N. 96 ORDINANZA 20 - 22 maggio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Reati militari - Reato di malversazione -  Abrogazione
  solo in ambito non militare - Asserita  disparita'  di  trattamento
  tra  la  disciplina  vigente  in  ambito  non  militare,   regolata
  dall'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio) e quella  ancora  vigente
  in ambito militare - Questione irrilevante nel  giudizio  a  quo  -
  Richiesta di pronuncia additiva  che  comporta  una  reformatio  in
  peius dell'attuale trattamento sanzionatorio - Divieto di  analogia
  in malam partem in materia penale - Manifesta inammissibilita'. 
- Codice penale militare di pace, art. 216. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.22 del 29-5-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  216  del
codice penale militare di pace, promosso dal  Tribunale  militare  di
Napoli nel procedimento  penale  a  carico  di  Z.B.  ed  altro,  con
ordinanza dell'8  maggio  2012,  iscritta  al  n.  188  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella. 
    Ritenuto che, con ordinanza  dell'8  maggio  2012,  il  Tribunale
militare di Napoli ha sollevato, con  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  216
del codice penale militare di pace; 
    che, riferisce il  rimettente,  il  maresciallo  Z.B.  era  stato
rinviato a giudizio con l'accusa di aver commesso,  in  continuazione
con  altre  condotte  lui  contestate,  il  reato  di   malversazione
militare, per essersi appropriato o comunque  per  aver  distratto  a
proprio profitto - utilizzandolo per estinguere alcune rate  di  suoi
mutui - denaro appartenente ad altro militare, del quale  si  trovava
nella disponibilita' per ragione del suo ufficio; 
    che, nella fase delle  formalita'  preliminari  all'apertura  del
dibattimento, la difesa aveva  sollevato  eccezione  di  legittimita'
costituzionale della predetta norma  incriminatrice,  in  quanto,  in
seguito all'abrogazione dell'analogo reato di malversazione  previsto
dall'art. 315 cod. pen., si sarebbe determinata nell'ordinamento  una
ingiustificata diversita' di trattamento sanzionatorio tra i militari
incaricati di funzioni amministrative  o  di  comando  e  i  pubblici
ufficiali (o incaricati di pubblico servizio) non militari; 
    che, in particolare, per quanto attiene alla  condotta  consumata
mediante distrazione, vi sarebbe disparita'  di  trattamento  tra  la
disciplina ormai vigente  in  ambito  non  militare,  prevista  -  in
conseguenza della citata abrogazione - dalla norma  di  cui  all'art.
323 cod. pen. (abuso d'ufficio) e punita con la pena piu' lieve della
reclusione da sei mesi a tre anni, e quella tuttora vigente in ambito
militare, nella quale la pena comminata va da  due  a  otto  anni  di
reclusione; 
    che il pubblico ministero si era opposto  all'accoglimento  della
sollevata eccezione, ravvisando nelle peculiarieta'  dell'ordinamento
militare elementi di specialita'  tali  da  giustificare  la  diversa
disciplina sanzionatoria; 
    che il rimettente ritiene la questione  rilevante  nel  giudizio,
nel quale, al capo c) dell'imputazione,  il  reato  di  malversazione
contestato all'imputato si articolerebbe in una  condotta  realizzata
sia mediante «appropriazione», sia mediante «distrazione»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza,  egli  evidenzia  la
disparita' di trattamento sanzionatorio tra il militare incaricato di
funzioni amministrative o di comando, soggetto attivo  del  reato  di
malversazione in danno  di  militari,  ed  il  pubblico  ufficiale  o
incaricato  di  pubblico  servizio,  soggetto  attivo  del  reato  di
malversazione a danno di privati  (o  meglio,  per  l'esattezza,  del
reato di abuso di ufficio o di peculato, nei quali sono refluite,  in
conseguenza della descritta abrogazione, le condotte  precedentemente
inquadrabili nella cessata fattispecie incriminatrice); 
    che, invero, secondo il rimettente, con  l'abrogazione  dell'art.
315 cod.  pen.,  in  ambito  non  militare,  l'ipotesi  appropriativa
sarebbe sanzionata, in base all'art. 314 cod. pen.,  con  la  pena  -
maggiore rispetto a quella comminata per la malversazione militare  -
prevista per il peculato (da tre  a  dieci  anni),  mentre  l'ipotesi
distrattiva sarebbe sanzionata dall'art. 323 cod. pen. con la pena  -
minore rispetto a quella prevista per la malversazione militare -  da
sei mesi a tre anni; 
    che cio' determinerebbe un'alterazione dell'originario equilibrio
tra malversazione privata e militare, e una conseguente diversita' di
trattamento tra militari e non militari  che  non  troverebbe  alcuna
giustificazione razionale, riproducendo, sia pure con riferimento  ad
un diverso reato, i medesimi profili di illegittimita' costituzionale
gia' stigmatizzati da questa Corte con la sentenza n. 448 del 1991 (a
proposito del peculato per distrazione) e con la successiva  sentenza
n. 286 del 2008 (a proposito del peculato d'uso del militare comune e
del militare appartenente alla Guardia di  Finanza);  pronunce  nelle
quali sarebbe stato affermato che, in conseguenza della  riforma  del
1990, la  disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  prodottasi  non
troverebbe giustificazione nell'unico  elemento  di  differenziazione
delle fattispecie militari da  quelle  civili  (ossia  l'appartenenza
dell'agente alle forze armate); 
    che  anche  nella  presente  questione,  secondo  il  rimettente,
sarebbe   indispensabile   ripristinare    l'originario    equilibrio
sanzionatorio tra le ipotesi di malversazione in  ambito  militare  e
non militare, e cio' potrebbe avvenire solo con  la  declaratoria  di
illegittimita'   costituzionale   dell'abrogata   disposizione,   che
determinerebbe   la   automatica   sussunzione   delle    fattispecie
disciplinate attualmente dalla norma censurata, rispettivamente,  nel
reato di peculato di cui all'art. 314 cod. pen. e in quello di  abuso
di ufficio di cui all'art. 323 cod. pen. perche' il venir meno  della
norma  speciale   (militare)   determinerebbe   l'applicazione   alla
fattispecie delle norme generali, dettate dal codice penale; 
    che, d'altra parte, prosegue il rimettente, una simile pronuncia,
pur  innegabilmente  producendo  una  reformatio   in   peius   della
disciplina sostanziale, a causa dell'inasprimento sanzionatorio delle
condotte appropriative, non sarebbe applicabile  al  procedimento  in
esame e, dunque, l'intervento di questa Corte non potrebbe  ritenersi
precluso solo  a  causa  del  suo  carattere  peggiorativo,  pena  la
formazione nell'ordinamento di una zona franca dall'applicazione  dei
principi costituzionali; 
    che,  con  memoria  depositata  in  data  15  ottobre  2012,   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha  sostenuto
la manifesta infondatezza della proposta questione  di  legittimita',
atteso che le diversita' di  disciplina  tra  i  due  reati  posti  a
raffronto troverebbe giustificazione e  razionale  spiegazione  nelle
peculiarieta' che l'ordinamento vigente continua a  riconoscere  allo
status militare, connesso all'assoluta particolarita' degli  scopi  e
delle funzioni istituzionalmente attribuite alle Forze Armate  ed  ai
corpi armati dello Stato. 
    Considerato che, il Tribunale militare  di  Napoli,  dubita,  con
riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,   della   legittimita'
dell'art. 216 del codice penale militare di pace; 
    che, secondo il rimettente, in seguito all'abrogazione  dell'art.
315  cod.  pen.  e  alla  conseguente  soppressione  del   reato   di
malversazione solo  in  ambito  non  militare,  si  sarebbe  prodotta
nell'ordinamento    un'alterazione     dell'originario     equilibrio
sanzionatorio tra fattispecie penale militare  e  fattispecie  penale
comune, realizzandosi una ingiustificata  disparita'  di  trattamento
tra la disciplina ormai vigente  in  ambito  non  militare,  regolata
dall'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), e quella  tuttora  vigente
in ambito militare; 
    che, in particolare, per effetto  dell'intervenuta  riforma,  una
simile disparita' di trattamento sarebbe ravvisabile, da un  lato,  a
causa  dell'irragionevolezza  del  carattere  meno  favorevole  della
sanzione comminata, in ambito militare, per  la  condotta  realizzata
mediante distrazione (rispetto alla pena applicabile  in  ambito  non
militare per effetto della abrogazione del reato di  malversazione  e
la  conseguente,  asserita  sussunzione   della   fattispecie   nella
previsione   dell'art.   323,   cod.   pen.)   e,   dall'altro,   per
l'irrazionalita'  del  carattere  piu'  favorevole  della  disciplina
penale   militare   rispetto   alle   ipotesi   realizzate   mediante
appropriazione, ed oggi, in tal contesto, punite con  la  pena,  piu'
severa, della reclusione da tre a dieci anni; 
    che, in punto di  rilevanza  nel  giudizio  a  quo,  quanto  alla
condotta di malversazione  continuata  a  danno  di  altri  militari,
contestata all'imputato per essersi appropriato o comunque  per  aver
distratto a proprio profitto - utilizzandolo  per  estinguere  alcune
rate di suoi mutui - denaro appartenente ad altro militare, del quale
si trovava nella disponibilita'  per  ragione  del  suo  ufficio,  il
rimettente riferisce  che  all'imputato  sono  state  addebitate  sia
condotte di  malversazione  mediante  distrazione,  sia  condotte  di
malversazione per appropriazione; 
    che  tale  affermazione  e',  tuttavia,  smentita  dal  capo   di
imputazione, riportato dal rimettente, nel quale si fa riferimento ad
una vera e propria appropriazione personale del denaro  o,  comunque,
ad una distrazione a proprio vantaggio, e non gia' ad una distrazione
verso altre finalita' diverse da quelle per le quali  il  denaro  gli
era stato affidato; 
    che, pertanto, la motivazione sulla  rilevanza  nel  giudizio  e'
fondata  su  una   descrizione   della   fattispecie   incompleta   e
contraddittoria, dal momento che, in realta', la condotta  contestata
agli imputati e' esclusivamente di natura appropriativa; 
    che,  inoltre,  con  riferimento  alla  asserita   ingiustificata
disparita' di trattamento relativa  alla  condotta  di  malversazione
mediante distrazione (rispetto alla corrispondente disciplina dettata
per le condotte distrattive realizzate in ambito  non  militare),  la
questione deve ritenersi inammissibile per irrilevanza nel giudizio a
quo; 
    che, peraltro, sempre in relazione a tale tipologia di  condotta,
l'ordinanza di rimessione si basa sull'erroneo assunto interpretativo
(incidente sulla rilevanza della questione) in base al quale, in caso
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma  sulla
malversazione militare,  tutte  le  condotte  di  natura  distrattive
verrebbero ad essere punite dalla disposizione di  cui  all'art.  323
cod. pen. (abuso di ufficio); 
    che, al contrario, tale  sussunzione  riguarderebbe  soltanto  le
condotte che eventualmente assumessero le connotazioni tipiche  della
destinazione di risorse alla realizzazione di fini  pubblici  diversi
da quelli istituzionali; condotte che, peraltro,  sono  difficilmente
compatibili  con  l'elemento  caratterizzante   della   malversazione
rispetto al peculato, ossia la proprieta' non pubblica del  denaro  o
delle utilita' amministrate dall'agente; 
    che, tale auspicato effetto devolutivo,  diversamente  da  quanto
sembra ritenere il  rimettente,  non  trova  affatto  conforto  nella
giurisprudenza di questa Corte, la quale ha  affermato  (sentenza  n.
448 del 1991) che sono rifluite  nell'ambito  di  applicazione  della
piu'  favorevole  norma  incriminatrice  dell'abuso  d'ufficio,   per
effetto della abrogazione della norma del  peculato  con  distrazione
militare, solo alcune condotte di peculato, e in  particolare  quelle
realizzate «mediante distrazione indebita di risorse pubbliche al  di
fuori di fini istituzionali dell'ente»; 
    che, quanto, invece, alle condotte di  natura  appropriativa,  il
rimettente chiede che la Corte, attraverso la caducazione della norma
di cui  all'art.  216  cod.  pen.  mil.  pace,  censurata  nella  sua
interezza, determini, anche in ambito militare,  la  riconducibilita'
delle condotte di malversazione in danno di  privati  (o  meglio,  di
altri militari), attualmente punite con la pena della  reclusione  da
due a otto anni, alla fattispecie del peculato,  soggetto  alla  piu'
aspra pena edittale della reclusione da tre a dieci anni; 
    che, in tal modo, il rimettente invoca una pronuncia additiva che
comporta   una   reformatio   in   peius   dell'attuale   trattamento
sanzionatorio, la cui praticabilita' e' preclusa a questa  Corte  dal
divieto di analogia in malam partem in materia penale  (ex  plurimis,
sentenza n. 447 del 1998), divieto  piu'  volte  ribadito  da  questa
Corte anche con specifico riguardo alla materia dei reati  contro  la
pubblica amministrazione e, in particolare, per il reato di  peculato
(sentenza n. 473 del 1990); 
    che, pertanto, da qualsiasi angolazione la si esamini,  l'odierna
questione  deve   ritenersi,   per   piu'   aspetti,   manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  216  del  codice  penale
militare di pace, sollevata,  in  riferimento  all'articolo  3  della
Costituzione,  dal  Tribunale  militare  di  Napoli  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                      Luigi MAZZELLA, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI