N. 126 ORDINANZA 3 - 5 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Funzioni e provvedimenti  del  magistrato
  di sorveglianza - Potere  di  annullamento,  in  sede  di  reclamo,
  dell'atto adottato dall'Amministrazione penitenziaria in autotutela
  - Mancata previsione - Asserite disparita' di trattamento,  lesione
  del diritto di difesa, lesione della tutela giurisdizionale  contro
  gli atti della Pubblica Amministrazione -  Difetto  di  motivazione
  sulla rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, comma 5. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 113. 
(GU n.24 del 12-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  69,
comma 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Lecce nel
procedimento di  sorveglianza  sul  reclamo  proposto  da  R.C.,  con
ordinanza del  27  marzo  2012,  iscritta  al  n.  239  del  registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24  aprile  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza  depositata  il  27  marzo  2012,  il
Magistrato di sorveglianza di Lecce ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 24 e 113 della Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 69, comma 5, della legge 26 luglio 1975,
n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui non
riconosce al magistrato di sorveglianza il potere  di  annullare,  in
sede  di  reclamo,  il  provvedimento  adottato  dall'amministrazione
penitenziaria in autotutela; 
    che il giudice a quo premette di  essere  investito  del  reclamo
proposto da un detenuto,  avente  ad  oggetto  la  sua  richiesta  di
utilizzare un computer portatile  personale  per  motivi  di  studio:
richiesta   inizialmente   accolta   dalla   direzione   della   casa
circondariale di Lecce, che aveva, in particolare, autorizzato  l'uso
dell'apparecchio presso la sala biblioteca dell'istituto; 
    che, peraltro, a seguito di richiesta formulata dal comandante di
reparto,  la  direzione  dell'istituto  aveva  dapprima  condizionato
l'impiego  dell'apparecchio  alla   rimozione   del   modem   interno
(operazione eseguita da un tecnico di fiducia del detenuto) e  quindi
revocato l'autorizzazione, proponendo  all'interessato  di  avvalersi
del computer di  proprieta'  dell'amministrazione  posto  nella  sala
biblioteca; 
    che la revoca era  motivata  col  rilievo  che  l'esecuzione  del
provvedimento autorizzativo avrebbe costituito un «precedente» atto a
stimolare la presentazione  di  numerose  richieste  analoghe,  dando
cosi'  luogo  ad  una  situazione  "non  gestibile":  a   causa   del
sovraffollamento  dell'istituto  penitenziario,  non  sarebbe  stato,
infatti, possibile consentire l'uso  dei  computer  nelle  camere  di
pernottamento, ma solo nella  sala  biblioteca,  la  quale  non  era,
tuttavia, attrezzata per l'uso simultaneo di numerosi apparecchi; 
    che la revoca sarebbe  stata,  inoltre,  imposta  da  ragioni  di
sicurezza, legate ad un eventuale «uso improprio» dell'apparecchio, e
dalla «non corretta osservanza»  delle  procedure  di  controllo  del
computer dell'interessato da parte di tecnici esterni,  stabilite  da
una circolare del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria; 
    che, con il reclamo, il detenuto aveva lamentato  la  «violazione
di legge, per la mancata osservanza dell'art.  40»  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  30  giugno  2000,  n.  230  (Regolamento
recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative
e limitative della liberta'); 
    che, tanto premesso, il giudice a quo rileva  come  la  posizione
giuridica  azionata  dal  reclamante  non  abbia  natura  di  diritto
soggettivo, ma di interesse legittimo: il citato art. 40  del  d.P.R.
n.  230  del  2000  stabilisce,  infatti,  che  spetta  al  direttore
dell'istituto, nell'esercizio di un  potere  discrezionale  («puo'»),
autorizzare l'uso del personal computer da parte dei detenuti,  anche
nelle camere di pernottamento; 
    che anche detta posizione giuridica rientrerebbe,  peraltro,  tra
quelle tutelabili tramite lo strumento del reclamo al  magistrato  di
sorveglianza, deciso secondo la procedura prevista  dall'art.  14-ter
della legge n. 354 del 1975: come chiarito dalle Sezioni unite  della
Corte di cassazione (sentenza 26 febbraio  2003-10  giugno  2003,  n.
25079), il magistrato  di  sorveglianza  e'  infatti  investito,  nei
confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria collegati  al
trattamento penitenziario, di  una  giurisdizione  piena,  che  copre
anche le posizioni di interesse legittimo; 
    che, ad avviso del rimettente, tuttavia, in una fattispecie quale
quella oggetto del procedimento a quo, il magistrato di  sorveglianza
non   disporrebbe   di   strumenti   adeguati   per   assicurare   il
soddisfacimento della pretesa del reclamante; 
    che, alla luce di quanto  affermato  dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 266 del 2009, l'art. 69, comma 5,  della  legge  n.
354 del 1975 consentirebbe, bensi', al magistrato di sorveglianza  di
adottare prescrizioni vincolanti nei  confronti  dell'amministrazione
penitenziaria e, dunque, in sostanza, di condannare la stessa  ad  un
facere; 
    che,  nella  specie,  peraltro,  le  ragioni  del  detenuto   non
potrebbero essere soddisfatte ordinando alla direzione  dell'istituto
di dare esecuzione al provvedimento  di  autorizzazione  all'uso  del
personal computer, giacche' il medesimo e' stato rimosso dalla stessa
amministrazione con altro provvedimento,  emesso  in  autotutela:  ai
fini della  salvaguardia  dell'interesse  legittimo  del  reclamante,
occorrerebbe pertanto eliminare quest'ultimo provvedimento; 
    che, in assenza di una norma che  espressamente  lo  preveda  (in
ossequio  all'art.  113,  terzo  comma,  Cost.),  il  magistrato   di
sorveglianza non potrebbe, tuttavia - in quanto giudice  ordinario  -
annullare l'atto amministrativo, ma solo disapplicarlo,  nei  termini
previsti dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248  (Legge
sul contenzioso amministrativo), allegato E; 
    che, al di la' dei possibili dubbi circa la configurabilita', nel
caso in esame, delle ipotesi regolate dai citati  artt.  4  e  5,  la
semplice disapplicazione del provvedimento  di  cui  si  discute  non
basterebbe  comunque  neppure  essa  a  soddisfare  l'interesse   del
reclamante,  non  potendo  quest'ultimo   chiedere   una   successiva
esecuzione della decisione; 
    che  il  magistrato  di   sorveglianza   non   potrebbe   neanche
disapplicare  l'atto,   ordinando   nel   contempo   alla   direzione
dell'istituto  di  permettere  al  reclamante  l'uso   del   personal
computer,  giacche'  una  simile  soluzione  «non  consentirebbe   il
corretto utilizzo di quella potesta' che  il  legislatore  ha  voluto
riservare  in  capo  all'amministrazione»:  solo  l'annullamento  del
provvedimento di autotutela varrebbe ad eliminare i relativi  effetti
negativi sul precedente provvedimento di autorizzazione,  permettendo
all'amministrazione  di  scegliere  se   dare   esecuzione   a   tale
provvedimento, ovvero di intervenire - tenuto conto  dei  profili  di
illegittimita' emersi nel corso del  procedimento  giurisdizionale  -
con  un  nuovo  eventuale  provvedimento   di   autotutela,   qualora
emergessero nuove ragioni di pubblico interesse; 
    che il giudice a quo dubita, di conseguenza,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 69, comma 5, ord.  penit.,  ravvisandone  il
contrasto con l'art. 3 Cost., in  ragione  del  difforme  trattamento
riservato a soggetti parimenti interessati a dolersi di  un  atto  di
autotutela illegittimo della pubblica amministrazione, a seconda  che
si tratti di persone detenute o in stato  di  liberta':  non  essendo
riconosciuti alle prime efficaci strumenti di  reazione  processuale,
di cui fruiscono invece le seconde, quale l'azione di annullamento; 
    che sarebbe leso, altresi', l'art. 24 Cost., giacche' il detenuto
titolare di un interesse legittimo o di  un  diritto  soggettivo  non
avrebbe la  possibilita'  di  farlo  valere  utilmente  in  giudizio,
rimanendo la tutela giurisdizionale invocata priva di effettivita'; 
    che la norma censurata violerebbe, infine, l'art. 113  Cost.,  in
forza del quale contro gli atti della pubblica  amministrazione  deve
essere sempre consentita la tutela giurisdizionale; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  per  omessa
motivazione  in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza   o,   in
subordine, rigettata nel merito. 
    Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Lecce dubita, in
riferimento agli articoli 3,  24  e  113  della  Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dell'articolo 69, comma 5, della legge 26
luglio  1975,  n.  354  (Norme   sull'ordinamento   penitenziario   e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte in cui non conferisce al magistrato  di  sorveglianza  il
potere di annullare, in sede di decisione sul reclamo proposto da  un
detenuto,    il    provvedimento    adottato     dall'amministrazione
penitenziaria in via di autotutela; 
    che - a prescindere da ogni  rilievo  circa  la  reale  validita'
dell'assunto posto a base del dubbio di costituzionalita', stando  al
quale  il  magistrato  di  sorveglianza  non  disporrebbe  di  poteri
sufficienti  ad  assicurare  un'effettiva  tutela   della   posizione
giuridica del detenuto nella specifica ipotesi della quale si discute
- e' pregiudiziale e dirimente la constatazione che il rimettente non
ha fornito un'adeguata motivazione in  ordine  alla  rilevanza  della
questione nel procedimento principale; 
    che il giudice a quo chiede, infatti, alla Corte  di  ampliare  i
poteri del magistrato di sorveglianza  nell'ipotesi  di  accoglimento
del reclamo, con l'ovvia conseguenza che in tanto la  questione  puo'
rilevare nel caso concreto,  in  quanto  l'impugnativa  del  detenuto
risulti fondata: riconoscere al rimettente  il  richiesto  potere  di
annullamento,  in  luogo  di  quello  di   semplice   disapplicazione
dell'atto amministrativo, modificherebbe l'esito del giudizio  a  quo
solo se vi fossero i presupposti per esercitarlo; 
    che, a tale riguardo, il rimettente ha indicato in modo  puntuale
le    ragioni,    organizzative    e    di     sicurezza,     addotte
dall'amministrazione  penitenziaria   a   sostegno   del   contestato
provvedimento di revoca in autotutela della precedente autorizzazione
all'uso di un computer portatile personale da parte dell'interessato; 
    che, sull'altro  fronte,  nessuna  indicazione  e'  stata  invece
fornita dal giudice a quo riguardo alla  fondatezza  delle  doglianze
del reclamante - peraltro neppure specificate, al di la' del semplice
riferimento alla denuncia della «violazione di legge» - ne', comunque
e piu' in generale, in ordine all'esistenza  di  elementi  idonei  ad
inficiare  le  valutazioni  poste  a  base  dell'atto  di  autotutela
dell'autorita' penitenziaria: con il  risultato  di  precludere  alla
Corte  la  necessaria  verifica  in  ordine  alla   rilevanza   della
questione; 
    che  il  riscontrato  difetto  di  motivazione  sulla   rilevanza
determina la manifesta inammissibilita' della questione (ex plurimis,
ordinanze n. 130 del 2012, n. 284  e  n.  220  del  2011),  rimanendo
assorbita  la  diversa  eccezione   di   inammissibilita'   formulata
dall'Avvocatura dello Stato. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 69, comma 5, della legge 26
luglio  1975,  n.  354  (Norme   sull'ordinamento   penitenziario   e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
sollevata,  in  riferimento  agli  articoli  3,  24   e   113   della
Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Lecce con l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI