad un «adottando decreto ministeriale»,
e l'altra disposizione annullata «assoggettava le  medesime  societa'
in house al patto di stabilita' con la stessa tecnica del  rinvio  ad
uno o piu' adottandi regolamenti governativi». 
    Inoltre, il legislatore statale - nonostante l'esito referendario
e la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis,
con la dichiarata finalita'  di  «Adeguamento  della  disciplina  dei
servizi pubblici locali  al  referendum  popolare  e  alla  normativa
dell'Unione Europea», ha disposto, al comma 14 dell'art. 4  del  d.l.
n. 138 del 2011, che «Le societa' cosiddette "in  house"  affidatarie
dirette della gestione di servizi pubblici locali  sono  assoggettate
al patto di stabilita' interno secondo le modalita' definite, con  il
concerto del Ministro per le riforme per il federalismo, in  sede  di
attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25  giugno
2008, n.  112,  convertito  con  legge  6  agosto  2008,  n.  133,  e
successive modificazioni. Gli enti locali  vigilano  sull'osservanza,
da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui  capitale
partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilita'  interno»,
con  le  espresse  limitazioni  di  cui  al  comma  34  che   esclude
dall'intera disciplina dell'art. 4  i  settori  del  servizio  idrico
integrato (tranne i commi da 19 a 27), del servizio di  distribuzione
di gas naturale (salvo il comma 33), del  servizio  di  distribuzione
dell'energia  elettrica,  del  servizio  di   trasporto   ferroviario
regionale, della gestione delle farmacie comunali. 
    2.5.2.- In questo contesto  normativo,  secondo  la  Regione,  va
considerata la legittimita' costituzionale della norma qui in  esame,
che, di fatto,  ripristinerebbe  la  normativa  abrogata,  demandando
nuovamente  ad  una  fonte  sub-legislativa  la   definizione   delle
modalita' per l'assoggettamento al patto di stabilita' interno  delle
societa' in house. 
    La citata disposizione - conclude la Regione ricorrente -  avendo
gia' la Corte costituzionale ritenuto fondate le doglianze  regionali
contro la disciplina statale prevista dal comma 10, lettera a), prima
parte,  dell'art.  23-bis  del  d.l.  n.  112   del   2008,   sarebbe
costituzionalmente  illegittima,  violando  i  commi  terzo  e  sesto
dell'art. 117 Cost., sulla base  del  presupposto  che  «l'ambito  di
applicazione del patto di stabilita' interno attiene alla materia del
coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 284 e  n.  237  del
2009; n. 267 del 2006), di competenza legislativa concorrente, e  non
a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per  le  quali
soltanto l'art. 117, sesto comma, Cost.  attribuisce  allo  Stato  la
potesta' regolamentare». 
    Inoltre, la disposizione impugnata violerebbe anche  l'art.  117,
commi terzo e sesto, Cost., in quanto, non avendo lo  Stato  potesta'
legislativa esclusiva in tale materia, esso  «e'  privo  anche  della
potesta' regolamentare e ad essa non puo' far rinvio, ne' ipotizzando
regolamenti governativi ex art. 17, secondo comma,  l.  n.  400/1988,
ne' ipotizzando decreti ministeriali ex art. 18, comma 2-bis, d.l. n.
112/2008». 
    2.6.- Infine, la ricorrente - dopo  aver  ricordato  il  percorso
cronologico delle varie norme statali che hanno, di  fatto,  previsto
l'assoggettamento delle societa' in  house  al  patto  di  stabilita'
interno secondo modalita' da  definirsi  per  via  regolamentare  (in
particolare, per quanto qui rileva, l'art.18, comma 2-bis,  del  d.l.
n. 112 del 2008 e l'art. 4, comma 14, del d.l. n.  138  del  2011)  -
chiede alla Corte di estendere il giudizio, mediante  autorimessione,
a  queste  due  ultime  disposizioni   ricordate,   costituenti   gli
"antecedenti storici" di quella qui impugnata. 
    In particolare, si sottolinea  che,  relativamente  all'art.  18,
comma   2-bis,   esso   avrebbe   gia'   dovuto   essere   dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  da  questa  Corte   in   conseguenza
dell'intervenuto  annullamento  dell'art.  23-bis,  essendo  le   due
disposizioni sostanzialmente identiche. 
    Quanto, poi, all'autorimessione dell'art. 4, comma 14,  del  d.l.
n. 138 del 2011, essa sarebbe giustificata dai profili  di  autonomia
che tale norma, pur viziata dalle  stesse  illegittimita'  sanzionate
con la sentenza n. 325 del 2010, presenta rispetto all'art. 25, comma
1, lettera a), ora censurata. 
    2.7.- Alla luce di quanto esposto, la Regione ricorrente  chiede,
pertanto,  che  la  Corte  costituzionale  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale in parte qua dell'art. 25, comma l,  lettera  a),  del
d.l. n. 1 del 2012, cosi' come risultante dalla conversione in  legge
24 marzo 2012, n. 27, per violazione degli artt. 3,  97,  117  (commi
primo, secondo, terzo, quarto e sesto), 118, 119 Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione, previo  accoglimento  dell'istanza
di sospensione. 
    3.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo il rigetto, per la parte che  qui  interessa,  del  ricorso
promosso dalla Regione Veneto. 
    3.1.- L'Avvocatura generale ritiene che la disposizione impugnata
- nel fissare nuove modalita' di organizzazione e di affidamento  dei
servizi pubblici locali, al fine  di  garantirne  l'efficienza  e  la
concorrenzialita'  -   non   comprima   gli   ambiti   di   autonomia
organizzativa regionale, in quanto la stessa permette  comunque  alle
Regioni di individuare, purche' «con adeguata motivazione,  i  bacini
territoriali di tali servizi  aventi  un  ambito  diverso  da  quello
prescritto dalla norma». 
    Inoltre, secondo la resistente, il comma  5  dell'impugnato  art.
3-bis non vieterebbe in alcun modo gli affidamenti in  house,  ma  si
preoccuperebbe semplicemente di garantire che tali tipi  di  societa'
rientrino  nella  disciplina  della   finanza   pubblica   allargata,
ricomprendendoli nel patto di stabilita',  conformemente  «alla  loro
necessaria natura di mera "longa manus" dell'ente pubblico  erogatore
del servizio, che sola puo' giustificare la sottrazione dei  relativi
servizi al mercato». 
    La normativa impugnata,  quindi,  conclude  la  difesa  pubblica,
risulta conforme alla consolidata giurisprudenza costituzionale,  che
ritiene l'organizzazione e l'affidamento dei servizi pubblici  locali
rientranti nella materia «tutela della  concorrenza»,  di  competenza
esclusiva statale. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, la Regione Veneto ha  depositato
memoria in  replica  all'atto  di  costituzione  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    La Regione ricorrente - dopo aver rilevato che l'Avvocatura dello
Stato e' venuta ad argomentare in merito al  contenuto  del  comma  1
dell'art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011 (travalicando cosi' i limiti
del  thema  decidendum,  in  quanto  il  comma  non  e'  oggetto   di
impugnazione) ed aver sottolineato  che  la  resistente  ha,  invece,
omesso di replicare alle censure mosse dalla Regione relativamente ai
primi  tre  commi  dell'art.  3-bis,  venendo  ad  appuntare  le  sue
argomentazioni in merito al solo comma 5  -  rinvia  integralmente  a
quanto gia' esposto nel ricorso, insistendo per l'accoglimento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto, ha promosso  -  nell'ambito  di  una  piu'
vasta  impugnativa  -  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 25, comma 1, lettera a), del decreto-legge  24  gennaio
2012, n. 1 (Disposizioni urgenti  per  la  concorrenza,  lo  sviluppo
delle infrastrutture e la competitivita'), cosi' come convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, il  quale  inserisce
nel decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori  misure  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,  l'articolo
3-bis, inerente a «Ambiti territoriali e  criteri  di  organizzazione
dello svolgimento dei servizi pubblici locali». 
    Quest'ultimo  ridetermina  le  modalita'  di   organizzazione   e
affidamento  dei  servizi  pubblici  locali,  per  meglio   garantire
l'efficienza e la concorrenzialita' degli stessi. 
    La ricorrente Regione ritiene che i commi 2, 3, 4, 5  del  citato
articolo 3-bis del d.l. n.  138  del  2011  siano  costituzionalmente
illegittimi per violazione degli artt. 3,  5,  97,  114,  117,  commi
primo, secondo, lettera e), terzo, quarto e sesto, 118 e  119,  commi
secondo,  terzo,  quarto  e  quinto,  della   Costituzione,   nonche'
dell'art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.
3 (Modifiche al titolo V della  parte  seconda  della  Costituzione),
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione),
e del principio di leale collaborazione. 
    2.- In particolare, il comma 2 dell'art.  3-bis,  introdotto  nel
citato d.l. n. 138 del 2011 dall'art 25, comma  1,  lettera  a),  del
d.l. n. 1  del  2012,  come  risultante  a  seguito  della  legge  di
conversione 24 marzo  2012,  n.  27,  stabilisce  che:  «In  sede  di
affidamento del servizio mediante  procedura  ad  evidenza  pubblica,
l'adozione  di  strumenti  di  tutela  dell'occupazione   costituisce
elemento di valutazione dell'offerta». 
    Secondo la ricorrente,  tale  disposizione  violerebbe  l'art.  3
Cost., quanto al profilo della ragionevolezza, l'art. 117  Cost.,  in
quanto  -  prevedendo  l'adozione  del  solo  strumento   di   tutela
dell'occupazione quale elemento di valutazione dell'offerta,  e,  non
prendendo, irragionevolmente,  in  considerazione  «nessun  ulteriore
requisito dei candidati aspiranti pur utile alla buona  gestione  del
servizio  a  livello  locale»  -   concretizzerebbe   un   intervento
ingiustificato  e  non  proporzionato  rispetto  alla  tutela   della
concorrenza. La disposizione in esame  violerebbe  altresi',  per  la
ricorrente, l'art 118 Cost., perche' determinerebbe «una compressione
dell'autonomia    regionale     nell'esercizio     delle     funzioni
amministrative». 
    2.1.- La censura relativa all'art. 3 Cost., e' inammissibile,  in
quanto  non  sufficientemente  motivata  ne'  riguardo   all'asserita
lesione del principio di  ragionevolezza,  invocato  a  parametro  di
giudizio, ne' per cio' che riguarda  la  ridondanza  sul  riparto  di
competenze tra Stato e Regioni sancito dal Titolo V  della  parte  II
della Costituzione, cosi' come richiesto da questa Corte (da  ultimo,
sentenze n. 8 del 2013, n. 311 e n. 299 del 2012). 
    2.2.- In riferimento alla  violazione  dell'art.  117  Cost.,  la
censura non e' fondata. 
    La disposizione impugnata attiene alla disciplina delle procedure
ad  evidenza  pubblica,  che  la  giurisprudenza  costituzionale   ha
costantemente ricondotto alla materia «tutela della concorrenza», con
la conseguente  titolarita'  da  parte  dello  Stato  della  potesta'
legislativa esclusiva, di cui all'art. 117,  comma  secondo,  lettera
e), Cost. (ex plurimis, sentenze n. 62 e n. 32 del 2012; n.  339,  n.
320, n. 187 e n. 123 del 2011; n. 325 del 2010). 
    In particolare, per quanto riguarda il  caso  di  specie,  questa
Corte ha anche sottolineato che nell'ambito  della  disciplina  delle
procedure di gara rientra «la regolamentazione della qualificazione e
selezione dei concorrenti,  delle  procedure  di  affidamento  e  dei
criteri di aggiudicazione» (sentenza n. 339 del 2011). 
    La Regione ricorrente - pur riconoscendo l'afferenza della  norma
impugnata all'ambito materiale della  «tutela  della  concorrenza»  -
tuttavia ritiene che il legislatore statale non  avrebbe  rispettato,
nel  caso  di  specie,  «il  bilanciamento  fra  le   ragioni   della
concorrenza e  quelle  [...]  dell'utenza  attraverso  il  necessario
vaglio  di  ragionevolezza,  proporzionalita'  e  adeguatezza   della
disciplina  impugnata»,  peraltro  con  una  normativa   estremamente
dettagliata. 
    A prescindere dall'erroneo assunto interpretativo  della  Regione
Veneto la quale ritiene che il contenuto della disposizione censurata
preveda quale unico  elemento  di  valutazione  nell'affidamento  dei
servizi lo strumento della tutela dell'occupazione, questa  Corte  ha
piu' volte affermato che  l'art.  117,  comma  secondo,  lettera  e),
Cost., attribuendo allo  Stato,  in  via  esclusiva,  il  compito  di
regolare la concorrenza, consente allo stesso,  nell'ambito  di  tale
competenza, di porre in essere una disciplina  dettagliata  (sentenze
n. 148 del 2009, n. 411 e n. 320 del 2008). E' stato anche  affermato
che tale normativa ha  carattere  prevalente  (sentenza  n.  325  del
2010). 
    Pertanto, nell'ambito  di  questa  attribuzione,  il  legislatore
statale, con la norma impugnata, e' venuto, non irragionevolmente,  a
prevedere quale ulteriore elemento  di  valutazione  dell'offerta  da
tenere presente nell'affidamento dei servizi  mediante  procedure  ad
evidenza  pubblica  anche   l'adozione   di   strumenti   di   tutela
dell'occupazione. Conseguentemente, la censura  mossa  dalla  regione
Veneto al comma 2 dell'art. 3-bis, del d.l. n. 138 del  2011  non  e'
fondata. 
    2.3.- Alla luce delle  sopra  indicate  considerazioni,  consegue
anche la non fondatezza della questione in relazione alla  violazione
dell'art. 118 Cost., avendo lo Stato agito nell'esercizio  della  sua
competenza esclusiva di cui all'art. 117, comma secondo, lettera  e),
Cost. 
    3.- La regione Veneto ha altresi' impugnato il comma 3 del citato
art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011. 
    3.1.- La disposizione impugnata  prevede  che,  a  decorrere  dal
2013, l'applicazione  delle  procedure  di  affidamento  ad  evidenza
pubblica da parte di Regioni, Province  e  Comuni  o  degli  enti  di
governo locali o del bacino costituisca elemento di valutazione della
"virtuosita'" degli stessi enti, ai sensi dell'art. 20, comma 2,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111. 
    Inoltre,  lo  stesso  comma  stabilisce  che  la  Presidenza  del
Consiglio comunichi perentoriamente, a fine gennaio di ogni anno,  al
Ministero dell'economia gli enti che hanno attuato tale  procedura  e
che, in  assenza  della  comunicazione  nel  termine  stabilito,  «si
prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosita'» . 
    Per la ricorrente, la disposizione censurata viola: a) gli  artt.
5 e 114 Cost., poiche' il legislatore nazionale  avrebbe  introdotto,
con la normativa impugnata, una  forma  di  controllo  sull'attivita'
legislativa regionale, in contrasto con il principio autonomistico  e
con quello di equiordinazione  tra  gli  enti  della  Repubblica;  b)
l'art. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001,  che  ha
abrogato le forme di controllo sulle Regioni previste dagli artt. 125
e 130 Cost.; c) l'art. 119 Cost. e la legge 5 maggio 2009, n. 42, che
vi ha dato applicazione (in particolare, gli artt. 1, comma 1,  e  2,
comma 2, lettere z e ll), sia perche' la disposizione  censurata  non
sembra essere di natura collaborativa e comporta pesanti  conseguenze
economiche per la Regione, sia perche' il previsto tipo di  controllo
e' svolto dal Ministero dell'economia e delle finanze  (soggetto  non
imparziale),  su  comunicazione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, venendo  cosi'  ad  incidere  negativamente  sull'autonomia
finanziaria regionale; d) l'art. 117, comma  primo,  Cost.,  perche',
obbligando di fatto le Regioni e gli enti territoriali ad  utilizzare
sempre la  procedura  ad  evidenza  pubblica  per  l'affidamento  dei
servizi, al fine di evitare le deteriori conseguenze derivanti  dalla
mancata inclusione della Regione fra gli enti  virtuosi,  sarebbe  in
contrasto con la disciplina comunitaria,  la  quale  non  esclude  la
possibilita'  degli  affidamenti  in  house  «qualora   quest(i)   si
rivelino, di fatto, piu' ragionevoli ed efficienti»; e)  l'art.  117,
comma secondo, lettera e), Cost., poiche' eccederebbe dalla  potesta'
statale esclusiva  in  materia  di  «tutela  della  concorrenza»  per
manifesta sproporzione rispetto al fine; f) l'art. 118 Cost., perche'
violerebbe  l'autonomia  regionale  nell'esercizio   delle   funzioni
amministrative,  ponendosi  in  contrasto   con   il   principio   di
sussidiarieta', dal momento che la  valutazione  sulle  modalita'  di
affidamento avverrebbe ad opera del livello di governo  centrale;  g)
l'art.  97  Cost.,  quanto   al   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione, perche'  -  stante  il  dettato  della  disposizione
impugnata - non  verrebbero  rispettati  i  principi  di  efficienza,
efficacia ed economicita'. 
    3.1.1.- Le questioni prospettate in riferimento agli  artt.  5  e
114 Cost., e al principio di cui all'art. 9,  comma  2,  della  legge
costituzionale n. 3 del 2001 sono inammissibili. 
    Ad identica  conclusione  questa  Corte  e'  gia'  pervenuta  nel
decidere  una  questione  di  legittimita'  costituzionale   promossa
dall'odierna ricorrente nel medesimo ricorso,  relativa  all'art.  1,
comma 4, sempre del d.l. n. 1 del 2012, che presenta stretta analogia
con quella ora in esame. 
    Infatti con la recente sentenza n. 8 del 2013, si e' ritenuto che
«Dette censure sono esclusivamente volte a rivendicare  la  posizione
equiordinata di cui godrebbero le Regioni rispetto  allo  Stato,  che
renderebbe  illegittima  l'introduzione  di  qualsiasi  strumento  di
controllo statale sulle Regioni, senza che siano  addotte  specifiche
argomentazioni in ordine alla asserita illegittimita'  costituzionale
della   disposizione   impugnata.   La   motivazione,    oltre    che
insufficiente,  appare  anche  inconferente,  in  quanto   la   norma
censurata non ripristina alcun controllo  sugli  atti  legislativi  o
amministrativi   delle   Regioni,   in   contrasto   con   la   legge
costituzionale n. 3 del  2001,  invocata  a  parametro  del  presente
giudizio». 
    3.1.2.- Considerazioni analoghe valgono per  quanto  riguarda  le
censure relative all'art. 119 Cost. e all'art. 1, comma 1, e 2, comma
2, lettere z) e ll), della legge n. 42 del 2009. 
    Nella sopra citata sentenza, infatti, si e'  affermato  che:  «e'
inammissibile, per carenza assoluta di motivazione, il ricorso  della
Regione Veneto nella parte in cui ritiene violati l'art. 119 Cost.  e
gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge  n.
42 del 2009. Sul punto, il ricorso e' privo di qualunque  svolgimento
argomentativo, limitandosi a  richiamare  le  suddette  norme,  senza
mostrare in quale senso  esse  risultino  incise  dalle  disposizioni
impugnate  e  senza  neppure  offrire  ragioni   a   sostegno   della
possibilita' di far valere  l'evocata  legge  n.  42  del  2009  come
parametro nei giudizi davanti a questa  Corte»  (sentenza  n.  8  del
2013). 
    Le motivazioni poste a fondamento della sopra ricordata decisione
vanno ribadite anche nell'odierno caso. 
    3.1.3.- Infine, parimenti inammissibile deve essere  ritenuta  la
censura relativa all'art. 97 Cost., sia  per  carenza  e  genericita'
delle motivazione, sia per il gia' ricordato  principio  (piu'  volte
affermato dalla giurisprudenza costituzionale) che  le  Regioni  sono
legittimate a censurare le leggi dello Stato esclusivamente in base a
parametri   relativi   al   riparto   delle   rispettive   competenze
legislative. Esse possono dedurre altri  parametri  soltanto  ove  la
loro  violazione  comporti  una  compromissione  delle   attribuzioni
regionali costituzionalmente garantite. Tale circostanza non  ricorre
nel caso di specie, «in quanto la violazione del principio  del  buon
andamento della  pubblica  amministrazione  non  si  risolve  in  una
questione sul riparto delle  competenze  legislative»  (ex  plurimis,
sentenza n. 128 del 2011). 
    3.2.- Le restanti questioni non sono fondate. 
    Innanzitutto, in relazione alla violazione degli artt. 117, comma
secondo, lettera e), e 118 Cost., sembra opportuno premettere  alcune
considerazioni di massima, estensibili anche alle censure mosse dalla
ricorrente Regione al successivo comma 4 del medesimo art. 3-bis  del
d.l. n.  138  del  2011  per  violazione  dell'autonomia  finanziaria
regionale, di cui all'art. 119 Cost. 
    L'intervento normativo statale, con il d.l. n.  1  del  2012,  si
prefigge  la  finalita'  di  operare,  attraverso  la  tutela   della
concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa pubblica. 
    Per  quello  che  qui  interessa,  con  la  norma  impugnata,  il
legislatore statale ritiene che tale  scopo  si  realizzi  attraverso
l'affidamento dei servizi pubblici locali al meccanismo delle gare ad
evidenza pubblica, individuato come quello che dovrebbe comportare un
risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione. 
    Da qui l'opzione - in coerenza con la normativa comunitaria -  di
promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali a  terzi  e/o  a
societa' miste pubblico/private e  di  contenere  il  fenomeno  delle
societa' in house. 
    Le modalita' di affidamento della gestione dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza  economica,  secondo  consolidata  giurisprudenza
della Corte, attengono alla materia «tutela  della  concorrenza»,  di
competenza  esclusiva  statale,  tenuto  conto  della   sua   diretta
incidenza  sul  mercato  e  «perche'  strettamente  funzionale   alla
gestione unitaria del servizio» (ex plurimis:sentenze n. 62 e  n.  32
del 2012; n. 339, n. 320, n. 187 e n. 128 del 2011; n. 325 e  n.  142
del 2010; n. 246 e n. 148 del 2009). 
    Peraltro, per pervenire a questo obiettivo, il legislatore si  e'
trovato di fronte al problema di coordinare la  competenza  esclusiva
dello  Stato  in  materia  di  «tutela  della  concorrenza»  con   le
competenze concorrenti regionali. Da qui l'opzione, gia' sperimentata
in altri contesti, di utilizzare una  tecnica  «premiale»,  dividendo
gli enti pubblici territoriali in due classi, secondo un giudizio  di
"virtuosita'"  ai  sensi  dell'art.  20,  commi  2   e   2-bis,   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito dall'art. 1, comma 1,  della
legge  15  luglio  2011,  n.  111,  «sulla  base  della   valutazione
ponderata» di parametri di virtuosita',  ai  fini  del  rispetto  del
Patto di stabilita' (sentenza n. 8 del 2013). 
    Nel caso di specie, «l'applicazione di procedure  di  affidamento
dei servizi ad evidenza pubblica da  parte  di  regioni,  province  e
comuni o degli enti di governo  locali  dell'ambito  o  del  bacino»,
previsto  dalla  disposizione  impugnata,  e'  stato   inserito   dal
legislatore statale - quale  ulteriore  elemento  di  valutazione  di
"virtuosita'" degli  enti  che  ad  esso  si  adeguano,  al  fine  di
consentire a questi ultimi di sottostare a  vincoli  finanziari  meno
pesanti rispetto agli altri enti  -  tra  quelli  gia'  previsti  dal
citato art. 20, comma 2, del d.l. n. 98 del 2011. 
    Secondo questa  tecnica,  dunque,  riguardo  al  tema  in  esame,
risultano piu' virtuosi gli enti che si conformano  alle  indicazioni
del  legislatore  statale  (indicazioni  fornite  in   virtu'   della
competenza esclusiva in materia di concorrenza) nell'affidamento  dei
servizi pubblici locali tramite gare ad evidenza pubblica. 
    Questa tecnica ha, in generale,  il  pregio  di  non  privare  le
Regioni e gli altri enti territoriali  delle  loro  competenze  e  di
limitarsi a valutare il loro esercizio ai fini dell'attribuzione  del
«premio»,  ovvero  della  coerenza  o  meno  alle   indicazioni   del
legislatore statale, che ha agito nell'esercizio della sua competenza
esclusiva in materia di concorrenza. Infatti,  «grazie  alla  tecnica
normativa prescelta i principi di liberalizzazione presuppongono  che
le Regioni seguitano ad esercitare le proprie competenze  in  materia
di regolazione delle attivita' economiche». Ne consegue, dunque,  che
le Regioni «non  risultano  menomate  nelle,  ne'  tantomeno  private
delle, competenze legislative e  amministrative  loro  spettanti,  ma
sono orientate ad  esercitarle  in  base  ai  principi  indicati  dal
legislatore statale, che ha agito nell'esercizio della sua competenza
esclusiva in materia della concorrenza» (sempre  sentenza  n.  8  del
2013). 
    3.2.1.   -    In    base    alla    precedenti    considerazioni,
conseguentemente, le censure formulate  in  relazione  all'art.  117,
comma secondo, lettera e), Cost. ed anche in riferimento all'art. 118
Cost. non sono fondate: con la disposizione impugnata il «legislatore
nazionale non ha occupato gli spazi riservati a quello regionale,  ma
ha agito presupponendo invece che le singole  Regioni  continuino  ad
esercitare le loro competenze,  conformandosi  tuttavia  ai  principi
stabiliti a livello statale» (sentenze n. 8 del 2013  e  n.  200  del
2012).  In  particolare,  in  riferimento  all'art.  118  Cost.,  non
sussiste   la   lamentata   violazione    dell'autonomia    regionale
nell'esercizio delle sue funzioni da parte del  comma  3  del  citato
art. 3-bis, in quanto la capacita' amministrativa degli enti non puo'
ritenersi limitata da un sistema che  garantisce  ad  essi  la  piena
autonomia di gestione. 
    Quanto, poi, al comma secondo, lettera e), dell'art. 117 Cost.  e
alla non fondatezza della sua lamentata violazione,  si  puo'  ancora
ricordare  quanto  e'  stato  sottolineato  da  questa  Corte   sulle
finalita' perseguite dal decreto-legge n. 1 del  2012:  e  cioe'  che
esso si colloca nel  solco  di  un'evoluzione  normativa  diretta  ad
attuare «il principio generale della liberalizzazione delle attivita'
economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni  alla
libera iniziativa economica debbano trovare puntuale  giustificazione
in interessi di rango costituzionale» (sentenza n. 200 del 2012). 
    Tale intervento normativo,  conformemente  ai  principi  espressi
dalla giurisprudenza costituzionale, «prelude a una razionalizzazione
della regolazione, che elimini, da un lato, gli  ostacoli  al  libero
esercizio  dell'attivita'  economica  che  si  rivelino   inutili   o
sproporzionati e, dall'altro,  mantenga  le  normative  necessarie  a
garantire che le dinamiche economiche non si  svolgano  in  contrasto
con l'utilita' sociale  e  con  gli  altri  principi  costituzionali»
(sentenza n. 200 del 2012, citata dalla sentenza n. 8 del 2013). 
    3.2.2.- In relazione all'art. 117, comma primo,  Cost.,  poi,  la
censura risulta ugualmente non fondata, in quanto nella disciplina di
cui trattasi «non emerge alcun profilo di contrasto  con  il  diritto
dell'Unione europea», tanto  piu'  che  la  stessa  si  qualifica  in
termini di tutela della concorrenza (sentenze n. 299  e  n.  200  del
2012), «rientrando dunque pienamente all'interno delle competenze  di
pertinenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera  e),
Cost. senza nulla togliere alle Regioni in materia di attuazione  del
diritto europeo» (sentenza n. 8 del 2013; analogamente, sul punto, la
sentenza n. 325 del 2010). 
    4.-  La  Regione   Veneto   dubita,   poi,   della   legittimita'
costituzionale del comma 4 dell'art. 3-bis del d.l. n. 138  del  2011
per  violazione  dell'art.  119  Cost.  e  del  principio  di   leale
collaborazione. 
    4.1.- Il comma 4 stabilisce che, «Fatti salvi i finanziamenti  ai
progetti relativi ai servizi pubblici locali di  rilevanza  economica
cofinanziati con fondi europei, i finanziamenti  a  qualsiasi  titolo
concessi a valere su risorse pubbliche  statali  ai  sensi  dell'art.
119,  comma  quinto,   della   Costituzione   sono   prioritariamente
attribuiti  agli  enti  di  governo  degli  ambiti   o   dei   bacini
territoriali  ottimali  ovvero  ai  relativi  gestori  del   servizio
selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui  comunque
l'Autorita' di regolazione competente abbia  verificato  l'efficienza
gestionale e la qualita' del servizio reso sulla base  dei  parametri
stabiliti dall'Autorita' stessa». 
    4.1.1.-  A  parere  della   ricorrente   Regione   Veneto,   tale
disposizione - prevedendo la prioritaria attribuzione  agli  enti  di
governo degli ambiti o dei bacini  territoriali  ottimali  ovvero  ai
relativi gestori del servizio, selezionati attraverso la procedura ad
evidenza pubblica o a quelli di cui l'Autorita' di settore che  abbia
verificato la qualita' e l'efficienza in base a  specifici  parametri
dalla stessa definiti, e privilegiando, quindi, i piu'  efficienti  -
poiche' non stabilisce la riconducibilita' dei predetti finanziamenti
ai  tipi  di  fondi  consentiti  dall'art.  119   Cost.,   violerebbe
l'autonomia finanziaria regionale ivi prevista. 
    La stessa, inoltre,  sempre  secondo  la  ricorrente,  violerebbe
anche il principio di leale collaborazione, in quanto i finanziamenti
ivi previsti rientrerebbero in ambiti di competenza regionale, mentre
la normativa in esame non sembra aver previsto  alcun  coinvolgimento
delle Regioni. 
    4.2.- Entrambe le censure non sono fondate per i  motivi  qui  di
seguito esposti. 
    4.2.1.- Relativamente alla violazione dell'autonomia  finanziaria
della Regione, di cui all'art. 119, comma quinto, Cost., una corretta
analisi letterale della norma  impugnata  porta  a  ritenere  che  il
legislatore statale -  in  linea  con  le  finalita'  perseguite  dal
decreto-legge n. 1 del 2012,  sopra  ricordate  in  riferimento  alle
censure relative al precedente comma 3 della medesima disposizione  -
ha, anche nel caso di specie, fatto ricorso ai principi propri  della
«tecnica premiale», la quale, appunto,  come  gia'  evidenziato,  non
comporta  l'assorbimento  delle  competenze   regionali.   Gli   enti
territoriali, infatti, conservano le loro competenze  che  esercitano
in conformita' ai principi di liberalizzazione dettati  dallo  Stato,
il quale, nell'erogare i finanziamenti di sua competenza,  privilegia
le amministrazioni piu' "virtuose". 
    Del resto, e' stato gia' affermato da questa Corte  che  «non  e'
irragionevole  che  il  legislatore  abbia  previsto  un  trattamento
differenziato  fra  enti  che  decidono  di  perseguire  un  maggiore
sviluppo economico attraverso politiche di ri-regolazione dei mercati
ed enti che, al contrario, non lo fanno,  purche',  naturalmente,  lo
Stato operi tale valutazione attraverso strumenti dotati di un  certo
grado di oggettivita' e  comparabilita',  che  precisino  ex  ante  i
criteri per apprezzare il grado di adeguamento raggiunto  da  ciascun
ente nell'ambito del processo complessivo di razionalizzazione  della
regolazione,   all'interno   dei   diversi   mercati    singolarmente
individuati. Introdurre un regime finanziario piu' favorevole per  le
Regioni che  sviluppano  adeguate  politiche  di  crescita  economica
costituisce, dunque, una misura premiale non incoerente rispetto alle
politiche economiche che si  intendono,  in  tal  modo,  incentivare»
(sentenza n. 8 del 2013). 
    Ne' sembra essere di  ostacolo  l'eccepita  non  riconducibilita'
della norma impugnata alle ipotesi di cui all'art. 119 Cost. 
    E' infatti vero che la giurisprudenza costituzionale ha affermato
che  «gli  interventi  statali  fondati  sulla  differenziazione  tra
Regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali,  devono
seguire le modalita' fissate  dall'art.  119,  quinto  comma,  Cost.,
senza  alterare  i  vincoli  generali  di  contenimento  della  spesa
pubblica, che non possono che essere uniformi» (sentenza n.  284  del
2009),  e  che  «  Da  cio'  deriva  l'implicito  riconoscimento  del
principio di tipicita' delle ipotesi  e  dei  procedimenti  attinenti
alla perequazione regionale, che caratterizza la  scelta  legislativa
di perequazione "verticale" effettuata in sede di riforma del  Titolo
V della Costituzione mediante  la  legge  costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione)»  (sentenza  n.  176  del  2012).  Ma   e'   necessario
sottolineare che la stessa giurisprudenza ha evidenziato in  numerose
sentenze che  «Il  rispetto  di  detto  principio  di  tipicita'  non
impedisce certamente - allo stato della legislazione  -  che  possano
essere adottati interventi perequativi a favore  delle  collettivita'
economicamente  piu'  deboli.  Cio'  potra'  tuttavia  avvenire  solo
attraverso quei moduli legislativi e  procedimentali  non  collidenti
con il dettato dell'art. 119 Cost., alcuni dei quali sono gia'  stati
scrutinati favorevolmente da questa Corte (sentenze n. 71  del  2012,
n. 284 e n. 107 del 2009, n. 216 del 2008, n. 451 del 2006  e  n.  37
del 2004)». 
    Nel caso di specie deve, infatti, escludersi che il  dettato  del
comma  4  possa  prevedere  misure   perequativo-solidaristiche   non
previste dal comma quinto dell'art. 119 Cost. («risorse aggiuntive» e
«interventi speciali»), che non integrino, come precisato  da  questa
Corte, interventi straordinari, aggiuntivi e diretti  a  garantire  i
servizi indispensabili alla tutela di diritti fondamentali  (sentenze
n. 71 del 2012; n. 45 del 2008, n. 105 del 2007, n. 451 del 2006,  n.
222 del 2005, n. 49 e n. 16 del 2004). 
    Non  sussiste,  pertanto,  alcuna  violazione  sotto   l'invocato
profilo dell'art. 119 Cost. 
    4.2.2.- Anche in merito alla censura di violazione del  principio
di leale collaborazione, lamentata  dalla  Regione,  la  questione  -
prescindendo dalla carenza e genericita' della motivazione -  non  e'
fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte sottolineato che tale  principio  «non
trova applicazione in  riferimento  al  procedimento  legislativo  e,
inoltre, che esso non opera allorche' lo Stato  eserciti  la  propria
competenza esclusiva in materia di "tutela della concorrenza"» (cosi'
le sentenze n. 8 del 2013; n. 299 e n. 234 del 2012; n. 88 del 2009 e
n. 219 del 2005). 
    5.- Infine, per la difesa regionale, anche il comma  5  dell'art.
3-bis, cosi' come inserito nel  d.l.  n.  138  del  2011,  stabilendo
l'assoggettamento delle societa' affidatarie in  house  al  Patto  di
stabilita'  interno  secondo  le  modalita'  definite   dal   decreto
ministeriale previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del d.l. n.  112
del 2008, violerebbe l'art. 117, commi terzo e sesto, Cost. 
    5.1.- Al riguardo, la Regione Veneto, preliminarmente, chiede che
la  Corte  voglia   sollevare   davanti   a   se   stessa,   mediante
autorimessione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
18, comma 2-bis, del d.l. n. 112 del 2008 e dell'art.  4,  comma  14,
del  d.l.  n.  138  del  2011,  costituenti  quelli   che   definisce
«antecedenti storici» della disposizione in oggetto. 
    Per cio'  che  riguarda  la  richiesta  di  autorimessione  della
questione di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art. 18
del d.l.  n.  112  del  2008,  si  premette  che  si  tratta  di  una
sollecitazione - formulata per ovviare  alla  intervenuta  decorrenza
dei termini perentori entro i quali puo' essere presentato il ricorso
- che questa Corte non e' tenuta ad esaminare. Nel caso  in  oggetto,
ad essa si dara'  comunque,  per  la  stretta  connessione  che  tale
normativa viene ad avere con quella attualmente impugnata,  una  piu'
ampia risposta in  sede  di  esame  del  merito  della  questione  di
legittimita' costituzionale del suddetto comma 5 dell'art. 3-bis. 
    Per quanto, poi, riguarda il comma 14 dell'art. 4 del d.l. n. 138
del 2011, esso (congiuntamente all'intero  articolo)  e'  stato  gia'
dichiarato da questa  Corte  costituzionalmente  illegittimo  con  la
sentenza  n.  199  del  2012,  peraltro  decisa  e  pubblicata   dopo
l'instaurazione del presente giudizio,  a  seguito  dell'impugnazione
del medesimo comma da parte  delle  Regioni  Puglia,  Lazio,  Marche,
Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna. 
    5.2.-  Nel   merito,   anche   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del comma 5 dell'art. 3-bis, del d.l. n. 138 del 2011,
per violazione dell'art. 117, commi terzo  e  sesto,  Cost.,  non  e'
fondata. 
    5.3.- Ad avviso della ricorrente, tale  disposizione,  prevedendo
che gli affidatari in house siano soggetti  al  Patto  di  stabilita'
interno, secondo le modalita' previste dall'art. 18, comma 2-bis, del
d.l. n. 112 del 2008, avrebbe sostanzialmente riproposto  il  dettato
della prima parte della lettera a) del comma 10 dell'art. 23-bis  del
medesimo decreto- legge (come modificato dall'art. 15, comma  l,  del
d.l. n. 135 del 2009), dichiarato costituzionalmente  illegittimo  da
questa Corte con sentenza n. 325 del 2010, limitatamente alle parole:
«l'assoggettamento  dei  soggetti  affidatari  diretti   di   servizi
pubblici locali al patto di' stabilita' interno e». 
    La disposizione in  esame  -  secondo  la  Regione  ricorrente  -
avrebbe   ripristinato,   di   fatto,   la    normativa    dichiarata
costituzionalmente illegittima, demandando nuovamente  ad  una  fonte
sub-legislativa la definizione delle modalita' per  l'assoggettamento
al Patto di stabilita' interno delle societa' in  house.  Anche  essa
sarebbe, pertanto, costituzionalmente illegittima, venendo a  violare
la competenza regolamentare della Regione nelle materie di competenza
legislativa concorrente, di cui all'art. 117, comma sesto, Cost. 
    La ricorrente sottolinea che  la  sentenza  sopra  richiamata  ha
ritenuto che l'ambito di applicazione del Patto di stabilita' interno
attiene alla materia del coordinamento  della  finanza  pubblica,  di
competenza legislativa concorrente, e non  a  materie  di  competenza
legislativa esclusiva statale per le quali soltanto l'art. 117, comma
sesto, Cost., attribuisce allo Stato la potesta' regolamentare. 
    Il nucleo argomentativo di  questa  decisione  di  illegittimita'
costituzionale, sostiene la Regione, e' incentrato sul fatto che,  in
relazione alla coordinata lettura dell'art. 117, commi terzo e sesto,
Cost. e, poiche'  si  verte  in  materia  di  competenza  legislativa
concorrente, non sussiste una potesta' regolamentare dello Stato  che
consenta a quest'ultimo di prescrivere l'assoggettamento dei soggetti
affidatari diretti di servizi pubblici locali al Patto di  stabilita'
interno. 
    5.3.1.- Se il comma 5  dell'art.  3-bis  ,  norma  in  esame,  si
leggesse nel senso che lo Stato avesse previsto l'utilizzazione della
sua  potesta'  regolamentare   (e   non   quella   legislativa)   per
assoggettare le societa' affidatarie in house al Patto di  stabilita'
interno o avesse  previsto,  come  nel  precedente  giurisprudenziale
sopra richiamato, l'uso dello strumento regolamentare per intervenire
nella suddetta materia, dovrebbe concludersi per la fondatezza  della
questione. 
    Ma non e' questa la corretta interpretazione da  attribuire  alla
disposizione  impugnata.  E'  ben  noto,  al  riguardo,  il  costante
insegnamento di questa  Corte  -  espresso  soprattutto  nei  giudizi
incidentali, ma che vale, per cio'  che  attiene  alla  decisione  di
merito, anche nei giudizi in via principale (sentenza n. 21 del 2013,
ordinanze n. 255 del 2012, n. 287 del 2011 e n.110 del 2010) - che di
una  disposizione  legislativa  non  si  pronuncia   l'illegittimita'
costituzionale quando  se  ne  potrebbe  dare  un'interpretazione  in
violazione  della  Costituzione,  ma  quando  non  se  ne  puo'  dare
un'interpretazione conforme a Costituzione. 
    E', quindi, necessario esaminare sia il contenuto  della  lettera
a) del comma 10 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112  del  2008  e  della
disposizione legislativa impugnata col presente ricorso, sia l'esatto
percorso argomentativo della sentenza n. 325 del 2010. 
    Con riferimento alle diverse e contrapposte  tesi  che  le  parti
ricorrenti e la parte resistente avevano in quel  giudizio  formulato
circa il rapporto che la disposizione censurata veniva ad  avere  con
la analoga disciplina comunitaria, nella citata sentenza  si  afferma
che «Nessuna di tali due  opposte  prospettazioni  e'  condivisibile,
perche' le disposizioni censurate dalle ricorrenti non  costituiscono
ne' una violazione ne' un'applicazione necessitata  della  richiamata
normativa comunitaria ed internazionale, ma  sono  semplicemente  con
questa compatibili, integrando una delle diverse discipline possibili
della  materia  che  il  legislatore  avrebbe  potuto  legittimamente
adottare senza violare l'evocato primo comma dell'art. 117 Cost.». 
    A seguito, poi, di un analitico esame delle due normative, questa
Corte conclude che «Ne deriva, in  particolare,  che  al  legislatore
italiano non e' vietato adottare una disciplina  che  preveda  regole
concorrenziali - come  sono  quelle  in  tema  di  gara  ad  evidenza
pubblica per l'affidamento di servizi pubblici - di applicazione piu'
ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario». 
    Esclusa, quindi, qualunque possibile violazione della  disciplina
comunitaria, che potesse venire a vulnerare il comma primo  dell'art.
117 Cost., questa Corte inquadra la  disposizione  nell'ambito  della
materia, di competenza concorrente, del «coordinamento della  finanza
pubblica» e, poiche' il comma 10 del piu' volte  citato  art.  23-bis
prevedeva che il Governo, su proposta del Ministro per i rapporti con
le regioni e sentita la Conferenza unificata, adottasse «uno  o  piu'
regolamenti, ai sensi dell'art. 17, comma 2, della  legge  23  agosto
1988, n. 400, al fine di: a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti
affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di
stabilita' interno», ha sancito  l'illegittimita'  costituzionale  di
quest'ultimo periodo. 
    Infatti la disposizione legislativa,  prevedendo  l'adozione,  da
parte del Governo,  di  un  atto  regolamentare  in  una  materia  di
legislazione concorrente violava il comma sesto dell'art. 117 Cost. 
    Ma, ed e' questa l'erronea prospettazione della  ricorrente,  con
la citata sentenza non si e' certo affermato  che,  in  mancanza  del
previsto regolamento, le societa' in house non  fossero  assoggettate
al  patto  di  stabilita'  interno.  In  essa,  infatti,  si  afferma
chiaramente che «Secondo  la  normativa  comunitaria,  le  condizioni
integranti tale tipo di gestione ed  alle  quali  e'  subordinata  la
possibilita'  del  suo  affidamento  diretto   (capitale   totalmente
pubblico; controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario  di
"contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante stesso  sui
propri uffici; svolgimento della parte piu' importante dell'attivita'
dell'affidatario  in   favore   dell'aggiudicante)   debbono   essere
interpretate  restrittivamente,  costituendo  l'in  house   providing
un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento  a  terzi
mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata
dal diritto comunitario con  il  rilievo  che  la  sussistenza  delle
suddette condizioni esclude che l'in house contract configuri,  nella
sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo  tra  aggiudicante
ed affidatario, perche' quest'ultimo e', in realta',  solo  la  longa
manus del primo». 
    Quindi, una diversa disciplina che favorisca le societa' in house
rispetto all'aggiudicante Amministrazione pubblica si potrebbe  porre
in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe
a scindere le due entita' e a determinare un ingiustificato favor nei
confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici dato che il
bilancio delle societa' in house non sarebbe soggetto alle regole del
patto di stabilita' interno.  Le  suddette  regole,  invece,  debbono
intendersi estese a tutto l'insieme di  spese  ed  entrate  dell'ente
locale sia perche' non sarebbe funzionale alle finalita' di controllo
della finanza pubblica  e  di  contenimento  delle  spese  permettere
possibili forme di elusione dei  criteri  su  cui  detto  "Patto"  si
fonda,  sia  perche'  la  maggiore   ampiezza   degli   strumenti   a
disposizione dell'ente  locale  per  svolgere  le  sue  funzioni  gli
consente di espletarle nel modo  migliore,  assicurando,  nell'ambito
complessivo delle proprie spese,  il  rispetto  dei  vincoli  fissati
dallo stesso Patto di stabilita'. 
    Chiariti, quindi, il percorso motivazionale della sentenza n. 325
del  2010  e  la  portata  della   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale in essa contenuta, occorre valutare se  analogo  vizio
e'   riscontrabile   nella   disposizione   legislativa   attualmente
impugnata, partendo da quanto espressamente prevede l'art. 18,  comma
2-bis, del d.l. n. 112 del 2008 cui essa rinvia per cio' che riguarda
le modalita' alle quali il decreto ministeriale si deve  attenere  in
merito all'assoggettamento  delle  societa'  in  house  al  patto  di
stabilita' interno. 
    Quest'ultimo prevede che: «Con decreto del Ministro dell'economia
e delle finanze, di concerto con i  Ministri  dell'interno  e  per  i
rapporti con le regioni,  sentita  la  Conferenza  unificata  di  cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28  agosto  1997,  n.  281,  e
successive modificazioni, da emanare entro il 30 settembre 2009, sono
definite le modalita' e la modulistica per l'assoggettamento al patto
di stabilita' interno delle societa' a partecipazione pubblica locale
totale o di controllo che siano titolari di  affidamenti  diretti  di
servizi pubblici locali senza  gara,  ovvero  che  svolgano  funzioni
volte a soddisfare esigenze di interesse  generale  aventi  carattere
non industriale ne' commerciale, ovvero che  svolgano  attivita'  nei
confronti della  pubblica  amministrazione  a  supporto  di  funzioni
amministrative di natura pubblicistica». 
    Si tratta, come  gia'  precisato,  della  disposizione  alle  cui
modalita' di attuazione il censurato comma 5 dell'art. 3-bis del d.l.
n. 1 del 2012 rinvia e  nei  cui  confronti  la  ricorrente  chiedeva
l'autoremissione,  ritenendo  che   avesse,   in   via   legislativa,
sottoposto le societa' in house al Patto di stabilita' interno e che,
quindi, gia' con la suddetta sentenza n. 325 del  2010  questa  Corte
avrebbe dovuto estendere, ex art. 27 della legge n. 87 dell'11  marzo
1953, la pronuncia  di  illegittimita'.  Al  riguardo,  il  punto  di
partenza della ricorrente (cioe' che  con  tale  disposizione  si  e'
prevista la sottoposizione  delle  societa'  in  house  al  patto  di
stabilita' interno) e' esatto, ma sono  errate  le  conclusioni.  Con
tale disposizione si e', infatti, reso legislativamente esplicito  un
adempimento di  origine  comunitaria  rientrante  in  quei  contenuti
minimi non derogabili cui fa riferimento la sentenza n. 325 del  2010
e  proprio  la  mancata  estensione  ad  essa  della   pronuncia   di
illegittimita' di parte del comma 10 dell'art.  23-bis  dimostra  che
questa Corte, gia' dalla citata sentenza, ha  ben  differenziato  tra
l'assoggettamento delle societa' in  house  al  patto  di  stabilita'
interno, che era fuori dal giudizio, e  gli  strumenti  per  renderlo
normativamente o amministrativamente piu'  facilmente  gestibile  che
costituivano, invece, l'oggetto della pronuncia. 
    E' a tali strumenti, o, per meglio dire, alla  loro  natura,  che
occorre fare riferimento, dato che la materia cui le due disposizioni
legislative  attengono  e'  la  stessa,  vale  a  dire   quella   del
«coordinamento  della  finanza  pubblica»  di  cui  al  comma   terzo
dell'art. 117 Cost., nella quale lo Stato  non  puo'  ricorrere  alla
potesta' regolamentare. 
    Nel comma 10 dell'art. 23-bis si prevedeva il ricorso,  da  parte
del Governo, ad uno o piu' regolamenti di cui all'art. 17,  comma  2,
della legge  n.  400  del  1988,  cioe'  ad  un  atto  di  normazione
secondaria generale ed astratto, idoneo a determinare,  nel  rispetto
dei principi che regolano la gerarchia delle fonti di produzione  del
diritto,  innovazioni  nella  materia.   Invece,   nella   disciplina
legislativa  attualmente  impugnata  ed  in  quella  cui  questa   fa
riferimento si prevede il ricorso ad un decreto ministeriale che, per
quello che costituisce il suo oggetto,  ha  la  natura  di  atto  non
regolamentare. Mentre, difatti, nel  comma  10  dell'art.  23-bis  si
precisava che il regolamento avrebbe avuto  come  oggetto  quello  di
«prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari cosi'  detti  in
house di servizi pubblici locali al patto di stabilita' interno», con
possibilita', quindi, di dettare regole che disciplinassero anche nel
merito questo assoggettamento o che, in  ogni  caso,  potessero,  nel
limite del rispetto di quanto contenuto nella legge che lo prevedeva,
determinare innovazioni normative, nella disposizione legislativa cui
rinvia il censurato comma  5  dell'art.  3-bis  e'  previsto  che  il
decreto ministeriale definisca  esclusivamente  le  «modalita'  e  la
modulistica» dell'assoggettamento al patto di stabilita'. Si  tratta,
quindi, di un atto che non ha contenuti  normativi,  ma  che  adempie
esclusivamente ad un  compito  di  coordinamento  tecnico,  volto  ad
assicurare l'uniformita' degli atti contabili in tutto il  territorio
nazionale. 
    Per cio', poi, che riguarda il  secondo  dei  termini  usati  per
delimitare  la   materia   del   decreto   ministeriale,   cioe'   la
«modulistica», ci si trova di fronte ad una materia che rientra nella
legislazione  esclusiva  dello   Stato   (cioe'   il   «coordinamento
informativo statistico e informatico  dei  dati  dell'amministrazione
statale, regionale e locale» di cui alla lettera r del comma  secondo
dell'art. 117 Cost.) e, quindi, poiche' era possibile, per lo  Stato,
anche il ricorso allo strumento regolamentare,  non  puo'  ravvisarsi
un'illegittimita' nel ricorso ad una fonte non regolamentare. 
    Con la norma impugnata, pertanto, il legislatore statale  non  ha
oltrepassato i limiti posti dall'art. 117, comma terzo, Cost., ne' e'
venuto a ledere la competenza regolamentare della Regione, di cui  al
comma sesto dell'art. 117 Cost. 
    6.-  L'istanza  di   sospensione   dell'efficacia   delle   norme
impugnate, formulata dalla Regione  Veneto,  rimane  assorbita  dalla
decisione circa la non fondatezza nel merito delle  censure  proposte
con il ricorso (ex plurimis, sentenza n. 299 del 2012). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la  decisione  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  riguardanti   le   altre   disposizioni
contenute nel decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1  (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo  delle  infrastrutture  e  la
competitivita'), convertito, con modificazioni, dalla legge 24  marzo
2012, n. 27; 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'articolo  25,   comma   1,   lettera   a),   del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1  (Disposizioni  urgenti  per  la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),
convertito, con modificazioni, dalla legge  24  marzo  2012,  n.  27,
nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, comma 3, nel decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, promosse dalla Regione Veneto, con  riferimento  agli
articoli 3, 5, 97, 114 e  119  della  Costituzione,  all'articolo  9,
comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione), agli articoli 1,
comma 1, e 2, comma 2, lettere z) e ll), della legge 5  maggio  2009,
n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,  in
attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), con il  ricorso  in
epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale del citato articolo  25,  comma  1,  lettera  a),  del
decreto-legge n. 1 del 2012, quale convertito dalla legge n.  27  del
2012, nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, commi 2, 3, 4  e  5,
nel decreto-legge n. 138 del 2011, promosse dalla Regione Veneto, con
riferimento agli articoli 117,  commi  primo,  secondo,  lettera  e),
terzo, e sesto, 118, 119, commi  secondo,  terzo,  quarto  e  quinto,
Cost. e al principio di  leale  collaborazione,  con  il  ricorso  in
epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 marzo 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI